UN’IPERBOLE NAPOLETANA
Anche questa volta faccio sèguito ad un
quesito rivoltomi dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi
impongono di riportar solo le iniziali
di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di
parlare d’un’espressione iperbolica udita, restandone sorpreso, nel corso di un alterco tra due commercianti.
L’accontento súbito cominciando con il dirgli di non farsi meraviglie atteso
che nell’eloquio napoletano si ricorre
volentieri all’iperbole espressiva,
dando libero sfogo alla fantasia per formulare concetti che
necessiterebbero di poche parole e che invece vengono colorite ravvivate,
arricchite, vivacizzate quando non imbarocchite a dismisura in cerca dell’effetto
ridondante, enfatico ma icastico e ciò soprattutto nelle imprecazioni e/o
maledizioni come nell’ esempio che segue dove quella imprecazione che alibi è
semplicemente “li mortacci tuoi” diventa (cosí come l’à udita l’amico N.C.) :
Dint’ô sanco sperzo d’ ‘o parzunaro
ca chiantaje ll’arbero ‘a do’ fove cuoveto ‘o limone
ca servette a scerià ‘e
mmeglie maniglie ‘attone
d’ ‘o tauto’e lignammo fetente e nfracetato addó stanno
astipate ‘e mmeglie osse cariulate
d’ ‘e meglie muorte d’ ‘e muorte ‘e chi t’è mmuorto!
Ad litteram: Nel sangue perso (id est: Accidenti al
sangue smarrito) del colono che piantò l’albero donde fu còlto il limone che
occorse a soffregare (per render lucide) le piú importanti maniglie d’ottone
della cassa da morto fi sporco legno fradicio dove sono conservate le ossa
(ormai) tarlate dei trisavoli dei tuoi antenati!
Faccio presente che l’espressione à una sua variante
nella quale, con pari significato esclamativo,
si ricorre in luogo del Dint’ô
all’interiezione mannaggia al cosí come segue:
Mannaggia ô sanco sperzo d’ ‘o parzunaro
ca chiantaje ll’arbero ‘a do’ fove cuoveto ‘o limone
ca servette a scerià ‘e
mmeglie maniglie ‘attone
d’ ‘o tauto ‘e lignammo fetente e nfracetato addó stanno
atipate ‘e mmeglio osse cariulate
d’ ‘e meglie muorte d’ ‘e muorte ‘e chi t’è mmuorto!
dint’ô = nel/nello
locuzione prepositiva articolata formata con la preposizione impropria
dinto (dentro – in(dal lat. d(e) int(r)o→dinto); rammento che le locuzioni
articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati
gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla
preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre
indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione
articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à:
dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il
pensiero di chi mentalmente articola in
napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e
(i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente
nel/néllo,nélla,néi/negli/nelle.
- sanco s.vo
neutro = sàngue [ voce dall’acc.vo lat.
sangue(m) accus. collaterale di
sanguĭnem attraverso un metaplasmo del lat. volg. *sangu(m)→sancu(m) con
passaggio espressivo della occlusiva velare sonora (g) a quella sorda (c).]
1. a. Liquido organico, opaco, viscoso, di colore rosso
(rosso vivo il sangue arterioso, rosso scuro il venoso) che, sotto l’impulso
dell’attività cardiaca, circola nell’apparato cardiovascolare (cuore, arterie,
capillari, vene), distribuendosi in tutti i distretti dell’organismo, nei quali
esplica fondamentali funzioni di nutrizione; è fisicamente una sospensione,
risultante di una parte corpuscolata (globuli rossi o eritrociti, globuli
bianchi o leucociti e piastrine) e di una parte liquida, il plasma;
funzionalmente, rappresenta il vero tessuto di correlazione dell’organismo: per
suo mezzo, infatti, gli organismi aerobici attuano lo scambio di ossigeno e di
anidride carbonica fra l’ambiente esterno e i proprî tessuti (v. respirazione),
e in esso passano i principî nutritivi assorbiti a livello della mucosa
intestinale per essere trasportati e distribuiti ai varî organi e tessuti, dove
sono utilizzati a scopi energetici e plastici oppure immagazzinati come
materiali di riserva. Locuzioni: s. arterioso, s. venoso (anche, s. rosso, s.
blu); la formazione del s., o emopoiesi; la circolazione del s.; s. ricco, s.
povero di globuli rossi; animali a (o di) s. caldo, i vertebrati che ànno la
temperatura corporea costante, come i mammiferi e gli uccelli (detti perciò
omeotermi); animali a (o di) s. freddo, i vertebrati con temperatura interna
variabile in relazione alla temperatura ambiente, come i rettili, gli anfibî, i
pesci (detti perciò eterotermi); coagulazione del s.; prelievo di s.; analisi,
esame del s.; trasfusione di s.; datori o donatori di s. (anche volontarî del
s.), v. datore. Nel linguaggio com.: avere il s. sano, essere di buon s.; avere
il s. malato, guasto, infetto; pop., avere il s. grosso o ingrossato, avere la
pressione alta (espressione che risale alla vecchia teoria umorale, nella quale
si contrapponeva a s. sottile); prov., il riso fa buon s., fa bene alla salute;
occhi iniettati di s., espressione con cui si indica comunem. l’iperemia dei
vasi superficiali dell’occhio, soprattutto in quanto sia conseguente a uno
stato di violenta eccitazione.
b. Il liquido organico stesso considerato nel suo
apparire all’esterno dell’organismo, in quanto eliminato o perduto per cause
fisiche, patologiche, traumatiche, ecc.: un getto, un fiotto, un grumo, una
goccia, una stilla di s.; s. rosso, nerastro; la ferita fa s., getta s.;
perdere s. (fam. fare s.); dal taglio il s. esce, spiccia, sprizza, sgorga
abbondante; filare s., quando esce con getto continuo (la mano ferita gli
filava s.); nell’uso com., perdere s. dal naso, avere un’epistassi; avere una
perdita di s., un’emorragia; sputare s., avere uno sbocco di s., avere
un’emottisi; fermare, fare stagnare o ristagnare il s., quando viene perduto
per una ferita o un’emorragia; cavare, levare il s., fare un salasso; non avere
s. nelle vene, non rimanere piú s. nelle vene, in usi fig. (v. vena2, n. 1 b);
un apporto di s. fresco, in senso fig., un apporto di elementi nuovi, giovani,
freschi, capaci di ridare vigore a situazioni in stato di debolezza,
precarietà, esaurimento (la concessione del mutuo rappresenta un apporto di s.
fresco per l’azienda). Per il modo prov., scherz., levare o cavare s. da una
rapa. Pietra del s. (o sanguinella), altro nome del diaspro rosso, cosí
chiamato perché anticamente ritenuto efficace contro le emorragie.
c. Con riferimento al colore: rosso come il s., o, in
funzione appositiva, rosso sangue, rosso vivo, fiammante (a volte anche rosso
di s.); con allusione al colore della carnagione: à gote latte e s.; quel
bambino è tutto latte e s., à un viso bianco e rosso, segno di buona salute.
d. In frasi di tono enfatico, con allusione al fatto che
il sangue è essenziale alla vita, e quindi cosa assai preziosa: amare qualcuno
piú del proprio s.; darei metà del mio s., tutto il mio s. pur di vederlo
guarito.
e. Come simbolo di fatica e dolore, in senso sia fisico
sia morale: costare s., sudare s., richiedere, sopportare un’enorme fatica;
piangere lacrime di s., piangere amaramente, sconsolatamente; succhiare il s.,
esigere da una persona tutto ciò, o anche piú di ciò, ch’essa possa dare, per
quanto riguarda il lavoro, un’attività e, soprattutto, il denaro: governo,
fisco che succhia il s. dei cittadini; usurai arricchitisi succhiando il s.
della povera gente.
2. a. Sangue umano uscito dal corpo in seguito a ferite,
spec. mortali, inferte volontariamente: battere, percuotere, mordere a s., con
tanta violenza da far sanguinare; duello all’ultimo s., combattere fino
all’ultimo s., fino a che uno dei contendenti resti ucciso (propriam., fino a
che rimanga nel corpo ancora una goccia di sangue); duello al primo s.,
battersi al primo s., con l’accordo di sospendere il duello alla prima ferita;
iperb., la vittima giaceva in una pozza, in un lago, in un mare di sangue.
b. Con valore simbolico, ferimento, uccisione, strage:
spargere s., commettere delitti, stragi: Io che sparsi di s. ampio torrente (T.
Tasso), che feci grandi stragi; sacrificio con, senza, spargimento di s.,
cruento, incruento; delitto, reato, crimine di s.; nella cronaca giornalistica,
un grave fatto di s., un delitto; uomo di s., sanguinario, portato alla
violenza: io ’l vidi omo di s. e di crucci (Dante); avere le mani lorde di s.,
imbrattate di s., che grondano s., che ànno ucciso; lavare un’offesa nel s.,
onta vendicata col s., con la vita dell’offensore; il s. innocente grida
vendetta; che il suo s. ricada su di voi!; prezzo del s., presso popoli antichi
o primitivi, somma di denaro che dev’esser pagata dall’omicida ai congiunti
dell’ucciso come riscatto del proprio delitto (con altro senso, ottenere,
raggiungere qualche cosa a prezzo del s., a costo della vita); avere sete,
essere assetato di s., essere spinto al delitto da follia omicida o da grande
desiderio di vendetta: Sangue sitisti, e io di sangue t’empio (Dante); al
contrario, aborrire il s., aver orrore del s., di persona d’animo mite, aliena
per natura dalla violenza. Il fiume di s. bollente, nell’Inferno dantesco, il
Flegetonte (Inf. XII, 47-48: La riviera del s. in la qual bolle Qual che per
vïolenza in altrui noccia), che attraversa il cerchio 7° e nel quale sono
puniti i violenti contro il prossimo.
c. In partic., sangue versato nelle lotte o discordie
civili, nelle guerre, o comunque per motivi politici o sociali: temprando lo
scettro a’ regnatori, Gli allor ne sfronda, ed alle genti svela Di che lagrime
grondi e di che sangue (Foscolo); spargere, versare s. fraterno, nelle lotte
intestine; soffocare una rivolta nel s., uccidendo i ribelli; l’insurrezione è
finita in un bagno di s., si è conclusa con un massacro; scorreva per le vie il
s. dei cittadini; notte di s., giornate di s., in cui siano state compiute
gravi stragi di cittadini, di avversarî politici, ecc.; Natale di s. (v.
natale, n. 2 b); in tono enfatico, essere scritto a lettere o a caratteri di
s., di eventi storici grandi e solenni che siano maturati attraverso lotte
dolorose e con molte perdite di vite umane. Con sign. piú prossimo a «vita
umana»: dare, versare il s. per la patria, morendo sul campo di battaglia; Ove
fia santo e lagrimato il sangue Per la patria versato (Foscolo); essere pronto
a donare il s. per un’idea, per un ideale, a sacrificare la vita;
l’indipendenza fu conquistata con il s. degli eroi; una vittoria che costò
molto s.; quanto s. è costata la riconquista della libertà!; pagare un tributo
di s., subire gravi perdite di vite umane. Nel linguaggio religioso e nella
storia della Chiesa: fede rinvigorita dal s. dei martiri; battesimo di s., il
martirio (v. battesimo, n. 1 a); l’umanità è stata redenta dal s. di Gesú; Nel
tempo che ’l buon Tito ... vendicò le fóra Ond’uscí ’l sangue per Giuda venduto
(Dante); il preziosissimo S., o il S. preziosissimo, anche senz’altra
determinazione, quello sparso da Gesú Cristo sulla croce, e nel quale si
trasforma quotidianamente il vino nel sacrificio della Messa.
3. In senso fig.:
a. Essenza vitale, sede della vita e dei sentimenti: non
avere piú una goccia di s. nelle vene, sentire che la vita, le forze vengono
meno; avere (una qualità) nel s., avere una disposizione, buona o cattiva,
profondamente radicata in sé (à la musica nel s.; à la disonestà nel sangue);
sentirsi qualcosa nel s., avere un presentimento particolarmente vivo e
insistente; con riferimento a persona, avere qualcuno nel s., amarlo
profondamente, essergli intimamente assai legato.
b. Lo stato d’animo, l’insieme degli atteggiamenti
spirituali e delle passioni, spec. violente, di una persona, in quanto tutto
ciò sembra essere in stretta relazione con diversi stati della circolazione del
sangue, esercitando influenza su questi o, al contrario, essendone influenzato:
guastarsi il s., irritarsi fortemente, arrabbiarsi; farsi cattivo s. (o il s.
cattivo; anche, il s. amaro), tormentarsi, rodersi l’animo, prendersela molto a
cuore; avere, non avere buon s. per qualcuno, averlo o no in simpatia; ant.,
andare a s., andare a genio; tra loro non corre buon s., non ci sono buoni
rapporti, esiste animosità, acredine; il s. gli salí alla faccia, come
manifestazione esteriore d’ira, di sdegno, di vergogna; il s. gli andò o gli
montò alla testa, di chi è improvvisamente invaso dalla collera, dal furore;
sentirsi rimescolare, rivoltare il s., provare grande turbamento, avvertire un
sentimento di ribellione, di ripugnanza, di sdegno; sentirsi ribollire il s.,
esser vicino a scattare per lo sdegno, per l’ira; il s. gli fece un tuffo, a
causa di una violenta e improvvisa emozione; sentirsi gelare o agghiacciare il
s., allibire per il terrore; avere il s. caldo, il s. bollente, avere un
temperamento focoso, facilmente infiammabile d’ira, d’amore, di passione, o
anche d’entusiasmo; con senso affine, sentirsi bollire o ribollire il s. nelle
vene; al contrario, non avere s. nelle vene, essere di temperamento freddo,
insensibile, incapace di entusiasmo, di calore, di reazione e sim. (con sign.
analogo, bisognerebbe non avere s. nelle vene, per non sdegnarsi, per non
reagire, per non sentirsi invasi dalla passione o dall’entusiasmo). Come locuz.
avv., a s. caldo, nel pieno dell’entusiasmo, dell’ira, della passione; piú com.
il contrario, a s. freddo, a mente fredda, con piena consapevolezza delle
proprie azioni, oppure freddamente, senza scomporsi: lo uccise a s. freddo. In
altri casi, s. freddo, impassibilità, piena padronanza di sé e dei proprî
nervi, che permette la visione realistica delle cose e una fredda obiettività
di giudizio: tra tanti appassionati, c’eran pure alcuni piú di s. freddo, i
quali stavano osservando con molto piacere, che l’acqua s’andava intorbidando
(Manzoni); conservare, mantenere il s. freddo; non gridavano, non perdevano il
s. freddo (Ottieri); mostrare s. freddo; e come raccomandazione a mantenere il
controllo di sé: s. freddo, mi raccomando!; calma e s. freddo!, spesso in tono
iron. con riferimento a chi si agita troppo o mostra impazienza.
4. Sempre in senso fig.:
a. Veicolo dei caratteri ereditarî, espressione della
costituzione genetica (secondo un concetto scientificamente superato, ma
tuttora vivo nel linguaggio com.): essere di s. nobile (pop. o scherz., di s.
blu), di s. patrizio, appartenere a una famiglia di origine nobile, patrizia;
al contr., essere di s. popolano, plebeo; príncipi di s. reale, discendenti di
una famiglia reale; con sign. piú ristretto, príncipi del s., quelli che
appartengono alla famiglia stessa del sovrano; uomo ... per costumi o per
virtú, molto piú che per nobiltà di s., chiarissimo (Boccaccio); buon s. non
mente, frase prov. che si usa pronunciare nel vedere risvegliarsi o
manifestarsi in una persona, spec. un giovane o un bambino, certe inclinazioni,
buone o cattive, che si ritengono ereditarie.
b. Sempre in senso fig.come nel caso che ci occupa:
Relazione di
parentela, continuità della famiglia, della stirpe, in quanto si ritiene che il
sangue si trasmetta dai genitori nei figli: ci sono tra loro stretti vincoli di
s.; legami di s. tra due famiglie, tra due tribú, tra due popoli; avere lo
stesso s., essere dello stesso s., appartenere allo stesso s.; tutti quelli del
suo s., tutti i suoi parenti; la voce del s., l’istinto che fa riconoscere o
amare i proprî parenti (sentire, ascoltare la voce del s.); il s. non è acqua,
frase prov. che esprime, come ò anticipato la forza con cui si fanno spesso
sentire i legami di parentela (con altro senso, la frase serve a giustificare
la facile eccitabilità dell’animo, gli impulsi all’amore, all’ira, allo sdegno,
e sim.).
c. Con sign. concr., famiglia, stirpe; piú spesso, unito
ad un agg. possessivo, indica i membri di una stessa famiglia, i discendenti, i
figli, o anche un singolo parente, un singolo figlio; ll’aggi’ ‘a ajutà è
pur’isso sanco mio(devo aiutarlo, è anche lui s. mio); piú enfaticamente,è
ssanco d’ ‘o sanco mio (è s. del mio s.), con riferimento a un figlio);lle
vuleva bbene comme fósse sanco suĵo (l’amava come se fosse s. suo).
d. Con riferimento a unità etniche: essere di s.
italiano, di s. tedesco, di s. arabo; à s. gitano nelle vene; s. misto, v.
sanguemisto; anche, il complesso dei caratteri piú genuini e distintivi di un
popolo: si vede che à s. siciliano; è il vero s. latino. Con sign. concr. e
collettivo, l’insieme dei componenti di una stirpe o progenie, di una nazione,
di un’unità etnica; non com., un bel s., una bella stirpe, una bella razza.
e. Analogam., nel linguaggio degli allevatori di cavalli
e di altri animali domestici, puro s. (animale, cavallo di puro s., piú spesso
in funzione di sost., un puro s., anche in grafia unita: v. purosangue),
animale di razza pura; mezzo s. (anche in grafia unita: v. mezzosangue),
l’ibrido o meticcio fra due razze diverse; quarto di s., l’individuo che
discende da un mezzosangue, incrociato a sua volta con un’altra razza.
5. Sangue di un animale macellato: il sanguinaccio si fa
con il s. di maiale; bistecca al s., poco cotta. Sangue di bue, nome con cui
viene comunem. indicato in commercio un concime organico azotato ottenuto dal
sangue di bovini macellati, seccato e ridotto in polvere, che viene poi usato
di solito diluito in acqua.
6. Come elemento di espressioni esclamative o
imprecative, in tono talvolta scherz. talvolta volg.: sanco ‘e Giuda!; sanco.
‘e Bacco! sanco ‘e chi t’è vvivo/’e chi t’è mmuorto ecc.; (s. di Giuda!; s. di
Bacco!; sangue di chi ti è vivo/ di chi ti è morto!)
sperzo variante di sperduto voce verbale p.p. di
sperdere(intensivo del lat. perdere, comp. di per 'al di là, oltre' e dare
'dare') che vale disperdere e dunque disperso,smarrito, perduto cioè senza continuità in quanto incapace di generare.
parzunaro s.vo m.le
1in primis colono,
fittavolo
2estensivamente contadino, ortolano,
coltivatore,mezzadro, fattore. voce dal lat. partion-ariu(m) dove si avverte il
s.vo pars/partis addizionato del suffisso aro/a
suff. di competenza per sostantivi o aggettivi derivati
dal latino o formati in italiano, che indicano oggetti,ma soprattutto mestieri
(putecaro/bottegaio,rilurgiaro/orologiaio) oppure luoghi(lutammaro/letamaio),
ambiente pieno di qualcosa o destinato a contenere o accogliere qualcosa
suffisso che continua il lat. arius→aro
chiantaje = piantò,seminò voce verbale (3ª p.sg.pass.
rem. dell’inf. chiantà = piantare, mettere a dimora, impiantare, seminare etc.
dal lat. plantare con normale esito in
chi del digramma pl (cfr. plumbeum→chiummo, plus→cchiú, plaga→chiaja,
plattu-m→chiatto etc.).
‘a do’ = donde loc. avv.le formata dalla preposizione
da→’a ( dal Lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc. come
nel caso che ci occupa; dal lat. de ad
nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc.)e
dall’apocope dell’avv. dove→do’ (dal lat. dí ubi)
fove cuoveto = fu
colto voce verbale passiva (3ª p.sg.pass. rem. dell’inf. cògliere (dal lat.
colligere, comp. di cum 'con' e legere 'raccogliere'; tipica la forma
cuoto/cuoveto del part. pass. dove si
può notare l’esito in u/uov di ol + cons. come alibi al + cons. →u (cfr.
altu(m)→auto/aveto);
servette = occorse, serví voce verbale qui
intransitivo (3ª p.sg. pass. rem.
dell’inf. serví =occorrere, essere necessario (dal Lat. servire, deriv. di
servus 'schiavo');
scerià voce verb. infinito: soffregare, nettare, lucidare
verbo che viene da un tardo latino: flicare = soffregare da cui felericare e
poi flericare, donde scericare e infine scerià (per il consueto esito del
digramma fl in sci (cfr. flos→sciore –
flumen→sciummo – flamma→sciamma - flacces→sciocciole).
meglie = migliori, piú importanti,piú buone uso
aggettivale al f.le pl. dell’avv. meglio (dal lat. meliu(s)); in napoletano si
riscontra anche di questo avverbio un
uso sostantivato al neutro ( ‘o mmeglio)
per indicare il meglio,le cose migliori o
la parte migliore di qualcosa; in tal caso trattandosi di voce neutra si
esige dopo l’art. neutro ‘o il raddoppiamento iniziale della consonante per cui
avremo ‘o mmeglio = il meglio,le cose migliori
da non confondere con il maschile ‘o meglio= il migliore
maniglie s.vo f.le pl. di maniglia = manico, pomello,
elemento facilmente impugnabile, di vario materiale e di varia foggia, che si
applica a cassetti, porte, valigie, bauli e sim. per poterli aprire, sollevare
o trasportare, oppure che si fissa a una parete o altro perché serva da
appiglio; voce dallo spagnolo manilla che è dal lat. manicula(m), deriv. di
manus 'mano';
‘attone = d’ottone; l’ottone (in nap. attone) è una lega
inossidabile di rame e zinco, di colore giallastro, largamente impiegata per la
costruzione e la copertura di oggetti vari: maniglie, candelabri etc. voce da
un'ant. voce sicil. lottone/lattone, che è dall'ar. latun 'rame', con
deglutinazione (separazione) della l-
iniziale intesa come articolo; rammento che in napoletano spesso l’articolo o
la preposizione che accompagna un s.vo viene fusa in posizione protetica con il s.vo e la sua presenza che non è
apparente viene indicata con un apice posto innanzi la parola; nella
fattispecie ‘attone sta per di
ottone come alibi talora ‘ammore vale
l’ amore/ di amore;
tauto/tavuto sost. masch. =bara che è dall’arabo tabut
(arca), attraverso lo spagnolo ataúd/ataút;
addó/aró = cong.
ed avverbio di luogo che usato genericamente vale dove oppure mentre, invece
(con valore avversativo) usato nelle interrogative vale dove, in quale luogo? usato nelle esclamative
vale proprio là dove! ; etimologicamente
da un latino de ubi con successivo rafforzamento popolare attraverso un ad del
de d’avvio;
la forma aró con rotacizzazione osco-mediterranea della
l'occlusiva dentale sonora (d) e passaggio a scempia dell’originaria doppia (
derivante dall’ ad+de), è forma popolare del parlato, mentre la forma addó è
d’uso letterario
stanno astipate =son conservate voce verbale passiva (3ª
p.pl. dell’ind. pr. dell’infinito astipà
conservare, riporre, custodire; astipà = ammassare cose in uno spazio ristretto; ammucchiare è
da un lat.volg.ad+stipare→a(d)stipare→astipare rafforzativo di stipare; faccio
notare che nella coniugazione è usato espressivamente a mo’ di ausiliare il
verbo stare in luogo dell’ausiliare essere che avrebbe comportato il dire songo
astipate; si ricorre al verbo stare al
posto dl verbo essere
per sottolineare espressivamente la stasi nell’azione di
riferimento: infatti dicendo stanno astipate si intende quasi assicurare che le
cose che son conservate in un determinato posto, non verranno per il futuro
mosse di lí, mentre dicendo songo astipate si sarebbe potuto intendere che non
fósse possibile dare assicurazioni sulla amovibilità delle cose conservate!
osse = ossa dei defunti, resti delle parti dure di varia
forma che formano lo scheletro dell'uomo; s.vo pl. f.le del maschile uosso (dal
lat. tardo ŏssu(m), per il class.netro
ŏs ŏssis;
cariulate = cariate, consumate, corrose, intaccate,
erose, bacate voce verb. part. pass.
agg.to f.le dell’inf. cariulà tarlare,
rodere, consumare (denominale del lat. parlato cariŏlus dimutivo del lat. tardo carius per il cl.
caries); muorte d’ ‘e muorte ‘e chi t’è
mmuorto letteralmente morti dei morti di
chi ti è morto id est: trisavoli dei tuoi antenati! muorto = morto, defunto agg.vo e s.vo m.le
part. pass. dell’infinito murí ( dallat. volg. *mōrire, per il class. mŏri);
rammento a margine che nel napoletano è pure
in uso l’espressione muorte d’’e muorte ‘e chi t’è stramuorto
letteralmente: morti dei morti di chi ti è stramorto(ossia morti che ti sono sí
noti, ma estranei ai tuoi consaguinei, atteso che quello stra d’attacco di stramuorto non è un
rafforzativo, ma vale extra→stra (cioè fuori)!
Infine rammento che la voce mannaggia non risulta essere
una corruzione di madonnaccia, come qualcuno erroneamente pensa, ché se così
fosse mannaggia sostanzierebbe una gravissima bestemmia, laddove essa risulta
essere invece solo una contenuta esclamazione di rabbia e/o stizza o
imprecazione rivolta contro qualcuno (mannaggia a tte!) o qualcosa (mannaggia â
morte!) e sta per accidenti a,
perbacco!, maledizione a..., ovvero "male ne abbia colui o la cosa contro cui è diretto il mannaggia.
Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione ( per una sorta di
sincope e fusione interna con
raddoppiamento espressivo della nasale
n) della frase: ma(le)+ n(e)= malanno
aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum +
habeat.
Tra le iperboli
offensive che era possibile udire nella città bassa ne riporto ora una che nella sua icasticità
mi appare altamente espressiva; essa recitava esattamente, rivolta ad un
individuo inteso veramente di basso profilo fisico e/o morale, Sî ‘a scumma
d’’o surore d’’e ppacche d’’e cavalle ‘e Bellemunno, ‘ncopp’â sagliuta ‘e
Puceriale che ad litteram è: Sei la schiuma del sudore delle natiche dei
cavalli di Bellomunno(che si inerpicano) per la salita (che mena al cimitero
)di Poggioreale. Non si può che apprezzare e sorridere davanti a cosí barocco
eloquio!
Qui giunto non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui
mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun
altro dei miei ventiquattro lettori
e chi
forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
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