martedì 31 gennaio 2017
VARIE 17/124
1.'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche.
2.È PPROPETO ‘NA SCOLA CAVAJOLA
È proprio una scuola cavajola! Con tale icastica espressione esclamativa, della medesima portata di quella precedente che chiamava in causa la bottega di donna Peppa ormai non ci si riferisce ad una vera e propria scuola, ma a tutte quelle situazioni caotiche dove regnino chiasso,insubordinazione,disordine, frastuono, fracasso, baccano addizionati di negligenza, svogliatezza, menefreghismo, sciatteria, indolenza, noncuranza L’espressione molto datata nacque prendendo spunto e modello da alcune particolari opere teatrali, détte Farse cavaiole: farse nate nel Napoletano sulla fine del sec. XV e fiorite nel XVI; erano scritte in versi, in una lingua piena di espressioni dialettali, e rappresentava scene di vita popolare; fu insomma un genere drammatico popolare, caratterizzato dal ricorso a frottole o gliuommeri di endecasillabi, per lo piú con rima al mezzo.Furono denominate farse cavaiole per il loro prendere ad oggetto di beffa l’ingenuità e/o la rozzezza degli abitanti di Cava dei Tirreni.; scaturirono dalla penna d’ un tal prolifico Vincenzo Braca (Salerno 1566 - †Cava dei Tirreni, dopo il 1614), autore teatrale che raccolse e redasse per iscritto, sceneggiandole e aggiungendone di proprie, le satire che tradizionalmente erano diffuse, fra i salernitani, contro i vicini abitanti di Cava; cosa che rese ancor piú sentiti e profondi i vecchi rancori fra le due città, esponendo personalmente il Braca, per questo feroce accanimento denigratorio, all’odio dei cavesi. E pare che proprio da cavesi, o per loro istigazione, il Braca venne assassinato.
La sua opera, comunque, ci pervenne in due manoscritti, di cui il piú interessante è, senza dubbio quello dal titolo“La farsa cavajola de la scola” o “de lo mastro de scola”. E, facendo riferimento a questa farsa, Benedetto Croce ebbe a scrivere: «Anche ora, si chiama a Napoli “scola cavajola” una scuola in cui tutto va alla peggio, con maestri inetti e scolari asini e indisciplinati».Dunque in origine con il termine “scola cavajola” ci si intese riferire ad un’autentica scuola come nell’opera del Braca; successivamente il termine “scola cavajola” fu inteso in senso estensivo con riferimento, come ò detto, ad ogni ambiente e situazione non solo caotici, ma improntati al peggior funzionamento per demerito di persone incapaci, incompetenti, inesperte nonché svogliate pigre, negligenti, sfaticate, e scansafatiche.
gliuommere/i s.vom.le plurale metafonetico di gliommero che di per sé è il gomitolo con etimo dall’acc. latino glomere(m) con probabile metaplasmo nel passaggio da un originario neutro glomus al maschile glomere(m); il significato originario di gomitolo si è poi esteso ed è traslato a quello di peculio, come di ricchezze accumulate; in chiave letteraria come nel caso che ci occupa la voce gliommero fu usata per indicare alcuni endecasillabi non particolarmente fluidi e/o scorrevoli con complesse rime al mezzo; sempre in chiave letteraria, la voce venne pure usata per intitolare alcuni suoi componimenti poetici, non aulici, ma popolareschi da Jacopo Sannazaro ( nacque a Napoli nel 1456 e, tranne una breve parentesi in cui seguì nell'esilio l'amico Federico III d'Aragona, lì visse fino alla morte, avvenuta nei 1530.
Discendente da una nobile famiglia oriunda della Lomellina, trascorse la fanciullezza e l’adolescenza a San Cipriano Piacentino, portando poi a lungo in sé la suggestione bucolica ed agreste di quell’ambiente. Entrato nell’Accademia pontaniana, dove assunse lo pseudonimo diActius Syncerus, si legò d’amicizia col Pontano (Cerreto di Spoleto [Perugia] 1429 † Napoli 1503), che a lui intitolò il dialogo Actius, sulla poesia.
Il Sannazaro fu colto umanista e poeta raffinato. Ci à lasciato numerose opere in lingua latina ed in volgare. Fra le prime ricorderò le "Bucoliche", di ispirazione virgiliana, le "Eclogae piscatoriae" (5 composizioni che descrivono il golfo di Napoli), le "Elegie" in tre libri, il poema sacro "De partu Virginis"; fra quelle in volgare ricordo, appunto, gli "Gliommeri" (= "gomitoli",componimenti poetici di origine popolare in napoletano e destinato alla recitazione in forma di monologo; costituito di endecasillabi a rima interna, intrecciava motti, frizzi e argomenti vari tra cui filastrocche di proverbi napoletani ed altri varî argomenti popolari), le "Farse" e le "Rime" (ad imitazione del Petrarca));
3.È RRUMMASO ‘O ZUCO D’ ’E VÀLLENE
È avanzato (solo) la broda delle castagne lesse. Icastica espressione usata figuratamente a rammaricato commento di situazioni in cui regni la massima penuria di mezzi e/o miseria. Fu espressione esclamativa rivolta dai genitori ai loro figlioli perché recedessero da esose, continue richieste di beni e/o danaro e si rendessero conto che era inutile insistere con petizioni di provvidenze in quanto con i mezzi familiarî ridotti al lumicino non era possibile aderire alle loro pretese. Il concreto zuco d’ ‘e vallene (broda delle castagne lesse) (qui figuratamente usato per indicare le ultime sostanze nella disponibilità d’ una famiglia) è l’acqua di bollitura (addizionata di foglie d’alloro, semi di finocchi e sale) delle castagne che private del riccio e della prima corteccia vengon lessate in un grosso paiolo, portato in giro su di un trespolo (montato su di un piccolo pianale di legno provvisto di ruote), trespolo che insiste su di un fornello a carbone che tiene a lento continuo bollore la broda; le castagne lesse vengon poi vendute al minuto in numero contato raccolte in cartoccetti conici (cuoppe) sino ad un primo esaurimento (infatti spesso il/venditore/trice di queste castagne lesse, esaurita la prima quantità di castagne provvede illico et immediate alla bollitura di altre castagne versandole nel medesimo brodo residuo riutilizzato per non eleminare con l’acqua anche gli odori); queste castagne bollite che una volta private della pellicina vengon consumate addizionate di zucchero o poco sale, vengon détte in napoletano alternativamente allesse o vallene:
allesse s.vo f.le pl.. di allessa= castagna privata del riccio e della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio ; voce derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità in quanto nulla osta al passaggio che riporto elixare→alissare→allissare→allessare e da quest’ultimo il part. pass allessato/a→allessa(to/a)→allessa;
vàllene/vàllane s.vo f.le pl. del m.le vàlleno/vàllano= marrone, varietà di castagna piú grossa e pregiata della normale castagna ; come questa privata del riccio e della dura scorza esterna e lessata in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio ; voce derivata dall’acc.vo lat. bàlanu(m), con tipica alternanza partenopea b/v e raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (l), tipico nel tipo di parole sdrucciole (cfr. còllera←cholera(m); quando le castagne siano bollite private del riccio, ma non della buccia dura vengon piú acconciamente détte bballuotte (voce derivata con gran probabilità dall'ar. ballut 'ghianda');a margine della voce in esame rammento una gustosa, antica espressione popolare usata sarcasticamente quando ci si voglia riferire alla pochezza di mezzi economici conferiti per il raggiungimento di uno scopo; quando quei mezzi siano molto esigui s’usa dire: AEH, CE ACCATTE ‘O SSALE P’’E VALLANE! (Eh,ci copri il sale per le castagne bollite);
cuoppo s.vo m.le questa voce napoletana cuoppo non può esser resa con un solo vocabolo nella lingua nazionale e ciò per il motivo che nell’idioma napoletano la voce cuoppo indica piú cose e queste nell’italiano ànno volta a volta nomi del tutto differenti tra di loro. In primis nel napoletano con la voce cuoppo s.vo m.le si indica una particolare piccola rete da pesca a forma di cono, legata a un cerchio di legno o di ferro sostenuto da una lunga asta con cui viene manovrata; tale rete è detta in italiano, quale adattamento della voce napoletana, coppo; con la medesima voce cuoppo s.vo m.le si indica una piccola tegola curva, leggermente conica, usata, in disposizione a file parallele, per coperture di tetti; anche tale tegola è detta in italiano, ancóra per adattamento della voce napoletana, coppo; con la medesima voce cuoppo s.vo m.le in napoletano si indica uno dei due piatti della bilancia, segnatamente quello di forma concava, in cui di solito vien messa la merce da pesare; in questo caso però l’italiano non accoglie il suggerimento napoletano e preferisce usare il s,vo piattello; ugualmente la voce napoletana non viene piú accolta per adattamento nell’italiano allorché si tratti di indicare, come nel caso che ci occupa, un involucro, un cartoccio, piú o meno grosso di forma conica atto a contenere alcunché; in effetti quello che nel napoletano è pur sempre ‘o cuoppo e – se piccolo - cuppetiello in italiano diventa volta a volta: involucro, cartoccio, involto, pacco, pacchetto, fagotto tutte voci che non fanno alcun riferimento, come sarebbe giusto che fosse, alla forma dell’involucro (cosa che invece è espressa dal napoletano cuoppo= involto di forma conica ), ma si riferisce spesso al materiale dell’involto: cartoccio←carta , pacco←olandese pak(balla di lana) etc.
Giunti a questo punto conviene fare un piccolo riepilogo e dire che il s.vo m.le napoletano cuoppo può indicare:
una rete da pesca, un embrice semicilindrico, un piatto di bilancia ed un cartoccio conico; quanto all’etimo cuoppo è da un lat. *cŏppu(m)→cuoppo forma resa maschile e dittongata del tardo lat. f.le *cŏppa(m)→cupa(m) per il class. cupa(m)= botte,semanticamente raccostati per la comunanza funzionale, sebbene non di forma, del concetto di capienza e ricezione;al proposito rammento che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. Nella fattispecie la cuppa(m) è certamente piú grande d’un cartoccio per cui cŏppa(m)f.le deve divenire *cŏppu(m)→cuoppo maschile.
A margine di tutto quanto fin qui détto mi piace rammentare alcune icastiche espressioni del napoletano dove la fa da protagonista il s.vo cuoppo; e comincio con l’epiteto
cuoppo ‘allesse! (cartoccio di castagne lesse!); inteso tale cartoccio bagnato e macchiato (la buccia interna delle castagne lesse tinge di scuro la carta con cui si confeziona il cartoccio!) lo si pensa quindi lercio, sporco e tali sono ritenute le donnaccole cui è riferito l’epiteto; allesse plur. di allessa= castagna privata della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità; e rammentiamo l’espressione
cuoppo d’acene ‘e pepe anzi piú precisamente cuppetiello d’acene ‘e pepe (cartoccetto di pepe) espressione usata in riferimento ad uomini di statura eccessivamente minuta e di corporatura esile, come piccoli e contenuti erano i cartoccetti usati dai droghieri per vendere al minuto le piccole bacche sferiche, nere, di forte aroma,della pianta del pepe, bacche usate intere o macinate come condimento; trattandosi di una spezie d’importazione ed abbastanza costosa, non erano ipotizzabili – per la sua vendita al minuto – cartocci grossi, cuoppi voluminosi (come quelli usati per vendere castagne lesse o altre merci commestibili quali frutta, pesce fresco etc.), ma solo cartoccetti piccoli; per cui non cuoppi, ma cuppetielle! Rammento adesso un significativo proverbio/scioglilingua che è: A cuoppo cupo pocu ppepe cape.che tradotto è: Nel cartoccetto conico stretto entra poco pepe. in realtà piú che di un proverbio si tratta di uno scioglilingua giocato sulle assonanze delle varie parole, ma che nasconde un’osservazione disincantata della realtà e cioè che chi è stretto perché pieno, sazio non può riempirsi di piú(e ciò sia in senso positivo che negativo posto che chi sia già tanto pieno, saziato di doti positive morali e/o di cultura, difficilmente potrà migliorarsi, come per converso chi sia cosí tanto sprovvisto di moralità e/o cultura difficilmente potrà aver modo di evolversi in meglio stante le ristrettezze morali del suo io che non gli consentiranno l’aggiunta d’alcunché);
l’agg.vo m.le napoletano cupo non corrisponde all’italiano cupo che vale 1 profondo, molto incassato: pozzo cupo; valle cupa ' (region.) fondo, concavo: piatto cupo
2 (fig.) riferito a stati d'animo o sentimenti negativi, profondo, radicato: odio, rancore cupo; un cupo dolore | impenetrabile, tetro, malinconico: carattere, volto cupo | sinistramente ambiguo, misterioso: cupe minacce; ma in napoletano vale in primis: stretto, angusto, limitato e solo estensivamente buio, tenebroso, e detto di suono: cupo, basso, sordo. Ed in chiusura rammento un’altra icastica locuzione partenopea che suona: Piglià ‘o cuoppo ‘aulive p’’o campanaro ‘o Carmene (confondere il cartoccio conico contenente le olive con il campanile del Carmine Maggiore),locuzione usata per prendersi sarcasticamente beffe di qualcuno incorso in un madornale quiproquò, la medesima d’un non meglio identificato individuo macchiatosi della confusione iperbolica ed impensabile di scambiare un contenuto cartoccio con un campanile, non potendosi mai paragonare un piccolo cartocetto, sia pure conico con lo svettante e massiccio campanile del Carmine Maggiore campanile adiacente l’omonima basilica napoletana fatta erigere a partire dal 1301 con le elargizioni di Elisabetta di Baviera (Landshut, 1227 –† Greifenburg, 9 ottobre 1273), madre di Corradino di Svevia e con le sovvenzioni di Margherita di Borgogna (Eudes di Borgogna 1250 - †Tonnere 4 settembre 1308) , seconda moglie di Carlo I d’Angiò (21 marzo 1226 –† Foggia, 7 gennaio 1285); il campanile tirato su dall’architetto Giovan Giacomo di Conforto (Napoli, 1569 – †Napoli, 1630) e dal frate domenicano fra’Vincenzo Nuvolo(al secolo Giuseppe Nuvolo: Napoli, 70– †Napoli,43) che lo coronò con la cella ottagonale e la cuspide a pera carmosina, è uno dei monumenti piú famosi e riconoscibili della città partenopea.
4.'E SÀBBATO, 'E S ÚBBETO E SSENZA PREVETE!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso
5. E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagava con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
BRAK
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