domenica 4 aprile 2010

STRANGULAPRIEVETE CU ‘A RICOTTA SALATA

STRANGULAPRIEVETE CU ‘A RICOTTA SALATA
Ingredienti
Per 6 persone

800 g. Strangulaprievete freschi
700 g. Pomidoro a ciliegia
150 g Ricotta salata
2 spicchi d'Aglio
1 cucchiaio d'Origano secco
1 bicchiere d'Olio d’oliva e.v. p.s. a f.,
½ Peperoncino
1 etto di pecorino grattugiato
Sale fino e pepe nero q. s.

PROCEDIMENTO
Lavare i piccoli pomidoro, tagliarli in quattro ed eventualmente eliminare i semi interni. Far rosolare i due agli in camicia, schiacciati in un gran tegame con il mezzo peperoncino, eliminarli ed aggiungere i pomidoro. Regolare di sale e proseguire la cottura a pentola semicoperta per circa 20 minuti, mescolando di tanto in tanto. A fine cottura aromatizzare con l'origano.
Nel frattempo far lessare gli strangulaprievete in abbondante acqua salata. Grattugiare la ricotta salata, metterla nella zuppiera e scioglierla con un mestolino dell'acqua di cottura della pasta. Prelevare con una schiumarola gli strangulaprievete appena affioranoin superfice, versarlinella zuppiera con la ricotta , condire il tutto con il sugo con i pomodorini. Mescolare e servire immediatamente, cospargendo di pecorino e pepe nero.

- NOTA
1)Non si sa bene a quale regione attribuire la nascita di questa ricetta; se la contendono Puglia, Basilicata, Campania e Calabria In realtà questi piccoli gnocchi di farina di grano duro e acqua bollente, sale sono molto semplici, e son molto popolari in tutta l'Italia del Sud e vengono addirittura conditi a volte in modo spartano, solo con olio e aglio e peperoncino soffritti. In Puglia e Calabria spesso usano preparli con la rucola e le olive, in Basilicata con le cime di rapa. In Campania gli strangulaprievete vengono spesso conditi con il mitico ragú, o con il cosiddetto sugo finto (salsa di pomidoro senza carne) e cubetti di mozzarella o provola di bufala; la ricetta a margine non può comunque avere una precisa regione d’origine; nelle cucine regionali meridionali c’è una continua osmosi e/o contaminazione, ma i risultati son sempre ottimi!
2) Con il sostantivo strangulapriévete, nell’idioma napoletano, si designano degli gnocchi semplici, fatti in casa con acqua, farina e sale. È vero che sia nell’uso quotidiano che in certa letteratura deteriore ò trovato pure — per indicare la medesima pasta — il termine strangulamuónece, ma si tratta chiaramente di un vocabolo pretestuoso, teso a prendersi gioco dei monaci, oltre che dei sacerdoti richiamati a torto nel primo lemma. Nella storia della parola, in realtà, il clero non c’entra affatto, se non per una gustosa omofonia che vi risuona o, se si vuole prendere per buona una notizia suggestiva del fantasioso Nicola Vottiero(1780 ca) , il quale riferisce che strangulapriévete chiamavano nel Settecento gli gnocchi i monaci e strangulamuónece a rimbrotto i preti.
Disdicevole è peraltro che, partendo da strangulapriévete, l’italiano mediatico abbia tratto fuori uno ‘strozzapreti’ da far venire i brividi all’ascolto o sobbalzar dalla poltrona. Vuoi vedere che aumme aumme e tenendomene all’oscuro son tornati tra di noi i lanzichenecchi?! È ben vero che tra gli studiosi dell’ idioma napoletano non è mancato, non so se per distrazione o per un eccesso di laicismo malinteso, chi accredita una semantica da serracollo, come per esempio fanno il D’Ascoli e il Santella, ma mi sto ancora chiedendo chi sia stato il primitivo ignorante che, non conoscendo l’etimologia della prima parte del termine strangula-priévete, à creduto di fare cosa intelligente (lasciandosi fuorviare dallo strangula d’avvio sostituendolo con ‘strozza’, (dal verbo strozzare, sinonimo in toscano di ‘strangolare’) e dimostrando, invece, d’essere un asino integrale.
Cerchiamo d’esser seri. Il termine strangulapriévete, unico originale vocabolo che possa arrogarsi il diritto di significare gli gnocchi napoletani, viene da secoli lontani e nasce dalla lingua greca, tanto da far sospettare che tale preparazione sia d’origine se non greca, certamente delle zone della Magna Grecia Dall’impasto di acqua, farina e sale si ricavano, arrotolandoli sul tagliere cosparso di farina asciutta, dei bastoncelli a sezione cilindrica, spessi un centimetro, che vengono tagliati in piccoli cilindretti di un paio di centimetri ognuno. I cilindretti vengon poi incavati, facendoli strusciare sul tagliere e tenendoli premuti contro il medesimo col polpastrello o dell’indice o del medio. Questa doppia operazione dell’arrotolamento e della incavatura ci fa comprendere perché il verbo greco straggalào, con i significati di arrotolare, attorcere, curvare, ed il verbo prepto con quelli di comprimere, incavare, siano all’origine del termine napoletano strangulaprievete voce con cui designiamo i nostri gnocchi napoletani. Rammento che tali strangulaprievete greco-napoletani nella zona dell’avellinese prendono il nome di trille poi che l’operazione dell’incavatura è fatta contemporaneamente con i polpastrelli di tre dita: indice, medio ed anulare strusciando i cilindretti di pasta sul tagliere cosparso di farina, quel tagliere che in napoletano è détto laganaturo e nell’avellinese tumpagno.
Piú chiaramente dirò che per il tagliere, i napoletani usano il generico termine di laganaturo (che deriva , come il sostantivo femminile lagana = sorta di larga fettuccina di pasta fresca ed estensivamente anche la intera sfoglia di pasta fresca da cui si ricavano le lagane o laganelle se piú strette, su cui è forgiato - con il concorso di un suffisso turo (atto a, per) - dal greco làganon ma che i napoletani utilizzarono attraverso un neutro latinizzato lagana inteso femminile; per verità con il termine laganaturo a Napoli si indicò ( ed ecco il motivo per cui l’ò detto: generico) alternativamente sia il tagliere, che il bastone cilindrico con cui si spiana la pasta per cavarne le lagane; tale bastone fu ed è quello che in toscano dovrebbe correttamente dirsi matterello (diminutivo di màttero che è da congiungersi al latino matéola= mazza, bastone), ma che qualcuno e segnatamente chi parla dalla televisione..., si ostina a dire, impropriamente, con voce romanesca mattarello. Atteso dunque che sia il tagliere che il matterello sono due strumenti utili alla produzione delle lagane, poco male che avessero il medesimo nome. Quanto al tagliere dell’avellinese dirò à il nome di tumpagno ed è, contrariamente al tagliere napoletano che è rettangolare, di forma circolare, né piú, né meno cioè che un fondo di botte che noi, figli di Partenope, usiamo dire appunto ‘o tumpagno (dal greco tympànion che sta giustappunto per chiusura).

Ma torniamo a gli strangulaprievete ed annotiamo che
come ò chiarito i sacerdoti non c’entrano nulla e di conseguenza men che meno i monaci chiamati in causa da qualche buontempone che non aveva di meglio cui pensare... Quanto allo stravolgimento di strangulaprievete in strozzapreti non posso che ribadire l’ignoranza e l’imbecillità di chi à fatto un simile strazio, ed à trovato sedicenti studiosi della lingua italiana pronti ad accoglierlo nei dizionarî in uso, diventati oramai il secchio della spazzatura in cui vien recepito di tutto, asinerie e capocchierie comprese. Si consideri la voce strangolapreti come appare in uno dei piú diffusi dizionarî: «Gnocchetto duro e compatto, che, essendo di difficile masticazione, rischia di far morire soffocati». Ben tre stupidaggini infilate in una sola frase e che rischiano di farci soffocare dal ridere. Una cosa di cui ci si può solo vergognare
Raffaele Bracale

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