SCIÚSCIA ED ALTRE VOCI
Premesso il noto adagio: omnia
munda, mundis dirò che un
impertinente frequentatore (di cui, nel timore di incorrere in un reato contro
la riservatezza, indico solo le iniziali: A.G.) del sito messo su dall’amico prof. R. Andria, sito cui indegnamente collaborai nel
passato per informazioni circa la
parlata napoletana,mi chiede proditoriamente (pensando di pormi in difficoltà) ch’io gli
illustri e gli indichi oltre che il significato, un probabile, o certo etimo
della voce in epigrafe. Non è mio costume farmi
mettere in difficoltà con
argomenti intesi scabrosi ed
esimermi dal trattarli , per cui,
attrezzatomi alla bisogna, raccolgo la sfida/provocazione ed entro súbito in
medias res e comincerò col dire che il termine sciúscia, voce domestica,epperò
intesa quasi volgare (ma - come vedremo
– non penso lo sia ) è uno dei numerosi, icastici sinonimi con i quali, con linguaggio piú o
meno colorito e volta a volta mutuato da
riferimenti storici o da osservazioni visivo-gastronomiche, si è soliti indicare la vulva della donna, l’organo femminile esterno della riproduzione.
Tra i piú usati di détti sinonimi, rammento: fessa, fresella, purchiacca/pucchiacca,quatturana,brioscia,sfugliatella,
carcioffola, ficusecca, mulignana, patana,pummarola, vòngola, còzzeca, scarola, ‘ntacca, bbuatta,caccavella,
cestúnia,cardogna, cestunia,ciaccara/ciaccarella,senga, sesca,sarcenella/sarchiella,
pesecchia/pesocchia, pettenessa,chieja ‘e vesta, furnacella, tabbacchera etc. e qui di sèguito li illustrerò
uno alla volta. Procediamo
ordunque ordinatamente:
féssa=
fessura, apertura con etimo dal lat. fissa→féssa: part. pass. femm. del verbo lat. findere=fendere, aprire ;la voce a
margine, semanticamente ripete il significato di porta, apertura che è anche
del corrispondente vulva(dal lat. vulva(m),
variante di volva(m)=porta, accesso) dell’italiano;
fresella di per
sé, letteralmente la fresella è un tipico biscotto (pane biscottato) usato
in un po’ tutto il meridione, variamente
condito con diversi ingredienti(in
massima parte vegetali) per un gustoso
asciolvere; la voce fresella è un deverbale del lat. frindere= spezzettare in quanto,esso biscotto/pan biscottato à
bisogno, per esser consumato, d’esser frantumato in piú pezzi.Va da sé che il
significato traslato di fresella
usata per indicare la vulva non nasce
dal fatto che quest’ultima sia edibile tal quale la fresella-biscotto, né dal fatto che come la fresella, la vulva
debba esser frantumata; la via semantica è un’altra ed attiene alla forma;
infatti la fresella-biscotto può
avere la forma di una fettina rettangolare di pane cotto e poi biscottato, ma piú spesso la fresella-biscotto a Napoli o nelle
Puglie à la forma di corona circolare ed il pane biscottato si sviluppa intorno
ad un congruo buco centrale, cosa che – ad un dipresso accade per la vulva;
purchiacca o pucchiacca = letteralmente,
fodero
di fuoco, faretra infuocata e
genericamente vulva, vagina;
premesso che la voce originaria fu purchiacca trasformato poi nel lessico popolare in pucchiacca con tipica assimilazione regressiva
rc→cc
dirò che l’etimo non è tranquillissimo ed infatti io stesso penso di poterne proporre per lo meno un paio
dei quali opterei comunque per il primo;
1 -la prima ipotesi è che la voce a margine potrebbe risultar derivata dal greco pyr(fuoco) + koilos(faretra, vagina)+ il suff. dispreg. acca (femminilizzazione del maschile acco/accio suffisso
che continua il lat. -aceu(m), usato per formare sostantivi e aggettivi
alterati con valore peggiorativo . ),secondo un percorso
morfologico che da koilos, attraverso
un *koleaca porta a cljaca→chiaca
e dunque: pyr+cliaca+acca= purcliacca→
puccliacca→pucchiacca con tipica assimilazione regressiva rc→cc, tutto ciò in luogo di quanto proposto da altri quali l’Altamura, il D’Ascoli, e tutti coloro che vi
attingono, che ipotizzano un latino portulaca(m) = porcacchia→poccacchia→
pucchiacca (erba porcellana); l’idea non
m’appare perseguibile in quanto, in effetti in pretto, corretto napoletano la voce usata per indicare l’ erba commestibile porcacchia,che giunge sulle tavole partenopee sempre in unione con un’altra erba/insalata detta arucola
(rughetta), la voce dicevo è purchiacchiello
(diminutivo masch. ricostruito del femm. purchiacca = porchiacca con tipica chiusura della ō→u; la
porcacchia/porcellana è pianta erbacea commestibile, con fusto
ramoso e piccoli fiori gialli della fam. Portulacacee; tale erba non
si vede però, a mio avviso, neppure per traslato o estensione (come invece
avviene – e lo vedremo súbito – con altri nomi mutuati dagli ortaggi e/o
da prodotti ittici), cosa possa avere in comune
con l’ organo femminile esterno della riproduzione;
2 - l’altra mia ipotesi
circa l’etimo di pucchiacca fa riferimento ad una iniziale porcacchia, ma questa non è l’erba porcacchia /porcellana; nel caso da me ipotizzato occorre infatti partire
da una radice porc ( del
latino porca=maiale/scrofa; tale voce
(sostituendo il classico sus, nel
latino parlato fu usata per indicare esattamente oltre che la scrofa, anche la sua vulva ) radice addizionata del suffisso
diminutivo- spregiativo (cfr. Rohlfs) acchia:
da porcacchia→purcacchia e pucchiacca con il medesimo significato di porca=vulva della scrofa ed
estensivamente vulva in genere;
- quatturana letteralmente quattro grani; il grano fu vilissima moneta in uso nel Napoletano
(Regno delle Due Sicilie) sin dall’epoca degli Aragonesi ed Angioini (fine 13°
sec.). Al proposito rammenterò, per incidens, che l'unità del Regno delle due
Sicilie si era spezzata sin dalla ribellione dei Vespri Siciliani del 1282.
La Sicilia era divisa fra Aragonesi ed Angioini fino al trattato di Caltabellotta quando fu sancita l'esistenza di due regni di Sicilia, quello di Trinacria che comprendeva solo l'isola e quello di Sicilia, che anacronisticamente si riferiva alla parte continentale, meglio conosciuta come Regno di Napoli, cioè le terre oltre il faro dello stretto fino al fiume Garigliano ed il Tronto.
Il regno di Trinacria era governato da Pietro d'Aragona che aveva sposato Costanza di Svevia, figlia di Manfredi.
Il regno di Napoli era governato, con l'appoggio del papa, suo signore feudale, dal conte di Provenza Carlo d'Angiò.
Anche questo trattato, però non riportò pace fra Angioini e Aragonesi, che si accanirono sempre piú a combattersi.
Dopo vari tentativi da parte degli Angioini e degli Aragonesi di imparentarsi fra loro per riunificare il regno.
Nel 1420 la regina Giovanna II d'Angiò, rimasta senza eredi, per difendersi dal pontefice e da Luigi d'Angiò, chiese aiuto agli Aragonesi proponendo l'adozione di Alfonso V , figlio di Ferrante re d'Aragona, offrendogli il titolo di duca di Calabria e la qualifica di erede al trono.
La Sicilia era divisa fra Aragonesi ed Angioini fino al trattato di Caltabellotta quando fu sancita l'esistenza di due regni di Sicilia, quello di Trinacria che comprendeva solo l'isola e quello di Sicilia, che anacronisticamente si riferiva alla parte continentale, meglio conosciuta come Regno di Napoli, cioè le terre oltre il faro dello stretto fino al fiume Garigliano ed il Tronto.
Il regno di Trinacria era governato da Pietro d'Aragona che aveva sposato Costanza di Svevia, figlia di Manfredi.
Il regno di Napoli era governato, con l'appoggio del papa, suo signore feudale, dal conte di Provenza Carlo d'Angiò.
Anche questo trattato, però non riportò pace fra Angioini e Aragonesi, che si accanirono sempre piú a combattersi.
Dopo vari tentativi da parte degli Angioini e degli Aragonesi di imparentarsi fra loro per riunificare il regno.
Nel 1420 la regina Giovanna II d'Angiò, rimasta senza eredi, per difendersi dal pontefice e da Luigi d'Angiò, chiese aiuto agli Aragonesi proponendo l'adozione di Alfonso V , figlio di Ferrante re d'Aragona, offrendogli il titolo di duca di Calabria e la qualifica di erede al trono.
Torniamo al grano che, dicevo,fu vilissima moneta corrispondente all’incirca al valore di 60
centesimi dell’attuale euro per cui 4 grani corrispondevano all’incirca a 2,40 euro, cioè a quasi 5000 delle vecchie lire. e questa somma,
secondo una teoria, era quanto si facevano pagare, per ogni rapporto, le meretrici di infimo ordine che prestavano
la loro opera lungo la c.d. ‘mbricciata
‘e san Francisco (imbrecciata (di cui dissi alibi) di san Francesco)malfamata
strada ubicata a Napoli poco fuori le mura di porta Capuana, nei pressi di
quell’edificio che fu in origine il monastero dei cosiddetti monaci di sant’Anna (in quanto ebbero
come loro cappela la chiesa di sant’Anna posta all’imboccatura del Borgo sant’Antonio
abate), poi sede delle Carceri san
Francesco ed infine sino ad or non è
guari sede degli uffici della Pretura ;
secondo altra teoria, che reputo piú esatta, la somma di quattro grani fu
quanto sotto Alfonso V d’Aragona, si pretese dalle meretrici a mo’ di tassa
sulle singole prestazioni; ora sia che fosse una tassa, sia che si trattasse
del prezzo da pagare alla meretrice, la voce quatturana (quattro grani)finí per indicare lo strumento di lavoro
della prostituta, e con estensione volgare, l’organo riproduttivo esterno di
ogni altra donna soprattutto di basso ceto;
- ‘ntacca =
fessura, apertura, scanalatura, contrassegno con probabile etimo deverbale da ‘ntaccà=intaccare derivato dal germ. *taikka
'segno';
- bbuatta s.vo f.le=
letteralmente la parola a margine vale barattolo,
contenitore cilindrico in banda stagnata
usato per commercializzare generi alimentari dalla frutta sciroppata ai
pomidoro, alle melanzane, ai peperoni, al caffè; il traslato semantico è di
facile comprensione; l’etimo è dal francese boite;
-caccavella s.vo f.le=
letteralmente la parola a margine vale pentolina
,piccolo paiolo di creta o talora di rame usato per la cottura di alimenti;
per traslato e figuratamente valse anche grosso
cappello da donna sempre per traslato come la precedente buatta indicò l’organo femminile esterno
della riproduzione cui semanticamente è avvicinata per esser come quello un
contenitore;partendo da tale accostamento con la voce a margine si indicò anche
per metonimia la prostituta, soprattutto se non particolarmente avvenente e di forme sgraziate, che quel contenitore
usasse; infine con la voce a margine (etimologicamente dal lat. tardo caccabella succedaneo di caccabulusdiminutivo di caccabus = paiolo,pentolone, dal greco kàkabos) per traslato sarcastico si indicò
una donna che fosse grossa,grassa e bassa; piú precisamente tale donna fu détta
caccavella ‘e Sessa: Sessa Aurunca (comune
della provincia di Caserta, noto con il solo nome di Sessa,in origine Suessa, città appartenete alla Pentapoli Aurunca; il nome di Sessa derivò dalla felice posizione (sessio =
sedile - dolce collina dal clima mite)fu una località dove veniva prodotto vasellame in terracotta, d’uso quotidiano;
-chitarra
(dall'ar. qîtâra, che è dal gr. kithára. che
normalmente indica un noto strumento musicale a corde,provvisto di cassa
armonica formata da due tavole (di cui la superiore con foro centrale, détto
rosa) unite da una fascia, di paletta con meccanica per tender le corde) è usata per indicare furbescamente la vulva
femminile, semanticamente richiamata
dalla rosa/foro centrale, ed inteso quale strumento di piacere ;
in tale medesima accezione la voce chitarra la si ritrova nella smorfia napoletana che al numero 67 fa corrispondere l’espressione ‘o totaro
dint’ â chitarra letteralmente: il totano nella chitarra,
e ci si trova davanti ad una figurazione
dal sapore marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figura
riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire
'andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia
adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra
con il foro della rosa; quanto
all’etimologia abbiamo: totaro deriv.
del gr. teuthís o têutòs con lo stesso significato di
mollusco simile al calamaro; la voce pur partendo dal greco è giunta nel
napoletano attraverso un basso latino tutanu(m) con metaplasmo e cambio
di suffisso nu→ro.
- senga propriamente si tratta di una fessura, una
screpolatura una contenuta lesione, tutte cose riscontrabili su oggetti in
legno (porte, antine di mobili) o in muratura e per giocoso traslato la voce a
margine si riferisce all’organo femminile esterno della riproduzione cui
semanticamente è avvicinata per la tipica forma della lesione (contenuta
fenditura verticale) che ripete quasi quella dell’organo suddetto; l’etimo di senga
si fa concordemente risalire al lat. signum quale lettura
metatetica poi femminilizzata; da signum→singum→singo e da questo il
femminile metafonetico senga;
- sesca propriamente si tratta di una ferita,il piú
delle volte da taglio, una contenuta
lesione prodotta da un’arma bianca sulla
viva carne del corpo umano, e come per la voce precedente, per giocoso traslato
la voce a margine si riferisce all’organo femminile esterno della riproduzione
cui semanticamente è avvicinata per la tipica forma della lesione (contenuta
apertura verticale) che ripete quasi quella
dell’organo suddetto; non di tranquilla lettura l’etimo di sesca che di per sé è la
femminilizzazione metafonetica del maschile sisco=
fischio che è un deverbale del latino fistulare→fisclare→fischiare→fischio.
Ora rammento che anche in
lingua italiana, per furbesco traslato, con la voce fischio si intende il membro maschile,cosí anche in napoletano con
la corrispondente voce di fischio e
cioè sisco soprattutto nel linguaggio colloquiale, si intende il membro maschile; e dunque non
meraviglia se per analogia con il femm. di sisco
e cioè con sesca si
è finito per indicare il corrispondente
organo femminile e quest’ultimo semanticamente è stato avvicinato ad un piccolo
taglio, una contenuta lesione prodotta
da un’arma bianca sulla viva carne del corpo umano per la tipica forma della lesione (contenuta
apertura verticale) che ripete quasi
quella dell’organo suddetto, per cui la voce sesca indica sia la vulva che una ferita da taglio.
sarcenella/sarchiella s.vi f.li di
carattere marcatamente furbesco atteso che con il termine sarcenella, ma
anche con sarchiella(quantunque quest’ultima voce non trova riscontro
alcuno, se non declinato al plurale ‘e
ddoje sarchielle a commento del numero 66 del giuoco della tombola, e sia solo una patente corruzione della
precedente sarcenella), si intende riferirsi all’organo sessuale
femminile, e segnatamente a quello di
una donna che per essere ancora nubile, sebbene abbastanza anziana l’abbia
ispido e ben serrato a guisa di una
piccola fascina (...buona solo per essere arsa!); il termine sàrcena ed il
diminutivo sarcenèlla, nonché la corruzione sarchiella valse appunto in primis fascina,
fardello di sterpi e poi – come ò spiegato - ebbe il significato traslato è
voce derivata dal lat. sarcina(m), propr. 'bagaglio avvolto in una tela cucita', deriv. di sarcire
'cucire';
- pesecchia/pesocchia propriamente fessurina, piccola apertura
atteso che con le voci a margine si indicano alternativamente la
vulva di bambine molto piccole o un po’ piú cresciute; l’etimo è da una voce
onomatopeica ps→pes (dello zampillo)
addizionata di suffissi ecchia (diminutivo) o occhia (accrescitivo).
- cestunia s.vo f.le= in primis tartaruga; per traslato come nel caso
che ci occupa, vulva vecchia e rattrappita di una donna ben matura.
Etimologicamente voce adattamento fono-morfologico per incrocio greco-latino di
khelòne e testudine-m.
Prima di illustrare le voci mutuate dall’àmbito orticolo o ittico,
rammento le due voci ricavate dall’àmbito dolciario; e sono brioscia e
sfogliatella;
brioscia s.vo f.le –
1 in primis piccolo dolce,
soffice, leggero e saporito, a base di farina, burro, latte, zucchero e lievito di birra (la cosiddetta pasta
brioche),d’uso segnatamente francese che viene cotto in forno in varie forme,
di cui la piú tradizionale è quella di una mezza sfera sormontata da una mezza
sfera più piccola, mentre in Italia è piú comune quella a mezzaluna, chiamata
anche cornetto, spesso farcito di crema e/o marmellata.
2 per
traslato d’uso volgare nel senso che ci
occupa sesso femminile, vulva; il collegamento semantico
si coglie tenendo presente che nell’inteso popolare non v’à nulla di più dolce
del sesso femminile e dell’atto sessuale ch’essa permette di compiere. Voce adattamento del francese brioche;
rammento che il terminein esame, nel significato sub 2, è presente in una
icastica anche se becera espressione popolaresca nata nella città bassa ed improntata
al piú sfrenato edonismo ed al materialismo
pessimistico,espressione nella
quale si afferma, giocando con numerose assonanze:’A vita, bbella mia, è ‘na
brioscia, n’araputa ‘e cosce,’na ‘nfilata ‘e pesce, ‘na chiusura ‘e cascia e
ttutto fernesce! Non mette conto
tradurla atteso che è di facilissimo intendimento. Mette invece conto
rammentare il nome di un altro gustosissimo dolce
napoletano fatto di pasta sfoglia (sfugliatella riccia)
che viene usato per traslato furbesco per indicare appunto la vulva, il sesso
femminile
sfugliatella =
sfogliatella s.vo f.le 1piccolo, gustosissimo dolce napoletano fatto di pasta sfoglia (sfogliatella riccia) o frolla (sfogliatella frolla) avvolta su sé stessa e farcita con crema di semola, uova e ricotta, canditi e spezie varie; etimologicamente è un derivato di sfoglia→sfogliata→sfogliatella.
2 per traslato, ma non d’uso volgare, quanto affettuoso nel senso che ci occupa sesso femminile, vulva; la sfogliatella riccia appunto per la sua forma triangolare, a conchiglia, (vagamente rococò) oltre che per la sua dolcezza ben superiore a quella della brioche→brioscia è semanticamente accostata alla vulva femminile.
E passiamo ora a tutte le voci mutuate dall’àmbito orticolo o ittico; abbiamo:
- carcioffola s.vo f.le = carciofo con
riferimento all’organo stretto e serrato di una giovane donna tal quale il
carciofo che se fresco e giovane à le brattee ben chiuse e serrate; ciò è tanto
piú vero se si pensa che di una donna che
non sia piú giovane e che per
tanto si pensa abbia già avuto piú o meno numerosi rapporti coniugali, s’usa dire ironicamente che tene ‘a
carcioffola sfrunnata=à il carciofo
sfrondato id est:la vulva deflorata;
l’etimo della voce carcioffola risulta derivato dall’arabo harsûf addizionato del suff. diminutivo lat. ola (femm. di olus);
sfrunnata=sfrondata p. p. femm. dell’infinito sfrunnà= sfrondare che
è un denominale di fronda con prostesi di una s distrattiva; normale nella voce napoletana l’assimilazione
progressiva nd→nn;
-
cardogna s.vo f.le
= s.vo f.le = cardo pianta erbacea con
foglie lunghe, carnose, di colore biancastro, commestibili affine al carciofo con
riferimento all’ irsuto organo stretto e serrato di una di una donna matura, ma
ancóra illibata; voce derivata dal
lat.volg. cardunĭa marcato sul greco kardonía.La voce a margine è usata in
una icastica espressione esclamativa che suona s’è ‘nfucata ‘a cardogna!
(si è accalorato il cardo spinoso!), con riferimento all’innalzarsi della
temperatura atmosferica durante il periodo dell’anno (primavera/estate)quando
la pianta è piú rigogliosa; ma usata anche furbescamente per commentare gli
improvvisi bollori d’una donna non sposata e non
piú giovane, cui repentinamente si risveglino i sensi.
cestunia s.vo f.le= in primis tartaruga; per traslato
come nel caso che ci occupa, vulva vecchia e rattrappita di una donna ben
matura. Etimologicamente voce adattamento fono-morfologico per incrocio
greco-latino di khelòne e testudine-m.
- ciaccara s.vo f.le ed il suo diminutivo ciaccarella voci domestiche, mai intese
volgari (anzi il diminutivo è pensato ipocoristico e quasi affettuoso) è uno dei numerosi, icastici sinonimi con i quali, con linguaggio piú o
meno colorito e volta a volta mutuato da
riferimenti storici o da osservazioni che investono i piú vari campi dalla gastronomia,alla botanica, alla fauna
ittica etc. si è soliti indicare la vulva della donna adulta , l’organo femminile esterno della
riproduzione, mentre con il diminutivo ci si riferisce alla vulva di una
bambina; per quanto riguarda la semantica e l’etimologia della voce in
esame,a mio avviso non penso si debba sbrigativamente parlare di voce
onomatopeica (cosa mai dovrebbe fare ciacc
?)cosí come invece, pur senza chiarire,
ipotizzò F.sco D’Ascoli e
l’ Altamura che lo saccheggiò...Penso invece che la voce ciaccara sia stata costruita partendo dal s.vo ciacco (suino,
maiale voce adattamento del greco
sýbax-sýbakos→siacco→ciacco) addizionato del suffisso di competenza ara f.le di aro che continua il lat. arius;
semanticamente come vedremo affrontando l’etimo di sciuscia ci troviamo a
ragionare di parola (ciacco) che usata al maschile indicò il maiale,mentre usata al
femminile(ciacca) sia pure solo nel
parlato della città bassa indicò la scrofa e per metonimia la
sua vulva; nulla osta poi che per
traslato giocoso la voce passasse ad indicare anche la vulva della donna adulta
e con il diminutivo poi quella di una bambina.
-
ficusecca s.vo f.le con derivazione, con passaggio al femminile dal
masch. lat. ficum(che corrisponde al greco sýcon
con cambio metaplasmatico s/f)+ siccum da una radice sik = secco, sterile.
usata in senso furbesco, in
napoletano si identifica la vulva avvizzita d’una donna anziana e non piú
appetita; al proposito preciso che anche in greco con la voce sýcon si indica sia il frutto del fico che
furbescamente la vulva.
- patana, s.vo
f.le= patata; il noto tubero edule è preso semanticamente a riferimento poiché come esso vive nascosto e protetto sottoterra, alla
stessa stregua s’usa tener nascosta e protetta la vulva femminile, che di suo è già posta anatomicamente in posizione riservata; l’etimo
della voce a margine è per adattamento dallo
sp. patata, sorto dall'incrocio di papa (di orig. quechua) con batata
(di orig. haitiana);
- pummarola s.vo
f.le = pomodoro il frutto
rosso e carnoso della solanacea è preso a riferimento, cosí come l’altrove
usato fica, non perché la vulva sia
edula come il pomodoro o il frutto del fico, ma perché, come questi ultimi à il
suo interno rosso ; l’etimo di pummarola è, come per la voce della lingua nazionale pomodoro da pomo d’oro con il passaggio
in sillaba d’avvio di ō ad u (cfr. notte→nuttata),
raddoppiamento espressivo popolare della
labiale m (cfr. comme←q(u)omo(do),
alternanza osco mediterranea d/r, onde pomodoro→pummororo, dissimilazione r-r→r-l e cambio di genere per cui pummororo→pummarola;
- vongola, s.vo
f.le= noto mollusco bivalve gustosissimo il cui nome anche in italiano,
ripete quello a margine, voce di origine
napoletana trasmigrata come molte
altre (guaglione, camorra, scugnizzo, sfogliatella e derivati e molti altri )
nel lessico nazione; la voce vongola,
come la successiva còzzeca è presa a modello per indicar la vulva, in
quanto il bivalve aperto ricorda quasi la forma dell’organo femminile, l’etimo
di vongola (voce che indica oltre che il mollusco e la
vulva,estensivamente anche una sciocchezza, una panzana che, del resto altrove
è detta anche fesseria con evidente riferimento alla prima voce di
questa elencazione) l’etimo dicevo di vongola è da un acc.vo lat. concula(m)/*goncula(m)→gongula(m) da cui vongula→vongola
con normale passaggio di g→v (vedi
gulío/vulío – golpe/volpe etc.);
- cozzeca, s.vo
f.le= cozza, mitilo bivalve che
aperto, come la precedente vongola ricorda quasi la forma dell’organo femminile;
in piú la cozza, per essere di colore nero e provvista
di bisso, ben si presta a rappresentare
il fronzuto organo femminile di una donna giovane; l’etimo di cozzeca è, quasi certamente, da una forma ampliata
di un lat. volg. *cocja→*cocjala→cozzala→cozzaca→cozzeca;
e veniamo ai
riferimenti orticoli cominciando da
- scarola s.vo
f.le = scarola letteralmente
scariola, varietà di indivia; anche, in
alcune regioni, varietà di lattuga o cicoria; la scarola e segnatamente la
specialità detta riccia per essere in
cespo arricciato, ben si presta a significare il fronzuto ricciuto organo
femminile di
una donna giovane; l’etimo di scarola è dal lat. volg. *escariola(m), deriv. del
lat. escarius 'che serve per mangiare', da ìsca 'cibo, esca;
- mulignana s.vo
f.le letteralmente
melanzana; siamo sempre nell’ambito orticolo
ed essendo la mulignana = melanzana
una pianta erbacea largamente coltivata
per i frutti commestibili di forma oblunga o ovoidale, con buccia violacea
lucente e polpa amarognola (fam. Solanacee), proprio per questa sua
buccia liscia e lucente, viola scuro,
quasi nera si presta a rappresentare icasticamente la scura e fronzuta, ma
liscia vulva d’una giovane donna ; l’etimo della voce a margine è dall'ar. badingian,
di orig. persiana, riaccostato, secondo alcuni al lat. mala(mela)+insana in quanto in origine si pensò che la
melanzana fosse frutto che inducesse alla
pazzia.
- pettenessa s.vo f.le
ultima(anni ‘950) voce entrata nel lessico popolare partenopeo
per indicar la vulva, ed è voce traslata e giocosa; di per sé ‘a pettenessa indica
un tipico pettine, in forma di conchiglia, d’osso o tartaruga, a denti lunghi e sottili, disadorno o ornato di piccoli orpelli spesso semipreziosi, grosso pettine usato dalle donne per sorreggere la
crocchia dei capelli; atteso che in lingua napoletana, per indicare il pube
( in ispecie)femminile si à la voce pettenale (derivato da un
acc.vo lat. pectinale(m) da pecten=
pettine), come del resto in lingua nazionale si à, per indicare la medesima
cosa, la voce pettignone (derivato
da un acc.vo lat. volg. *pectinione(m),
dim. del class. pecten -tinis 'pettine'con riferimento (sia per
l’italiano che per il napoletano) alla lunghezza dei peli del pube che
ricordano i denti dei pettini,sia la forma a m’ di conchiglia di ambedue: del
pube e del grosso pettine, ecco che in
senso traslato la voce pettenessa= grosso
pettine (dal class. lat. pecten con
suff. femminilizzante essa secondo il
criterio che una voce femminile è usata per indicar qualcosa di piú grande del
corrispondente maschile (cfr. pennellessa
piú grande di penniello, tammorra piú grande di tammurro, cucchiara piú grande di cucchiaro, tina piú grande di tino carretta piú grande di carretto,
etc., ma per eccezione caccavo piú
grande di caccavella e tiano piú grande di tiana,,)) ben si prestò ad indicar la vulva ubicata
all’estremità del pube i cui peli richiamano l’idea del pettine.
- chiéja
‘e vesta letteralmente piega di veste
(femminile)
siamo di fronte ad una fantasiosa, colorita espressione in uso nel parlato della borghesia
medio/bassa napoletana e di conio
relativamente recente risalente com’è a gli anni intorno al 1950 quando in
Napoli venne in auge e si affermò il mestiere
della sarta a domicilio (per donna), sarta dilettante protagonista in negativa
del proverbio Parigge fa ‘a moda, Napule
ll’affina e ‘a sarta ll’arruvina!( Parigi dètta la nuova moda, i couturiers napoletani
la migliorano, le sartine autodidatte la rovinano). Fu proprio prendendo a
spunto l’abitudine di quelle sartine di far ricorso a delle pretestuose pieghe
usate per tentar di migliorar la linea
di vestiti da donna, vestiti che, mal ideati e peggio cuciti, risultavano (alla
prova di vestibilità) irregolari e che
le sartine, una volta che gli abiti fossero
indossati dalle clienti finivano addirittura per peggiorare fornendoli
di innumerevoli pieghe e pieghettine; prendendo
spunto da quell’abitudine si finí per assegnare icasticamente il nome di chiéja ‘e vesta (piega di veste (femminile)) al sesso femminile
ritenuto semanticamente quasi una improvvida plica, una grinza, sgualcitura,
spiegazzatura del basso ventre della donna. La voce chiéja è voce dal tardo lat. plica→chiega→chieja con normale
passaggio del pl latino al chi napoletano (cfr. i normali sviluppi di pl→chj→chi ad es.: chino
←plenum, cchiú←plus, chiaja←plaga,platea→chiazza, chiummo←plumbeum etc.)).
- tabbacchèra s.vo f.le
letteralmente
1 tabacchiera,contenitore
metallico, spesso finemente cesellato, provvisto di coperchio incernierato e
chiusura a scatto; contenitore da asporto(solitamente celato in tasca) per
tabacco da fiuto;
2 (per traslato furbesco) sesso
femminile; il traslato semanticamente si spiega con ogni probabilità
con il fatto che come la tabacchiera, se tenuta ben chiusa, serve a conservare il tabacco da fiuto con
tutto il suo aroma, cosí il sesso femminile se tenuto serrato serve a difendere
e conservare la virtú femminile.
La voce etimologicamente è un derivato di tabacco (dallo spagnolo
tabaco) + il suff. di pertinenza iera→era;
normale nel napoletano il raddoppiamento espressivo della labiale esplosiva
onde tabacchiera→tabbacchera. Relativamente
al significato traslato furbesco rammento il détto: Redimmo e pazziammo, ma nun tuccammo ‘a tabbacchera che letteralmente vale: Ridiamo e giochiamo, ma non tocchiamo la tabacchiera e fa riferimento ai comportamenti che si auspica tengano tra
di loro gli innamorati ai quali si consiglia di contenersi e cioè di ridere e giocare,evitando di oltrepassare taluni limiti che
coinvolgerebbero pesantemente il sesso.
- furnacella s.vo
f.le soprattutto
addizionato dell’aggettivo sfunnata furnacella sfunnata letteralmente
piccolo forno sfondato; va da sé che tale accoppiata è usata quale epiteto rivolto ad una donnaccola; nella
fattispecie con la voce fornacella non
si indica certamente il fornetto in pietra o metallo, ma furbescamente la
vulva di colei cui è diretto
l’epiteto, vulva che risultando sfunnata (sfondata) accredita la
donnaccola offesa d’esser donna di facili costumi, se non addirittura una
meretrice abbondantemente conosciuta in
senso biblico; furnacella= fornetto portatile alimentato a carbone; nell’espressione a margine vale però per traslato : vulva
atteso che sia il fornetto sia la vulva son sede(l’uno di un reale fuoco,
l’altra di uno figurato; rammenterò al proposito che nel parlato napoletano,
come ò già riferito, tra le piú comuni
voci per indicare la vulva c’è quella che suona purchiacca/pucchiacca che con etimo dal greco pýr
+k(o)leacca>*cljacca sta per fodero di fuoco; tornando a furnacella dirò
che l’etimologia è dall’acc. lat.
volgare furnacella(m) che è un diminutivo con cambio di suffisso per cui
in luogo dell’atteso furnacula(m)
dim. di furnum si è ottenuto la ns. furnacella(m); sfunnata= sfondata,
rotta , consunta part. pass. femm. aggettivato dell’infinito sfunnà =
sfondare; denominale del latino fundu(m) con protesi di una s
questa volta distrattiva; in coda alle tante voci con cui viene reso il
sesso femminile, rammenterò che in taluni paesi dell’entroterra napoletano
(cfr. Visciano) talora la vulva viene resa con la voce
sguessa/sguessera, s.vo f.le = mento pronunciato e sfuggente, ma non è in alcun modo
chiaro quale possa essere il passaggio semantico che conduca a parlare della
vulva come di una sguessa/sguessera; in
effetti nelle parlate meridionali il
mento pronunciato,quando non addirittura scentrato, deviato (cfr. il
famosissimo mento del principe della risata Antonio de Curtis, in arte Totò (Napoli, 15 febbraio 1898
– † Roma, 15 aprile 1967),),
la bazza sono resi con la voce sguessa o anche sguéssera;
ambedue queste due ultime voci (di cui la seconda: sguéssera, è solo un’estensione espressiva popolare dell’originaria sguessa) risultano essere, quanto all’etimo, un adattamento della voce sghessa
che (derivata da un ant. alto tedesco geicz (voracità), con tipica pròstesi di
una s intensiva) indica una fame smodata, eccessiva quella
che,talvolta, impegnando in un lavoro
abnorme bocca e mandibola, può determinare gli apparenti sviamento e pronunciamento del mento; da sghessa→sguessa con caduta dell’ acca
e successiva palatalizzazione della e che intesa breve viene dittongata
in ue;
infine da sguessa→sguessera.
Rammenterò infine che la voce sghessa
nell’identico significato di fame
smodata, si ritrova con varî adattamenti in molti dialetti: emiliano (idem sghessa), lombardo(sgheiza, sgüssa) piemontese(gheisi) sardo(sghinzu) e persino nell’italiano sghescia; epperò in nessun modo si riesce a spiegare o ad
ipotizzare il perché del passaggio semantico
da fame smodata o mento pronunciato,quando non addirittura
scentrato, deviato a vulva femminile; posso solo sospettare un iniziale
errato riferimento protrattosi nell’uso popolare.
Rammento ancóra che in taluni dialetti provinciali (Capri,
Visciano etc.) la vulva viene indicata anche con il nome di brasciola s.vo f.le( che, vedi alibi,
di per sé indica un grosso
involto di carne imbottito da cucinare in umido con olio, strutto, cipolla ed in
quanto tale è un s.f. derivato dal tardo latino brasa+ il suff.diminutivo ola femm. di olus; semanticamente la faccenda si spiega col fatto che
originariamente la brasola fu una fetta di carne da cuocere alla brace, e
successivamente con la medesima voce adattata nel napoletano con normale
passaggio della esse + vocale (so) al palatale scio che generò da brasola→ brasciola si intese non piú una
fetta di carne da cucinare alla brace, ma la medesima fetta divenuto grosso
involto imbottito da cucinare in umido con olio, strutto, cipolla e molto
frequentemente, ma non necessariamente sugo di pomidoro, involto che è d’uso
consumare caldissimo.Furbescamente, come ò détto, in talune province con
tale voce viene indicata la vulva, con
riferimento semantico alla focosità e carnalità del sesso femminile. A Napoli
dove sono in uso numerose voci per
indicar la vulva, questa provinciale brasciola non viene di norma usata.
Esaurita la spiegazione delle voci elencate a monte, veniamo finalmente a
trattare la voce proditoriamente propostami dal sig. A.G. Parliamo cioè della sciuscia.
- sciuscia s.vo f.le. Come ò già detto è
voce generica che vale vulva, vagina, organo riproduttivo esterno della
donna il tutto senza particolari specificazioni concernenti l’età o la
destinazione d’uso, ed è voce
colloquiale privata in uso tra
contraenti (sposi, amanti, fidanzati etc.) dei due sessi di qualsiasi ceto
sociale.
Per la verità dico súbito che solo tre calepini della parlata napoletana (
l’antico D’Ambra,ed i piú vicini Altamura e D’Ascoli che vi attingono
spudoratamente) dei numerosi in mio possesso e che ò potuto consultare,
prendono in considerazione la voce a margine, e però a malgrado che tali vocabolaristi àbbiano il merito di considerare la voce, per
ciò che riguarda l’etimo non ànno merito alcuno, in quanto copiandosi l’un
l’altro optano,ma a mio avviso,
maldestramente, per un inconferente
generico idiotismo (.s. m. (ling.)
locuzione, voce o costrutto
caratteristici di una lingua o di un dialetto) fatto scaturire con un
arzigogolo fastidioso ed inattendibile da far risalire a cíccia→ciàccia→sciàscia→sciúscia … che pasticcio!
Personalmente penso di poter proporre altri due etimi di cui il primo, pur essendo perseguibile quanto alla
morfologia, convengo che zoppichi e non poco quanto alla semantica; a mio
avviso si potrebbe morfologicamente pensare al solito latino ad un part. pass.
femm. fluxa dell’infinito fluere atteso che il gruppo latino fl evolve sempre nel
napoletano sci (vedi alibi flumen→sciummo,
flos→sciore etc.) e ugualmente x=ss seguito da vocale diventa sci e dunque fluxa=flussa potrebbe aver dato morfologicamente sciuscia; ma, come ò io stesso notato,
vi si oppone la semantica: una cosa scorsa, fluita poco o nulla à che spartir
con una vulva… Occorre tenere altra via! È ciò che faccio e prendendo per buona
un’idea dell’amico prof. Carlo Jandolo, la faccio mia e dico che partendo dalla
considerazione che la voce sciuscia termina con il suff. latino/greco di
appartenenza ia e che d’altro canto
la voce classica latina sus indicò
indifferentemente il maiale, la scrofa e
la vulva, e tenendo presente che la sibilante s anche scempia seguíta da
vocale evolve, come la precedente doppia ss in napoletano nel gruppo palatale sci,
ecco che da un origianario sus addizionato
del suffisso d’appartenenza ia si è potuto
avere súsia→sciúscia e non susía→sciuscía ponendo bene attenzione
che il suffisso latino ia comporta
la ritrazione dell’accento tonico sulla sillaba radicale, mentre è il corrispondente ía greco che sposta l’accento sul suffisso come si ricava
osservando la voce filosofia che in
lat. è philosòphia(m), mentre
in greco è philosophía; e posta l’ipotesi in
questi termini, possiamo dire che anche la semantica (ramo della linguistica e, piú in
generale, della teoria dei linguaggi (anche artificiali e simbolici), che
studia il significato dei simboli e dei loro raggruppamenti e, nel caso delle
lingue, studia il significato delle parole, delle frasi, dei singoli enunciati)
possa esser contentata cosí come
m’auguro sia soddisfatto il provocatorio sig. A.G. e chiunque altro fosse interessato
all'argomento.
Satis est.
Raffaele
Bracale
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