giovedì 31 dicembre 2015
MEZZEMANICHE AL PESTO DI PUPARUNCIELLE ‘E SCIUMMO.
MEZZEMANICHE AL PESTO DI PUPARUNCIELLE ‘E SCIUMMO.
Nota
Con il termine puparuncielle d’’o sciummo = peperoncini del fiume si intendono quei peperoncini verdi dolci o talora piccanti che vengon coltivati, in Campania, su terreni argillosi adiacenti i greti dei fiumi donde il nome: la voce sciummo = fiume deriva dal lat. flume(n ) con il tipico esito partenopeo del gruppo fl→sci come altrove sciore←flore(m) etc.; la voce puparuncielle s.vo neutro pl. di puparunciello = peperoncino è un diminutivo del sostantivo puparuolo ottenuto aggiungendo alla radice pupar un infisso espressivo unci ed il consueto suffisso diminutivo ello; il sostantivo puparuolo = peperone, etimologicamente è un’alterazione fono-morfologica del lat. piper= pepe (per il sapore leggermente piccante dei peperoni);
Ingredienti e dosi per sei persone:
6 etti di mezzemaniche
mezzo chilo di peperoncini verdi lavati e mondati,
un bicchiere d’olio evo,
2 spicchi d’aglio mondati e schiacciati,
1 etto di pecorino grattugiato finemente,
½ etto di pan grattato,
sale fino q.s.
pepe decorticato macinato a fresco q.s.
sale grosso un pugno.
procedimento
Versare l’olio in una proporzionata padella ed a fuoco sostenuto farvi dorare gli spicchi d’aglio mondati e schiacciati; indi farlo raffreddare eliminando gli spicchi dorati; nel frattempo mondare e ridurre a rondelle i peperoncini verdi di fiume, scapitozzati di picciolo e corona, aperti longitudinalmente, privati dei semi; a seguire versare nel mixer l’olio raffreddato; aggiungere le rondelle di peperoncini, aggiustare di sale fino e pepe decorticato macinato a fresco e frullare a bassa velocità sino ad ottenere un pesto spumoso. Lessare le mezze maniche in abbondante acqua ( pugno di sale doppio) salata, prelevarle con una schiumarola forata e versarle nella padella, condirle dapprima con il pesto approntato, poi con il pecorino, il pan grattato, pepe decorticato e tenerle a mezza fiamma rimestando fino a che il cacio si sciolga. Impiattare e servire in tavola calde di fornello queste gustose mezze maniche.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
MEZZEMANICHE A MODO MIO
MEZZEMANICHE A MODO MIO
dosi per 6 persone
• pasta corta tipo mezzemaniche rigate gr. 600
• melanzane lunghe violette napoletane gr 500
• pomidoro tipo San Marzano o Roma ( lavati,sbollentati, pelati e tagliati a pezzettoni) gr 450
• una cipolla media rossadi tropea
• olio di oliva e. v. 1 bicchiere
• sale fino e pepe bianco q.s.
• 1 ciuffo di basilico, lavato, asciugato e spezzettato a mano
• 1 etto di formaggio pecorino grattugiato
• provola tenuta in frigo per 12 ore e poi tagliata a cubetti di 1 cm. di lato gr. 350
• 150 gr. di salame tipo Napoli tagliato a fette spesse 0,5 cm. e poi a bastoncini alti 5 cm.
preparazione
Soffriggere, in una ampia padella, tutto l'olio, con la cipolla tagliata a velo,indi aggiungere per friggerle le melanzane precedentemente lavate,asciugate, private delle estremità, tagliate a fette di tre millimetri di spessore, e poi a bastoncini grossi come un mignolo; prelevarle con una schiumarola e tenerle da parte; aggiungere i pezzettoni di pomidoro,il basilico e salare
Proseguire la cottura per 15 minuti, ottenendo un sugo spesso
Nel frattempo portare ad ebollizione dell'acqua salata,(circa 8 litri) per la pasta; lessare le mezzemaniche, scolare, e versarle in una insalatiera; aggiungere il sugo, le melanzane fritte, la provola a cubetti ed il salame a pezzetti e mescolare attentamente per qualche minuto , e far riposare la pasta così condita per circa 20 minuti . Infine porre al fuoco una padella antiaderente con un paio di cucchiai di sugo, portare ad alta temperatura ed unire le mezzemaniche condite perché si asciughino ed arsiccino, ma non brucino, rimestando con un cucchiaio di legno ed aggiungendo pecorino e pepe bianco.
Impiattare e servire quando la pasta sia caldissima.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
MEZZE PENNE RIGATE AL SUGO PICCANTE AROMATICO
MEZZE PENNE RIGATE AL SUGO PICCANTE AROMATICO
ingredienti e dosi per 6 persone
6 etti di mezze penne rigate,
1 bicchiere di olio d’oliva e.v. p.s. a f.,
½ kg. di pomidoro ramati lavati asciugati, sbollentati, pelati e divisi in tocchetti, o pari peso di pelati in iscatola al netto del liquido di governo,
1 etto di filetti d’acciuga sott’olio,
2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente,
2 peperoncini piccanti lavati, asciugati, privati di piccioli e corone ed incisi verticalmente, ma non divisi,
noce moscata q.s.,
2 cucchiaini di cannella in polvere,
sale grosso un pugno,
sale fino q.s.,
1 etto di pecorino grattugiato.
Procedimento
Versare in un proporzionato tegame tutto l’olio, aggiungere l’aglio tritato i peperoncini piccanti lavati, asciugati, privati di piccioli e corone ed incisi verticalmente, ma non divisi,
ed i filetti d’acciuga che vanno schiacciati con la punta d’un cucchiaio di legno fino a che non siano ridotti a poltiglia; a fiamma viva mandare il tutto a temperatura e far rosolare, aggiungere i pomidoro ramati lavati asciugati, sbollentati, pelati e divisi in tocchetti, o pari peso di pelati in iscatola al netto del liquido di governo,e schiacciare i pomidoro con i rebbi d’una forchetta; regolare di sale, abbassare i fuochi e portare a cottura (20 minuti) il sugo sempre a tegame scoperto. A cottura ultimata (il sugo deve risultare piuttosto spesso) aggiungere ad libitum la noce moscata grattugiata a fresco ed i due cucchiaini di cannella.Mantenere in caldo. A questo punto lessare in abbondante (8 litri) acqua salata (pugno di sale grosso) le mezze penne rigate, sgrondarle al dente e versarle nel tegame con il sugo e farle saltare a fiamma viva fino a quando il sugo risulti ben legato alla pasta; cospargere con il pecorino, rimestare a fondo ed impiattare calde di fornello queste saporitissime mezze penne.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute, scialàteve e facíteve ‘a scarpetta !
Raffaele Bracale
mercoledì 30 dicembre 2015
SALE FINO E/O GROSSO ALLE ERBETTE
SALE FINO E/O GROSSO ALLE ERBETTE
Vi parlo qui del sale fino o grosso alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla o erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità.
Questo sale alle erbe può esser preparato con del sale fino oppure (e per talune ricette di verdura o pesce è preferibile) con il sale grosso che si fa preferire al sale fino giacché, con la sua “durezza” esalta e fa perdurare la sapidità dell'alimento su cui viene sparso.
Per quanto riguarda le quantità, suggerisco una partenza con cinquecento grammi di sale fino o grosso; versarli in adeguati contenitori a chiusura ermetica ed addizionarli con un trito finissimo di mezzo etto di salvia,di mezzo etto di maggiorana, mezzo etto di pepe decorticato, dieci chiodi di garofano, mezzo etto di sedano, mezzo etto di cipolla o di erba cipollina, mezzo etto di prezzemolo, mezzo etto di timo e due spicchi d’aglio mondati. Mescolare con un cucchiaio e far transitare, a coperto aperto,per trenta minuti in forno preriscaldato,ma spento. Chiudere il contenitore e conservare al buio in luogo asciutto. Brak
MEZZANELLE ARRAGGIATE CU ‘A RICOTTA
MEZZANELLE ARRAGGIATE CU ‘A RICOTTA
Nota introduttiva.
L’agg.vo arraggiato/te part. passato aggettivato del verbo arraggià/arraggiarse (da un latino ad + rabies) di per sé varrebbe arrabbiato/i, adirato/i, ma estensivamente e qui vale arsicciato/i, asciugato/i fino a bruciacchiare.
Per questa ricetta è essenziale usare pasta del tipo mezzanelli che sono una trafila intermedia tra i bucatini ed i ziti.
dosi per 6 persone
6- 7 etti di mezzanelle spezzettate in pezzi di 4 cm. di lunghezza,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p. s. a f. ,
1 cipolla dorata tritata finemente,
1 ciuffo di basilico lavato, asciugato e spezzettato finemente a mano ,
2 cucchiai abbondanti di doppio concentrato di pomidoro,
sale doppio un pugno,
1 etto di pecorino grattugiato,
1,5 etto di ricotta (di pecora),
sale fino e pepe nero q.s.
procedimento
Porre al fuoco una proporxionata padella antiaderente con tutto l’olio e farvi colorire a fuoco sostenuto la cipolla tritata; aggiungere i due cucchiai abbondanti di doppio concentrato di pomidoro sciolti con mezzo bicchiere d’acqua calda, regolare di sale e pepe, aggiungere il basilico spezzettato a mano, portare a cottura in dieci min uti e mantenere in caldo; frattanto lessare al dente in moltissima (ca 8 litri) acqua salata( pugno di sale doppio) le mezzanelle spezzettate; quando siano lessate, scolarle accuratamente e porle nell’approntato sugo; nel frattempo stemperare, con un po’ d’acqua di cottura della pasta, la ricotta ed aggiungerla alla pasta nella padella con il sugo, rimestare tutto accuratamente ed alzando la fiamma fare arsicciare la pasta cospargendola con tutto il pecorino ed il pepe. Rimestare un’ultima volta. Impiattare e mandare in tavola caldissimo.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Bbona salute!
Raffaele Bracale
PENNETTE IN BIANCO CON SALSICCIA
PENNETTE IN BIANCO CON SALSICCIA
Ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di pennette,
6 rocchi di salsiccia (possibilmente con il finocchietto),
300 g. di ricotta di pecora,
½ bicchiere di latte intero caldo,
1 cipolla dorata mondata e tritata,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f. ,
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 cucchiaio di semi di finocchio,
1 etto di pecorino grattugiato,
sale doppio un pugno,
sale fino un pizzico,
un gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
abbondantissimo pepe nero macinato a fresco.
Nota linguistica
Il rocchio (con etimo dal lat. rotulu(m)) è in generale un pezzo cilindrico di qualcosa; nella fattispecie un rocchio di salsiccia,è ogni porzione compresa fra due nodi; un rocchio di carne, un pezzo di carne magra, senza osso.
Il rocchio in napoletano è detto capo/a (‘nu capo/’na capa ‘e saciccia) e ciò perché la salsiccia è un insaccato di carne di suino in un budello lungo tra i 40 ed i 50 cm.; tale lunga salsiccia viene poi divisa in porzioni mediante successive legature; poiché quando dalla salsiccia cosí suddivisa ne viene staccato un pezzo (rocchio) il successivo si troverà comunque sempre in testa, in capo alla salsiccia residua, ecco che in napoletano il rocchio italiano si dice capo o capa.
Procedimento
In un’ ampia padella, a fuoco vivace, versare il bicchiere d’olio ed aggiungere la cipolla tritata e farla rosolare per cinque minuti; aggiungere le salsicce precedentemente lavate, private della pelle e sbriciolate, bagnarle con il vino, alzare il fuoco e fare evaporare tutto il vino, indi aggiungere mezza ramaiolata d’acqua bollente e portare a cottura in circa 30’.
Nel frattempo lessare al dente le pennette in circa 8 litri d’acqua salata (sale grosso); scolarle e metterle nella padella con il sugo di salsiccia, rimestando con cura affinché si insaporiscano bene; approntare una zuppiera calda dove, pepandola generosamente, stemperare la ricotta con il mezzo bicchiere di latte intero caldo; aggiungere il cucchiaio di semi di finocchio, un pizzico di sale rimestare ed unire le pennette con il sugo e la salsiccia, rimestare ancóra con cura, impiattare cospargendo le porzioni con il pecorino grattugiato, il prezzemolo tritato ed altro pepe nero macinato a fresco. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! e dicíteme: Grazie!
raffaele bracale
PENNE RUSTICHE
PENNE RUSTICHE
Dosi per 6 persone
6 etti di penne rigate,
2 bicchieri di olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
4 etti di zucchine napoletane piccole e sode di color verde scuro,
1 gran ciuffo di basilico lavato, asciugato e spezzettato a mano (senza coltello!),
1 spicchio d’aglio in camicia schiacciato,
½ etto di pecorino grattugiato finemente
1 etto di provolone piccante in piccole scaglie
pepe nero macinato a fresco
sale fino q.s.
sale doppio un pugno.
Preparazione
Versare tutto l’olio in un’ampia padella antiaderente, aggiungere l’aglio in camicia, schiacciato e portare a temperatura; quando l’aglio è imbiondito, toglierlo; nel frattempo lavare, asciugare, spuntare le zucchine tagliandole a rondelle alte ½ cm.tenerle ad asciugare per circa trenta minuti stese su di un canevaccio di bucato, indi friggerle nell’olio bollente fino a che risultino ben dorate, ma non bruciacchiate (risulterebbero amare!); salare e tenere in caldo il tutto;
lessare al dente in abbondante acqua salata ( circa 8 litri) le penne; colarle e rimetterle nella pentola ben calda, ormai vuotata dell’acqua; porre la pentola con la pasta su fiamma bassissima, cosparger la pasta con tutto il formaggio grattugiato, rimestare accuratamente, mantecando fino a che il formaggio risulti ben sciolto; aggiungere l’intingolo di olio e zucchine, rimestare, aggiungere il basilico lavato, asciugato e spezzettato a mano (senza coltello!), ed impiattare ponendo su ogni porzione, scaglie di provolone ed abbondante pepe nero macinato a fresco.
Vini consigliati: odorosi bianchi campani: Falanghina, Ischia, Capri freddi di frigo.
MANGIA NAPOLI! Bbona salute!
R. Bracale
PASTOTTO RICCO CON SALSICCIA, PORCINI E PROVOLA
PASTOTTO RICCO CON SALSICCIA, PORCINI E PROVOLA
Ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di avemarie ( tubetti medio-piccoli rigati),
6 grossi funghi porcini freschi o surgelati se di ottima qualità,
3 etti di provola fresca affumicata tagliata a cubetti da ½ cm. di spigolo,
8 rocchi di salsiccia spellati e sgranati,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
1 aglio mondato e schiacciato,
2 bicchieri e mezzo di olio d’oliva e.v.
1 bicchiere e 1/2 di vino bianco secco,
1 etto di pancetta affumicata in dadini da ½ cm di spigolo,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
3 litri di brodo da dadi vegetali (3)
2 bustine di zafferano,
1 etto di pecorino grattugiato,
6 cucchiai di pinoli tostati in forno,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
preparazione
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e 3 dadi vegetali e tenerlo a continuo lento bollore;a seguire nettare accuratamente i funghi con un cencio umido e con un affilatissimo coltellino e sfettarli alla francese(taglio obliquo con lama posta a 45° lungo l’asse maggiore)in pezzi di circa ½ cm. di spessore. Mettere a fuoco vivace un tegame, possibilmente di coccio, con un bicchiere d’olio la cipolla mondata e tritata ed un aglio mondato e schiacciato;quando l’aglio sarà dorato aggiungere i funghi sfettati, unire i rocchi di salsiccia spellati e sgranati e bagnare il tutto con un bicchiere di vino, farlo evaporare, ed aggiungere mezzo bicchiere d’acqua bollente, abbassare i fuochi e dopo circa 10’ di cottura, regolare di sale fino e pepe e continuare la cottura per altri 15’ aggiungendo solo alla fine ed a fuochi spenti, il trito di prezzemolo; abbassare ancóra i fuochi e tenere il sugo in caldo; porre a fuoco vivace in un altro ampio tegame anch’esso di coccio un bicchiere d’olio con un cucchiaio di trito di cipolla e farla dorare; súbito dopo unire i dadini di pancetta e farli rosolare, infine versare tutta la pasta, bagnare con il vino residuo, e rimestarla per cinque minuti ; a seguire aggiungere a mano a mano piccole ramaiolate di brodo vegetale tenuto a bollore e portare quasi a cottura il pastotto in circa 12’ unendo quasi alla fine lo zafferano sciolto in un po’ di brodo bollente;al termine dei 12’ aggiungere i funghi e le salsicce con il fondo di cottura dal quale si sarà eliminato l’aglio, rimestare e portatare a termine in ulteriori 3 minuti la cottura del pastotto; regolare eventualmente di sale fino;aggiungere la dadolata di provola, abbassare un po’ i fuochi, spolverizzarecon il pecorino e mantecare rimestando accuratamente per l’ultima volta il pastotto; porzionarlo nei piatti spolverizzandolo ulteriormente con il pecorino grattugiato e generosamente di pepe decorticato macinato a fresco ed infine aggiungendo, per ogni porzione, un cucchiaio di pinoli tostati. Servire caldo di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Note linguistiche:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
porcini plur. di porcino dal lat. porcinu(m), deriv. di porcus 'porco's. m. fungo spontaneo commestibile assai pregiato con gambo grosso biancastro e cappello spugnoso bruno-castano, alla cui ricerca un tempo con gran successo erano adibiti i maiali addestrati (donde il nome porcino).
rocchi s.vo m.le pl.le di
rocchio s.vo m.le
1 (arch.) blocco di pietra di forma cilindrica che compone il fusto di una colonna
2 (estens.e nel caso che ci occupa) pezzo cilindrico di qualcosa: un rocchio di salsiccia, ogni porzione compresa fra due nodi; un rocchio di carne, un pezzo di carne magra, senza osso. un rocchio di salsiccia pezzo di salsiccia compreso tra due legature; voce dal lat. rotulu(m)→rotlu(m)→rocchio
provola Voce di orig. merid., forse deriv. di prova (perché serviva all'assaggio); cfr. provatura s. f. formaggio a pasta filata semidura, tassativamente di latte di bufala (quello fatto con latte vaccino usurpa il nome di provola); è una sorta di continuazione della lavorazione di mozzarella in pezzatura maggiore, salata ed affumicata che si mangia fresco o usato per ripieni o cotto impanato e fritto o in accompagnamento di uova; è specialità dell'Italia meridionale.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute, e scialàteve!
raffaele bracale
PASTOTTO MANTECATO SU VELLUTATA DI MELANZANE
PASTOTTO MANTECATO SU VELLUTATA DI MELANZANE
Nota linguistica:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
Dosi per 6 persone
per il pastotto
6 etti di tubetti piccoli rigati,
6 piccole zucchine napoletane verdi e sode,
2 agli mondati e schiacciati,
2 cipolle dorate ,
1 carota,
2 coste di sedano bianco,
12 chiodi di garofano,
2 foglie di alloro,
1 rametto di maggiorana ed uno di piperna, lavati, asciugati e sbriciolati finemente,
1 limone di Sorrento non trattato,
3 etti di mozzarella in cubetti da ½ cm. di spigolo,
1 etto di caciocavallo piccante silano grattugiato a scaglie grosse,
1 bicchiere e ½ di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
50 gr. di sugna,
1 bicchiere di vino bianco,
sale fino e pepe nero q.s.
per la vellutata
Sei melanzane violette napoletane spuntate, lavate ed asciugate,
1 spicchio d'aglio mondato e tritato,
1 bicchiere d’ olio extravergine d'oliva,
1 cucchiaio di pinoli,
sale fino q.s.
pepe decorticato q.s.
un ciuffo di basilico lavato ed asciugato.
Procedimento
Cominciamo ad approntare la vellutata nel modo che segue: Tagliare a metà longitudinalmente le melanzane spuntate, lavate ed asciugate, eliminare i semi in eccesso, bucherellarle sul dorso con i rebbi di una forchetta ed adagiarle, a dorso in su, in una pirofila leggermente unta, mandarle in forno preriscaldato a 200 gradi e tenervele trenta minuti;farle intiepidire e servendosi della punta d’ un cucchiaio recuperarne tutta la polpa trasferendola in un mixer con lame da umido, aggiungere lo spicchio d'aglio mondato e tritato, il bicchiere d’ olio extravergine d'oliva
sale fino,pepe decorticato, i pinoli ed un ciuffo di basilico lavato ed asciugato e frullare sino ad ottenere una vellutata soffice e cremosa. Tenere da parte. A seguire
mettete al fuoco una pentola colma di 4 - 5 lt. di acqua fredda.Mondate una cipolla, dividetela in quattro parti e mettetene tre nella pentola con l’acqua assieme alla carota grattata, lavata e tagliata verticalmente in quattro parti, le coste di sedano tagliate in grossi pezzi,i chiodi di garofano, un aglio mondato e schiacciato, la piperna tritata e l’alloro, ½ bicchiere d’olio; salate e pepate ad libitum ed a fuoco lento, in circa un’ ora approntate un buon brodo vegetale; con un colino separarte il brodo ed eleminate le verdure tenendole da parte;nel brodo decantato mandato a bollore, mettete a lessare per circa dieci minuti i tubetti, avendo cura di tenere la pentola coperta affinché la pasta alla fine non risulti asciutta;una volta lessata, prelevate i tubetti con una schiumarola e traferiteli in un ampia padella dove a mezza fiamma,li terrete in caldo e poi metteteli da parte.Nel frattempo
affettate le zucchine (lavate e spuntate) in rondelle da ½ cm. di spessore e stufatele con l’ultima cipolla avanzata ben tritata fatta dorare assieme all’ altro aglio schiacciato (poi eliminato) in ½ bicchiere d’olio.A mezza cottura grattugiatevi la scorza del limone aggiustando di sale e pepe.
Unite alle zucchine cosí stufate, i tubetti lessati al dente e versando successive piccole ramaiolate di brodo vegetale portate a cottura il pastotto a padella coperta sempre a mezza fiamma; alla fine aggiungete lo strutto e rimestate; infine versate sui tubetti la dadolata di mozzarella ed a fiamma vivace aggiungendo un filo d’olio a crudo mantecate ancóra e cospargete infine il caciocavallo grattugiato ed il pepe nero macinato a fresco e spruzzando con il trito di maggiorana; se alla fine il pastotto dovesse risultare troppo asciutto (ma non dovrebbe…) bagnate con una mezza ramaiolata del brodo che avrete tenuto da parte prima di lessare la pasta. A questo punto distribuite a specchio sul fondo dei singoli piatti la vellutata di melanzane ed
impiattate il pastotto servendo súbito in tavola ben caldo di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Attenzione: le verdure usate per il brodo, non vanno buttate, ma raffreddate e condite con olio, sale, pepe ed aceto possono usarsi per contorno di portate di carni in umido o formaggi freschi da far seguire eventualmente al pastotto.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
martedì 29 dicembre 2015
ROLLè DI MANZO FARCITO
ROLLè DI MANZO FARCITO
Ingredienti e dose per 6 persone
1 grossa fetta di pancettone (scalfo) di manzo di ca 1200 g
4 uova
1/2 etto di formaggio grana grattugiato
1 ciuffo di prezzemolo tritato finemente
½ bicchiere di latte intero
50g di uva passita
50g di pinoli
1 bicchiere di vino rosso secco.
3 etti di bietole o di scarola liscia sbollentati in poca acqua salata, scolati, strizzati e saltati in padella con aglio ed olio,
1 spicchio d’aglio schiacciato
2 bicchieri d’olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
olio di semi q. s.,
sale fino e pepe nero q. s.,
1 grossa cipolla dorata mondata ed affettata grossolanamente.
Procedimento
Approntare innanzitutto la frittata sbattendo le uova, il formaggio ed il prezzemolo addizionati con il mezzo bicchiere di latte; indi friggerla rapidamente con olio di semi ed usando una teglia di forma rettangolare;tenerla da parte;
saltare in padella le verdure con aglio ed olio e salare con parsimonia; tenerle da parte.
Stendere sul tagliere la grossa fetta di pancettone (scalfo) a cui il macellaio avrà dato un’ adeguata forma rettangolare; porre sulla carne uvetta e pinoli e quindi adagiarvi tutta la frittata sulla quale, al centro lungo l’asse maggiore, sistemare la verdura saltata in padella; arrotolare attenttamente su se stessa la fetta di pancettone fino ad ottenerne un rotolo cilindrico che verrà legato strettamente con spago da cucina;
porre il rotolo in una casseruola rettangolare con l’olio d’oliva e.v. p. s. a f. e la cipolla tritata grossolanamente; alzare la fiamma e far rosolare il rotolo d’ogni lato; bagnare con il vino e farlo evaporare; aggiungere una ramaiolata d’acqua bollente e a casseruola coperta far cuocere per circa tre ore;
a cottura ultimata salare ad libitum, indi prelevare il rotolo e porlo a raffreddare sul tagliere, tirar via lo spago ed affettare il rotolo in fette di ca 1,5 cm. di spessare;
sistemare le fette in un piatto di portata irrorandole con il fondo di cottura;
servire con contorno di patate fritte o stufate.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
AGNELLONE Â CACCIATORA
AGNELLONE Â CACCIATORA
Ingredienti per 6 persone:
2 kg. di spezzato di groppa d’ agnellone in pezzi di ca cm. 4 x 6 x 5
2 cucchiai di strutto
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
1/2 bicchiere di aceto
4 acciughe dissalate lavate e spinate o equivalenti filetti d’acciuga sott’olio
farina q.s.
1 spicchio d’Aglio mondato ed affettato
½ cipolla dorata tritata grossolanamente
400 gr. di polpa di pomodoro
Rosmarino q.s.
Salvia q.s.
Sale fino e pepe bianco q.s.
Procedimento
Lavare ed asciugare i pezzi d’agnellone, infarinarli accuratamente e farli rosolare a fuoco vivo con lo strutto e l’olio assieme alla cipolla tritata; appena rosolati unire la polpa di pomodoro ed infine aggiungere sale, pepe e spolverizzare il tutto con un battuto di aglio, rosmarino e salvia. Bagnare l'agnellone con l'aceto e 1/2 bicchiere d'acqua.
Cuocere la carne per circa un’ora a fuoco moderato mescolandola con cura per non farla attaccare.
Nel frattempo mettere in un tegamino tutte le acciughe schiacciate con un filo d’olio, stemperarle e mescolare fino
ad ottenere una salsina che verrà aggiunta alla carne a cottura ultimata.
Nota
allo spezzato d’agnellone si può sostituire vantaggiosamente un coscio di capretto disossato, e tagliato in grossi pezzi.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! E faciteve ‘a scarpetta!
raffaele bracale
CAPPONE GLASSATO CON CASTAGNE
CAPPONE GLASSATO CON CASTAGNE
Ingredienti (8 persone)
1 cappone già pulito del peso netto di ca 2 kg,
300 grammi di castagne cotte al forno e mondate della scorza,
400 grammi di polpa (spalla) di vitello macinata,
200 grammi di salsiccia,
3 uova,
120 grammi di pan carré,
50 grammi di pecorino grattugiato,
50 grammi di pinoli,
50 grammi di uvetta ammollata in acqua calda,
1 tazzina di cognac,
½ bicchiere di panna fresca,
200 grammi di fettine di lardo di groppa,
2 spicchi di aglio,
qualche foglia di basilico,
1 rametto di rosmarino,
qualche foglia di salvia,
2 bicchieri di vino bianco secco – 3 tazze da tè di brodo da dado,
50 grammi di strutto,
farina, sale fino e pepe nero q.s.
Preparazione
Disossate il cappone mantenendolo intero; incidete le castagne con un taglietto orizzontale dalla parte bombata e cuocete in forno già caldo a 180° per circa 15 minuti finché si sgusceranno con facilità; toglietele dal forno e sgusciatele eliminando anche la pellicina interna.
Mescolate in una ciotola la carne di vitello con la salsiccia sgranata, il pan carré grattugiato, la panna, le uova, il parmigiano e le erbette tritate assieme all'aglio; regolate di sale e pepe e amalgamate i pinoli leggermente tostati, l'uvetta ammorbidita prima in acqua calda e poi nel Cognac e strizzata e le castagne.
Disponete il cappone aperto su un piano di lavoro con la parte della polpa verso l'alto, salatelo, pepatelo, farcitelo con il ripieno e richiudetelo; cucitelo lungo tutte le aperture, avvolgetelo nelle fettine di lardo e legatelo con lo spago da cucina come un arrosto; disponetelo in una teglia non troppo grande e cuocetelo in forno già caldo a 220°.
Dopo circa mezz'ora, quando sarà ben rosolato, bagnatelo con un bicchiere di vino bianco e lasciatelo evaporare; abbassate la temperatura del forno a 180° e proseguite la cottura per 2 ore abbondanti, bagnandolo di tanto in tanto con poco brodo bollente finché sarà ben cotto, quindi toglietelo dal forno, slegatelo, avvolgetelo in un foglio di alluminio e tenetelo in caldo.
Mettete la teglia di cottura su fuoco basso, fate sciogliere lo strutto, unite 20 grammi di farina e fatela tostare leggermente, mescolando; bagnate con mezzo bicchiere di vino bianco, lasciate cuocere per qualche minuto e versate gradualmente 2 mestoli di brodo bollente; cuocete mescolando fino ad ottenere una salsa leggermente densa e filtratela. Servite il cappone tagliato a fette con la sua salsa e, se vi piace, potrete accompagnarlo con castagne o marroni lessati e glassati al forno o passati allo strutto o con patate al forno.
Attenzione: al posto delle castagne cotte al forno e poi sgusciate si possono usare delle castagne sgusciate da crude, lessate in poca acqua salata e poi ripassate in padella con lo strutto. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
CAPPONE AL FORNO
CAPPONE AL FORNO
Nota:
Con il termine cappone si intende un galletto castrato in età giovane perché ingrassi meglio e piú presto; la sua carne, tra le carni bianche risulta più saporita, più delicata, ancorché piú grassa di quella degli altri galletti.Va da sé che sia preferibile un cappone proveniente da un’aia privata dove abbia razzolato en plain air e non un animale allevato in batteria.
Ingredienti e dosi per 6 porzioni
1 cappone da 2 kg circa già spiumato e fiammeggiato,
30 g di strutto a temperatura ambiente,
1kg di patate,
3 cipolle dorate,
5 spicchi d'aglio mondati e tritati finemente,
4 pomodori ramati ben maturi,
2 grosse carote,
1 peperone rosso,
4 rametti di timo,
2 foglie di alloro,
1/2l di vino bianco secco,
½ bicchiere di olio di oliva extra vergine,
sale fino e pepe decorticato, macinato a fresco q.s.
Procedimento
Lavare, asciugare e condire il cappone con sale e pepe sia all'interno che all'esterno. Verniciarlo con lo strutto.
Pelare e lavare le verdure; tagliare a cubetti le carote e le patate; eliminare i semi e costoline bianche del peperone e ridurlo in cubetti da 1,5cm.Sbollentare, pelare e ridurre i pomodori in pezzi da 2cm; mondare ed affettare le cipolle ad anelli.
Riscaldare il forno a 180°C.
Porre in una proporzionata pirofila tutte le verdure, aggiungere l'aglio e condire con sale, pepe e timo; unire l'olio ed il vino, coprire con un foglio di alluminio e infornare per 15 minuti.
Adagiare quindi il cappone sulle verdure, coprire nuovamente con l'alluminio e cuocere per 1 ora e 20 minuti. Quindi eliminare il foglio d’alluminio scoprendo la pirofila e cuocere ancora per altri 10 minuti. Durante la cottura, controllare che le verdure ed il cappone non secchino troppo, trasferendo un po' del liquido dalla base della pirofila sulla carne o aggiungendo un po’ d’acqua calda
Spegnere il forno, lasciar riposare qualche minuto, porzionare e servire.
Brak
MENù DI SAN SILVESTRO
MENù DI SAN SILVESTRO
Ore 13.00
PIZZA DI SCAROLE AL FORNO
CAZUNCIELLE FRITTE ‘E SCAROLE
CAZUNCIELLE FRITTE CICULOE E RICOTTA
INSALATA VERDE ALL’AGRO
Cenone:
Antipasto:
CROSTINI NAPOLETANI
oppure CROSTINI DI FEGATELLI
Primo piatto:
VERMICELLI A VONGOLE AL SUGO DI POMIDORO
oppure: VERMICELLI CON GAMBERI ALLA VESUVIANA
oppure: LINGUINE ALL’ASTICE
Secondo piatto:
ROLLĖ DI MANZO FARCITO
oppure: CAPPONE AL FORNO
Contorni:
VRUOCCOLE ‘E FRONNA ALL’ AGRO
INSALATA DI RINFORZO
SCIOCCELE e DOLCI NATALIZI
Alle ventiquattro
COTECHINO e/o ZAMPONE
Su letto di LENTICCHIE in UMIDO
lunedì 28 dicembre 2015
LU GUARRACINO
LU GUARRACINO
Questa volta è stato la cara amica M. P.F. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a suggerirmi via e-mail di fornire un’accurata traduzione dell’antica canzone di cui all’ epigrafe. L’accontento súbito fornendo dapprima il testo piú accreditato di questa popolaresca tarantella d’ignoti risalente a circa i primi del 1700. A seguire ne darò la troduzione soffermandomi poi ad illustrare (fornendone, ove possibile, l’etimo oltre che il significato) qualche parola piú significativa e desueta.Cominciamo dunque prospettando il testo piú usato ancorché ne esistano e siano da taluni utilizzate altre versioni meno belle e palesemente raffazzonate rispetto a l’originale che qui presento nella piú accurata e precisa morfologia possibile.
LU GUARRACINO
Lu guarracino ca jeva pe mmare
lle venne voglia de se ‘nzorare;
se mettette ‘nu bello vestito
de scarde de spine, pulito pulito;
cu ‘na parrucca tutta ‘ncrifata
de ziarelle ‘mbrasciolata,
cu lu sciabbò, scuollo e puzine
de ponto angrese finu fino;
cu li cazune de rezze de funno,
scarpe e cazette de pelle de tunno;
e sciammeria e sciammerino
d'aleghe e ppile de vojo marino...,
cu buttune e buttunere
d'uocchie de purpe, secce e ffere,
fibbie, spata e sciocche ndurate
de niro de seccia e fele d'achiata;
ddoie belle cateniglie
de premmone de cunchiglie
‘nu cappiello aggallonato
de cudarine d'aluzze salate;
tutto posema e steratiello
jeva facenno lu sbafantiello;
ggirava de cca e de lla
’a nnammurata pe se truvà.
‘A sardella a lu balcone
steva sunanno lu calascione,
e a ssuono de trumbetta
jeve cantanno st’ arietta:
“E larella ‘o mare e llena
e ‘a figlia d’ ‘a sié Lena...
À lassato lo nnammurato
pecché niente l'à rialato!”
Lu guarracino ca la guardaje
de la sardella se ‘nnammuraje...;
se ne jette da la vavosa
la cchiú bbecchia maleziosa,
ll'ebbe bbona rialata
pe mannarle ‘na ‘mmasciata.
La vavosa pisse pisse
chiatto e ttunno nce lo disse.
La sardella ca la sentette
rossa rossa se facette:
pe llu scuorno che se pigliaje
sotto a nu scuoglio se ‘mpezzaje;
ma la vecchia de la vavosa
dicette súbbeto: “Ah schefenzosa
de sta manera non truove partito
‘ncanna te resta llu marito!
Si aje voglia de te allucà
tante smorfie nun aje da fà
Fora le zeze e fora lu scuorno
Anema, core e ffaccia de cuorno!”
Ciò sentenno la sié Sardella
s'affacciaje a la fenestella
face l'uocchie a zzennarielle
a lu speruto nnammuratiello.
Ma la patella che steva de posta
La chiammaje faccia tosta
Tradetora, sbrevognata,
senza parola e malenata
ch'avea nchiantato l'allitterato
primmo e antico ‘nnammurato;
De carrera da chisto jette
e ogni ccosa le dicette.
Quanno lo ‘ntise lo puveriello
se lo pigliaje Farfariello;
jette a la casa, s’ armaje a rrasulo,
se carrecaje comme a ‘nu mulo
de scuppette, de spingarde,
porvera, palle, stoppa e scarde;
quatte pistole e tre bbajonette
dinto a la sacca se mettette;
‘ncoppa a li spalle settanta pistune
uttanta mbomme e nuvanta cannune.
E ccomme a gguappo Palladino
jeva truvanno lo guarracino!
La disgrazia de chisto purtaje
ca ‘mmiezo a la chiazza te lu ‘ncuntraje:
se l'afferra p’’o cruvattino
e ppo le dice: “Ah malandrino
tu me lieve la nnammurata
E pigliàtella ‘sta mazzïata!”
Túffete e ttàffete a mmeliune
le deva paccare e secuzzune
schïaffe, ponie e perepesse
scuppulune fecozze e cunesse,
scerevecchiune e sicutennosse
e ll'ammacca osse e pilosse!
Venimmuncenno ca a lu rummore
pariente e amice ascettero fora
chi cu mazze, cortielle e curtelle,
chi cu spate spatune e spatelle,
chillo cu bbarra, chisto cu spito,
chi cu ll’ammennole e chi cu ll’antríte,
chi cu tenaglie chi cu martielle,
chi cu turrune e susamielle...
Pate, figlie, marite e mmugliere
s'azzuffajeno comme a ffère!
A meliune correvano a strisce
de chisto partito e de chille li pisce;
che bediste de sarde e d'alose
de palàmmete e rraje petrose...
Sarache dientece et achiate
scurme, tunne e allitterate
pisce palummo e piscatrice
scuorfane, cernie et alice,
mucchie, ricciole, musdee e mazzune,
stelle, aluzze e sturiune,
merluzze, concule e murene,
capeduoglie, orche e vvallene,
capitune, auglie arenghe
ciefare, cuocce, tràcene e tenche,
treglie, trèmmole, trotte e tunne,
feche, cepolle, làure e rutunne...
purpe, secce e ccalamare,
pisce spata e stelle de mare,
pisce palumme e pisce martielle,
voccadoro e cecenielle,
capechiuovo e guarracine,
cannulicchie, ostreche e angine;
Concole, cocciole e ppatelle
piscecane e grancetielle,
marvizze mormore e vavose,
vope prene, vedove e spose,
spínole, spuónole, sierpe e ssarpe,
scauze nzuoccole o cu lli scarpe,
scunciglie, jàmmere e raoste
vennero nfine cu lli pposte;
capitune, saure e anguille,
pisce gruosse e piccerille,
d'ogni cceto e nnazïone,
tantille, tante, cchiú ttante e tantune;
quante botte, uh mamma mia,
ca se dévano arrassusia!
A centenaro lli vvarrate,
a melíune le pretiate:
muorze e pizzeche a bbeliune
a delluvio lli secuzzune.
Nun ve dico che bivo fuoco
de faceva pe ògne lluoco:
tettettè cca pistulate,
tattattà lla scuppettate,
tuttuttú cca li pistune
bubbubbú lla li cannune.
Ma de cantà so’ ggià stracquato
e me manca mo llu sciato;
sicché dàteme licenzia,
graziosa e bbella audienzia
nfi’ ca sorchio ‘na mezza de seje
cu ssalute de luje e de leje
ca se secca lu cannarone
sbacantannose lu premmone!
E veniamo alla mia traduzione:
LO GUARRACINO
(Il Coracino)
Al coracino che girava per mare
venne il desiderio di prender moglie.
Si mise un bel vestito
di pezzi di spine, pulito pulito(cioè molto decoroso),.
Con una parrucca tutta agghindata
con nastrini arrotolati,
con la gala, lo scollo ed polsini
(ricamati) di fino con punto inglese.
Con i calzoni(fatti) con reti di fondo,
scarpe e calze di pelle di tonno
e giacca e giacchettino
d’alghe e peli di bue marino (cioè foca monaca),
con bottoni e bottoniera
di occhi di polipi, seppie e belve;
fibbie, spada e fiocchi dorati
con nero di seppia e fiele d'occhiata,
due belle catenine
di polmoni di conchiglie,
un cappello gallonato
con codine di alici salate.
Tutto impettito e ben stirato
faceva lo sbruffoncello,
girava di qua e di là
per trovarsi la fidanzata.
La Sardella al balcone
stava suonando il calascione
e a suono di trombetta
cantarellava questa arietta:
“E larella ‘il mare e (la) fretta
e la figlia della signora Lena
à lasciato il fidanzato
perché niente gli à regalato!"
Il guarracino che la guardò
della sardella si innammorò,
se ne andò dalla bavosa,
la piú vecchia (mezzana) maliziosa.
Le diede una buona mancia
per mandare un messaggio (alla sardella).
La bavosa pisse pisse (cioè sottovoce),
grasso e tondo(cioè chiaramente), glielo disse.
Nel sentirla, la sardella
arrossí moltissimo
e per la vergogna che la prese
sotto uno scoglio si infilò.
Ma la vecchia bavosa
súbito disse: "Ah schifiltosa,
in questa maniera non troverai un partito,
in gola ti resta il marito!"
Se àIvoglia di collocarti,
tante smorfie non devi fare:
metti via moine e timidezza,
(tira fuori)anima, cuore e faccia tosta!
Ciò sentendo, la signora Sardella
s'affacciò alla finestrina
fece gli occhi dolci
all'ingolosito innamoratello.
Ma la patella, che stava appostata (a seguire la scena),
la chiamò "faccia tosta,
traditora, svergognata,
senza parola e malnata,
giacché aveva piantato il Letterato,
primo ed antico fidanzato
Di corsa da questo andò
e ogni cosa gli disse.
Quando la sentì il poveretto
diventò indemoniato
andò a casa, s'armò di rasoio,
si caricò come un mulo
di schioppi, di spingarde,
polvere, palle, stoppa e schegge,
quattro pistole e tre baionette
in tasca si mise.
Sulle spalle settanta colubrine,
ottanta bombe e novanta cannoni
e come un Paladino guappo
andava in cerca del Guarracino.
La sfortuna di costui fu
che in mezzo la piazza lo incontrò;
l'afferrò per il colletto
e gli dice: "Ah malandrino
tu mi rubi la fidanzata
e prenditela questa bastonatura!"
Tuffete taffete a milioni
gli dava sberle e pugni sotto il mento,
schiaffi, pugni, colpi in testa
colpi sul collo, pugni con il pollice proteso, colpi sulla nuca
scapaccioni e colpi di verga
e gli pesta ossa e cartilagini!
Veniamo a noi: al rumore
parenti e amici saltaron fuori
chi con mazze, coltelli e coltelle da macellaio,
chi con spade, spadone e spadini
quello con una mazza, questo con spiedo
chi con mandorle e chi con nocciole infornate
chi con tenaglie chi con martelli
chi con torroni e ceppi per i piedi!
Padri, figli, mariti e mogli
s'azzuffarono come belve
a milioni accorrevano a frotte
pesci di questa fazione e di quella!
Quante ne vedesti di sarde e di alose
di palamiti e raje pietrose
saraghi dentici e occhiate
sgombri tonni e letterati
pesci palombo e pescatrici
scorfani, cernie ed alici
mucchi, ricciole mozzelle e mazzoni
stelle, alici salate e storioni,
merluzzi, vongole e murene,
capodogli, orche e balene,
capitoni, aguglie ed aringhe,
cefali, cocci, tràcine e tinche,
triglie, tremmole, trotte e tonni
fichi, cipolle,allorini e rotondi,
polipi, seppie, e calamari
pesci spada e stelle di mare,
pesci palombo e pesci martello,
boccadoro e bianchetti,
testa di chiodo e guarracini
cannolicchi, ostriche e ricci di mare,
vongole, cocciole e patelle
pescecani e granchietti
marvizzi, marmore e bavose
vope pregne, vedove e spose
spìnole spuònole serpi e sarpe
scalze con zoccoli o con scarpe
paguri, gamberi ed aragoste
vennero perfino con le diligenze!
Capitoni, sauri ed anguille,
pesci grossi o piccini
d'ogni ceto e nazione
piccoli, grandi, piú grandi e grandissimi ( cioé di tutte le taglie!)
Quante botte oh mamma mia
che si davano e lontano sia!
A centinaia le nazzate
a milioni le pietrate,
morsi e pizzichi a bilioni,
a diluvio i pugni sotto il mento;
non vi dico che vivo fuoco
si faceva per ogni luogo!
Tettettè qua pistolettate
tattattà là schioppettate
tuttuttú qua le colubrine
bubbubbú là i cannoni!
Ma di cantare sono già stanco
ed ora mi manca il fiato
perciò concedetemi licenza
oh grazioso e bel pubblico
fino a che beva "un quartino"(la mezza di sei è appunto un quartino di vino dal costo di sei soldi.)
alla salute di lui e di lei
altrimenti mi si secca il gargarozzo
svuotandosi il polmone!
Nota le parole tra parentesi non esistono nel testo originario, ma sono sottintese, quelle tra parentesi in corsivo sono una spiegazione.
Le parole nel testo in corsivo fuori di parentesi sono voci onomatopeiche intraducibili e perciò le ò riportate come nell’originale.
E veniamo a qualche parola:
scarde s.vo f.le pl. del sg. scarda = pezzo, scheggia frammento, scaglia (di un qualcosa). Per ciò che attiene l’etimo, il D.E.I. si trincera dietro un pilatesco etimo incerto una scuola di pensiero (C. Iandolo) propone una culla tedesca sarda= spaccatura, qualche altro (Marcato) opta per una non spiegabile, a mio avviso, derivazione da cardo che dal lat. cardu(m) indica quale s. m.
1 pianta erbacea con foglie lunghe, carnose, di colore biancastro, commestibili (fam. Composite) | cardo mariano, pianta erbacea con foglie grandi e infiorescenze globose a capolino (fam. Composite) | cardo dei lanaioli, pianta erbacea con foglie fortemente incise e infiorescenze a capolino, di colore azzurro, con brattee uncinate, usate per cardare la lana e pettinare le stoffe (fam. Dipsacacee)
2 il riccio della castagna
ed ognuno vede che non v’à alcun collegamento semantico possibile tra questa pianta ed un pezzo, scheggia frammento, scaglia (di un qualcosa).
A mio modo di vedere è molto piú opportuno chiedere soccorso etimologico al francese écharde→(è)charde→scarda: scheggia.
‘ncrifata/’ngrifata voce verb. part. pass. f.le dell’inf. ‘ngrifà/’ncrifà = rizzare, arruffare,impennare,imbizzire per cui nel caso che ci occupa si tratta di una parrucca alta ed arruffata;etimologicamente ‘ngrifà/’ncrifà è dall’iberico engrifar.
ziarelle s.vo f.le pl. del sg. ziarella collaterale di zarella e zagarella triplice morfologia d’un unico vocabolo che vale
1 nastro, fettuccia, legaccio, passamano;
2 Striscia nera o molto scura del mantello del cavallo che percorre per lungo la schiena, detta anche riga di mulo;
estensivamente e per traslato, nella forma ziarella vale anche (ma non qui)
3 cosa da nulla, qualsiasi oggetto di poco pregio
Etimologicamente le voci nella triplice morfologia (la seconda e terza voce son solo degli adattamenti e semplificazioni d’uso popolare della prima voce zagarella)a sua volta adattamento di zaganella diminutivo di zàgana s.vo f.le che è voce region., di area umbro-laziale, dove indica una sottile treccia di lana o di seta per rifinitura di abiti femminili;quanto all’etimo di questa zàgana da cui àn preso derivazione zaganella nonché tutte le altre voci che – ripeto – ne son collaterali, atteso che zàgana è voce affine a sagola di cui pare addirittura un metaplasmo regionale, si può sospettare un adattamento della voce portoghese soga (fune, corda) secondo il percorso soga→sogana →sagana→zagana sempre che la voce zàgana non sia un adattamento dell’arabo zahara ( chiaro,splendente) poi che in origine la zàgana (nastro, fettuccia) fu esclusivamente bianco usato per agghindare il capo delle fanciulle in abito bianco da prima comunione.
‘mbrasciolate voce verb. part. pass. f.le pl. dell’inf. ‘mbrasciolià = avvolgere su se stesso a mo’ di brasciola o involtino di carne; la voce brasciola/vrasciola s.vo f.le di cui il verbo è denominale, deriva dal tardo latino brasa/vrasa+ il suff.diminutivo ola femm. di olus; semanticamente la faccenda si spiega col fatto che originariamente la brasola fu una fetta di carne da cuocere alla brace, e successivamente con la medesima voce adattata nel napoletano con normale passaggio della esse + vocale (so) al palatale scio che generò da brasola, brasciola si intese non piú una fetta di carne da cucinare alla brace, ma la medesima fetta divenuta grosso involto imbottito da cucinare in umido con olio, strutto, cipolla e molto frequentemente, ma non necessariamente sugo di pomidoro, involto che è d’uso consumare caldissimo.
A margine di tutto ciò rammento che la voce brasciola viene usata nel napoletano quale voce furbesca e di dileggio riferita ad un uomo basso e grasso détto comunemente fra’ brasciola; ancóra la medesima voce è usata per traslato, ma piú spesso nei dialetti della provincia, che nell’autentica parlata napoletana,per indicare un tipo di pettinatura maschile, segnatamente quella del ciuffo prospiciente la fronte che semanticamente si ricollega alla brasciola perché il ciuffo è quasi ripiegato come un grosso involto; a Napoli il medesimo ciuffo cosí pettinato viene détto ‘o cocco voce del linguaggio infantile che oltre ad indicare il ciuffo suddetto è un s.vo m.le [f. -a; pl. m. -chi] voce familiare usata per indicare una persona prediletta, un oggetto di affettuosa e protettiva tenerezza (spec. un bambino)che semanticamente si ricollega all’affettuosa tenerezza con cui le mamme sogliono sistemare la pettinatura dei propri bambini, prediligendo il ciuffo ripiegato a mo’ di involto.
Infine rammento ancóra che in taluni dialetti provinciali (Capri, Visciano etc.) , furbescamente con la voce brasciola viene indicata la vulva, con riferimento semantico alla focosità e carnalità del sesso femminile.
sciabbò s.vo m.le gala, merletto, davantino segnatamente quello portato sotto il collo d’ una camicia; voce etimologicamente dal fr. jabot
sciammeria s.vo f.le letteralmente si tratta di un’ampia giacca da cerimonia che a Napoli è appunto detta con voce intraducibile sciammeria: giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese càmbre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo càmberga sempre che non derivi direttamente dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, è resa in italiano col termine giamberga ; personalmente trovo piú convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona;
come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo.
sciocche s.vo m.le pl. di sciocco = fiocco, nastro, nappa, gallone. etimologicamente voce dal lat.floccu(m) normale nel napoletano il passaggio di fl a sci (cfr. flos→sciore, flumen→sciummo,flacces→scioccele etc.
secuzzone s.vo f.le sergozzone, colpo forte sotto il mento, dato col pugno chiuso; etimologicamente appare essere una voce ottenuta per adattamento locale attraverso un suffisso accrescitivo one della voce gozzo che è dall'ant. gorgozzo o gorgozza,a sua volta dal lat. volg. *gurgutiam, per il class. gurges -gitis 'gola’; da gozzo→guzzone/cuzzone donde con protesi di un se(b) per sub si giunge a secuzzone.
osse e pilosse locuzione che ò tradotto: ossa e cartilagini, ma che piú acconciamente vale del tutto, completamente con riferimento alle ossa degli arti e del busto[osse] ed a quelle della testa (coperte di pelo)[pilosse]; in effetti il termine pilosse [usato solo nella locuzione in esame ed in altra analoga] assente su tutti i calepini del napoletano codificato, ma vivo e vegeto nel parlato popolare, è – nel significato surriportato - chiaramente una voce creata per bisticcio ed allitterazione sul termine osse che lo accompagna; pilosse non va confusa con il pl. della voce dialettale toscana pilosso [che, marcato sull’arabo flus, fu filusso e pilusso/pilosso nel significato di danaro ].
Meza [de seje] la meza fu una misura di capacità dei liquidi in uso soprattutto nelle taverne/mescite dove corrispondeva all’incirca ad un bicchiere da quarto di litro di vino e poiché il costo di un bicchiere di comune vino sfuso costava sei soldi ecco che fu détta meza de seje cioè mezza da sei.
Per altre parole rimando alibi nel mio blog.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’ amica M. P.F. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale Brak
PENNE ALLA SARRACINO
PENNE ALLA SARRACINO
ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di penne rigate,
5 etti di pomidoro ciliegia lavati e tagliati in quattro pezzi,
2 spicchi d’aglio mondato e tritato finissimo,
2 rametti di piperna ed un ciuffo di menta tritati finissimi,
1 bicchiere e mezzo d’olio d'oliva e.v.p.s. a f.,
sale grosso un pugno,
sale fino e pepe nero q.s.
1 etto di pecorino piccante grattugiato.
procedimento
Versare in un’ampio tegame (possibilmente) di coccio tutto l’olio, unirvi gli spicchi d’aglio tritati, il trito di piperna e menta ed i pomidori tagliati in quattro, aggiungere un pizzico di sale e schiacciare un po’ con i rebbi di una forchetta i pomidoro ed a mezza fiamma tenere il sugo in cottura per circa mezz’ora, a padella coperta; nel frattempo lessare a mezza cottura le penne in abbondante (8 litri) acqua salata (un pugno di sale grosso); prelevarle con una schiumarola e ben umide trasferirle nella padella di coccio amalgamandole con il sugo; porre la padella a fuoco lento cospargendo le penne di pecorino piccante, completando (10 minuti) la cottura di questo piatto che va servito caldo di fornello possibilmente in tegami di terracotta con una spolverata di profumatissimo pepe nero.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
PENNE AL CARTOCCIO
PENNE AL CARTOCCIO
ingredienti e dosi per 6 persone
6 etti di penne
totani o calamari lavati, puliti eviscerati e tagliati ad anelli - 300 g
filetti di merluzzo- 300 g
Gamberetti - 200 g
Zucchine verdi piccole e sode - 2
Porri - 2
Pisellini in iscatola - 200 g
Pomidorini - 1 scatola
Alloro secco - 1 cucchiaino
Prezzemolo secco - 1 cucchiaio
Erba cipollina secca - 2 cucchiai
Vino bianco - un bicchiere
Penne rigate - 600 g
Olio extravergine d'oliva – 1 bicchiere
Basilico fresco
un ciuffo
Sale grosso alle erbette q.s.
È una ricetta abbastanza leggera, da preparare in qualsiasi stagione.
Versare in un tegame il contenuto della scatola d pomidorini, aggiungere i porri tagliati a fette sottili, il vino, le erbe aromatiche e gli anelli di totano o calamaro.
Cuocere su fiamma moderata e a pentola coperta per una decina di minuti e poi unire le zucchine lavate, spuntate e tagliate a fiammifero. Proseguire la cottura per altri dieci minuti e poi aggiungere i piselli; far insaporire il tutto per pochi minuti, assaggiare, regolare di sale, unire i gamberetti, i filetti di merluzzo tagliati a fettine, il basilico sminuzzato, l'olio d'oliva, mescolare e spegnere i fuochi.Nel frattempo lessare la pasta al dente,in parecchia acqua salata con un pugno di sale grosso alle erbe, scolarla e condirla con il sugo.
Preriscaldare il forno a 220°. Dividere la pasta in sei porzioni e distribuirle su sei quadrati di carta-alluminio abbastanza grandi ( cm. 20 x 20), farne deicartocci,chiuderli accostando due lembi dei quadrati e ripiegandoli su se stessi; appoggiarli su una teglia o placca da forno e passarli nel forno già caldo per non più di 5 minuti.
Servire la pasta calda poggiando il cartoccio aperto da un lato su di un piatto fondo.
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale
PASTOTTO DORATO E MANTECATO
PASTOTTO DORATO E MANTECATO
Ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di tubetti piccoli rigati,
1 etto di pancetta tesa tagliata a cubetti da ½ cm.di spigolo
7 grossi fiori di zucca, lavati, mondati privati del pistillo e tagliati in piccoli pezzi,
2 etti di provola fresca affumicata tagliata a cubetti da ½ cm. di spigolo,
3 etti di ricotta di pecora
2 cucchiaini di pistilli di zafferano,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
1 aglio mondato e schiacciato,
2 bicchieri e mezzo di olio d’oliva e.v.
1 bicchiere di vino bianco secco,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
3 litri di brodo vegetale da verdure fresche o da dadi vegetali (3)
1 etto di pecorino grattugiato,
sale doppio un cucchiaio,
sale fino e pepe nero q.s.
preparazione
Approntiamo innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e le verdure fresche spezzettate oppure con 3 dadi vegetali; nel caso delle verdure fresche aggiungere il cucchiaio di sale doppio e teniamolo a continuo lento bollore; nettare accuratamente i7 grossi fiori di zucca, privarli del pistillo e tagliarli in piccoli pezzi; mettiamoli al fuoco in un tegame con un bicchiere d’olio ed un aglio mondato e schiacciato; manteniamo il fuoco basso e dopo circa 15’ di cottura regoliamo di sale fino e pepe; teniamo in caldo e frattanto in un’altra ampia padella mettiamo a fuoco l’olio residuo con una cipolla tritata, facciamola appassire per 5’ ed aggiungiamo poi i cubetti di pancetta e facciamo rosolare il tutto per altri 10’ aggiungendo solo alla fine il trito di prezzemolo; abbassiamo ancóra i fuochi e teniamo il sugo al caldo; nel frattempo lessiamo a mezza cottura i tubetti nel brodo vegetale; quindi rimettiamo a fuoco vivace il tegame con cipolla e pancetta; appena à ripreso calore versiamo súbito la pasta prelevata con una schiumarola, bagniamo con il vino, ed aggiungendo uno o due mestoli di brodo portiamo a cottura; alla fine uniamo i fiori di zucca con il fondo di cottura dal quale avremo eliminato l’aglio, rimestiamo, aggiungiamo i pistilli di zafferano sciolti in poco brodo bollente e completiamo la cottura del pastotto; regoliamo eventualmente di sale fino; abbassiamo un poco i fuochi, aggiungiamo la dadolata di provola, uniamo la ricotta stemperata con pochissimo brodo, spolverizziamo di pecorino e mantechiamo rimestando accuratamente per l’ultima volta il pastotto e porzioniamolo nei piatti spolverizzandolo ulteriormente con il pecorino grattugiato e generosamente di pepe decorticato.
Servire caldo di fornello questo squisito pastotto, che appaga gusto e vista.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Note linguistiche:
pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risottovoce originaria lombarda derivata da riso
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo:
provola Voce di orig. merid., forse deriv. di prova (perché serviva all'assaggio); cfr. provatura s. f. formaggio a pasta filata semidura, tassativamente di latte di bufala (quello fatto con latte vaccino usurpa il nome di provola), che si mangia fresco o meglio affumicato; è specialità dell'Italia meridionale.
ricotta s. f. gustosissimolatticino molle e bianco, che si ottiene facendo bollire il siero di latte rimasto dopo la lavorazione del formaggio; deriva dal part. pass. di ricuocere,
zafferano s. m.
1 pianta erbacea con fiori violacei a imbuto, i cui stimmi essiccati costituiscono una droga in forma di polvere gialla,prodotta in massima parte nell’Abruzzo e nel Molise oltre che nella Sardegna, usata in medicina e in cucina come condimento aromatizzante; croco (fam. Iridacee)
2 la droga stessa
l’etimo della voce zafferano è dall’arabo zafaran 'croco'
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
PASTOTTO TERRA E MARE
PASTOTTO TERRA E MARE
Nota linguistica:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
Dosi per 6 persone
6 etti di avemarie (tubetti medio-piccoli)rigate ,
1kg e ½ di vongole veraci (quelle con doppio sifone)
3 piccole zucchine verdi e sode.
2 pomidori tipo Roma o Sanmarzano, rossi e maturi sbollentati e pelati,
1 aglio mondato e schiacciato,
1 grossa cipolla dorata,
1 carota,
1 ciuffo di prezzemolo lavato asciugato e tritato finemente,
2 coste di sedano bianco mondate dei filamenti,lavate asciugate e divese in pezzi di 3 cm.,
2 foglie di alloro,
1 rametto di piperna,
6 chiodi di garofano,
Un secondo ciuffo di prezzemolo lavato asciugato e tritato finemente assieme ad uno spicchio d’aglio mondato,
1 bicchiere e ½ di olio d’oliva e.v.
50 gr. di sugna,
1 bicchiere di vino bianco secco,
sale fino e pepe decorticato q.s.
Procedimento
Mettere al fuoco una pentola colma di 3 lt. di acqua fredda.Mondare la cipolla, dividerla in quattro parti e metterne tre nella pentola con l’acqua assieme alla carota grattata, lavata e tagliata verticalmente in quattro parti, le coste di sedano tagliate in grossi pezzi, e tutte le altre erbe ed odori, ½ bicchiere d’olio; salare e pepare ad libitum ed in circa 1 ora approntare un buon brodo vegetale; con un colino separare il brodo ed eleminare le verdure; in metà del brodo decantato (tenendone da parte un mestolo) mettere a lessare le avemarie(14’), avendo cura di tenere la pentola scoperta affinché la pasta alla fine risulti piuttosto asciutta;una volta lessata, trasferirla in una padella dove a mezza fiamma va mantecata con la sugna e metterla da parte.
Affettare le zucchine (lavate e spuntate) in rondelle da ½ cm. di spessore e stufarle con mezza cipolla tritata in ½ bicchiere d’olio.Alla fine spezzettarvi dentro i pomidoro, ed allungare con un po’ di brodo aggiustando di sale e pepe.
Frattanto in un’altra ampia padella porre le vongole ben lavate, unirvi l’aglio schiacciato, ½ bicchiere d’olio ed il vino; incoperchiare ed alzare la fiamma in modo che le vongole si aprano; alla fine prelevare dalle valve le vongole e porle in una scodella coprendole con il loro sugo di apertura filtrato con un colino di garza fitta.Unire le vongole con le zucchine stufate, aggiungere le avemarie mantecate ed a mezza fiamma, rimestare aggiungendo pepe nero macinato a fresco e spruzzando con il trito d’aglio e prezzemolo; se il pastotto dovesse risultare troppo asciutto (ma non dovrebbe…) bagnare con una mezza ramaiolata del brodo tenuto da parte prima di lessare la pasta.
Impiattare e servire ben caldo di fornello in tavola cospargendo le porzioni con il trito di prezzemolo ed aglio e generosamente di pepe decorticato .
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute e scialàteve!
raffaele bracale
domenica 27 dicembre 2015
LA CARCIOFFOLÀ DI DI GIACOMO
LA CARCIOFFOLÀ DI DI GIACOMO
Mi è stato chiesto, via e-mail, dalla cara amica A. A. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche parola per illustrarle il significato e la portata del termine carcioffolà in epigrafe usato dal poeta Salvatore DiGiacomo (Napoli, 13 marzo 1860 – † Napoli, 4 aprile 1934) quale titolo di una sua briosa canzone musicatagli nel 1893 dal maestro Eduardo Di Capua(NA 12/3/1865 - † NA 3/10/1917) . Evito di riportare per intero il lunghissimo testo che riproduce un grazioso dialogare tra una mamma ed una figlia e mi limito a rammentare che ognuna delle quattro parti della canzone si chiude con il distico: E ndanderandí./E ndanderandà./Che bona figliola/Carcioffolá!
Ed è proprio quel Carcioffolà usato in chiusura delle parti che à sollevato la curiosità dell’amica e ch’io m’auguro di poterle togliere. Dirò imnnanzitutto che l’amica non à tutti i torti ad essere incuriosita; d’acchito infatti non si coglie il significato di quel termine se lo si esclude dal contesto in cui è usato ed in una morfologia [accentata]che non si comprende e va chiarita atteso che il termine originario che l’à suggerito è quel nome comune sdrucciolo dell’ortaggio carciòffola che rende in napoletano il carciofo della lingua nazionale.
Perché mai un termine normalmente sdrucciolo è diventato tronco e cosa mai à che spartire l’ortaggio carcioffola divenuto carcioffolà con una figliola [seu ragazza]attestata bona [seu piacente, appetitosa e non banalmente buona]?Sono le due domande a cui bisogna dare una risposta per togliere la curiosità all’amica!Rispondere alla prima, è relativamente semplice: al poeta occorreva una parola tronca che sottolineasse in chiusura di strofa la briosità dell’argomento trattato e pensò bene di servirsi d’una licenza poetica, sposrtando l’accento di una parola sdrucciola, ma pregna del significato voluto, per farla diventare tronca, cosa che giovò anche al musicista che fu favorito nel poggiare su di una parola tronca la nota che doveva concludere la strofa. Un po’ piú complicato rispondere al secondo interrogativo, ma non impossibile e mi spiego: il collegamento tra l’ l’ortaggio carcioffola divenuto carcioffolà e la ragazza attesta formosa, piacente, appetitosa, cioè bbona va spiegato tenendo presente che il carciofo, in un modo di dire partenopeo ['a carcioffola s'ammonna fronna a ffronna] cioè Il carciofo si monda brattea a brattea, id est: le cose vanno fatte paulatim et gradatim(poco per volta e con gradualità ) se si vogliono raggiungere buoni risultati.Cosí una ragazza formosa, piacente, appetitosa non va assalita, ma va conquistata lentamente, e quasi poi consumata con studiata flemma per prolungare il piacere d’una eventuale conquista dei favori della ragazza. Tratto le due parole incontrate: bona agg.vo f.le di buono [dal lat. bona-m] 1)buona, affabile, amabile, bonaria, comprensiva, cortese,2)come nel caso che ci occupa formosa, piacente, appetitosa, avvenente, florida, generosa, prosperosa, disponibile; carcioffola s.vo f.le = 1)carciofo, ortaggio a brattee spinose e non 2) per traslato vulva di una donna giovane con riferimento all’organo stretto e serrato, non deflorato di una giovane donna tal quale il carciofo che se fresco e giovane à le brattee ben chiuse e serrate; [ in nap. voce dall’arabo harsûf addizionato del suff. diminutivo lat. ola (femm. di olus)]. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amica A. A. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
PASTOTTO RIPIENO GOLOSO
PASTOTTO RIPIENO GOLOSO
Illustro qui di seguito una gustosissima ricetta per un primo piatto di tutto rispetto.
ingredienti e dosi per 6 persone
6 etti di avemarie ( tubetti medio-piccoli rigati),
2 melanzane napoletane lavate asciugate e tagliate a cubetti da 1 cm di spigolo,
3 etti di provola fresca affumicata tagliata a cubetti da ½ cm. di spigolo,
1 cucchiaio di sale fino (per lo spurgo delle melanzane)
2 cucchiai di doppio concentrato di pomidoro,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
1 aglio mondato e schiacciato,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
1 bicchiere e 1/2 di vino bianco secco,
2 etti di pancetta affumicata in dadini da ½ cm di spigolo,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
3 litri di brodo da dadi vegetali (3)
2 bustine di zafferano,
1 etto di pecorino grattugiato,
6 cucchiai di pinoli tostati in forno,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
preparazione
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e 3 dadi vegetali e tenerlo a continuo lento bollore;a seguire mettere a fuoco vivace un tegame, possibilmente di coccio, con un bicchiere d’olio la cipolla mondata e tritata ed un aglio mondato e schiacciato;quando l’aglio sarà dorato eliminarlo ed aggiungere i cubetti di melanzana, sciacquati e premuti che preventivamente erano stati tenuti a spurgare cosparsi di sale fino per perdere l’amaro liquido di vegetazione e friggerli; prelevati dal tegame vanno tenuti in caldo ed a seguire nel medesimo ampio tegame, rabboccare l’olio, aggiungere un cucchiaio di trito di cipolla e farla dorare; súbito dopo unire i dadini di pancetta e farli rosolare,aggiungere il concentrato di pomidoro sciolto con mezzo bicchiere di vino e far sobbollire per circa 15 minuti infine versare tutta la pasta, bagnare con il vino residuo, e rimestarla per cinque minuti ; a seguire aggiungere a mano a mano piccole ramaiolate di brodo vegetale tenuto a bollore e portare quasi a cottura il pastotto in circa 12’ unendo quasi alla fine lo zafferano sciolto in un po’ di brodo bollente;al termine dei 12’ aggiungere dapprima le melanzane fritte e poi la dadolata di provola, rimestare e portatare a termine in ulteriori 3 minuti la cottura del pastotto; regolare eventualmente di sale fino; abbassare un po’ i fuochi, spolverizzare con il pecorino e mantecare rimestando accuratamente per l’ultima volta il pastotto;al termine aggiungere il trito fresco di prezzemolo; porzionarlo nei piatti spolverizzandolo ulteriormente con il pecorino grattugiato e generosamente di pepe decorticato macinato a fresco ed infine aggiungendo, per ogni porzione, un cucchiaio di pinoli tostati. Servire caldo di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Note linguistiche:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
provola Voce di orig. merid., forse deriv. di prova (perché serviva all'assaggio); cfr. provatura s. f. formaggio a pasta filata semidura, tassativamente di latte di bufala (quello fatto con latte vaccino usurpa il nome di provola); è una sorta di continuazione della lavorazione di mozzarella in pezzatura maggiore, salata ed affumicata che si mangia fresco o usato per ripieni o cotto impanato e fritto o in accompagnamento di uova; è specialità dell'Italia meridionale.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute, e scialàteve!
raffaele bracale
PASTOTTO RICCO CON SALSICCIA, PORCINI E PROVOLA
PASTOTTO RICCO CON SALSICCIA, PORCINI E PROVOLA
Ingredienti e dosi per 6 persone:
6 etti di avemarie ( tubetti medio-piccoli rigati),
6 grossi funghi porcini freschi o surgelati se di ottima qualità,
3 etti di provola fresca affumicata tagliata a cubetti da ½ cm. di spigolo,
8 rocchi di salsiccia spellati e sgranati,
1 cipolla dorata tritata grossolanamente,
1 aglio mondato e schiacciato,
2 bicchieri e mezzo di olio d’oliva e.v.
1 bicchiere e 1/2 di vino bianco secco,
1 etto di pancetta affumicata in dadini da ½ cm di spigolo,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente.
3 litri di brodo da dadi vegetali (3)
2 bustine di zafferano,
1 etto di pecorino grattugiato,
6 cucchiai di pinoli tostati in forno,
sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s.
preparazione
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e 3 dadi vegetali e tenerlo a continuo lento bollore;a seguire nettare accuratamente i funghi con un cencio umido e con un affilatissimo coltellino e sfettarli alla francese(taglio obliquo con lama posta a 45° lungo l’asse maggiore)in pezzi di circa ½ cm. di spessore. Mettere a fuoco vivace un tegame, possibilmente di coccio, con un bicchiere d’olio la cipolla mondata e tritata ed un aglio mondato e schiacciato;quando l’aglio sarà dorato aggiungere i funghi sfettati, unire i rocchi di salsiccia spellati e sgranati e bagnare il tutto con un bicchiere di vino, farlo evaporare, ed aggiungere mezzo bicchiere d’acqua bollente, abbassare i fuochi e dopo circa 10’ di cottura, regolare di sale fino e pepe e continuare la cottura per altri 15’ aggiungendo solo alla fine ed a fuochi spenti, il trito di prezzemolo; abbassare ancóra i fuochi e tenere il sugo in caldo; porre a fuoco vivace in un altro ampio tegame anch’esso di coccio un bicchiere d’olio con un cucchiaio di trito di cipolla e farla dorare; súbito dopo unire i dadini di pancetta e farli rosolare, infine versare tutta la pasta, bagnare con il vino residuo, e rimestarla per cinque minuti ; a seguire aggiungere a mano a mano piccole ramaiolate di brodo vegetale tenuto a bollore e portare quasi a cottura il pastotto in circa 12’ unendo quasi alla fine lo zafferano sciolto in un po’ di brodo bollente;al termine dei 12’ aggiungere i funghi e le salsicce con il fondo di cottura dal quale si sarà eliminato l’aglio, rimestare e portatare a termine in ulteriori 3 minuti la cottura del pastotto; regolare eventualmente di sale fino;aggiungere la dadolata di provola, abbassare un po’ i fuochi, spolverizzarecon il pecorino e mantecare rimestando accuratamente per l’ultima volta il pastotto; porzionarlo nei piatti spolverizzandolo ulteriormente con il pecorino grattugiato e generosamente di pepe decorticato macinato a fresco ed infine aggiungendo, per ogni porzione, un cucchiaio di pinoli tostati. Servire caldo di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Note linguistiche:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
porcini plur. di porcino dal lat. porcinu(m), deriv. di porcus 'porco's. m. fungo spontaneo commestibile assai pregiato con gambo grosso biancastro e cappello spugnoso bruno-castano, alla cui ricerca un tempo con gran successo erano adibiti i maiali addestrati (donde il nome porcino).
rocchi s.vo m.le pl.le di
rocchio s.vo m.le
1 (arch.) blocco di pietra di forma cilindrica che compone il fusto di una colonna
2 (estens.e nel caso che ci occupa) pezzo cilindrico di qualcosa: un rocchio di salsiccia, ogni porzione compresa fra due nodi; un rocchio di carne, un pezzo di carne magra, senza osso. un rocchio di salsiccia pezzo di salsiccia compreso tra due legature; voce dal lat. rotulu(m)→rotlu(m)→rocchio
provola Voce di orig. merid., forse deriv. di prova (perché serviva all'assaggio); cfr. provatura s. f. formaggio a pasta filata semidura, tassativamente di latte di bufala (quello fatto con latte vaccino usurpa il nome di provola); è una sorta di continuazione della lavorazione di mozzarella in pezzatura maggiore, salata ed affumicata che si mangia fresco o usato per ripieni o cotto impanato e fritto o in accompagnamento di uova; è specialità dell'Italia meridionale.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute, e scialàteve!
raffaele bracale
PASTOTTO MANTECATO SU VELLUTATA DI MELANZANE
PASTOTTO MANTECATO SU VELLUTATA DI MELANZANE
Nota linguistica:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
Dosi per 6 persone
per il pastotto
6 etti di tubetti piccoli rigati,
6 piccole zucchine napoletane verdi e sode,
2 agli mondati e schiacciati,
2 cipolle dorate ,
1 carota,
2 coste di sedano bianco,
12 chiodi di garofano,
2 foglie di alloro,
1 rametto di maggiorana ed uno di piperna, lavati, asciugati e sbriciolati finemente,
1 limone di Sorrento non trattato,
3 etti di mozzarella in cubetti da ½ cm. di spigolo,
1 etto di caciocavallo piccante silano grattugiato a scaglie grosse,
1 bicchiere e ½ di olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
50 gr. di sugna,
1 bicchiere di vino bianco,
sale fino e pepe nero q.s.
per la vellutata
Sei melanzane violette napoletane spuntate, lavate ed asciugate,
1 spicchio d'aglio mondato e tritato,
1 bicchiere d’ olio extravergine d'oliva,
1 cucchiaio di pinoli,
sale fino q.s.
pepe decorticato q.s.
un ciuffo di basilico lavato ed asciugato.
Procedimento
Cominciamo ad approntare la vellutata nel modo che segue: Tagliare a metà longitudinalmente le melanzane spuntate, lavate ed asciugate, eliminare i semi in eccesso, bucherellarle sul dorso con i rebbi di una forchetta ed adagiarle, a dorso in su, in una pirofila leggermente unta, mandarle in forno preriscaldato a 200 gradi e tenervele trenta minuti;farle intiepidire e servendosi della punta d’ un cucchiaio recuperarne tutta la polpa trasferendola in un mixer con lame da umido, aggiungere lo spicchio d'aglio mondato e tritato, il bicchiere d’ olio extravergine d'oliva
sale fino,pepe decorticato, i pinoli ed un ciuffo di basilico lavato ed asciugato e frullare sino ad ottenere una vellutata soffice e cremosa. Tenere da parte. A seguire
mettete al fuoco una pentola colma di 4 - 5 lt. di acqua fredda.Mondate una cipolla, dividetela in quattro parti e mettetene tre nella pentola con l’acqua assieme alla carota grattata, lavata e tagliata verticalmente in quattro parti, le coste di sedano tagliate in grossi pezzi,i chiodi di garofano, un aglio mondato e schiacciato, la piperna tritata e l’alloro, ½ bicchiere d’olio; salate e pepate ad libitum ed a fuoco lento, in circa un’ ora approntate un buon brodo vegetale; con un colino separarte il brodo ed eleminate le verdure tenendole da parte;nel brodo decantato mandato a bollore, mettete a lessare per circa dieci minuti i tubetti, avendo cura di tenere la pentola coperta affinché la pasta alla fine non risulti asciutta;una volta lessata, prelevate i tubetti con una schiumarola e traferiteli in un ampia padella dove a mezza fiamma,li terrete in caldo e poi metteteli da parte.Nel frattempo
affettate le zucchine (lavate e spuntate) in rondelle da ½ cm. di spessore e stufatele con l’ultima cipolla avanzata ben tritata fatta dorare assieme all’ altro aglio schiacciato (poi eliminato) in ½ bicchiere d’olio.A mezza cottura grattugiatevi la scorza del limone aggiustando di sale e pepe.
Unite alle zucchine cosí stufate, i tubetti lessati al dente e versando successive piccole ramaiolate di brodo vegetale portate a cottura il pastotto a padella coperta sempre a mezza fiamma; alla fine aggiungete lo strutto e rimestate; infine versate sui tubetti la dadolata di mozzarella ed a fiamma vivace aggiungendo un filo d’olio a crudo mantecate ancóra e cospargete infine il caciocavallo grattugiato ed il pepe nero macinato a fresco e spruzzando con il trito di maggiorana; se alla fine il pastotto dovesse risultare troppo asciutto (ma non dovrebbe…) bagnate con una mezza ramaiolata del brodo che avrete tenuto da parte prima di lessare la pasta. A questo punto distribuite a specchio sul fondo dei singoli piatti la vellutata di melanzane ed
impiattate il pastotto servendo súbito in tavola ben caldo di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Attenzione: le verdure usate per il brodo, non vanno buttate, ma raffreddate e condite con olio, sale, pepe ed aceto possono usarsi per contorno di portate di carni in umido o formaggi freschi da far seguire eventualmente al pastotto.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale
PASTOTTO CON I FIORI DI ZUCCHINE.
PASTOTTO CON I FIORI DI ZUCCHINE.
Per 6 persone
450 gr. di tubetti rigati,
50 gr. di pancetta tesa tagliata a cubetti
1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
1 spicchio d’aglio in camicia, schiacciato
1 cipolla dorata affettata grossolanamente
500 gr. di gialli fiori di zucchine,
3 litri di bollente brodo vegetale preparato con acqua, cipolla, carota, sedano, chiodi di garofano, piperna e sale oppure con 3 cucchiaini di buon dado granulare vegetale;
2 bustine di zafferano
sale e pepe nero q.s.
1 etto di formaggio pecorino grattugiato.
Procedimento
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e tutte le verdure e gli aromi oppure con acqua fredda e 3 cucchiaini di buon dado granulare vegetale e tenerlo a continuo lento bollore;
Pulire accuratamente dai filamenti (presenti sul gambo e sul calice) i fiori di zucchine, aprirli longitudinalmente ed eliminare i pistilli; lavarli e metterli a scolare in un colapaste.
*Attenzione! I fiori occorrenti per questo pastotto sono i grossi fiori gialli di zucchina, non sono i medesimi fiori quando però sono ancora piccoli (donde il nome sciurilli= piccoli fiori), chiusi e del tutto verdi che vengono usati per prepare un ottimo risotto e/o pastotto (vedi alibi.)!
In un’ampia padella versare i due terzi dell’olio, aggiungere l’aglio in camicia e schiacciato e, appena sia imbiondito, versare i fiori mondati, lavati e colati; incoperchiare e lasciarli stufare per circa 15’; alla fine salare ed infine prelevare i fiori con una schiumarola,scartando l’aglio, ponendoli nel mixer per ottenerne a bassa velocità una delicata crema. Nel frattempo lessare a mezza cottura i tubetti nel brodo vegetale bollente.
Robboccare l’olio nella padella, portarlo a temperatura, aggiungere la cipolla, farla appassire ed unire la pancetta facendola rosolare;versare in questo fondo i tubetti lessati aggiungendo una o due ramaiolate di bollente brodo vegetale e completare la cottura della pasta; sul finire della cottura aggiungere le bustine di zafferano ; rimestare e súbito dopo unire la crema di fiori; sempre a fiamma alta cospargere con il pecorino mantecando il pastotto con l’aggiunta di un ulteriore filo d’olio d’oliva e.v., regolando eventualmente di sale.
Impiattare, spolverizzare di abbondante pepe nero e servire ben caldo.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo.
Nota linguistica:
pastotto è un neologismo che ò coniato ad imitazione della voce risotto che è voce originaria lombarda derivata da riso
il pastotto (voce derivata da pasta) indica una particolare minestra di pasta corta (tubetti) che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condito in vario modo;
raffaele bracale.
PASTOTTO ARROSTO AL DOPPIO CONCENTRATO.
PASTOTTO ARROSTO AL DOPPIO CONCENTRATO. Nota linguistica:
. pastotto neologismo da me ideato derivandolo da pasta marcato ad imitazione del termine risotto voce originaria lombarda derivata da riso;
con la voce pastotto indico una particolare minestra di pasta che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condita in vario modo;
ingredienti e dosi per 6 persone:
5 etti di avemarie (tubetti medio-piccoli rigati),
3 etti di polpa (spalla) di maiale ben macinata,
2 etti di pancetta tesa tagliata a dadini da ½ cm. di spigolo,
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
1 cipolla, 1 carota, 1 costa di sedano mondate e finemente tritate assieme,
1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato,
1 bicchiere di vino rosso secco,
2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro,
30 g. di funghi secchi ammollati in acqua bollente e strizzati,
3 litri circa di brodo bollente preparato con verdure fresche oppure con 2 dadi da brodo vegetale,
1 etto di pecorino (laticauda) grattugiato,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
sale fino e pepe bianco q.s.
procedimento
Approntare innanzi tutto il brodo vegetale con tre litri d’acqua fredda e le consuete verdure mondate: carota, cipolla,zucchine verdi, mazzetto d’erbette etc., oppure 3 dadi vegetali e tenerlo a continuo lento bollore;a seguire versare in un tegame adatto a passare in forno tutto l’olio, portarlo a temperatura ed aggiungere il trito di cipolla, carota e sedano facendolo lentamente dorare assieme ad uno spicchio d’aglio mondato e schiacciato che poi è da togliere; aggiungere la pancetta e farla rosolare per qualche minuto, aggiungendo súbito dopo la carne macinata, bagnarla con il vino da fare evaporare a fiamma alta e farla rosolare per circa 15 minuti; súbito dopo allungare il sugo con mezza ramaiolata di brodo bollente in cui sia stato disciolto il doppio concentrato di pomidoro ed a mezza fiamma lasciare sobbollire per altri 10 minuti; nel frattempo lessare in metà del brodo, a mezza cottura i tubetti, prelevarli con una schiumarola ed aggiungerli all’intingolo e farli insaporire per qualche minuto; regolare di sale e pepe ad libitum ed aggiungere i funghi ammollati; versare sui tubetti il brodo residuo e trasferire il tegame in forno preriscaldato (200°) e portare a cottura il pastotto arrosto in circa 20 minuti; alla fine fuori del forno cospargere con il pecorino e rimestando in senso orario, mantecare accuratamente il pastotto aggiungendo, se del caso, un sottile filo d’olio; spruzzare con il trito di prezzemolo e generosamente con il pepe decorticato; dare un’ultima rimestata ed impiattare caldo di forno questo gustoso pastotto.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
mangia Napoli, bbona salute e scialàteve!
raffaele bracale
sabato 26 dicembre 2015
PASTOTTO CON PATATE E PROVOLA AFFUMICATA.
PASTOTTO CON PATATE E PROVOLA AFFUMICATA.
Nota linguistica:
pastotto è un neologismo che ò coniato ad imitazione della voce risotto che è voce originaria lombarda derivata da riso
il pastotto (voce derivata da pasta) indica una particolare minestra di pasta corta (tubetti) che viene cotta nel brodo, destinato a essere completamente assorbito nel corso della cottura, e che può essere condito in vario modo;
E veniamo alla ricetta:
ingredienti e dosi per 6 persone:
5 etti di avemarie (tubettipiccoli rigati),
1 litro e mezzo di brodo vegetale da 2 dadi vegetali,
2 bustine di zafferano,
6 etti di patate vecchie, a pasta bianca1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.
1 cipolla dorata mondata ed affettata
1 costola di sedano bianco a tocchetti,
1 spicchio d’aglio mondato e tritato,
1 peperoncino piccante lavato, asciugato, privato di picciolo e corona e tagliuzzato,
1 etto di pancetta tesa a listarelle
4 foglie di basilico
4 etti provola affumicata tagliata a dadini da ½ cm. di spigolo,
Sale fino alle erbette e pepe q.s.
sale doppio un pugno,
1 etto di pecorino grattugiato,
1 ciuffo di prezzemolo tritato finemente.
Procedimento
Lessare in acqua salata(pugno di sale doppio)per venti minuti dal primo bollore le patate, spellarle e schiacciarle conservando in una terrima il passato. A seguire approntare il brodo vegetale con un litro e mezzo di acqua fredda e due dadi da brodo vegetale e tenerlo a continuo lento bollore; a seguire in un proporzionato tegame soffriggere per 10 minuti nell’olio,la cipolla e l’aglio tritati, il sedano bianco a tocchetti, la pancetta a cubetti ed il peperoncino tagliuzzato, poi aggiungere le patate schiacciate; bagnare il tutto con una tazza da tè d’acqua bollente in cui siano disciolte le due bustine di zafferano e fare insaporire a fuoco lento regolando alla fine di sale fino alle erbette ; aggiungere una ramaiolata di brodo vegetale e súbito anche i tubetti; aggiungere poi successive ramaiolate di brodo per portare a cottura il pastotto che dovrà risultare piuttosto asciutto regolando di sale e di pepe; in fine aggiungere la dadolata di provola ed il pecorino grattugiato e mantecare a mezza fiamma per cinque minuti rimestando accuratamente fino a che la provola cominci a filare; indi impiattare, cospargere di pepe aggiungendo su ogni porzione il trito di prezzemolo ed un filo d’olio d’oliva e servire súbito in tavola questo gustoso, salutare pastotto ricco di sapore. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve!
raffaele bracale
LA SMORFIA NAPOLETANA parte 3ª
LA SMORFIA NAPOLETANA parte 3ª
E veniamo alla parte conclusiva dell’elencazione dei piú comuni soggetti, oggetti o situazioni considerati nella smorfia partenopea; in questa parte elencherò i numm. dal 61 al 90.
61 – ‘O CACCIATORE = il cacciatore e segnatamente chi si dedichi allo sport venatorio, armato di fucile o doppietta , accompagnato da uno o piú cani da caccia ed agghindato con carniere, tascapane, cartucciera etc., personaggio cosí noto e presente nell’àmbito campagnolo e provinciale del vivere quotidiano da meritarsi un ben identificato ricordo nella smorfia dei sogni oltre ad essere presente, quantunque con evidente forzatura storico-temporale, nei tradizionali presepî partenopei della fine settecento, princípi ottocento; sono esclusi dalla voce a margine (che etimologicamente è un deverbale del basso latino captiare frequentativo del classico capere= prendere) ogni altro tipo di predatore che vada a caccia con altro tipo di arma che non sia il fucile ( che è da un lat. volg. (petram) focile(m) '(pietra) da fuoco, acciarino', deriv. di focus 'fuoco') o la doppietta che è un tipico fucile da caccia con doppia (da cui il nome) canna affiancata o sovrapposta. ).
Semanticamente il 61 è inteso figura del cacciatore in quanto formato dal 60 figura di molte munizioni in quanto doppio del 30(cfr. antea: le palle del tenente) addizionato dell’1 figura del fucile, palle e fucile che son proprie del cacciatore.
62 – ‘O MUORTO ACCISO vale a dire il morto assassinato,ammazzato; qui la smorfia prende in considerazione non il morto semplice, quello cioè defunto per cause naturali, del quale nel parlato comune s’usa dire che è morto nel proprio letto (anche quando tecnicamente ciò non sia vero) e cioè sia morto per malattia, vecchiaia , morto che come tale è già ricordato con il num. 47, ma colui che sia defunto di morte violenta e segnatamente con spargimento di sangue per mano di inveterati o occasionali nemici ed estensivamente anche il morto vittima del proprio dovere, sul lavoro, in guerra etc.; come già vedemmo al num. 47 etimologicamente muorto è il part. pass. del verbo murí dal latino morire collaterale del classico mori, mentre acciso risulta essere il part. passato del verbo latino accidere da un lat. volgare ad – caèdere→accedere→accidere collaterale di ob- caèdere→occedere→occidere→uccidere.).
Semanticamente il 62 è inteso figura del morto assassinato in quanto il 62 è formato addizionando il numero 41 (cfr. antea: il coltello) ed il numero 21 che vale oltre che la donna nuda, anche la ferita mortale da arma bianca; dall’unione dell’arma bianca (il coltello) e la ferita mortale ch’esso può provocare, ne scaturisce il morto assassinato.
63 – ‘A SPOSA la sposa, colei che convola a nozze, ma non a quelle… riparatrici; rammenterò che nelle tombole familiari d’antan usava divertirsi ponendo a colui che estraeva i numeri, al momento dell’estrazione del num. 63 addizionato del sacramentale ‘a sposa!, la repentina domanda: Quant’anne teneva? E ‘o sposo? tenendo per buoni e soddisfacenti i due numeri che venivano estratti súbito dopo quello a margine e l’ilarità era tanto maggiore quanto piú fosse alta la differenza tra il numero che nel giochino indicava la presunta età della sposa e quello che indicava la presunta età dello sposo; spesso per un curioso gioco del destino capitava che l’età ipotetica della sposa fosse compresa tra i numm. 70 e 90 e quella dello sposo tra i numm. 20 e 30, per cui immancabilmente s’udiva il salace commento: Se ll’era saputo piglià, eh?! Etimologicamente ‘a sposa risultando essere il part. pass. femminile del basso lat. sponsare 'fidanzarsi', deriv. di sponsus, part. pass. di spondíre 'promettere', dovrebbe significare fidanzata, promessa, ma poi finí per essere attrubuito a colei che giungeva alle nozze, dopo un periodo piú o meno lungo di fidanzamento (deverbale di un fr. ant. fiancer 'impegnarsi, garantire', poi 'promettere in matrimonio'. Anche per il numero 63 accostato alla figura della sposa, semanticamente occorre parlare di un avvicinamento di tipo fantasioso in quanto questa volta nel numero 63 si può riconoscere nel 6 (cfr. antea: organo femminile) la donna e nel 3, che tiene dietro al 6, si può figurare il rigoglioso petto d’ una giovane sposina.
64 – ‘A SCIAMMERIA letteralmente si tratta di un’ampia giacca da cerimonia che a Napoli è appunto détta con voce intraducibile sciammeria: giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese càmbre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo càmberga sempre che non derivi direttamente dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, è resa in italiano col termine giamberga ; personalmente trovo piú convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona;
come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo e con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria onirica, è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, avendo probabilmento acceso nella loro fantasia notturna la scena d’una unione sessuale, piuttosto che d’una giacca da cerimonia.
Per venire a capo del perché al numero 64 è associata la figura della sciammeria, occorre ricordare che – come ò détto – con il termine sciammeria si intende sia una giacca da cerimonia che un amplesso e tenuto presente che i napoletani accennando ad una sciammeria onirica, è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi,semanticamente occorre parlare anche in questo caso di un avvicinamento di tipo fantasioso in quanto questa volta nel numero 64 si può riconoscere nel 6 (cfr. antea: organo femminile) la donna,coprotagonista dell’amplesso onirico e nel 4,che tiene dietro al 6, si può figurare graficamente una una smorfia di laido godimento dell’uomo che s’è congiunto alla donna.
65 – ‘O CHIANTO cioè il pianto in primis della donna (adusa a tanto) come manifestazione consistente nella reiterata e copiosa emissione di lacrime che arrossano gli occhi e rigano il volto, ma non necessariamente a sèguito o a causa di un dolore, di un lutto, di un grave dispiacere; la donna infatti spesso piange per molto meno o tutt’altro allo scopo di commuovere qualcuno ed ottenere qualcosa; in napoletano tuttavia con la parola a margine si indica pure, con linguaggio familiare e scherzoso, una cosa mal fatta, mal riuscita ed ancora una persona noiosa, fastidiosa: ‘stu vestito è ‘nu chianto; questo vestito è un pianto! o frateto è ‘nu chianto: tuo fratello è un pianto! È chiaro che l’accezione della voce a margine è quella che si riferisce ad un dolore, un lutto, un dispiacere che inducono le lacrime, non quella che riguarda l’estensione scherzosa. Detto che etimologicamente ‘o chianto è da un lat. planctu(m) 'colpo di chi si batte il petto', deriv. di plangere 'battere', poi 'piangere'normale ed usuale il passaggio di pl→chj rammenterò che a Napoli L'elemento di fondazione, che segna l'inizio della infrastrutturazione cimiteriale della zona di Poggioreale, è il Cimitero di Santa Maria del popolo, detto "delle 366 fosse", dovuto a Ferdinando Fuga, ed edificato nel 1762. Il cimitero rappresenta un monumento di straordinaria importanza rappresentando l'unico esempio conosciuto di "macchina illuminista" cimiteriale. Si tratta di una attrezzatura civica che anticipa, di almeno cinquant'anni, gli editti napoleonici riguardanti l'igiene delle sepolture e il conseguente obbligo di edificare i cimiteri lontano dall'abitato: si pensi che, all'epoca, a Napoli l'inumazione degli indigenti avveniva in una cavità dell'ospedale degli Incurabili, in piena città. L'impianto è basato su di una corte quadrata, di 80 metri di lato, recintata da un muro che si duplica, all'ingresso, a formare un basso edificio con il pronao d'ingresso, una semplice cappella e l'alloggio del custode. Altro elemento fondativo del complesso cimiteriale è il Cimitero di Santa Maria del Pianto (detto comunemente dal popolo ‘O CHIANTO) con l'omonima chiesa a pianta centrale, di impianto seicentesco, intorno alla quale sin dalla peste del 1656 avveniva l'inumazione dei cadaveri. L'attuale cimitero che consta di una amplissima superficie di oltre 20.000mq ed è dovuto ad una sistemazione ottocentesca e ad espansioni successive, si presenta su di un ripido versante, terrazzato sia nella parte della recente espansione che in quella ottocentesca, e con articolati percorsi a tornante e scale. Il cimitero oggi appare densamente edificato, in prevalenza con cappelle private ed edifici per congreghe di media dimensione. Della ricca vegetazione originale restano alcuni imponenti esemplari di cygas ed un cedro secolare posto all'ingresso, mentre nella espansione recente sono
stato impiantati numerosi cipressi. Da rammentare che nel rigoglioso giardino all’inglese del Chianto è ricavato il c.d. recinto degli uomini illustri, dove ànno trovato sepoltura, meta della visita commossa del popolo napoletano, gli uomini illustri partenopei per nascita o morte, o per adozione : letterati, poeti, musicisti, drammaturghi, ma anche cantanti lirici ed attori famosi; tra questi uomini illustri son da rammentare E. Caruso, G. Donizetti, S. Di Giacomo, Libero Bovio, E. Murolo, il principe A. de Curtis in arte Totò e tanti altri.
Semanticamente, per l’accostamento del pianto al numero 65, occorre parlare ancóra una volta di un avvicinamento di tipo fantasioso in quanto questa volta nel numero 65 si può riconoscere nel 6 (cfr. antea: organo femminile) la donna, adusa ad un pianto spesso interessato e nel 5,che tiene dietro al 6, si può figurare graficamente uno sfarfallio di atteggiamento ironico della donna che pur piangendo à inteso prendersi giuoco di qualcuno.
66 – ‘E DDOJE ZETELLE o anche ‘e ddoje sarcenelle letteralmente: le due nubili o anche le due piccole fascine; ci troviamo di fronte, come ognuno può intendere, ad una indicazione di sapore furbesco; in effetti la voce originaria ricordata con il numero a margine, fu dapprima ‘e ddoje sarcenelle che qualcuno storpiava in ‘e ddoje sarchielle di carattere marcatamente furbesco atteso che con il termine sarcenella, ma anche con sarchiella(quantunque quest’ultima voce non trovava riscontro alcuno e fosse solo una patente corruzione della precedente sarcenella), si intendeva riferirsi all’organo sessuale femminile, e segnatamente a quello di una donna che per essere ancora nubile, sebbene abbastanza anziana l’avesse ispido e ben serrato a guisa di una piccola fascina (buona solo per essere arsa…) e che si tratti di due vulve lo si può agevolmente ricavare dal fatto che il numero a margine è formato dall’accostamento di due 6 (quel 6 che come vedemmo nella 1° parte indica chella ca guarda ‘nterra id est la vulva;) in prosieguo di tempo poiché non tutti all’annuncio: 66 ‘e ddoje sarcenelle, si rendevano conto di cosa si stesse parlando, si abbandonò l’annuncio figurato per dire molto piú praticamente: 66 ‘e ddoje zetelle. Etimologicamente sarcenella di cui sarcenelle è il plurale, è il diminutivo di sàrcena da un acc. latino sarcina(m)=fascina da ardere mentre la voce zetella, il cui plurale è zetelle è il diminutivo di zita che è voce di orig. dial., variante di citta = fanciulla.
Molto semplice spiegarsi semanticamente l’accostamento di due nubili al numero 66, nel quale si può riconoscere l’accoppiamento di due numeri 6 e cioè di due donne (cfr. antea: organo femminile).
67 – ‘O TOTARO DINT’ Â CHITARRA letteralmente: il totano nella chitarra,ma anche in questo caso ci troviamo davanti ad una figurazione dal sapore marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figura riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire 'andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra con il foro della rosa; quanto all’etimologia abbiamo: totaro deriv. del gr. teuthís o têutòs con lo stesso significato di mollusco simile al calamaro; la voce pur partendo dal greco è giunta nel napoletano attraverso un basso latino tutanu(m) con metaplasmo e cambio di suffisso nu→ro. chitarra dall'ar. qîtâra, che è dal gr. kithára. Semanticamente, per l’accostamento del coito al numero 67, occorre parlare ancóra una volta di un avvicinamento di tipo fantasioso in quanto questa volta nel numero 67 si può chiaramente leggere nel 6 (cfr. antea: organo femminile) la donna e nel 7,che tiene dietro al 6, si può figurare graficamente l’organo maschile inastato.
68 – ‘A ZUPPA ‘E CARNACOTTA letteralmente la zuppa di carne cotta o zuppa di frattaglie (interiora del vitello affettate sottilmente e cotte in un brodo privo di grassi aggiunti, ma ricco di verdure e spezie; questa zuppa viene servita caldissima, a mestolate, (su pochefreselle (dal latino frendere= spezzettare)fette di pane biscottato) in un’ampia ciotola, accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso e rappresentò, per anni, specie nei mesi invernali il gustoso asciolvere della povera gente o dei salariati. rammenterò che tale zuppa è nota a Napoli anche con il termine ‘a mariscialla; a Napoli una volta esistevano ed in qualche vicolo della vecchia città se ne può incontrare ancora qualcuno, i cajunzare (ventraiuoli) cioè i venditori ambulanti che su attrezzati carrettini trainati a mano servivano le trippe cioè il quinto quarto della bestia macellata e tali trippe erano servite ben affettate e ridotte in piccoli pezzi, disposti su fogli di carta oleata ed erano da portare alla bocca con le dita senza l’ausilio di alcuna posata o attrezzo cosparsi di parecchio sale ed irrorati con il succo di limone; spesso affettavano la trippa lessata (specialmente la parte detta cientopelle) in strisce larghe e lunghe come i galloni dei marescialli dell’epoca murattiana quando si indossavano divise fantasmagoriche , per cui i ventraiuoli battezzarono mariscialla la zuppa ricavata da frattaglie di vitello bollite con aggiunta come ò detto solo di poche erbe aromatiche; etimologicamente zuppa dal got. suppa 'fetta di pane inzuppata' mentre carnacotta è l’adattamento dialettale per fusione del toscano carne cotta, e mariscialla è un giocoso femminile ricostruito di maresciallo che è dal fr. marécàl, a sua volta dal lat. mediev. mariscalcus; cfr. maniscalco.
Semanticamente il 68 è accostato alla zuppa di frattaglie per una mera questione di rima
69 – SOTTO E ‘NCOPPA letteralmente sotto e sopra , ma piú esattamente posti di fronte in posizione inversa; anche in questo caso, pur partendo dall’ovvia osservazione che il numero 69 è formato con due cifre di cui l’una, il 6 posto in posizione classicamente verticale, mentre il 9 pare quasi un 6 posto in posizione inversa tale da determinare un numero formato da cifre poste di fronte in posizione inversa, ci troviamo a parlare di una situazione furbesca riproducente il c.d. coito orale; quanto all’etimologia, sotto è da un basso latino subtus derivato di sub, mentre ‘ncoppa = sopra è forgiato da un in illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra. Di un’ovvietà disarmante il perché semanticamente il 69 è accostato al sotto sopra che si coglie nel fatto che il 69 è formato di due cifre di cui la prima (il 6) è vergato in posizione classicamente verticale, mentre l’altra (il 9) pare quasi un 6 posto in posizione inversa, sottosopra.
70 – ‘O PALAZZO o piú esattamente ‘O PALAZZO ‘E CASA e cioè il palazzo o con tipica tautologia partenopea il palazzo di casa che – a prima vista – potrebbe sembrare un’inutile precisazione ed invece non lo è, poi che con la parola palazzo che etimologicamente è dal latino palatiu(m) 'colle Palatino', poi 'palazzo imperiale', che nella Roma imperiale sorgeva su quel colle si intende genericamente qualsiasi edificio di grandi proporzioni e di pregio architettonico, adibito soprattutto un tempo ad abitazione di re, principi o famiglie nobili, e oggi per lo piú a sede di organi di governo, di uffici pubblici, di istituzioni culturali e sim., mentre con l’espressione palazzo ‘e casa ci si riferisce ad un piú contenuto edificio anche non di grandi proporzioni e pregio architettonico dove però si abbia la propria stabile dimora in appartamenti di un numero variabile di stanze dette - con tipica iperbole napoletana – case ( dal latino casa propriamente casa rustica opposta alla domus abitazione del dominus formata di molti piú vasti ambienti ed annesse pertinenze: giardini etc.
Tra le specificazioni del palazzo ‘e casa rammenterò il c.d. palazzo ‘e casa a spuntatora e cioè il palazzo con due entrate situate o su strade adiacenti o parallele, palazzo che come la c.d. casa cu ddoje porte risultò molto inviso ai mariti gelosi che temettero la possibilità da parte d’un probabile amante della fedifraga consorte, di attingere le grazie di detta infedele moglie entrando in casa o nel palazzo attraverso l’uscio non usato abitualmente dal marito tradito.
Mi piace rammentare ora un’amenità che si poteva udire, nelle tombole familiari d’antan, all’annuncio dell’estrazione del numero 70; quando con voce stentorea chi estraeva i numeri, annunciava in sostanzioso napoletano: sittanta! invariabilmente tutti i giocatori in coro, giocando sull’omofonia tra sittanta ( settanta) e ssî ttanto ( sei grosso o alto cosí e non di piú…) gli rispondevano: E nun crisce cchiú ( e non crescerai di piú). E proprio a tale giuoco di parole bisogna riferirsi per spiegarsi perché semanticamente il 70 è accostato al palazzo che una volta costruito non è possibile accrescere, se non con ampliamenti spesso abusivi e perciò vietati.
71 – LL’OMMO ‘E MMERDA letteralmente l’uomo di merda ossia l’uomo dappoco, persona infida, riprovevole,disonesta, o solo d’animo ignobile, cosí definito in quanto si appaleserebbe tal quale fosse per iperbole formato di escrementi; l’espressione a margine sostanzia una corposa offesa rivolta appunto nei confronti di chi venga considerato mancante di ogni decoro e/o dignità ed al contrario mostri cattiveria e protervia d’animo; costui a volte viene apostrofato con la voce mmerdajuolo, usata come sinonimo di quella a margine, quantunque di per sé ( con derivazione dal latino merda(m) con i suff. arius ed olo) indicherebbe colui che – per lavoro – raccattava gli escrementi animali per igiene pubblica e li rivendeva per concimare i campi; a tal proposito rammenterò l’espressione Essere ‘a tina ‘e miezo.
Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco, lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di un carro atto allo scopo, tino nel quale, originariamente in quel di Torre del Greco, e poi in ogni altro paese rurale, veniva posto tutto il letame che, raccolto in giro e convogliato nel tino centrale mediante due altri tini piú piccoli collocati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime naturale.In chiusura ricorderò le etimologie:
ommo = uomo da un nomin. latino òmo con tipico raddoppiamento popolare della consonante chiusa tra le due vocali o , mentre la consonante diacritica d’avvio non viene presa in considerazione, né lascia traccia; ‘e mmerda = di merda (id est: composto di escrementi) mmerda = merda, come già visto da un acc. latino merda(m) con raddoppiamento sintattico della consonante d’avvio.
Semanticamente il 71 è accostato alla figura zuppa dell’uomo dappoco, della persona infida, riprovevole,disonesta, o solo d’animo ignobilein quanto il numero in esame risulta formato dall’accostamento del 7 (cfr. antea: il vasetto ed anche il pitale), mentre l’ 1 che gli tiene dietro sta ad indicare l’uomo che se ne serve restandone probabilmente lordato!
72 – ‘A MARAVIGLIA – la meraviglia con particolare riguardo a tutti quegli accadimenti che dèstino stupore,sbalordimento, stordimento, sbigottimento, emozione, soprattutto quando queste cose provengano dal verificarsi di fatti dai connotati negativi che mai si sospettava potessero accadere; ad es. desta meraviglia oltre che orrore una madre che uccida un figlio o un figlio che diventi matricida e cosí via; quanto all’etimo ‘a maraviglia è da un latino mirabilia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl. sost.e inteso femminile dell'agg. mirabilis meraviglioso.
Semanticamente sotto il numero 72 è adombrata la figura della meraviglia, dello stupore, in quanto il numero in esame risulta formato dall’accostamento del 7 (cfr. antea: il vasetto, inteso di pregevole fattura), mentre il 2(cfr. antea: la bambina) che gli tiene dietro sta ad indicare appunto il candore infantile di chi si stupisce dinnanzi alla manifestazione del bello!
73 – ‘O SPITALE – l’ospedale e cioè l’ istituto pubblico nel quale si ricoverano e si curano gli ammalati inteso come luogo di sofferenze e miseria, atteso che è luogo dove vengono accolti per esser curati i cittadini meno abbienti; i piú facoltosi infatti fanno ricorso alle c.d. cliniche private ed un tempo si congetturò che anche il personale medico e/o paramedico che prestava la propria opera nell’ospedale fosse meno capace, in quanto peggio retribuito, del personale delle c.d. cliniche private; quanto all’etimo la voce ‘o spitale è da un lat. volg. òspitale, neutro sost. e inteso maschile dell'agg. òspitalis 'ospitale, che accoglie, con sincope della h iniziale e deglutinazione della o intesa come articolo. Semanticamente il 73 è accostato alla figura dell’ospedale perché unisce in un’unica grafia il 7 (cfr. antea: il vasetto/pitale in uso nei luoghi di degenza)associato al 3 (cfr. antea: il gatto, ma qui rappresentante di una una smorfia di dolore e/o dispiacere riscontrabile sul volto di chi è costretto ad essere ospite di un luogo di cura.
74 – ‘A ‘ROTTA e cioè la grotta con riferimento ovviamente non ad un qualsiasi anfratto naturale, ma, sulla scorta della gran tradizione cristiana partenopea, ovviamente la grotta per antonomasia : quella che ospitò il Bambino Gesú riscaldato dal fiato del bue e dell’asinello; prima di rammentare che in napoletano, con il diminutivo della voce a margine, e cioè con ‘a ‘rutticella estensivamente e con raffronto semiblasfemo si intese la vulva muliebre, ricorderò il détto che richiamando il bue e l’asinello detti, parla di ‘o scarfalietto 'e Giesú Cristo Ad litteram: Lo scaldino di Gesú Cristo. Non si direbbe, ma la locuzione ricordata è una dura, sia pure sorridente offesa che si rivolge agli uomini ritenuti ignoranti o anche becchi. Non v'è chi non sappia infatti che Gesú Cristo fu riscaldato nella greppia di Betlemme da un bue e da un asinello; di talché affibbiare ad uno il titolo di scaldino di Gesú Cristo significa dargli dell' asino e del bue id est: ignorante e cornuto e perciò significa accusare sua moglie di infedeltà continuata. Per venire a capo del perché semanticamente al numero74 è associato la figura della grotta intesa nel suo significato primo e non in quello traslato occorre pensare che il 74 è il doppio di 37 che figura (cfr. antea) il monaco e segnatamente quelli di sant’Anna del convento in piazza san Francesco, monaci che per le festività del santo Natale solevano chiamare a raccolta confratelli di altre comunità monastiche per celebrare con fasto la ricorrenza natalizia; tale numeroso concorso di monaci per prostrarsi dinnanzi dalla grotta del santo Bambino è rappresentato appunto dal74 che del 37 ne è il doppio!
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75 – PULICENELLA e cioè Pulcinella la maschera per antonomasia della tradizione popolare partenopea che come tale non poteva non esser presente nella smorfia rappresentandovi l’uomo piú semplice, quello piú debole, quello che nella scala sociale occupa l’ultimo posto; è però dotato per compensazione di una furbizia eccezionale, capace perciò di risolvere i piú disparati problemi. Chiamato a rappresentare l’anima del popolo, i suoi istinti primitivi, appare quasi sempre in contraddizione, tanto da non avere dei tratti fissi: è ricco o povero, è prepotente o codardo, e talvolta presenta l’uno e l’altro tratto contemporaneamente. La verità sta nel fatto che a questa maschera il popolo à riservato la funzione di riassumere e di esprimere tutta la sua realtà quale che sia: brutta o bella, meschina o eroica.
La maschera di Pulcinella à una storia che viene di lontano; già non c’è uniformità di vedute sull’origine del nome Pulcinella; secondo alcuni esso si vuole che debba discendere da Pulcinello cioè piccolo pulcino per via del suo naso adunco e per la voce chioccia che in origine usarono gli attori , c’è chi invece propende per Puccio d'Aniello un villano di Acerra del '600 che dopo aver preso in giro una compagnia di commedianti girovaghi si uní a loro come buffone e pare s’inventasse quel mascheramento del volto, mezzo bianco e mezzo nero, palandrana bianca e candido cappello a pan di zucchero; una scuola di pensiero propende per un tal Silvio Fiorillo attore girovago nato all'incirca nel 1560 (Viviani V.), che pare fosse il primo a portare ufficialmente in scena la figura di Pulcinella, anche se l'alternava con la casacca e la spada del capitano Matamoro spagnolo. Fiorillo viene anche ricordato come il primo commediografo pulcinellesco, essendoci giunta una sua commedia intitolata: " La Lucilla costante, con le ridicole disfide e prodezze di Pulcinella " In realtà dove e da chi sia nato Pulcinella non é dato di sapere e molti eminenti studiosi e letterati come Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo e Anton Giulio Bragaglia si siano impegnati in queste ricerche, senza mai poterlo stabilire con certezza; a mio avviso, pur accogliendo in parte qualcosa d’ogni singola ipotesi, penso che non sia tuttavia lontano dalla verità chi, (almeno per ciò che riguarda i caratteri generali), collega Pulcinella al Maccus della commedia atellana latina; la maschera di Pulcinella à una sua variante francese in Polichinelle' ( un fanfarone gradasso con doppia gobba e un vestito giallo-rossiccio detto crocòta) ed una inglese con Punch maschera dall' umore malinconico e brutale, molto diverso dal Pulcinella napoletano brioso e faceto; i medesimi caratteri della maschera napoletana si riscontrano invece nel russo Petruska, nel don Cristobal spagnolo e nel tedesco Kaspar, segno che la maschera napoletana fu esportata in lungo e largo.Esiste un momento centrale ed illuminante, nella storia dei rapporti fra Pulcinella e Napoli, fra Pulcinella ed il teatro ed, in particolare, fra Pulcinella e l'attore : esso coincide con la fine del '600 e l'inizio del '700, allorché la storia dello spettacolo a Napoli si fa suggestiva misura della storia stessa della città e della sua vita culturale. Vi fiorisce un teatro di prosa dialettale, espressione di una straordinaria attenzione alla lingua ed al costume; vi nasce una ricca e fertile generazione di teatranti: teorici, drammaturghi e commediografi, librettisti, musicisti, attori e cantanti, impresari; vi si rinnovano le strutture cittadine di spettacolo: si apre il San Carlo e, all'estremo opposto del consumo sociale del teatro, il non meno nobile San Carlino; si afferma la commedia in musica, detta opera buffa, capace di espandersi ed affermarsi per l'intera Europa con caratteri che ànno fatto pensare addirittura ad una scuola musicale napoletana '; sopratutto, il teatro rinasce, dopo esaltanti esperienze della commedia dell'arte praticata trionfalmente in Europa per tutto il '600 ed in questa prima metà del '700. La maschera à rappresentato e rappresenta tuttora la plebe napoletana' da sempre oppressa dai vari potenti che si sono succeduti, affamata e volgare, smargiassa, codarda e dissacrante. Molti attori ànno impersonato sulla scena il personaggio di Pulcinella ma il piú famoso di tutti è stato Antonio Petito (1822 -†1876) trionfatore sul palcoscenico del San Carlino; questo Petito nonostante fosse quasi analfabeta, à lasciato numerose commedie di grande successo che avevano come protagonista lo stesso Pulcinella. Dopo di lui, per tanti aspetti, storici, culturali e tecnici nonostante sulle scene fossero attivi altri grandi interpreti (come Salvatore De Muto(1876 † 1970) ad esempio e Gianni Crosio (di cui, purtroppo non sono stato in grado di reperire notizie biografiche) inizia la decadenza. Pulcinella in teatro diventa un personaggio, e deve attenersi ormai ad una parte scritta, ad un copione. Privata del vivificante contatto diretto con il pubblico, la maschera assume sempre piú caratteristiche stereotipate, di genere. Solo nella strada, con le guarattelle (forma metatica di guattarelle= acquattate, nascoste), il teatro napoletano dei burattini, Pulcinella mantiene la sua forza, conservando intatta nel tempo, incredibilmente, la struttura di spettacolo originaria della Commedia all’Improvviso, e in tal forma giungendo fino ai nostri giorni.
Ribadito che per quel che riguarda l’etimologia del nome Pulicenella o anche Pullicenella con tipico raddoppiamento popolare della l implicata, occorre risalire ad un accusativo latino pullicinu(m)= pulcino variante del tardo latino pullicénu(m), con riferimento – come già detto – al naso adunco ed alla primitiva voce chioccia e pigolante usata dagli attori per dar vita alla maschera, ricorderò che il personaggio eternato sotto il num. 75 della smorfia napoletana non è esattamente la maschera fin qui menzionata, ma il generico buffone, il pagliaccio o l’ uomo di nessuna personalità, quel medesimo che per traslato è detto appunto Pulicenella.
Complesso e non agevole il percorso da seguire per compredere il motivo per il quale la maschera di Pulcinella è associato al numero 75. In ogni caso ci proviamo ricordando che Pulcinella non è solo la maschera da palcoscenico, ma è riconducibile altresì ad una sorta di buffone di corte,sebbene di maggior personalità; il buffone che di solito è gobbo come lo stesso Pulcinella è rappresentato dal numero 57 (cfr. antea); létto in maniera inversa, per significare che in ogni caso Pulcinella à personalità più spiccata d’ un generico buffone di corte, ecco che il 57 diventa 75.
76 –‘A FUNTANA e cioè la fontana figurazione della vita, rappresentata dal fluire tipico dell’acqua, emblema quasi sacrale che come tale non poteva mancare nel libro dei sogni dei napoletani, da sempre attenti a tutto ciò che abbia un valore sacro; etimologicamente è da un accusativo latino fontana(m) aqua(m)= acqua di fonte. . Semanticamente il 76 è associato alla fontana per un giuoco di rappresentazione grafica nella quale il 7 configura il supporto astile della fontana ed il 6, con un richiamo furbesco (cfr. antea 6: la vulva) la bocca dove sortisce l’acqua.
77 –‘E CCOSCE D’ ‘E FFEMMENE ed ‘E RIÀVULE e cioè le gambe muliebri ed i diavoli accomunati a quelle atteso che le une e gli altri sono fonte di tentazione; e non faccia meraviglia se i napoletani abbiano accolto nel loro libro dei sogni, una figura (il demonio) cosí tanto all’opposto della visione sacrale che dell’esistenza ànno i partenopei; se lo ànno fatto, la cosa è avvenuto a puro scopo apotropaico nella convinzione che il considerarlo ed anzi considerarli nella loro numerosità (abbiamo infatti il plurale ‘e riavule e non il singolare ‘o riavulo) li tenesse superstiziosamente a bada e ne allontanasse i malefici influssi; a Napoli purtroppo spesso la superstizione e la religione vanno a braccetto dandosi di gomito; etimologicamente ‘e riavule che è plurale di ‘o riavulo = diavulo con tipica rotacizzazione osco-mediterranea della d→r viene da un tardo latino diabolu(m), dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di diabállein 'disunire, mettere male, calunniare', che nel gr. cristiano traduce l'ebr. satan 'contraddittore'. Semanticamente il 77 è associato alle gambe delle donne per un giuoco di rappresentazione grafica nella quale il doppio 7 accostato è appunto figura
di due lunghe gambe di una donna.
78 – ‘A BBELLA FIGLIOLA che ad litteram starebbe per la bella ragazza, ma per eufemistico traslato vale la prostituta e piú chiaramente ‘a zoccola; trattandosi di chi esercita il mestiere piú antico e noto, fu quasi ovvio che entrasse a far parte del libro dei sogni partenopeo, quantunque si eufemizzassero i piú usati termini come prostituta o il piú corposo zoccola; ò già abbondantemente trattato alibi sub Meretricio e voci collegate, le voci prostituta e zoccola e a quell’articolo rimando, limitandomi qui a dire della voce figlióla che etimologicamente è da un accusativo latino volgare filiòla(m) per il classico filíola(m) e ricordando che il naspoletano à però la vocale tonica del dittongo chiusa. Semanticamente il 78 è accostato alla figura della prostituta perché graficamente, anticipando le moderne emoticons,(come accadrà pure per molti altri numeri) con il 7rappresenta la figura della donna che si offre e con l’ 8 che gli tiene dietro un provocante popputo petto di donna.
79 – ‘O MARIUOLO e cioè il mariolo, il ladro ed estensivamente la persona disonesta in genere anche quando non sia dedita al furto continuato; nel libro napoletano dei sogni che fotografa tutta la vita nelle sue manifestazioni ed accezioni non poteva mancare la figura del mariolo che segnatamente (prima di comprendere il disonesto in genere, il furbo e truffatore) fu quel ladro di basso profilo che a far tempo dalla fine del ‘700 ed i princípî dell’’800 operava piccoli furti di destrezza in istrada sottraendo a disattenti pedoni orologi da tasca , fazzoletti di seta e portamonete; esistettero negli anni che ò detto addirittura delle scuole dove i mariuoli alle prime armi prendevano scuola e si allenavano sottraendo a dei fantocci preparati all’uopo le mercanzie ricordate, facendo attenzione durante gli… allenamenti a non far titinnare i numerosi campanelli di cui erano forniti i pupazzi, campanelli che se avessero titinnato avrebbero dimostrato che il mariuolo non stesse agendo con la dovuta rapidità e destrezza e pertanto avrebbe dovuto continuare ad imparare, magari sferzato dolorosamente dalla verga o dallo staffile del maestro mariuolo. Per ciò che attiene all’etimologia del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un etimo incerto, qualche altro prpende per un antico aggettivo francese mariol = furbacchione, qualche altro ancora lo legherebbe allo spagnolo marraio e marrullero = imbroglione, monello; trovo invece molto interessante la scuola di pensiero che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→ marevuolo con sincope definitiva della v donde mareuólo e mariuólo. Anche per il numero 79 accostato alla figura del ladro, semanticamente occorre parlare di un avvicinamento di tipo artistico/fantasioso in quanto questa volta nel numero 79 si può riconoscere nel 7 la sdutta figura di un ladro, mentre nel 9, che tiene dietro al 7, si può cogliere fantasiosamente una sorta di mascherina che i dari erano soliti portare in volto per non farsi riconoscere.
80 – ‘A VOCCA si tratta ovviamente della bocca, la cavità nella parte anteriore del viso dell'uomo, delimitata dalle labbra, che è organo della respirazione, della nutrizione e della fonazione; ed è con particolare riferimento a quest’ultima funzione che la bocca è presa in considerazione nella smorfia partenopea in quanto emblema di coloro che erano adusi a parlare d’ogni cosa anche se spesso a sproposito,in quanto non avevano argomenti da esporre o pensieri da sostenere, al segno che, per dileggio ,di costoro s’usava dire che aprissero la bocca pe ffà piglià aria â lengua: per arieggiare la lingua; a tal proposito nelle tombole familiari d’antan all’annuncio: Uttanta, ‘a vocca!, tutti i giocatori commentavano in coro: È ‘nu bbellu strumiento, volendo appunto ricordare che spesso la bocca era usata a mo’ di strumento (dal lat. instrumentu(m), deriv. di instruere disporre, costruire) per emetter suoni senza significati. L’etimo di vocca è pacificamente dal latinobucca(m) 'guancia', poi 'bocca' con la tipica alternanza partenopea b/v. Semanticamente il numero 80 è accostato alla bocca perché graficamente, anticipando le moderne emoticons,(come accadrà pure per molti altri numeri) rappresenta un volto con occhi (8) e bocca (0) spalancati.
81 – ‘E SCIURE e cioè i fiori figurazione, per la loro bellezza, fragranza e rigogliosità, come la pregressa fontana, della vita, ed in quanto tale non potevano non esser presenti nella smorfia dei partenopei, gente dallo spirito pratico, non disgiunto (a malgrado delle apparenze) da una gentilezza di fondo che fa apprezzar loro i fiori, gioiosa e gentile manifestazione di madre natura. Quanto all’etimologia di sciore (di cui sciure è il plurale) essa è dall’accusativo latino flore(m) con la tipica mutazione del gruppo latino fl che in napoletano diventa sci , come ad es. alibi sciummo che è da flumen, sciamma da flamma(m) etc. Semanticamente il numero 81 è accostato ai fiori perché graficamente,nell’8 si posson leggere fantasiosamente delle corolle di fiori e nell’1 che tien dietro a l’8 i gambi di quei fiori.
82 – ‘A TAVULA APPARICCHIATA= il desco imbandito, la tavola colma di vettovaglie; quasi ovvio che l’atavica fame del popolo napoletano lo spingesse a considerare nel proprio libro dei sogni un gran tavolo imbandito al quale accostarsi per satollarsi ed ( almeno in sogno!) sconfiggere l’antica fame, figlia della miseria quotidiana; rammenterò che – purtroppo! – qualche napoletano piú giovane in luogo d’usare classicamente: ‘a tavula apparicchiata, si è lasciato frastornare dal toscano ed à preso a dire scioccamente ‘a tavula ‘mbandita o addirittura a tavula ‘mbannita ( dove ‘mbandita/’mbannita è l’evidente corruzione di imbandita vocabolo assolutamente estraneo all’idioma napoletano); ‘a tavula non è un generico tavolo, ma il grande (si noti che la parola è stata resa femminile: tavula e non tavulo; e come vedemmo altrove un oggetto femminile è inteso piú vasto del corrispondente maschile) desco su cui si prendono i pasti e deriva dal latino tabula(m); apparicchiata= allestita, approntata, ed anche imbandita è etimologicamente p.p. femm. del verbo basso latino ad-pariculare→appariculare iterativo di parare= preparare mentre ‘mbannita è part. passato femminile del verbo ‘mbandí risultando essere un’ inutile sistemazione dialettale dell’imbandire toscano ( che è da un in + bandire= convitare). Per venire a capo del perché semanticamente al numero82 è associato la figura del desco imbandito, occorre pensare che 82 è il doppio di 41 che figura il coltello,che oltre che un’arma bianca è una delle tante stoviglie necessarie su di una tavola imbandita, stoviglie che per essere molte ben son rappresentate da un numero doppio di quello usato per indicare il coltello.
83 – ‘O MALETIEMPO – il cattivo tempo, quello che oscura il cielo e mal dispone gli animi degli uomini e non solo dei metereopatici (specie in una città come Napoli che nell’immaginario collettivo è città di luce ed aria, ‘o paese d’’o sole!,) uomini che mal si adattano alle cupi nubi, alle piogge noiose ed ai venti turbinosi. nubi, pioggia e vento che connotano il maltempo al margine entrato nella smorfia partenopea come paventato pericolo e come tale quasi sopportato quale simbolo di cattivo presagio; a Napoli chi aprendo la finestra al mattino, vedesse il cielo offuscato da cupe nubi, prodromiche di procellose piogge,il tutto prefigurando cattive nuove, opererebbe súbito manovre apotropaiche con annessi inconfessabili scongiuri e – potendolo – rientrerebbe tra le coltri, temendo di affrontare una giornata sotto l’egida d’’o maletiempo che risulta etimologicamente derivato da malu ( dal latino malum=cattivo) + tiempo (lat. tempus con dittongazione popolare). semanticamente al numero83 è associato la figura del maltempo perché fu proprio nel 1783 che in Calabria, regione del reame di Napoli avvenne uno dei piú tremendi terremoti con imponenti piogge ed alluvione che ancóra si ricordano.
84 – ‘A CHIESIA –chiesa, basilica, luogo di culto, la chiesa intesa cioè non solo come l’edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane,ma anche come comunità di fedeli che professano una delle confessioni cristiane: chiesa cattolica, ortodossa, anglicana, luterana, calvinista; tuttavia nell’inteso popolare, dicendo chiesa è proprio solo a l’edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane, quell’edificio detto casa del Signore accostato di solito da un campanile dal quale squillanti campane chiamano a raccolta i fedeli, quell’edificio intorno al quale, soprattutto nei giorni festivi, gravitano una pletora di poverelli che a mano aperta e tesa son soliti chiedere l’elemosina a fedeli impietositi che si recano ad assistere alle funzioni religiose. Un popolo profondamente religioso come è il napoletano non poteva non considerare nel suo libro dei sogni la c.d. casa del Signore, quella chiesa che è centro e fulcro della vita d’ogni quartiere partenopeo. Etimologicamente la parola chiesia/chiesa è dal lat. ecclesia(m)→(ec)clesia(m)→chiesia/chiesa,che è dal gr. ekklísía 'assemblea', deriv. di ekkalêin 'chiamare'; tipica l’evoluzione del nesso cl in chi (cfr. clausu(m)→chiuso, clavu(m)→chiuovo etc. Semanticamente il numero 84 è accostato alla figura della Chiesa intesa quale comunità di fedeli, perché l’ 84 (che è l’inverso di 48) suggerisce l’esatto contrario di quanto si intende con 48; infatti quest’ultimo numero, che indica il morto che parla, suggerisce pensieri inquetanti (poi che un morto che parli mostra di non aver trovato la quiete e la pace proprie defunto), laddove l’ 84 (inverso del 48) suggerisce pensieri di fraternità amicale.
85 – LL’ ANEME D’’O PRIATORIO – e cioè le anime del purgatorio; ritorna il vasto sostrato religioso-fideistico del popolo napoletano, in forza del quale non si poteva non dare un posto nella smorfia, alle anime dei defunti che - giusta l’insegnamento della religione cattolica, non abbiano ancora ricevuto il premio o il castigo definitivo e siano ancóra confinate in un luogo di purificazione dove si emendano dei residui delle colpe trascorse per essere poi chiamate, mondate e purificate, al premio finale; tali anime, benché non si possa evocarle o chiamarle, talvolta, per permesso e volere di Dio si manifestano sia pure in sogno, spesso per chiedere preghiere e suffraggi per sé o loro simili, e talvolta per soccorrere, moralmente, ma pure praticamente, chi le invochi con speranzoso rispetto e trasporto; il popolo napoletano à un vero e proprio culto sacro delle anime purganti al segno che – specialmente dal popolino minuto -è d’uso avere in casa delle piú o meno contenute statuine di terracotta dipinta raffiguranti i nudi corpi di appunto queste anime del purgatorio avvolti in raccapriccianti lingue di rosso fuoco, quel fuoco simbolo e mezzo della purificazione; dinnanzi a dette statuine vengono accesi lumini votivi o posti piccoli fasci di fiori; in taluni antichi quartieri popolari della città vecchia, è ancóra possibile passim imbattersi in edicole sacre dedicate alle anime purganti la cui iconografia è fornita da statuette cosí come descritte, con l’aggiunta altresí di macabri teschi ed incroci di ossa tibiali. Quanto all’etimologia, pacifica per anema quella latina anima(m), connesso col gr. ánemos, mentre per priatorio pur risalendo al lat. tardo purgatoriu(m), neutro sost. dell'agg. purgatorius, deriv. di purgare 'purgare, purificare' oltre l’evidente esito metatico non bisogna scordare un incrocio d’avio con il verbo prià = pregare da un lat. volg. precare, per il class. precari, deriv. di prex/ precis 'prece'. Per spiegarci perché semanticamente l’ 85 è accostato alle anime del purgatorio, occorre ancòra una volta riferirsi alla fantasiosa interpretazione grafica del numero 85 che richiama nell’ 8 la figura dell’anima purgante e nel 5 che gli tien dietro le fiamme purificatrici in cui l’anima è avvolta.
86 – ‘A PUTECA o ‘A PUTECHELLA – la bottega o la botteguccia,dove si vendano merci e non cibi (di pertinenza di esercizi come bettole e trattorie che, come il pane nella smorfia vanno sotto il numero 50) la bottega è simbolo della (contrariamente al vieto luogo comune che vuole il napoletano sfaticato, fannullone,ozioso e scioperato) solerte anima partenopea, quei partenopei che spesso, non avendo piú certa e remunerativa attività da svolgere, per poter vivere, si dedicavano e dedicano ad improvvisati commerci piccoli o grandi che svolgevano e svolgono in negozi talvolta di fortuna: ‘a puteca e se molto piccola putechella; e tale simbolo di solerzia non poteva non esser presente nella smorfia; ricorderò anzi che spessissimo i napoletani per tener dietro solertemente e senza soluzione di continuità a tali loro commerci usarono ed usano prender dimora in, sia pure, pochi vani di pertinenza del medesimo negozio dove svolgono l’attività per modo che non sprecano tempo per portarsi di casa al luogo del lavoro e viceversa; da ciò nacque il detto: metterse ‘e casa e puteca che significò: occupare proficuamente tutto il tempo dedicandosi ad un’attività lavorativa e/o di studio.Quanto all’etimologia la voce puteca deriva dal lat. apothéca(m), dal gr. apothékí ; in latino indicò il locale che nella domus faceva da dispensa ; mentre in greco fu in primis la farmacia e poi estensivamente il magazzino, il ripostiglio, il negozio cosí come nel napoletano.
Semanticamente l’ 86 è accostato alla bottega o botteguccia,in quanto l’ 86 (che è l’inverso di 68: la zuppa di carnacotta) suggerisce l’idea che si tratta di un esercizio le cui merci son ben diverse da quelle rammentate con il 68; non si tratta cioè di bottega di cibarie, ma di tutt’altra merce.
87 – ‘E PERUCCHIE – letteralmente i pidocchi e cioè i piccoli insetti dal corpo piatto, con zampe corte e robuste, che succhiano il sangue dell'uomo vivendo da parassiti sulla testa, sul corpo o nei vestiti, ma va da sé che in quanto tali, non è pensabile che potessero esser presi in considerazione e ricordati nella smorfia sebbene fossero segno di miseria e sporcizia; rammentato allora che, in quanto insetto, la voce perocchio di cui perucchie è il plurale deriva da un tardo latinopeduc’lu(m), dim. di pídis 'pidocchio, dirò che il termine plurale ‘e perucchie è stato accolto nel libro dei sogni come uno dei circa sessanta sinonimi del danaro in uso nella parlata napoletana, ed in tale accezione ‘e perucchie (segnatamente il danaro quando sia poco e pertanto con limitatissima capacità di acquisizione di beni) sono una corruzione di purchie ambedue coniati su di un antico porchia
nel significato di gemma, pollone, richiamante quel rigoglio della vita facilmente assimilabile alla rigogliosità che può dare il danaro. Semanticamente l’ 87 è accostato alla figura dei pidocchi perché fantasiosamente il nunero rappresenta graficamente proprio il corpicino di un insetto corredato zampe prensili.
88 – ‘E CASECAVALLE o ‘AMMUSCIATORE – i cacicavalli o l’annoiatore; il caciocavallo è un famosissimo formaggio tipico dell'Italia merid., a pasta dura, dolce o piccante, in forme simili a grosse pere allungate, fatto con latte intero di vacca o di bufala, prodotto in altura dai casari e poi trasportato a valle legato in coppia a dorso di cavallo, donde il nome, famosissimo ed usatissimo formaggio tale da rappresentare l’emblema del buon nutrirsi (il latte è alimento principe) e perciò del ben vivere(siamo ciò che mangiamo!) ed in quanto emblema di qualcosa d’importante, entrato nella smorfia; la tipica forma a pera ed il fatto che i cacicavalli siano legati a coppia offrirono poi il destro furbesco di farli ritenere simili ai testicoli e poiché nell’immaginario partenopeo chi infastidisca o annoi qualcuno gli abboffa o ll’ammoscia ‘e ppalle e cioè gli gonfia metaforicamente o alternativamente gli rende molli i testicoli, ecco che i cacicavalli/testicoli finirono per richiamare la figura dell’ ammusciatore id est: annoiatore figura ricordata con il medesimo numero ed accanto ai casecavalli di sua pertinenza. ;ricordiamo alcune etimologie delle voci meno note contenute in questa illustrazione; avendo già detto di caciocavallo, abbiamo: abboffa voce verbale di abbuffà= gonfiare voce che quantunque recepita nel toscano è di orig. merid.; deriv. di buffa nel significato di 'rospo; ammoscia voce verbale di ammuscià= infastidire, annoiare, render molle che è un denominale di muscio (lat. musteus→mustum=mosto, vino giovane e dolce e di poca forza o consistenza; ammusciatore (vedi ammuscià) = chi infastidisce, annoia o rende molle. Semanticamente l’ 88 è accostato alla figura dei caciocavalli, proprio perché graficamente, anticipando le moderne emoticons,(come accadrà pure per molti altri numeri) i due 8 accostati ripetono la figura di due caciocavalli i tipici formaggi meridionali a pasta filata venduti a coppie, prodotti in altura e trasportati a valle legati a coppie a dorso di cavallo donde il nome.
89 – ‘A VICCHIARELLA – la vecchina; per ciò che concerne questa penultima voce a margine, non posso che ripetere – vòlto al femminile - ciò che, al maschile, dissi per ‘o viecchio sotto il num. 53; il vecchietto; la vecchia o vecchina è un’ altra figura emblematica che non poteva mancare nella smorfia dei napoletani da sempre adusi a tenere in alta considerazione chi si porti il carico di molti anni, sia che si tratti di familiari (genitori, nonni, zii) sia che ci si riferisca ad estranei con i quali si abbia un sia pure fugace contatto di vita, piú o meno quotidiano; il soggetto femminile ‘a vicchiarella (num. 89) nella smorfia non è indicato con una doppia voce: ‘a vecchia (la persona anziana che si trovi negli ultimi anni di vita) voce che volta al femminile deriva da un basso latinovec’lu(m),collaterale del class. vetulu(m), dim. di vetus 'vecchio' voce che è però molto fredda e quasi anodina,ma solo con il piú affettuoso diminutivo ‘a vicchiarella ( diminutivo, vezzeggiativo della rammentata e non usata nella smorfia vecchia) usata piú affettuosamente per indicare l’anziano di famiglia, voce che per sottolinearne l’uso piú partecipativo viene quasi sempre accompagnata dal possessivo mio: della propria anziana genitrice s’usa dire infatti: ‘a vicchiariella mia! Anche per l’ 89 semanticamente ci troviamo nuovamente nell’àmbito di un accostamento di tipo fantasioso in quanto graficamente,l’ 8 dà fantasiosamente l’idea di un corpo femminile, mentre il 9 che gli tiene dietro sta, con le sue curve e volute ad indicare che quel corpo appartiene ad una vecchietta afflitta da acciacchi artitrici.
90 – ‘A PAURA e anche ‘A PUPULAZZIONA la paura e anche la popolazione, il popolo; siamo giunti al termine dei novanti numeri con i principali significati usati nel libro napoletano dei sogni: il novanta con il quale si indica la angosciosa sensazione che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato; sensazione che va sotto il nome di paura e che, essendo uno delle piú ricorrenti percezioni del vivere umano occupò un preciso posto nella smorfia e le fu assegnato il numero piú grande possibile, per modo che potesse quasi indicare la grande scossa che quella senzazione fastidiosa provoca nell’animo umano; accanto alla paura, sotto il medesimo numero altissimo trova posto la figurazione della pupulazzione cioè a dire la popolazione intesa però non come il complesso degli abitanti di un luogo, quanto piú circoscrittamente ‘o popolo e cioè il complesso degli abitanti di un quartiere o di un rione soprattutto quando partecipanti insieme alla vita sociale in manifestazioni ludiche, religiose ed affini; trattandosi di una moltitudine apparve corretto assegnare ad essa un numero grandissimo: il novanta appunto sebbene esso fosse già di pertinenza della paura. Concludiamo con illustrare l’origine delle parole in esame: paura= paura, timore; lemma rifatto sull’acc. latino pavóre(m) attraverso un tardo pavura(m) voce che in talune zone della città vecchia è ancora usata senza sincope della v: pavura e non paura ritenuta troppo toscana; pupulazzione = popolazione, popolo che è da un accusativo tardo latino populatione(m) derivato di populu(m). Per comprendere perché al numero 90 è associato la sensazione che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato occorre riflettere che il numero 90 è formato dall’addizione del 30 (le munizioni del tenente, con il loro corrdeo di pericolo e/o spavento) e del 60 (la lagnanza, il lamento): l’addizione di pericolo e lamenti genera paura.
Fine - Raffaele Bracale
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