domenica 12 febbraio 2017
VARIE 17/179
1.METTERE LL'UOGLIO 'A COPP' Ô PERETTO.
Letteralmente: aggiungere olio al contenitore del vino. Id est: colmare la misura. La locuzione viene usata sia per indicare che è impossibile procedere oltre in una situazione, perché la misura è colma, sia per dolersi di chi, richiesto d'aiuto, ha invece completato un'azione distruttrice o contraria al richiedente. Un tempo sulle damigiane colme di vino veniva versato un piccolo strato d'olio a mo' di suggello e poi si procedeva alla tappatura, avvolgendo una tela di sacco intorno alla imboccatura del contenitore vitreo.
PERETTO s.vo m.le ed il plurale’E PERETTE: caraffe vitree senza manico di varia capacità (dai 2 litri al quarto di litro) in cui si versava e talvolta ancóra si versa il vino per servirlo in tavola : etimologicamente per alcuni da ricollegarsi a pera di cui ricalcherebbe vagamente la forma; la cosa poco mi convince, e non prendo per buono quella che piú che una etimologia, mi appare una frettolosa paretimologia, ed atteso che a mia memoria ‘e perette ch’io conobbi non somigliavano ad una pera, né dritta, né capovolta, risultando invece essere dei cilindrici vasi vitrei (e solamente vitrei) che per tutta la loro altezza mantenevano il medesimo passo e solo verso l’alto presentavano una contenuta strozzatura che costringeva il vaso dapprina ad un modesto restringimento del passo e poi a slargarsi in una imboccatura svasata,ecco che quanto all’etimologia, penso che piú che alla forma ci si debba riferire al materiale ed al modo d’apparire d’essi perette che essendo (come ò detto) di terso e scintillante vetro (non esistono, né esistettero perette in coccio o porcellana…) penso ch’essi trassero il loro nome dall’antico alto tedesco peràt= chiaro, splendente, trasparente cosí come i perette furono e sono;quanto alla morfologia è normale nel napoletano fornire d’una sillaba finale le parole straniere terminanti per consonante che viene espressivamente raddoppiata e corredata d’ una semimuta finale (e/o); nel ns. caso peràt→peràtto→peretto, alibi ggasse←gas, tramme←tram etc.
2.METTERE MANE
Letteralmente: Porre mano; id est: principiare (alcunché).Espressione generica usata in riferimento a chi, presa una decisione, le dia continuità pratica affrontando una qualsivoglia attività con la dovuta solerzia; va da sé che con la locuzione non si intenda restringere il campo alla mera manualità, ma pur se si accenna alle mani, si intende comprendervi quanto altro necessiti di spirito, di intelligenza, di attenzione etc. per il conseguimento dell’opera intrapresa.
3.METTERE MANE Â SACCA
Letteralmente: Ficcare le mani in tasca (per cavarne del danaro). Espressione usata con rassegnazione quando si è costretti a spendere danaro per sopperire alle quotidiane necessità. ed usata con rabbia davanti a sopravvenute necessità non previste e pertanto piú dolorose a petto delle usuali.
4.METTERE MANE Ê FIERRE OPPURE METTERE MANE Â TELA
Letteralmente: Porre mani ai ferri oppure Porre mani alla tela
Espressione analoga alla precedente, ma piú circostanziata. Nel caso in esame si fa riferimento all’attività di chi dà principio ad una attività di tipo artigianale; la prima riguarda l’attività di un artiere: fabbro, meccanico, falegname e simili, attività per le quali occorre munirsi di adeguati arnesi da lavoro, qui genericamente détti ferri; la seconda riguarda l’attività del sarto o del tessitore attività per le quali occorre lavorare stoffe, fodere o tessuti onnicomprensivamente détti tela.
5.METTERE NCIUCE
Letteralmente: Seminare pettegolezzi, maldicenze, calunnie diffamazioni con acrimonia e/o malevolenza nell’intento di nuocere al prossimo o addirittura per fomentare discordie. Espressione usata in riferimento al deprecabile atteggiamento soprattutto delle donne, ma pure di taluni uomini (appartenenti solo all’anagrafe al sesso maschile) che si divertono e godono nel far del male al prossimo pettegolando ,parlandone male, diffamandolo e spesso propalando fatti altrui, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece da pettegole e pettegoli viene bellamente disattesa!...); il svo nciuco di cui nciuce è il pl. è etimologicamente deverbale di nciucià = pettegolare, verbo ricavato da una base onomatopeica ciu-ciú riproducente il parlottìo tipico di chi confabuli. Qui giunto rammento che partendo dalla premessa che trattasi di voce onomatopeica ne risulta che la n d’avvio di nciucio e nciucià ed alibi nciucessa = pettegola, non deriva da un in→’n illativo, ma è una semplice consonante protetica eufonica (come ad. es. è nel caso di nc’è per c’è) ; erra perciò(e parlo dei soliti incolti, illetterati poeti e/o scrittori sedicenti esperti del napoletano) chi scrive ‘nciucessa, ‘nciucio o ’nciucià con un pletorico, ipertrofico ed inutile segno d’aferesi (‘); a margine rammento poi che è l’italiano ad aver derivato [seppure in modo cialtronescamente raffazzonato, avendo ritenuto la n d’avvio, un residuo di in( erroneamente ricostruito e mantenuto nella lingua nazionale )] è l’italiano, dicevo che à derivato inciucio dal napoletano nciucià, non il napoletano nciucio ad esser derivato dallo inciucio italiano (nel qual caso sí che sarebbero state opportune e l’aferesi e la scrittura ‘nciucio).
BRAK
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