martedì 28 febbraio 2017
VARIE 17/260
1.SUNNARSE 'O TRAMME ELETTRICO
Ad litteram: sognare il tram (a motore) elettrico id est: fantasticare, fare castelli in aria illudendosi di poter raggiungere un improbabile traguardo. Locuzione nata quando ancora le vetture tramviarie erano mosse dai cavalli e la sperata elettrificazione del motore era di là da venire.
2.T' AGGI’ ‘A VEDÉ 'NCOPP’ Ê GGRARE 'E 'NA CCHIESIA CU 'A MANA SCHIJATA
Letteralmente: Devo vederti sui gradini d’una chiesa con la mano aperta. Id est: devo avere la soddisfazione di vederti ridotto in miseria, tanto da esser costretto ad elemosinare innanzi ad una chiesa. Maliziosa, cattiva, malevola, malvagia, velenosa, acida, perfida espressione ancóra in uso che si suole rivolgere molto poco caritatevolmente a persona verso la quale si nutra tanto astio, acrimonia, avversione, odio, ostilità, inimicizia, malevolenza, livore, rancore da desiderarne ed augurargli tutto il male possibile e cioé quello di esser ridotto alla estrema povertà, cosa che dopo la perdita della salute è quanto di peggio possa capitare ad un essere vivente!
T' aggi’ ‘a espressione verbale che letteralmente è Ti ò da etc. ed è il modo napoletano di rendere il verbo dovere; in effetti con aggi’ ‘a seguíto da un verbo all’infinito si raffigura l’espressione italiana devo da o anche semplicemente devo; nell’espressione in esame ad es. T' aggi’ ‘a vedé va tradotta Ò da vederti ossia Devo da vederti oppure piú semplicemente Devo vederti; altrove con l’espressione aggi’ ‘a (=ò da) si rende in napoletano l’idea di un’ azione futura; ad es.: Dimane aggi’ ‘a jí a pavà ‘e ttasse (Domani andrò a pagare le tasse) e ciò perché nel napoletano il verbo dovere manca ed è supplito dalla costruzione con il verbo avere seguito dalla preposizione ‘a (da) e dall’infinito connotante l’azione dovuta: ad es. aggio ‘a purtà ‘sta lettera (devo portare questa lettera), hê ‘a cammenà cchiú chiano! (devi camminare piú lentamente!); la medesima costruzione è usata pure, come ò anticipato in funzione di futuro che benché sia un tempo esistente nelle coniugazioni dei verbi napoletani è pochissimo usato, per cui ad es. la frase dell’italiano: domani andrò dal barbiere è resa in napoletano con dimane aggi’’a jí a d’’o barbiere piuttosto che con dimane jarraggio a d’’o barbiere e talvolta altrove con il presente in funzione di futuro dimane vaco a d’’o barbiere.
'ncopp’ ê locuzione prepositiva articolata = sulle Rammento qui che con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto alibi e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle.
grare s.vo f.le pl.del sg. m.le graro = gradoni,brevi, ma ampi ripiani costruiti o scavati per superare un dislivello; rammento che nel napoletano il s.vo m.le sg. graro→(g)raro indica il gradino cioè un breve e contenuto ripiano atto a far superare un dislivello; l’esistenza di due plurali: grare/’rare ( che però non si usa e ci si serve del solo sg graro= gradino semplice) e grare( di cui non esiste il sg. f.le ed è usato al pl. per indicare un complesso di gradoni) uno maschile ed uno femminile per indicare quasi la medesima cosa si spiega con il fatto che in napoletano un oggetto (o una cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella ; va da sé che nella fattispecie la voce femminile ‘e ggrare (i gradoni) indichi un tipo di scalino piú ampio da quello rappresentato dalla corrispondente voce maschile ‘e grare/‘rare (i gradini) ;
etimologicamente la voce graro→(g)raro con i suoi plurali derivano dal lat. gradu(m) con tipica rotacizzazione osco-mediterranea D→R 'passo, gradino, grado', dalla stessa radice di gradi 'muovere il passo, camminare';
chiesia s.vo f.le = chiesa, basilica, Luogo di culto la chiesa intesa cioè non come comunità di fedeli che professano una delle confessioni cristiane: chiesa cattolica, ortodossa, anglicana, LLUterana, calvinista ma piú semplicemente come l’edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane, quell’edificio detto casa del Signore accostato di solito da un campanile dal quale squillanti campane chiamano a raccolta i fedeli, quell’edificio intorno al quale, soprattutto nei giorni festivi, gravitano una pletora di poverelli che a mano aperta e tesa son soliti chiedere l’elemosina a fedeli impietositi che si recano ad assistere alle funzioni religiose. . Etimologicamente la parola chiesia/chiesa è dal lat. ecclesia(m)→(ec)clesia(m)→chiesia/chiesa,che è dal gr. ekklísía 'assemblea', deriv. di ekkalêin 'chiamare'; tipica l’evoluzione del nesso cl in chi (cfr. clausu(m)→chiuso, clavu(m)→chiuovo etc.).
schijata = aperta, tesa, allargata part. pass. f.le agg.vato dell’infinito schijare = aprire, tendere, allargare, distendere, allungare; etimologicamente dal lat. explicare; tipica l’evoluzione del nesso pl in chi (cfr.plica(m)→chieja, platea(m)→chiazza etc.).
3.T' HÊ PIGLIATO 'E CCIENT' OVE?
Letteralmente: ài preso le cento uova; ài bevuto cento uova? Id est: sei diventato pazzo? La locuzione rammenta un antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI e di cui ò detto antea sub SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
4.T’ÀGGI’ ‘A FÀ ‘A CAPA VROGNOLE VROGNOLE E N’ASTECO ARRETE Ê RINE!
Ad litteram: Devo farti una testa (piena di molti)bitorzoli ed un solaio dietro le spalle. Id est : Devo picchiarti tanto violentemente da lasciarti sulla testa numerosi e dolorosi piccoli rigonfiamenti o protuberanze e da conciarti le spalle come se ci fossero stati compattati a suon di mazzuolo i lapilli usati un tempo per rendere impermeabili i solai. Per comprendere appieno la portata di queste gravi minacce contenute nella locuzione in esame , occorre sapere che con il s.vo f.le vrognole pl. di vrognola (da un acc.vo lat. (píllulla(m)) ebúrnea(m)=pallina biancastra;da eburnea→(e)burnea e per metatesi brunea con il diminutivo *brunéola donde il lat. volg. *bruniola→brunjola→vrognola con risoluzione di nj→gn come in cumpagno←cumpanio/cumpanjo e ritrazione dell’accento tonico oltreché l’alternanza tipica b/v (cfr. bocca→vocca – botte→votta – basiu(m)→vaso etc.)si intende piccoli rigonfiamenti o protuberanze, bernoccoli,procurati da colpi o percosse, mentre per asteco (dal greco óstrakon = coccio) a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente era formato con cocci di anfore e/o abbondante lapillo vulcanico ammassati all'uopo e poi violentemente percossi con appositi martelli al fine di grandemente compattarli e renderli impermeabili alle infiltrazioni di acqua piovana.Va da sé che il termine vrognole=bernoccoli è da intendersi in senso reale quale risultato di proditorie percosse dirette alla testa, l’asteco/solaio è da intendersi in senso figurato come risultato di violenti percosse indirizzate sulle spalle o la schiena in genere.
5.T''A FAJE CU LL'OVA 'A TRIPPA.
Ad litteram: Te la fai con le uova la trippa Cosí, con ironia e sarcasmo , si usa rivolgersi a chi si sia cacciato nei guai o si sia posto in una situazione rischiosa, per salacemente commentare la sua ingrata necessità di adoperarsi per venir fuori dalla ingrata situazione in cui si sia infilato; come se si volesse consigliare chi fosse costretto a cibarsi del quinto quarto, a renderlo piú appetibile preparandolo con delle uova.
BRAK
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