sabato 18 febbraio 2017
VARIE 17/210
1.PARE CA MO 'O VVECO…
Ad litteram: sembra che adesso lo vedrò… Id est: campa cavallo!, mai vedrò (che ciò avvenga)! Locuzione sarcastica di portata molto simile alla precedente, ma di valore piú generico che si usa in presenza di una imprecisata previsione di un risultato fallimentare cui è comunque destinata l'azione intrapresa da chi è ritenuto incapace ed inadatto a sostenere un impegno qualsiasi e perciò a raggiungere un risultato.
‘o ‘o/’u = a) ‘o/’u lo art. determ. m. sing. si premette ai vocaboli maschili o neutri singolari; la forma ‘u è forma antica di ‘o ora ancora in uso in talune parlate provinciali e/o dell’entroterra; la derivazione sia di ‘o che di ‘u è dal lat. (ill)u(m), acc.vo di ille 'quello'; l’aferesi della prima sillaba (ill) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘); la particolarità di questo articolo è che quando sia posto innanzi ad un vocabolo inteso neutro, ne comporta la geminazione della consonante iniziale (ad es.: ‘o pate voce maschile, ma ‘o ppane voce neutra etc.);
b) ed è il ns. caso ‘o talora anche lo ma sempre eliso in ll’ se proclitico; = lo pronome personale m.le di terza pers. sing. [forma complementare atona di isso(egli) (forma tonica lui), esso]
1 si usa come compl. ogg. riferito a persona o cosa, in posizione sia enclitica sia proclitica; si può elidere dinanzi a vocale purché non crei ambiguità: ‘o’ mmidio assaje (lo invidio molto); ll’aggiu accattato pe tte(l'ò comprato per te); liéggelo(leggilo); vulesse averlo(vorrei averlo); ‘o ‘í ccanno(eccolo);
2 può assumere il valore di ciò, riferito a una prop. precedente o con funzione prolettica: vo’ riturnà, me ll’à ditto isso(vuole ritornare, me lo à detto lui); ‘o ssapevo ca succedeva(lo sapevo che sarebbe accaduto) | con lo stesso sign. in funzione predicativa: diceva d’essere figlio sujo, ma nun ll’era(diceva di essere suo figlio, ma non lo era); era janca ‘e capille, ll’era addiventata dinto a ppochi mise (era bianca di capelli, lo era diventata in pochi mesi). Amargine di tutto ciò rammento che nel napoletano oltre ‘o (articolo o pronome) esiste un altro ‘o di cui dico qui a seguire:
o’ non è come a prima vista potrebbe apparire un’errata scrittura del precedente articolo ‘o (lo/il) o del precedente pronome ‘o errata scrittura (tutti possiamo sbagliare!) che talvolta mi è capitato di ritrovare inopinatamente in talune pagine di giornali, vergata da indegni pennaruli che per mancanza di tempo o ignavia non usano piú rileggere e/o correggere ciò che scrivono (....mi rifiuto infatti di credere che un giornalista non sappia che in napoletano gli artt. lo/il ed il pronome lo vanno resi con ‘o e non con o’) a meno che quei tali pennaruli nel loro scrivere non errino lasciandosi condizionare dalla dimestichezza con lo O’ (apocope dello of inglese che vale l’italiano de/De).
L’ o’ napoletano a margine è anch’esso un’apocope, quella del vocativo oj→o’=oh e viene usata nei vocativi esclamativi del tipo o’ fra’!= fratello! oppure o’ no’!= nonno! La forma intera oj è usata in genere nei vocativi come oj ne’! – oj ni!’= ragazza! – ragazzo!. Rammento che il corretto vocativo oj viene – quasi sempre e nella maggioranza degli anche famosi e famosissimi scrittori e/o poeti partenopei – riportato in una scorrettissima forma oje con l’aggiunta di una pletorica inesatta semimuta e, aggiunta che costringe il vocativo oj a trasformarsi nel sostantivo oje = oggi con derivazione dal lat. (h)o(di)e→oje; ah, se tutti i sedicenti scrittori e/o poeti partenopei prima di mettere nero sul bianco facessero un atto di umiltà e consultassero una buona grammatica del napoletano, o quanto meno compulsassero un qualche dizionario, quante inesattezze o strafalcioni si eviterebbero! Purtroppo tra i piú o meno famosi o famosissi scrittori e/o poeti partenopei che reputano d’esser titolari di scienza infusa, l’umiltà non alligna, né trova terreno fertile! Il Cielo perdoni la loro supponenza spocchiosa...
2.PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso (giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle.). La frase viene usata a sarcastico commento delle azioni iniziate da qualcuno ritenutotanto inetto al punto da non poter portare mai al termine ciò che intraprende.Sovente l’espressione è pronunciata preceduta da un esclamatorio Ahé! Ad litteram: sembra che adesso ti vedrò vestito da orso Locuzione garbatamente ironica da intendersi in senso antifrastico, id est: Mai ti vedrò vestito da orso!; si tratta di una locuzione usata a mo' di canzonatura davanti alle risibili imprese dei saccenti, boriosi e supponenti che si imbarchino (privi come sono delle necessarie forze fisiche e/o capacità intellettive), in avventure ben superiori alle loro scarse possibilità; va da sé che a causa della penuria di forze e/o capacità le imprese in cui s’avventurano son destinate a fallire miseramente; il nascosto protagonista della locuzione fa le viste di disporsi a catturare un orso per vestirsene della pelle, ma sciocco, presuntuoso ed incapace qual è non vi potrà mai riuscire, per cui facilmente è dato preconizzare che mai lo si potrà vedere vestito da orso e canzonarlo dicendogli l’espressione in esame; va da sé che l’orso e la sua cattura son solo un icastico esempio d’ogni altra impresa intrapresa e non realizzabile per pochezza di forze, mezzi e/o capacità.
3.PARÉ CA S’’O ZÚCANO ‘E SCARRAFUNE
Ad litteram: Sembrare che lo suggono gli scarafaggi.
Va da sé che si tratta di un’enfatizzazione, non di un fatto reale; si tratta di una divertita presa in giro fatta nei confronti di soggetti tanto smunti, macilenti, sciupati, patiti, scavati, smagriti e rinsecchiti d’apparire quasi del tutto asciutti dei proprî umori vitali iperbolicamente succhiati da degli scarafaggi. Nella realtà ciò non è assolutamente possibile in quanto, pur essendo vero che le blatte sono avide di liquidi, non avrebbero mai possibilità o modo di prosciugare un corpo umano!
zúcano voce verbale (3ªpers. pl.) ind. pres. dell’infinito zucare = suggere, succhiare,aspirare i succhi; voce dal lat. *sucare denominale del lat. sucus con il consueto passaggio della fricativa dentale sorda (s) all'affricata alveolare sorda (z);
scarrafune/i s.vo m.le pl.metafonetico del sg. scarrafone = blatta, scarafaggio; l’etimo di scarrafone è dal lat. scarabaeu(m) + il suff. accrescitivo one e con il passaggio di influsso osco della consonante occlusiva bilabiale sonora (b) alla consonante fricativa labiodentale sorda (f) cfr. enfrice← lat. imbrice(m), runfà← dal gr. rhómbos, scrofola← lat. scrobula(m).
4.PARÉ CICCIBBACCO ‘NCOPP’ Â VÓTTA
Alla lettera: Sembrare Ciccibbacco sulla botte. Ironico, colorito riferimento a chi non si lascia turbare da niente e nessuno e persegue il suo fine indifferente a tutto ciò che gli accada intorno; con l’espressione si prende a modello una tipica figurina presepiale: il mitico guidatore (cui la tradizione popolare assegnò l’intraducibile nome di Ciccibbacco) di un carro trainato da una pariglia di buoi, carro usato per il trasporto di botti di vino, sulle cui botti trionfalmente assiso il panciuto conducente con esasperata lentezza (i buoi non son trottatori ed il peso delle botti piene si fa sentire e rallenta il cammino…) ed incurante sia dell’evento natalizio che della folla dei pastori, folla che incolonnata si reca alla santa grotta, tira innanzi per la sua via deciso a portare a termine la lucrosa consegna delle botti alle rivendite sue clienti.
‘ncopp’ â prep. art. f.le (sulla, sopra la,al disopra della) derivata da ‘ncoppa(←lat. in+cuppa(m))+ a+’a cfr. antea sub dint’ ô/ ‘int’ ô del n.ro 12;
vótta s.vo f.le = botte, s. f.
1 recipiente di legno fatto di doghe arcuate e pi ú strette alle estremità, tenute unite da cerchi di ferro, per cui ha forma simile a quella di un cilindro ma panciuta; serve per la conservazione e il trasporto di liquidi (spec. vino), o anche di pesci salati, olive e prodotti simili: spillare il vino dalla botte; una botte di aringhe | essere in una botte di ferro, (fig.) essere al sicuro da ogni rischio | dare un colpo al cerchio e uno alla botte, (fig.) barcamenarsi fra due persone, due partiti, due esigenze in contrasto fra loro | volere la botte piena e la moglie ubriaca, (fig.) cercare di ottenere contemporaneamente due cose fra loro incompatibili | prov. : nelle botti piccole sta il vino buono, per sottolineare le buone qualità di una persona di statura piccola.
2 la quantità di liquido o di altra sostanza contenuta in una botte
3 appostamento galleggiante a forma di botte aperta nel lato superiore, usato per la caccia nelle paludi
4 volta a botte, (arch.) volta a sezione semicircolare
5 a Roma, carrozza pubblica a cavalli; botticella
6 antica unità di misura per liquidi, con valori diversi da regione a regione | (mar.) antica unità di misura di stazza, equivalente alla tonnellata.
Voce dal lat. butte(m) con tipica alternanza partenopea B→V[cfr. bucca-m→vocca – barca→varca ecc.]
5.PARÉ DON TITTA E 'O CANE ( in origine PARÉ SAN ROCCO E ‘O CANE)
Ad litteram: sembrare don Titta ed il cane Locuzione usata per fotografare la situazione che veda due individui che procedano indissolubilmente legati fra di loro al segno che quasi l'uno non possa fare a meno dell'altro e viceversa. Chiarisco qui che il don Titta della locuzione non à riferimenti né storici, né letterarî con alcun personaggio esistito o di fantasia; è usato nella locuzione per un malinteso senso di rispetto, al posto di san Rocco, che – come ò indicato – in origine fu il protagonista della locuzione; ed in effetti il santo pellegrino e taumaturgo, nella iconografia tradizionale è rappresentato accompagnato sempre da un cane; in seguito, per una sorta di bigottismo,la locuzione popolare fu modificata ed al nome del santo fu sostituito quello di un non meglio codificato don Titta, che non è -sia chiaro!- il boia pontificio, personaggio mai entrato nella cultura partenopea che aveva in un mastro Austino il boia di sua pertinenza.
BRAK
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