venerdì 17 febbraio 2017
VARIE 17/203
1.OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
2.'ON SIMONE, STAMPA E CUMPONE.
Letteralmente: don Simone stampa e compone. Cosí, furbescamente son apostrofati, a Napoli, coloro che per mera saccenteria, per gratuita supponenza affermano di esser capaci di bastare da soli a far tutto, rifiutando - per questo - aiuti o consigli da chicchessia; il don Simone della locuzione assomma in sè l'abilità del tipografo stampatore e la capacità del tipografo compositore.
3.ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
4.PARÉ ‘A CUCCUVAJA ‘E PUORTO
Letteralmente: Sembrare la civetta del Porto; icastica, antica espressione usata a mo’ di dileggio riferita ad una donna molto poco avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e grassa e che incuta spavento o timore. L’espressione in origine (fine XVI sec.) faceva riferimento alla civetta che accompagnava la statua della dea Minerva (dea della filosofia e della saggezza oltreché protettrice delle acque) una delle statue presenti sul basamento della Fontana degli Incanti: detta anche d’ ‘a Cuccuvaja in Piazza dell'Olmo, nel Quartiere Porto; la fontana fu détta degli Incanti perché (a voler credere ad una leggenda) una malefica, potente strega della città, usava frequentemente l'acqua della fontana per i suoi incantesmi; ma piú verosimilmente fu cosí chiamata prendendo a riferimento gli Incantatori (venditori di merce ai pubblici incanti) che svolgevano il loro lavoro all’aperto nei pressi della fontana che sorgeva nel mezzo della piazza all'ombra di un grande olmo che dava il nome alla piazza.
La fontana disegnata da Giovanni da Nola (Nola 1488 – †Napoli 1560) sorgeva, come ò détto, nel mezzo della Piazza su di una base quadrangolare formata da un monte con 4 grotte, nelle quali vi erano le statue di: Venere, Apollo, Cupido, Minerva; in cima al monte da una tazza rigurgitante acqua si ergeva un aquila con le Armi dell'Imperatore Carlo V e sull'esterno, in un tondo ortogonale alla grotta della Minerva, era scolpita una civetta (in napoletano cuccovaja); come è risaputo la fontana fu costruita nel XVI secolo nella piazza dell’ Olmo al Porto, quando il viceré Pedro Álvarez de Toledo(Salamanca 1484 – †Firenze 22/02/ 1553) volle realizzare una struttura idrica per l'approvvigionamento degli abitati del Luogo. Fu disegnata, ripeto da Giovanni Merliano scultore noto come Giovanni da Nola, ma al rifacimento di alcune parti andate distrutte partecipò anche lo scultore Annibale Caccavello(Napoli 1515 – †Napoli 1570) che scolpí la statua di Venere.
Danneggiata nei tumulti (luglio 1647) di Masaniello (Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 – †Napoli, 16 luglio 1647), la fontana venne riportata al nuovo splendore con i rifacimenti di alcune parti realizzate da tali non meglio identificati Francesco Castellano ed Antonio Iodice, sotto la supervisione di Francesco Antonio Picchiatti(Napoli1619 – †Napoli 1694); riparata piú volte nel corso del XVIII secolo, nel 1834, l'architetto Pietro Bianchi((Lugano 1787 -† Napoli 1849). ne ricostruí una buona parte;scampata alle demolizioni del Risanamento, venne smontata ed all'inizio del XX secolo ricostruita in piazza Salvatore Di Giacomo(Napoli 1860 -† ivi 1934) a Posillipo, ma per i napoletani d’antan rimase e rimane ancóra ‘a funtana d’ ‘a cuccuvaja ‘e Puorto;rammento poi che sul finire del 1800 ed i principi del 1900 con l’espressione ‘a cuccuvaja ‘e Puorto , pur continuando ad usarla quale insolente espressione di irrisione, non ci si riferiva piú all’antica tozza, brutta civetta che accompagnava la Minerva, ma ci si riferiva con sarcastica, malevola impertinenza a Matilde Serao(Patrasso 1856 - †Napoli 1927), la famosissima scrittrice e giornalista napoletana fondatrice a Napoli de Il Giorno con sede in Angiporto della Galleria, giornalista che per il vero era effettivamente una donna molto poco avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e grassa, la cui vista incuteva timore se non addirittura sgomento!
cuccuvaja s.vo f.le = 1.civetta e talora nottola, ed anche 2. donna brutta e sgraziata che incute timore; etimologicamente voce dal greco kikkabâu.
5.PARÉ ‘A FUNA I ‘A TERÒCCIOLA
Letteralmente: Sembrare la fune e la carrucola; icastica, antica espressione peraltro desueta preferendole l’uso della successiva (Paré variante stà cazza e ccucchiara) ambedue usate per indicare due individui (amici,consanguinei etc.) che stiano sempre insieme procedendo di pari passo
quasi inscindibilmente legati; nell’espressione a margine gli oggetti presi a modello sono una fune ed una carrucola di pozzo, fune e carrucola che solo in unione posson concorrere ad issare il secchio colmo d’acqua; nell’espressione che segue gli oggetti presi a modello sono invece il secchio della calcina e la mestola strumenti usati dal muratore sempre insieme.
funa s.vo f.le = fune, insieme di piú fili di canapa, d'acciaio o di altro materiale ritorti e intrecciati fra di loro; corda, cavo,
etimologicamente dal lat.parlato *funa(m) per il cl. fune(m); teròcciola s.vo f.le = carrucola,macchina per sollevare pesi costituita da una ruota scanalata entro cui scorre una fune, paranco, girella ed altrove per traslato (semanticamente spiegato con il continuo cigolio della carrucola) anche viva parlantina, chiacchiera spesso fastidiosa; rammento ancora che la voce teròcciola usata al pl. teròcciole indicò un tempo le piccole carrucole metalliche che in tempi remoti regolavano le grosse bretelle di cuoio, che sorreggevano le braghe. Etimologicamente la voce a margine è forsedal lat. volg.torciola diminutivo di torcja variante di torca= collana, ma trovo piú perseguibile l’idea del lat. trochlĕa marcato sul greco trochiléia;
BRAK
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento