ANTICHE
JUOCHE
NAPULITANE
Comme se jucava a
Nnapule quanno ‘e strate
erano strate a
mmesura ‘e guagliune
Coloro che ànno i capelli
bianchi, forse si commuoveranno nel ritrovare nelle pagine che seguono alcuni
giochi che sicuramente fanno parte dei ricordi della loro infanzia. A quei
tempi, nella nostra città, c’erano due categorie di ragazzi: gli scugnizzi, o
ragazzi di strada e gli altri, o ragazzi di casa. I primi erano perennemente
in strada, dove trascorrevano il loro tempo in giuochi fatti con attrezzi
poveri, quali i loro mezzi potevano permettere. I secondi, viceversa,
trascorrevano la maggior parte del tempo a scuola o in casa a studiare, ma, non
appena potevano farlo, ad esempio nel tragitto da casa a scuola o con una scusa
o quando erano mandati per commissioni, si univano tra loro o ai ragazzi di
strada per partecipare ai loro giuochi, risultando, naturalmente, sempre
perdenti, perché piú goffi ed imbranati di quegli altri. Ma quali erano i
giochi dei ragazzi di strada? Oggi se ne sta perdendo perfino la memoria, oltre
che l’uso. Gli attuali ragazzi di strada impiegano il tempo a scorrazzare su
motorini o a giocare a calcetto o, i piú istruiti, ad usare aggeggi
elettronici. Ecco che un recupero dei giochi antichi, oltre al gusto di
ritrovare le proprie tradizioni e radici, avrebbe anche un significato
pedagogico, richiedendo quei giochi oltre che abilità fisica, anche fantasia e
destrezza psicologica.
Prenderò il “la” per queste paginette
dalla poesia “Guaglione” di Raffaele Viviani, scugnizzo per
antonomasia, che ci offre uno spaccato della vita dei ragazzi di strada ed un
elenco di alcuni dei giochi che essi praticavano.
Ò accennato a gli scugnizzi e mi sembra giusto, prima di
entrare in medias res, soffermarsi sul termine scugnizzo
dicendo che scugnizzo/a è un sostantivo ed aggettivo
maschile o femminile e ci si trova ad avere a
che fare con un’altra parola che (come
guaglione, guappo, camorra ,etc.), partita dal lessico partenopeo, è bellamente
approdata in quello nazionale nel suo significato di monello, ragazzo astuto
ed intelligente e, per estensione, ragazzo vivace ed irrequieto.
È pur vero – come détto – che la parola è ormai termine italiano e
pertanto da riferirsi a qualsiasi monello dello stivale, ma, nel comune
intendere, con la parola scugnizzo ci si riferisce ai monelli
napoletani; sarebbe impensabile uno scugnizzo milanese,
triestino, etc. alla medesima stregua di ciò che avvenne con lo sciuscià (voce
che quale adattamento popolar-napoletano dell’inglese shoe-shine (boy) indicò
il monello che allo sbarco degli alleati durante l’ultima guerra, si guadagnava
da vivere pulendo le scarpe dei militari e/o civili) che – malgrado operasse in
tutte le città - fu ritenuto essenzialmente napoletano (forse perché – come
détto – la voce fu coniata a Napoli.
Torniamo allo scugnizzo ed all’etimologia della parola;
essa è tranquillamente un deverbale di scugnà dal latino excuneare;
il verbo scugnà significa battere il grano sull’aia,
percuotere, bastonare, smallare (le noci), scheggiare con percosse (i denti); ma,nell’accezione
che qui ci interessa, sbreccare, spaccare. Per comprender tale accezione
occorre riferirsi ad un tipico giuoco: quello dello strummolo,
alla cui trattazione rimandiamo, in particolare al momento in cui uno dei
giocatori risultato perdente nella gara di far vorticare la sua trottolina
lignea può vederla sbreccare o addirittura spaccare dal vincitore che – con
accorto colpo – può far scempio della trottolina dell’avversario perdente scugnandola
cioè a dire sbreccandola.
Ecco dunque che i monelli napoletani adusi a manovrare lo strummolo
e spesso a sbreccare quello dell’avversario son detti scugnizzi e
cioè capaci di scugnare ed abili a farlo. Il percorso
morfologico della voce usò il tema scugn di scugnare addizionato
del suffisso izzo collaterale nel napoletano del suffisso iccio
(suffissi derivativi ed alterativi di aggettivi, che continuano il
latino -iciu(m) ed esprimono diminuzione, imperfezione, approssimazione
per lo piú con valore peggiorativo e spregiativo. E torniamo all’assunto.
GUAGLIONE di Raffaele Viviani
Quanno jucavo ô strummolo, â liscia, ê
ffijurelle,
a cciaccia, a mmazza e pívezo, ô juoco d’’e
ffurmelle,
stevo ‘int’ â capa retena d’’e figlie ‘e
bbona mamma,
e me scurdavo ô ssolito, ca me murevo ‘e famma.
E ccomme ce sfrenàvamo: sempe chine ‘e
sudore!
‘E mmamme ce lavàvano minute e quarte d’ore!
Junchee fatte cu ‘a canapa ‘ntrezzata, pe ffà
a pprete;
sagliute ‘ncopp’a ll’asteche, p’annarià
cumete;
p’ ‘o mare ce menàvamo spisso cu tutte ‘e
panne;
e ‘ncuollo ce ‘asciuttàvamo, senza piglià
malanne.
‘E gguardie? sempe a sfotterle, pe’ ffà
secutatune;
ma ê vvote ce afferravano cu schiaffe e
scuzzettune
e â casa ce purtavano: Tu, pate, ll’hê ‘a
‘mparà!
Ma manco ‘e figlie lloro sapevano educà.
A dudece anne, a tridece, tanta piezz’’e
stucchiune:
ca niente maje capévamo pecché sempe
guagliune!
‘A scola ce ‘a sàlavamo p’’arteteca e pp’’a
foja:
‘o cchiú ‘struvito, ô mmassimo, faceva ‘a
firma soja.
Po gruosse, senza studio, senz’arte e ssenza
parte,
fernévamo pe perderce: femmene, vino, carte,
dichiaramiente, appicceche; e sciure ‘e
giuventú
scurdate ‘int’a ‘nu carcere, senza puté ascí
cchiú.
Pur’io jucavo ô strummolo, â liscia, ê
ffijurelle,
a cciaccia, a mmazza e pívezo, ô juoco d’’e
ffurmelle:
ma, a ddudece anne, a ttridece, cu ‘a famma e
cu ‘o ccapí,
dicette: Nun po’ essere: ‘sta vita à dda
ferní.
Pigliaje ‘nu sillabbario: Rafele mio, fa’
tu!
E me mettette a correre cu A, E, I, O, U.
1.Nome del gioco e traduzione in
italiano: STRUMMOLO (trottolina)
Corrispondenza con altre regioni italiane: nessuna che mi sia nota.
Etimologia: greco strómbos trasmigrato nel latino strumbus
poi, con consueta assimilazione progressiva, strummus ed infine nel
napoletano, con il suffisso diminutivo olu(m)→olo: strummolo con
il suo esatto significato di piccola trottola.
Descrizione del gioco: Trattasi di una trottolina di legno a
forma di cono con il vertice costituito da una punta metallica infissa nel
legno e con numerose scalanature incise su tutta la superficie in modo
concentrico e parallelo rispetto al vertice; in dette scanalature viene avvolta
strettamente una cordicella che ha lo scopo di imprimere un moto rotatorio allo
strummolo, una volta che détta corda sia stata velocemente
srotolata e portata via dallo strummolo mediante uno strappo
secco, per modo che la trottolina lanciata in terra prenda a girare
vorticosamente su sé stessa facendo perno sulla punta metallica: piú abile è il
giocatore e di miglior fattura è lo strummolo, tanto maggiore
sarà la velocità della roteazione e la sua durata.
Se invece lo strummolo è di scadente fabbricazione, il
piú delle volte risulterà scentrato e non bilanciato rispetto alla punta, per
cui il suo prillare risulterà di breve o nulla durata: in tali casi si suole
dire che lo strummolo è ballarino o tiriteppe, volendo con tale
onomatopea indicare appunto la non idoneità del giocattolino. Allorchè poi alla
scentratezza dello strummolo si unisca una cordicella non sufficientemente
lunga, tale cioè da non permettere di imprimere forza al moto rotatorio dello
strummolo, si usa dire: s’è aunito ‘a funicella corta e ‘o strummolo
tiriteppe e tale espressione è usata quando si voglia fotografare una
situazione nella quale concorrano due iatture, come nel caso, ad esempio, di
una persona incapace ed al contempo sfaticata o di un artigiano poco valente
fornito, per giunta, di ferri del mestiere inadeguati, rammentando un famoso
modo di dire che afferma che songo ‘e fierre ca fanno ‘o masto (sono
gli attrezzi a rendere uno maestro) e cioè che un buono artiere è quello
che possiede buoni utensili...o magari – per concludere - quando concorrono un
professore eccessivamente severo ed un alunno parimenti svogliato.
2.Nome del gioco e traduzione in
italiano: ‘A
LISCIA ( voce intraducibile)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta l’Italia meridionale
soprattutto nelle regioni ricche di fiumi.
Etimologia: liscio di cui liscia è
il femminile, etimologicamente è da un latino volgare lisiu(m), voce di
origine espressiva.
Descrizione del gioco: Si fanno scivolare a mo’ di primordiali
bocce dei sassi appiattiti e levigatissimi, probabilmente ciottoli di fiume,
quegli stessi che in varie misure servirono un tempo per lastricar (prima
dell’uso dei parallelepipedi di basalto/pietra lavica) le strade napoletane
dando luogo alle cosiddette ‘mbrecciate, derivato di brecce, plurale
di breccia, dal latino volgare briccia.
3.Nome del gioco e traduzione in italiano: FIJURELLE (figurine
o immaginette di santi) e piú tardi (1930 e ss.) anche RITRATTIELLE (piccoli
ritratti)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta Italia.
Etimologia: fijurella sostantivo femminile diminutivo di figura,
dal latino figura da fingere (plasmare, foggiare); ritrattiello
sostantivo maschile diminutivo di ritratto (immagine
fotografica, pittorica o scultoria del viso, del busto), participio passato
di ritrarre, dal latino retrahere, composito di re- (indietro
) e trahere (trarre).
Descrizione del gioco: le figurine riproducono foto o disegni
di personaggi storici, attori/attrici o campioni dello sport. In tempi antichi
furon merci vendute dai cartolai (calcografate su sottili fogli di carta da
incollare su cartoncini flessibili e poi ritagliar alla bisogna e poi impilate
e piegate al centro lungo l’asse maggiore, per essere usate nel giuoco, sia
come mezzo di divertimento, che come posta del giuoco stesso) ben prima che
apparissero sul mercato le figurine Panini. Il gioco, condotto da due
giocatori, consiste nel metter a disposizione un mazzetto di egual numero di
figurine ciascuno, con il fronte sul piano d’appoggio. Il giocatore avversario
deve indovinare quale personaggio si trova sulla prima figurina del mazzetto:
se non ci riesce, si prosegue, se indovina si impadronisce di tutto il residuo
mazzetto che porrà sotto il suo, toccando all’avversario a sua volta di
indovinare. Vince chi riesce ad impadronirsi del maggior numero di figurine.
Variante piú divertente e dinamica (in
quanto non basata sulla pura fortuna, ma comportante una destrezza manuale) del
giuoco, sempre condotto tra due giocatori: ogni giocatore impila le proprie
figurine tenendone il recto (faccia) in alto, piegate al centro lungo l’asse
maggiore; l’avversario assesta, con la mano in postura concava, un colpo al lato
della pila cercando di procurare un adeguato spostamento d’aria tale che faccia
voltare una o piú figurine dalla faccia al verso; la /le figurina/e rivoltate
vengono conquistate.
4.Nome del gioco e traduzione in italiano: CIACCIA (schiaffo
del soldato)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta Italia
Etimologia: voce chiaramente d’origine onomatopeica dal tipico
rumore: cià, cià provocato dal secco, violento colpo della palma della
mano contro la palma dell’altrui mano.
Descrizione del gioco: Uno dei giocatori, estratto a sorte, svolge il ruolo
della “madre”ed ha il compito di controllare che nessuno bari. Un altro
giocatore estratto a sorte “va sotto”, cioè si pone con il volto sulla spalla
della madre, una delle due mani a coprire il viso e l’altra con il palmo
esposto sotto la sua spalla. Gli altri giocatori, posti alle sue spalle,
devono, uno per volta, colpire con uno schiaffo la mano di quello che sta
sotto. Questi si volta e deve indovinare quale degli altri giocatori lo ha
colpito, cercando di riconoscerlo attraverso le dimensione della mano e la
violenza dello schiaffo. Il colpitore, se riconosciuto, va sotto, altrimenti
rimane sotto quello che già c’era e così via.
5.Nome del gioco e traduzione in italiano: MAZZA E PIVEZO (mazza
e pezzo)
Corrispondenza con altre regioni italiane: in Toscana: lippa, a
Roma: nizza, nel Veneto: mazza e pandolo, nel
comasco: ciangal, in Sicilia: manciugghia, in
Lombardia: a la rella, in Friuli: ceba e vegna,
nelle province laziali mazza e zipola o mazzapicchia.
Il gioco era praticato anche dai Tartari di Tamerlano e presenta singolari
attinenze con l’inglese cricket e con l’americano baseball.
Etimologia: mazza sostantivo femminile dal latino
volgare matea, mateola (mazza); pivezo sostantivo maschile
da un basso latino:pélsu(m)→ pilsu(m) 9
per il classico pulsu(m) (ligneum)=
(legnetto lanciato) che è il breve pezzo di bastone appuntito ai lati.
Descrizione del gioco: si traccia sulla
terra battuta un cerchio con la stessa mazza del gioco di circa due metri di
diametro (oppure con il gesso in caso di asfalto o basoli).Il gioco consiste
nel colpire una prima volta (mazzeca e uno) con la mazza
la punta del pivezo (con il pezzo a terra) allo scopo di farlo
sollevare e colpirlo nuovamente al volo (mazzeca e ddoje) cercando
di lanciarlo il piú lontano possibile. L’altro giocatore, raggiunto il pívezo,
deve lanciarlo nel cerchio difeso dal battitore che tenta di ribatterlo (mazzeca
e ttre) il piú lontano possibile. Se ci riesce si scambiano i
ruoli, in caso contrario il battitore con tre colpi (descritti come sopra)
allontana il piú possibile il pezzo dal cerchio, per modo da porre in
difficoltà l’avversario che dovendo ripetere il lancio del pivezo verso
il cerchio, può mancarlo e non raggiungerlo mettendo fine alla contesa con la
vittoria del lanciatore/battitore.
6.Nome del gioco e traduzione in
italiano: ‘O
JUOCO D’’E FURMELLE (il giuoco dei bottoni)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta Italia
Etimologia: juoco sostantivo maschile dal latino iocus
(scherzo, giuoco); furmella sostantivo femminile dal latino formella
(piccola forma, formaggella).
Descrizione del gioco: il gioco prevede il lancio dei bottoni radente il
suolo verso un buco ricavato sul terreno o simulato con il disegno di un
cerchio tracciato con il gesso; una volta lanciati i loro bottoni, i singoli
giocatori spingono il loro bottone verso il cerchio o buco sospingendoli con un
colpo dell’unghia del pollice che prende slancio facendo leva contro il
polpastrello dell’indice; vince chi riesce a far cadere, colpendoli con
destrezza e misura, nel buco o nel cerchio i bottoni degli avversarî. I bottoni
possono essere sostituiti da monete metalliche. Per stabilire la priorità del
lancio dei bottoni verso il cerchio/buco occorre dar corso a due fasi
prodromiche: la prima (sottamuro) consiste nel lanciare verso un muro o
altro ostacolo i bottoni o le monete cercando di farle accostare il piú
possibile al muro/ostacolo; seguendo l’ordine di accostamento al muro,
valutato, se de visu non sia possibile stabilirlo, servendosi del palmo
(distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo, misurata con
la mano aperta e le dita distese e divaricate al massimo; un tempo costituiva
un’unità di misura corrispondente a circa 25 cm) e dello ziracchio (distanza
tra la punta del pollice e quella dell’indice, misurata con la mano aperta e le
dita distese e divaricate al massimo; un tempo costituiva un’unità di misura
corrispondente a circa 18 cm). I giocatori, quindi, danno luogo alla seconda
fase prodromica (battimuro), consistente nel far battere, di taglio
contro il muro o l’ostacolo uno per volta i proprî bottoni o monete facendoli
ricadere il piú lontano possibile; il giocatore che riesce vittorioso in questa
seconda fase ha il diritto di lanciare per il primo le sue munizioni verso il
cerchio o buco
7.Nome del gioco e traduzione in italiano: JUNCHEA (fionda fatta con sottili giunchi
intrecciati o con altre piante flessibili di crescita spontanea)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta Italia
Etimologia: junchea sostantivo femminile dal
latino iuncu(m) (giunco).
Descrizione del gioco: La fionda si usa per una gara di lancio
di pietre verso un determinato bersaglio; vince chi colpisce con maggior
precisione il
bersaglio oppure, in una variante piú
semplice, vince chi lancia i proiettili (pietre) piú lontano.
Anticamente (epoca vicereale 1503 e ss.) non si trattava di un giuoco,
ma di una vera e propria battaglia fatta tra due squadre di opposti contendenti
che davano luogo alla cosiddetta petrïata ed in tal caso il
bersaglio dei contendenti era la persona degli avversarî; in origine non si
parlò di petrïata ma di guainella ed a seguire
chiarisco il perché.
Guainella (sostantivo femminile) in origine fu un grido di
battaglia (guainella, guainé, brié, ahó!) in uso
quale voce d’incitamento tra gli scugnizzi impegnati in pericolosi e spesso
cruenti scontri a colpi di pietra; in prosieguo di tempo il grido, o meglio la
sola parola d’avvio: guainella (per metonimia) passò ad indicare
la vera e propria tenzone. Successivamente poi, caduta in disuso, in luogo di guainella
si adottò la voce petrïata (sassaiuola).
Non di facile soluzione il problema etimologico di questa voce assente
nella magna pars dei vocabolarî dell’idioma napoletano o dei calepini
etimologici del napoletano e d’altronde quei pochi che la prendono in
considerazione (D’Ambra, Altamura, Salzano, D’Ascoli, de Falco) o sorvolano
sull’etimo o non hanno identità di vedute, pur convenendo sul fatto che la voce
in primis indicasse un grido di incitamento allo scontro e
successivamente la vera e propria tenzone. Occorre rammentare che in origine la
lotta, la tenzone, lo scontro tra due fazioni di scugnizzi, spesso
rappresentanti di rioni limitrofi e rivali, non fu operata con il lancio di
pietre, ma a colpi di elastici e flessibili bastoni e/o pertiche ricavati dai
rami piú alti di piante quali i salici o piante consimili come il vetrice;
orbene tali bastoni e/o pertiche prendevano il nome di ainella/e (dal
greco agnos letto come hagnos = casto e puro); si trattava
infatti di una pianta il cui succo delle foglie si riteneva conferisse castità
e purezza. Ipotizziamo dunque che in origine il grido di incitamento allo
scontro, lanciato dai capifazione fosse ainella, ainé,
brié, ahó! e valesse: “suvvia, armatevi di bastoni, alle pertiche!”
Successivamente l’originaria (‘a) ainella fu letta (‘a)
uainella ed ancór piú sempre per motivi eufonici (‘a) guainella che
fu dapprima un grido d’incitamento e poi identificò lo scontro una volta a
colpi di bastoni e poi, dismessi quelli per mancanza di alberi da cui
procurarseli, a colpi di sassi e pietre abbondanti in taluni luoghi della città
bassa dove avvenivano gli scontri.
Petrïata/petrata sostantivi femminili diversi l’uno dall’altro: letteralmente
la voce petrata è la sassata, il tiro e il colpo di una
singola pietra, mentre con la voce petrïata si intende una
prolungata gragnuola di colpi di pietra, quasi una lapidazione.
Anticamente, a far tempo dalla fine del ‘500, a Napoli, soprattutto in talune
zone della città quali Arenaccia, Arena alla Sanità, San Carlo Arena, san
Giovanni a Carbonara, ricche di detriti sassosi, residuali di piogge che
trasportavano a valle terriccio e sassi provenienti dalle alture di
Capodimonte, Fontanelle etc. o, nelle
stagioni secche, residui di fiumiciattoli (es. Sebéto) in secca si svolgevano,
tra opposte bande di scugnizzi e/o bassa plebaglia, delle autentiche battaglie
con feriti spesso gravi; ai primi del ‘600 tali battaglie divennero così
cruente che i viceré dell’epoca furono costretti ad emanar prammatiche, nel
(peraltro) vano tentativo di limitare il fenomeno. Si ricorda una divertente
espressione in uso tra i contendenti di tali petrïate: Menàte ‘e grosse,
pecché ‘e piccerelle vanno dint’ a ll’uocchie! (Tirate le (pietre)
grandi, giacché quelle piccole vanno negli occhi!).
Etimologicamente sia petrata che petrïata sono
un derivato metatetico di preta metatesi del latino petra,
che è dal greco pétra; nella voce petrïata generata dopo petrata
si è avuta l’anaptissi (inserzione di una vocale in un gruppo
consonantico o tra una consonante ed una vocale; epentesi vocalica) di una i
durativa allo scopo di espander nel tempo il senso della parola d’origine;
l’anaptissi di questa i ha determinato altresí la ritrazione
dell’accento tonico e si è avuto petrïata→petríata in
luogo di petriàta.
8.Nome del gioco e traduzione in italiano: ‘A MAZZA
E ‘O CHIRCHIO (la mazza e il cerchio)
Corrispondenza con altre regioni italiane: nessuna che mi sia nota.
Etimologia: mazza sostantivo femminile dal latino
volgare matea, mateola (mazza); chirchio sostantivo maschile dal
latino circulus (circonferenza, cerchio)
Descrizione del gioco: il cerchio è di metallo e può essere
recuperato dalle fasce di cinturazione delle botti o dalle ruote delle
biciclette, togliendo i raggi; la mazza può essere metallica, con l’estremità
curvata ad U, oppure di legno, con inserita una punta di metallo ad U.
Ogni giocatore deve percorrere con il cerchio-ruota un percorso
prestabilito e disseminato di ostacoli. Il cerchio deve essere mosso e guidato
esclusivamente con la mazza.
Durante la corsa il cerchio non deve cadere: verificandosi tale
accadimento il concorrente viene eliminato o gli viene comminata una penalità.
Si subisce penalità anche in caso di mancato superamento di un ostacolo
previsto nel tracciato del percorso. Vince chi, col minor numero di penalità,
conclude il percorso realizzando il tempo migliore.
9.Nome del gioco e traduzione in italiano: CARRUOCIOLO/CARRUOCCIOLO
(carroccio);
La differenza morfologica del nome (una volta con la scempia affricata
palatale sorda (c), una volta con la doppia (cc) è
dovuta al fatto che il giuoco fu in uso in tutta la città, ma mentre nella
pianeggiante città bassa, praticato su strade non sempre lastricate, ma spesso
solo sterrate non produceva eccessivo frastuono di talché s’ebbe un nome carruociolo
piú dolce e piú quieto con la consonante scempia (c), in
collina, dove il giuoco si praticava su rumorose, lastricate strade in
declivio, ecco che il giuoco s’ebbe un nome piú aggressivo riproducente il
maggior strepito che l’attrezzo adoperato provocava e fu carruocciolo con
la doppia (cc).
Corrispondenza con altre regioni italiane: è un antenato del monopattino o dello
skate-board.
Etimologia: carruociolo , sostantivo maschile dal
tardo latino, di origine gallica carrŭculum→carrŭclum→carruocchio→carruoccio
addizionato del suffisso diminutivo olu(m)→olo dim. di carrus
Descrizione del gioco: il carruociolo è una
tavola di legno di forma rettangolare all’incirca 70 - 80 cm di lunghezza e 20
- 25 cm di larghezza, poggiante su due assi fisse sporgenti inchiodate nel solo
punto centrale, portanti ciascuna due rotelle all’estremità.
Come rotelle si utilizzano generalmente cuscinetti meccanici usati,
donati da qualche meccanico di buon cuore.
Dopo una breve rincorsa, salendovi sopra, si affrontano di solito
discese abbastanza ripide riuscendo ad effettuare anche delle curve, grazie
alla parte anteriore del carruociolo sagomata con due tagli ad
angolo retto per permettere alle ruote anteriori di sterzare per mezzo di
tiranti, collegati a queste ultime e ad un manubrio fissato su un piccolo
ceppo, posto sopra la tavola. Usato in piano nella città bassa come diporto per
i piú piccini, il carruociolo veniva trainato di corsa per il
tramite di una corda.
10.Nome del gioco e traduzione in
italiano: SCÉ-SCÉ, VULIMMO SCENNERE (su,su, vogliamo scendere)
Corrispondenza con altre regioni italiane: nessuna che ci sia nota
Etimologia: la voce scé-scé, che dà nome al
giuoco, è la semplice reiterazione della prima sillaba del verbo scennere
= venir giú, calare (dal latino (de)scendere, composito di de
(di) e scandere (salire) e non va confuso con un altro scescé in
uso nella parlata napoletana soprattutto nell’espressione jí ascianno
scescé (cercar pretesti,scuse). Espressione intraducibile ad
litteram, ma che può rendersi con andare in cerca di pretesti; infatti con
l’espressione suddetta si connota chi, in ogni occasione cerchi cavilli, pretesti,
adducendo scuse per non operare come dovrebbe o facendo le viste di non
comprendere, per esimersi e, talvolta, allo scopo dichiarato di litigare,
pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé (che
è diversa dal nostro scé-scé) è un chiara corruzione del francese
chercher (cercare). Durante la dominazione murattiana un milite francese
si fermò a chiedere un’informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je
cherche” (io cerco) oppure usò una frase contenente l’infinito: “chercher”
Il popolano che non conosceva la lingua francese fraintese lo chercher,
che gli giunse all’orecchio come scescé e pensando che questo scescé
fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca,
comunicò agli astanti che il milite jeva ascianno scescé (andava alla
ricerca di un non meglio identificato scescé).
Descrizione del gioco: Si formano due squadre di almeno cinque
giocatori. Un giocatore, generalmente il piú robusto, si posiziona chinato di
fronte ad un muro, reggendosi allo stesso con le mani; il secondo giocatore,
dopo una breve rincorsa, sale a cavalcioni sulla schiena del primo e vi rimane;
il terzo fa lo stesso con il secondo e così via, fino a che l’intero gruppo
crolli a terra. Vince la squadra che riesce a far salire il maggior numero di
giocatori, o, a parità di numero, a crollare dopo piú tempo.
11.Nome del gioco e traduzione in italiano: ‘O
MUCCATURO (rubabandiera)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta Italia.
Etimologia: muccaturo dallo spagnolo mocador
(fazzoletto da naso o per detergere il sudore).
Descrizione del gioco: si formano due squadre di quattro componenti, che
si pongono allineate ad una distanza di
circa 5 metri ciascuna da un arbitro. I giocatori sono numerati; l’arbitro
regge con il braccio teso davanti a sé un pezzo di stoffa (‘o muccaturo) e
chiama un numero da 1 a 4. I due corrispondenti giocatori delle due squadre
partono di corsa dalle loro posizioni e raggiungono l’arbitro. Scopo del gioco
è quello di rubare la bandiera e rientrare oltre la linea dei propri compagni
senza che il giocatore avversario riesca a toccare una qualsiasi parte del
corpo del “ladro”.
12.Nome del gioco e traduzione in italiano: ‘O JUOCO D’’A PISTA (il
giuoco della pista)
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco esistente in tutta l’Italia
centro-meridionale.
Etimologia: juoco
sostantivo
maschile dal latino iocus (scherzo, giuoco); pista sostantivo
femminile dal tardo latino pista, participio passato del lat. tardo pistare,
iterativo di pinsere (battere, lasciare impronte)
Descrizione del gioco: È un gioco che si svolge tra piú
giocatori divisi in due o piú squadre; il gioco in origine consisteva nel fare
avanzare, alternativamente tra tutti i giocatori delle squadre partecipanti,
sospingendoli con un colpo dell’unghia del pollice che prende slancio facendo
leva contro il polpastrello dell’indice lungo un percorso tortuoso, ricco di
pretestuose, pletoriche curve, tracciato con il gesso su accidentati
muriccioli di confine di chiese o giardini privati o sulla pavimentazione
stradale o dei marciapiedi in piperno, alcuni tappi di bibite (birra, cola
etc.) reperiti sulla soglia di botteghe di vinattieri o mescite ed
opportunamente appiattiti con i colpi dei cosiddetti cazzimbocchi. Ci
piace precisare che il sostantivo napoletano cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò,
quanto alla forma, non è un ciottolo semisferico come il katzenkopf tedesco a
cui qualcuno improvvidamente l’apparenta, né – d’altra parte – ha forma di cubo
(e perciò è erroneo chiamarlo cubetto o quadruccio). Esso è un elemento lapideo
di leucitite, a tronco di piramide a base quadrata, del tutto simile a quello
usato a Roma ed in molte altre città per la pavimentazione di varie strade
urbane e, fra l’altro, della piazza S. Pietro (donde il nome sampietrino).
La sua forma consente ai lastricatori di acconciamente infiggere tali manufatti
su di uno spesso letto di sabbia e terriccio, seguendo esattamente l’andamento
curvato a schiena d’asino o a botte del piano stradale, e facendo poi colare
poi della pece liquida negli interstizi. L’originaria voce espressiva
partenopea, nata nell’àmbito dei lastricatori fu cazzibocchio (nata
da cazzi + occhio con epitesi, per evitare lo
iato, di una consonante eufonica (b),
poi a mano a mano trasformatasi per evidente aggiustamento fonetico in cazzimbocchio
ed infine semplificata in cazzibò, ma in tutte e tre le
forme è riconoscibile il richiamo osceno d’attacco (cazzo→cazzi) con
riferimento vuoi alla forma (il tronco di piramide richiama – sia pure con
molta buona volontà - l’organo maschile in erezione) del manufatto di pietra
lavica, vuoi al fatto che allorché d’un oggetto non si conosca o non sovvenga
con precisione il nome, nel parlato popolare, si adotta quello generico di cazzo.
Tornando al giuoco in esame diremo che vince chi riesce per il primo a
tagliare la linea di traguardo tracciata alla fine del percorso, senza mai
lungo il tragitto debordare dal segno del tracciato o cadere dal muricciolo; se
ciò avvenisse si dovrebbe ricominciare il percorso dalla linea di partenza. Successivamente
(1950 e ss.) i tappi furono sostituiti con piccole sfere prima di pomice e poi
di vetro colorato, ma il divertimento rimase il medesimo!
13.Nome del gioco e traduzione in italiano: UNO MONTA ‘A LUNA (uno
monta la luna) oppure ‘o juoco d’ ‘e cavalle (il gioco dei cavalli).
Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco esistente in tutta l’Italia
centro-meridionale.
Etimologia : uno dal latino unus (uno); monta
dal latino montare (salire, montare); luna, sostantivo
femminile, dal latino luna (luna); cavallo, sostantivo maschile,
dal tardo latino caballus (cavallo).
Descrizione del gioco:
Partecipanti: Numero indefinito di giocatori, ma non meno di dieci
Campo di gioco: Spazio aperto (spesso un intero marciapiede per tutta la sua
lunghezza)Materiale occorrente: Nessuno Svolgimento del gioco: I concorrenti
(cavalli) con la schiena curvata si dispongono in fila indiana, a distanza di
tre o quattro metri l’uno dall’altro.L’ultimo della fila (capo-gioco), dopo
breve rincorsa, poggiandosi con le mani sulle spalle del primo cavallo cercherà
di scavalcarlo, quindi proseguirà, attenendosi ai successivi comandi, pena una
penitenza o l’esclusione dal giuoco, superando il successivo e cosí via fino
all’ultimo, dopo di che egli stesso si disporrà nella stessa posizione degli
altri, diventando cavallo. Quindi si continuerà ripartendo dall’ultimo.
In questo gioco occorre accompagnare i balzi scandendo volta a volta le
frasi della seguente filastrocca ed accompagnando il salto talora con un
gesto/comando:
1 - UNO, MONTA ‘A LUNA (salto semplice
);
2 - DDOJE, MONTA ‘O VOJO (salto seguito
da due veloci colpi a mano aperta sulla schiena del cavallo);
3 - TRE, ‘A FIGLIA D’ ‘O RRE’ (salto
seguito da tre colpi di bacino sul fondoschiena del cavallo successivo);
4 - QUATTO, ARAPE ‘STA BBUATTA!
(salto preceduto da una pedata nel sedere del
cavallo);
5 - CINCHE, ‘A FORA DÔ SINCO”(salto
seguito da cinque colpi di piede smontando dal cavallo ed atterrando fuori
dalla fuga delle mattonelle del marciapiede o dei quadroni di basalto della
strada, pena una piccola penitenza decisa dal capo-gioco);
6 - SEJE, ‘E TTOJE E ‘E MMEJE (saltando
si colpisce la schiena a pugni chiusi di chi sta sotto; chi manca il colpo va
sotto);
7 - SETTE, MAMMÀ ‘O DDICETTE: TRE
PPASSE ‘NCRUCIATE ANNANTE E TTRE ADDERETO (dopo il salto si deve atterrare con
i piedi incrociati, si devono fare veloci passi incrociati in avanti ed indietro
e non si deve toccare nessun giocatore durante tutta l’operazione, pena
l’esclusione dal giuoco);
8 - OTTO, ‘O PACCOTTO: SI ME TUOCCHE
VAJE SOTTO(dopo il salto bisogna fermarsi dove si atterra, senza neppure
sfiorare l’ostacolo saltato: un piccolo tocco fa sí che si vada sotto);
9 - NOVE, ‘A PACCHIANELLA ‘E LL’OVA
(dopo il salto bisogna fermarsi dove si atterra e colpire con una manata (ma
senza guardare) la testa dell’ostacolo saltato, chi manca il colpo va sotto);
10 - DDIECE, MULIGNANE A SCAPECE (salto
semplice; dopo il salto si battono le mani tante volte quante decise dal
capo-gioco);
11 - ÚNNICE, VIENEME ‘O DDICE (durante
il salto bisogna posizionare le mani a mo’ di rapace e stringere la schiena di
chi sta sotto come se fosse una preda, una volta atterrati si deve fare un
passettino indietro ed urlare qualcosa - spesso una vibrante pernacchia -
nell’orecchio di chi sta sotto);
12 - DDÚRECE, ZOCCOLE E SURECE (durante
il salto bisogna picchiettare, a mo’ di passettini di topo, con una mano la
schiena di chi sta sotto, se si travolge chi sta sotto o si manca il
picchiettamento si va sotto);
13 - TRÍRECE, PENNIELLO E VVERNICE
(prima del salto, bisogna avvicinarsi a chi sta sotto
ed effettuare questa operazione: strusciare con la mano aperta a mo’ di pennello
tutta la schiena di chi sta sotto, assestare un colpo al sedere ed infine
saltare l’ostacolo con un balzo da fermo);
14 - QUATTUÓRDICE, CURTIELLO E
FFRÒBBICE (salto difficilissimo, da farsi da fermo, senza rincorsa, tenendo le
mani in tasca o gravate del
peso di
un indumento. Chi perde l’indumento o travolge l’ostacolo è escluso
definitivamente dal giuoco);
15 - QUÍNNECE, MIETTOLO ‘NCURNICE;
MAMMÀ E PAPÀ CE VENONO A PPIGLIÀ! (salto semplice con fuga finale; il capo
turno decide per quanti secondi chi sta sotto può cercare di acchiappare uno
dei giocatori, se non ci riesce il gioco ricomincia con lui sotto).
14.Nome del gioco
e traduzione in italiano: ‘A CAMPANA (la campana)
Corrispondenza
con altre regioni italiane: gioco noto in tutto il mondo
Etimologia: campana, sostantivo femminile, dal
tardo latino campana (campana)
Descrizione del gioco: è un gioco che per tradizione è
ritenuto prettamente femminile. Spesso però anche ragazzi si uniscono al gruppo
delle ragazze per mettere in risalto la loro abilità cercando anche di rendere
piú difficile il gioco con delle regole inventate al momento. Si traccia con un
gessetto il disegno come quello della figura. L’altezza delle caselle è di
circa 70 centimetri, mentre la larghezza dell’intera campana è di 2 metri. Ogni
giocatore deve avere a disposizione qualcosa da poter tirare sulle caselle
disegnate. Si può scegliere fra un sassolino, un tappetto, una piastrella, o
altro; spesso l’oggetto è un cosiddetto coppatacco (soprattacco di cuoio)
usato, reperito tra gli scarti dei ciabattini. A seconda dell’oggetto prescelto
può variare la difficoltà per riuscire a farlo fermare proprio nella casella
voluta. Con una conta si stabilisce l’ordine di gioco. La linea di tiro viene
tracciata ad un paio di metri dalla base della campana. Da qui si tira
l’oggetto nella casella numero 1. Se l’oggetto si ferma entro la casella, la
giocatrice (o giocatore), saltando su di un piede entrerà nella casella,
raccoglierà l’oggetto e, senza mai mettere il piede a terra, ritornerà sulla
linea di partenza. Fatto questo dovrà tirare di volta in volta l’oggetto nella
casella numero 2, 3, 4, ..., 12 adottando la stessa tecnica della prima
casella. La casella 8 serve per riposarsi potendo qui mettere giú il piede
sollevato. Invece le caselle 9 e 10 faranno riposare con un piede in ognuna. Si
sbaglia se:
1) si tocca con il piede un segno della campana;
2) si mette giú il piede in una casella;
3) l’oggetto lanciato non cade nel
riquadro della casella designata;
4) si dimentica di riposare nelle apposite caselle.
La giocatrice che avrà fatto uno di questi sbagli dovrà uscire dal
gioco per lasciare il posto a chi segue nell’ordine stabilito precedentemente
con la conta. Quando di nuovo tornerà il suo turno dovrà riprendere il gioco da
dove ha commesso l’errore. Una volta tirato l’oggetto sulla casella numero 12
inizia la seconda parte del gioco. Sempre a saltando su di un piede si dovrà
spingere l’oggetto in ogni casella (sono ammessi fino a 3 colpi) iniziando
dalla 1 e terminando alla 12, mantenendo ancora i riposi già prescritti nelle
caselle 8,9e10. Vince chi per prima riuscirà a spingere saltando su di un piede
l’oggetto nella casella 12.
15.Nome del gioco e traduzione in italiano: ‘O CUPPULONE (la
grossa coppola)
Corrispondenza
con altre regioni italiane: nessuna che ci sia nota.
Etimologia: cuppulone , sostantivo maschile, grossa
coppola dal latino coppa (coppa) accrescitivo (cfr. il suffisso one)
del tardo latino coppula (coppola).
Regole del gioco: trattasi di gioco praticato esclusivamente durante gli
aboliti festeggiamenti, quelli pagani, non quelli religiosi, della Madonna di
Piedigrotta. Il gioco consiste nel calare da un balcone un grosso cilindro di
cartone, avente le maniche laterali in modo da simulare un càntero (dal
latino càntherus e dal greco cànteros, vaso per soddisfare i bisogni),
cercando di centrare la testa di un ignaro passante, il quale si troverà cosí,
all’improvviso, nell’impossibilità di vedere. Il cuppulone viene
poi immediatamente ritratto dal calatore per evitare che il malcapitato, se
pronto di riflessi, possa impadronirsene, spezzando il filo di spago che lo
regge. La scena provoca, naturalmente, le risate e gli scherni degli astanti,
spesso compari del calatore mescolati tra la folla. Una variante preferisce la
forma tronco-conica in luogo di quella cilindrica. Un’altra variante prevede
che il cuppulone non venga calato da un balcone, bensí sospeso ad
una lunga pertica, in modo che il calatore agisca da tergo al bersaglio,
mimetizzandosi nella folla. Spesso ‘o cuppulone azionato dalla
pertica era condotto da una squadretta di piú persone armate ‘e
mazzarielle (brevi bastoni di legno laccato); era cilindrico e
grandissimo, capace di imprigionare per intero anche piú di una persona in una
sola volta. I bersagli preferiti erano ignare coppie di fidanzati che venivano
catturati sotto un enorme cilindro di cartone pesante variamente
corredato di simboli non proprio
virginei e lì sotto tenuti per alquanto tempo, frastornati dai colpi di mazzarielle
vibrati contro il cuppulone e liberati solo dietro la
promessa di pagare ai carcerieri tazze di caffè o gelati artigianali, ma spesso
ci si accontentava di un cartoccetto di bruscolini (‘o spasso: ceci,
noccioline e/o semi di zucca abbrustoliti).
14 .Nome del
gioco e traduzione in italiano: ‘A PALLA ‘E PEZZA (la palla di
stoffa)
Corrispondenza
con altre regioni italiane: nessuna che mi sia nota.
Etimologia: palla, sostantivo
femminile, dal longobardo palla (corpo di forma sferica); pezza, sostantivo
femminile, dal latino volgare pettia (piccolo pezzo di stoffa).
Descrizione del gioco: trattasi di gioco praticato
esclusivamente durante gli aboliti festeggiamenti, quelli pagani non quelli
religiosi, della Madonna di Piedigrotta.
Si
abbia una palla fatta di ritagli di stoffa strettamente interconnessi e cuciti
tra di loro, riempita di segatura, a cui viene connesso un resistente elastico
tubolare. Il portatore della palla la lancia verso un ignaro passante, e lo colpisce
da tergo, preferibilmente nel fondo schiena, ritirando rapidamente la palla con
l’ausilio dell’elasticità del legaccio. Naturalmente, se il portatore della
palla è di genere maschile (cosa che avviene nella quasi totalità dei casi), il
bersaglio è normalmente di genere femminile, meglio se dotato di rotondità ben
evidenti. Il bersaglio deve stare al gioco, non può rizelarsi, essendo i
festeggiamenti di Piedigrotta zona franca per gli scherzi, come altrove lo è il
Carnevale. In genere si volta di scatto cercando di individuare il colpitore,
il quale può anche rivelarsi se intende tentare un approccio.
Brak
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