1.FÀ ‘O PORTAPULLASTE.
Ad litteram: fare il porta pollastri Id est: agire da
mezzano, da ruffiano che rechi messaggi alternativamente all’ amoroso o
all’amorosa; per traslato fare il propalatore di notizie, per il solo gusto di
portarle in giro senza neppure riceverne alcun sia pure piccolo vantaggio quale
ad es. una mancia che si è soliti dare ad un garzone di macellaio che rechi
effettivamente dei polli acquistati e non bigliettini amorosi.
Interessantissima l’etimologia del sostantivo ricavato con traduzione
pedissequa dell’espressione francese porte-poulet (portapolletto) ma che in
realtà non si riferiva a qualcuno che realmente portasse dei polli, bensí a chi
favorisse,recandoli, lo scambio di bigliettini amorosi tra gli innamorati; la
particolare piegatura dei foglietti li faceva assomigliare a dei piccoli polli
con le alucce donde il nome di poulet (polletto) ed ovviamente chi recava quei
bigliettini fu détto porte-poulet (portapolletto→portapullaste);
originariamente, tale scambio di bigliettini amorosi avveniva tra innamorati
della medio-alta borghesia partenopea, adusa alla lingua francese, usata anche
nella corte, per cui il mediatore fra innamorati, piú che esser détto
semplicemente portabigliettini, fu détto alla francese porte-poulet; quando poi
la medesima abitudine passò tra gli innamorati del popolo che non avevano
dimestichezza con la lingua d’oltralpe, ma solo con l’idioma partenopeo ecco
che porte-poulet (portapolletto)diventò portapullaste restando acquisito come
sostantivo per indicare il mezzano, il ruffiano etc.
2.FÀ ‘O PRUTUSENIELLO
Ad litteram: fare il prezzemolino; id est: fare il
ficcanaso, voler partecipare ad ogni conversazione esprimendo la propria
opinione, specialmente se non sollecitata o richiesta; comportarsi cioè come fa
il prezzemolo erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina
partenopea; è chiaro che la locuzione in epigrafe si riferisce agli uomini ed è
usata a mo’ di dileggio, ritenendosi che normalmente un uomo non debba tenere
simili comportamenti, piú consoni alle donne.
Prutuseniello = prezzemolino s.vo ed ag.vo m.le diminutivo
(cfr. il suff. iello) di prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto
famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina
partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat
*petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e
sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
3.FÀ ‘O PUCCHIACCHIELLO
Espressione analoga a quella sub 7.(cfr. antea) da riferirsi
per dileggio ad un uomo che si comporti come una donnetta quasi che fósse
provvisto non del membro maschile, ma dell’organo riproduttivo femminile che
nel napoletano, tra i tanti (cfr. alibi),è indicato con il s.vo
purchiacca/pucchiacca donde l’improprio diminutivo maschile pucchiacchiello
dell’epigrafe. il s.vo f.le purchiacca/pucchiacca è voce derivata dal greco
pyr(fuoco) + koilos(faretra, vagina)+ il suff. dispreg. acca (femminilizzazione
del maschile acco/accio suffisso che continua il lat. -aceu(m), usato per
formare sostantivi e aggettivi alterati con valore peggiorativo . ),secondo un
percorso morfologico che da koilos, attraverso un *koleaca porta a
cljaca→chiaca e dunque: pyr+cliaca+acca= purcliacca→ puccliacca→pucchiacca con
tipica assimilazione regressiva rc→cc.
4.FÀ ‘O SECUTASORICE
Fare il perseguita-sorci, comportarsi da gatto.
Détto sarcasticamente di chi sleale, falso ed infido sia
incline al tradimento, alla fellonía,mostrandosi in ogni occasione votato al
voltafaccia, all’infedeltà, all’inganno, all’imbroglio, alla slealtà, falsità,
doppiezza, ipocrisia comportandosi ad un dipresso cosí come il gatto che degli
animali domestici al contrario del cane, è quello che offre minori garanzie di
fedeltà, attaccamento, lealtà ed è pronto a tradire ed ingannare anche il
padrone che lo abbia benificato.Il s.vo m.le e f.le secutasorice è stato
coniato per rendere icasticamente la voce gatto aduso ad inseguire i topi per
catturali; secutasorice s.vo m.le e f.le = gatto; la voce è etimologicamente il
risultato dell’agglutinazione del s.vo m.le sorice con la voce verbale secuta:
secuta voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres.) dell’infinito
secutà = inseguire, rincorrere; seguire, incalzare, braccare, ma anche
tallonare, pedinare etimologicamente da un lat. volg. *secutare frequentativo
di sequi;
sorice s.vo m.le = sorcio, topo domestico etimologicamente
da un acc.vo lat. sorice(m) di sorex-soricis.
5.FÀ ‘O SPALLETTONE oppure al femminile ‘A CCIACCESSA
Espressione intraducibile ad litteram in quanto in italiano
manca un vocabolo unico che possa tradurlo, per cui bisogna dilungarsi nella
spiegazione per poter venire a capo delle espressioni in epigrafe.
Ciò premesso, dirò che esiste, o meglio, esistette fino agli
anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune,
conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. E’ il vocabolo in
epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso
ingloba.
In primis dirò che con esso vocabolo si indica il saccente,
il supponente, il sopracciò, il millantatore, colui che anticamente era
definito mastrisso ovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non aveva
né la cultura, nè il carisma necessarii per essere preso in seria
considerazione.
Piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che
delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi fa le viste
d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie
di quelli altrui , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per
risolvere, naturalmente senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo
dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o
esperienza, ma son frutto della propria saccenteria in virtú della quale non
v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia
versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio.
L’educazione dei figli altrui, mai dei propri !? Lo spallettone, a chiacchiere,
sa come farne degli esseri commendevoli; e cosí via non v’è cosa che abbia
segreti per lo spallettone che, specie quando non sia interpellato, si offre e
tenta di imporre la propria presenza dispensando ad iosa consigli non richiesti
che - il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle
incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé finisce per essere
motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle
stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile
ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di dizionarii della lingua
napoletana, anche i piú moderni, con la sola eccezione forse dell’ avv.to
Renato de Falco e del suo Alfabeto napoletano, non fanno riferimento alla
lingua parlata, ma esclusivamente a quella scritta nei classici partenopei, va
da sè che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo
termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei
classici.
Orbene reputo che essendo il sostrato dello spallettone, la
vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di trovare
l’etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià
(ciarlare)con la classica prostesi della S non eufonica, ma intensiva
partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso
accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone:
ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da
non confondere però con il pettegolo che è altra cosa e che in napoletano è
reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però un corrispondente termine femminile con i
medesimi significati del maschile ed è come riportato nella variante in
epigrafe: CCIACCESSA correttamente scritto con la geminazione iniziale della C:
cciaccessa; l’etimo è reputato,
sconosciuto, ma penso, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto
parlare che possa essere un deverbale formatosi su di un iniziale
ciarlare→ciacciare donde cciaccessa.
Brak
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