61. Azzupparse ‘o ppane.
Ad litteram: intinger per sé il pane id est: godere delle altrui difficoltà, compiacersene commentandole malevolmente con cattiveria ed acrimonia, al fine di peggiorare la situazione morale di chi si trovi in difficoltà, quasi intingendo metaforicamente un pezzo di pane nelle disgrazie del malcapitato, per assaporare fino in fondo il patimento di chi si trova a percorrere un duro cammino.
62. ‘A sporta d’’o tarallaro
Ad litteram: la cesta del venditore di taralli
Con l’espressione in epigrafe si indicano per traslato due evenienze: a) essere adibito contemporaneamente a troppe cose diverse; b) essere oggetto usato da chiunque; la evenienza sub a) rammenta il fatto che anticamente i venditori dei taralli id est ciambelle rustiche di farina sugna, pepe e mandorle, portavano in giro la propria merce in una cesta appesa al collo con una correggia; nella cesta, oltre ai taralli erano soliti portare molte altre cose, dalla pipa ai guanti, dalla merenda, al berretto o alla sciarpa, insomma tutto ciò che potesse occorrere nello girovagare per le strade della città; per cui essere la sporta del tarallaro significava occuparsi di troppe cose diverse, quelle che viaggiavano insieme ai taralli nella cesta del venditore. Costui, poi era solito permettere ai propri acquirenti la scelta della merce, scelta che veniva operata da ogni singolo avventore, frugando con le proprie mani nella cesta de quo; da ciò la valenza sub b) dell’espressione che, pronunciata in questa accezione, da un risentito signore vorrebbe significare:
“profittate pure di me come credete,sono la vostra sporta, sono a vostra completa disposizione”.
63. ‘A trummetta â Vicaria.
Ad litteram: la trombetta (alla) della Vicaria; id est: essere una persona capace di spettegolare, propalare notizie o avvenimenti che sarebbe stato pi ú opportuno tacere.
Originariamente con la locuzione in epigrafe si indicava il banditore che, partendo dall’uscio del Tribunale leggeva i bandi emanati dalla Gran Corte della Vicaria fermandosi alle cantonate della città, dove - per attirare l’attenzione della gente - era solito far squillare un trombetto.Al tempo di don Pedro di Toledo, vicerè di Napoli tutti i tribunali di cui la Gran Corte della Vicaria era il maggiore, furono riuniti in Castel Capuano, ancóra oggi, a Napoli, sede della maggior parte dei tribunali cittadini.
64. Aspettà cu ll’ove ‘mpietto
Ad litteram: attendere con le uova in seno id est: attendere con preoccupazione e /o timore il verificarsi di un avvenimento . La locuzione di chiara origine contadina si riferisce a ciò che un tempo erano solite fare le contadine che attendevano la schiusa delle uova , affidata naturalmente all’opera della chioccia. Accadeva però talvolta che la chioccia, per esser venute meno le sue condizioni fisiche adatte, abbandonasse la cova di qualche uovo; allora le contadine, prese le uova non ancóra schiuse se le ponevano in seno cercando con il loro calore corporale di sopperire al mancato operato della chioccia; l’attesa conseguente era spasmodica e preoccupata un po’ perché non si conosceva l’esito di quella strana covata, un po’ perché si paventava la rottura delle fragilissime uova; per traslato l’espressione in epigrafe si usa quando si voglia far capire che si sta attendendo con grande ansia il verificarsi di un atteso avvenimento che tardi a verificarsi.
65. Addurmirse cu ‘a zizza ‘mmocca
Ad litteram: Addormentarsi con la tetta in bocca Detto a mo’ di dileggio soprattutto dei tontoloni, dei creduloni che si mostrano nel loro agire irresoluti ed eccessivamente tranquilli, quasi fossero dei piccoli ragazzi cui basta offrire una mammella da succhiare, per farli tranquillamente e repentinamente addormentare.
66. Bbello e bbuono
Ad litteram: Bello e buono id est: all’improvviso, d’un tratto, inopinatamente quasi sottointendendo che l’avvenimento di cui si tratta sia peggiorativo rispetto a quello (bello e buono) cui ha fatto seguito o in cui si è insinuato; quasi uno dicesse: la situazione era propizia e d’un tratto è mutata in peggio; per meglio intendere la locuzione vedi il num. 18 â’ntrasatta - che, come significato, è di portata simile.
67. Bonanotte ê sunature oppure ê sante
Ad litteram: buona notte ai sonatori oppure ai santi ; espressioni che si usano con senso di profondo cruccio, ad amaro commento di situazioni che si sono concluse, ma in maniera molto negativa di talché verrebbe fatto di pensare che non resti da o congedare sbrigativamente i sonatori o salutare deferentemente i santi atteso che né gli uni, né gli altri possano o abbiano potuto far qualcosa per migliorare la situazione de qua.
68. Brutto cu ‘o tè, cu ‘o nè, ‘o piripisso e ‘o naianà
Locuzione ( intraducibile ad litteram), con cui si suole indicare il massimo grado di bruttezza che venga raggiunto da qualcuno, brutto oltre ogni ragionevole dubbio; l’espressione, che può essere usata indifferentemente nei riguardi di una donna o di un uomo, compendia in quattro quid non meglio identificati e che sarebbe vano tentare di riconoscere, i parametri negativi in presenza dei quali si può essere certi di trovarsi davanti a persona decisamente brutta; è vero pure però il ragionamento inverso: quando si pensa di avere a che fare con persona decisamente brutta, la si accredita di quei quattro parametri di cui in epigrafe anche se non li si identifica o possa identificare apertamente.
69. Barba, capille e ppalluccella ‘mmocca specialmente nell’espressione serv í ‘e barba etc.
Ad litteram: barba, capelli e pallina in bocca specialmente nell’espressione servir di barba etc. Cos í, un tempo, veniva indicato il “servizio” completo offerto dai barbitonsori girovaghi, che per pochi soldi servivano il cliente di rasatura di barba e taglio di capelli, offrendo per sopramercato al cliente una piccola sfera che inserita in bocca e trattenuta tra denti e guancia, consentiva a questa di tendersi in maniera da favorire la rasatura; la sfera offerta, naturalmente monouso, era costituita o da una piccolissima mela che, terminata la rasatura veniva mangiata, o da un congruo confetto, (ricoperto da una friabilissima glassa zuccherina),prodotto in quel di Sulmona, confetto che, assolta la sua funzione, veniva mangiato.
Oggi l’espressione in epigrafe è usata da chi voglia significare che il suo comportamento, nei riguardi del destinario della locuzione, non è suscettibile di miglioramento in quanto è un comportamento pieno e completo in ogni sua parte o manifestazione.
70. Buono pe scerià ‘a ramma
Ad litteram: buono per soffregare le stoviglie di rame
Un tempo, quando la chimica non aveva ancóra prodotto tutti i detergenti o detersivi che, aiutando la massaia, inquinano il mondo, e quando l’acciaio 18/10
non era entrato ancóra in cucina sotto forma di stoviglie, queste erano di lucente rame opportunamente, per le parti che venivano a contatto con il cibo, ricoperte di stagno .Per procedere alla pulizia delle stoviglie di rame si usavano due ingredienti naturali: sabbia ‘e vitrera (sabbia da vetrai, ricca di silice) e limoni ; orbene quegli agrumi non edibili perché o di sapore eccessivamente aspro o perché carenti di succo, erano destinati allo scopo di pulire e rendere luccicanti le stoviglie; per cui di essi frutti si diceva che erano bbuone pe scerià ‘a ramma. Per traslato, oggi di chi, uomo o cosa, manchi alla sua primaria destinazione, si dice ironicamente che è buono etc. il verbo scerià id est: soffregare, nettare, lucidare viene da un tardo latino: flicare da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià tutti con il significato di soffregare.
71. Accunciarse quatt' ove dinto a 'nu piatto.
Ad litteram:Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...tutte quelle che eccedono sono state sottratte ad altri).
72. Bbuono p’aparà ‘o mastrillo
Ad litteram: buono per armare la trappolina id est: appena sufficiente a predisporre l’esca di una trappolina. La locuzione si usa nei confronti di qualcosa, soprattutto edibile, che sia cos í parva res da non poter soddisfare un sia pur modesto appetito, ma appena appena sufficiente a far da esca; per traslato la locuzione è usata nei confronti di tutto ciò che sia palesemente piccolo e/o modesto.
73. Bene in salute e scarzo a denare
Ad litteram:Bene in salute, ma poco provvisto di danaro.
Spesso alla semplice, spontanea domanda : “Come state?” fatta da un conoscente incontrato per caso, a Napoli si suole rispondere con la locuzione in epigrafe con la quale ci si vuol mettere al riparo da eventuali sorprese, volendo quasi dire: “Se la tua domanda è stata fatta con la semplice intenzione di informarti sul mio stato di salute, sappi che sto bene; ma se la domanda era propedeutica ad una richiesta di prestito, sappi allora che le mie condizioni economiche attuali, non mi permettono di fare prestiti o elargizioni; evita perciò di farmene richiesta!”La locuzione è divenuta col tempo, quasi una frase idiomatica e viene usata sempre in risposta alla domanda de quo, indipendentemente se esistano o meno condizioni economiche precarie.
74. Cacchio, cacchio (nell’espressione venirsene cacchio cacchio)
Ad litteram: strano, strano (nell’espressione : avvicinarsi strano, strano)Espressione usata per significare l’atteggiamento di chi, facendo finta di nulla, mogio mogio, con indifferenza ed ostentata tranquillità, si prepara invece ad agire proditoriamente in danno di terzi, quasi che si accostasse al luogo dove agirà, con studiata noncuranza.
Da rammentare che l’espressione in epigrafe era usata da Totò, il principe del sorriso, sommandola con l’espressione tomo tomo (vedi) di uguale portata e significato, ma di minor presa, , quasi che ci fosse stato il bisogno di chiarire o aumentare la portata del cacchio cacchio napoletano, espressione - al contrario - molto pi ú corposa e pregnante, per il vocabolo usato, dell’algido tomo tomo, espressione che pur napoletana richiama l’italiano essere un bel tomo nel senso di tipo strano ed è però meno incisiva di quella in epigrafe.
75. Caccià ‘e ccarte
Ad litteram: tirar fuori le carte Non si tratta però, chiaramente di tra fuori da un cassetto le 40 carte di cui è formato il mazzo napoletano di carte da giuoco per principiare una partita.
Si tratta, invece, di procurarsi le necessarie documentazioni burocratiche per avviare una certa pratica o per portarla a compimento.In particolare la locuzione in epigrafe è usata dai promessi sposi che, intendendo contrarre il loro matrimonio, devono sobbarcarsi all’impresa di procurarsi presso uffici pubblici e/o luoghi di culto le prescritte documentazioni, dette in maniera onnicomprensiva: carte, senza le quali, non è possibile pervenire alla celebrazione delle nozze. Va da sè che quasi tutti i negozi giuridici necessitano di ineludibili carte da procacciare e ciò à dato modo a taluni napoletani, disperatamente senza lavoro, di inventarsi un mestiere: quello di procacciatore di carte; questo utilissimo individuo, per poche lire si accolla l’onere di fare lunghissime file davanti agli sportelli degli uffici dell’anagrafe pubblica, o si accolla la fatica di raggiungere posti lontani e impervi da raggiungere per procurare al richiedente le carte necessarie.
76. Chisto è n'ato d''a pasta fina.
Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina. Lètta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di grande offesa.
77. Cadé ‘a copp’ô père ‘e putrusino.
Ad litteram: cadere dalla pianta di prezzemolo; id est ammalarsi , anche se di affezioni non importanti, ma reiterate; la locuzione è usata soprattutto per commentare lo stato di malferma salute delle persone anziane che son solite ammalarsi di piccole affezioni che, se per la loro non eccessiva virulenza e/o importanza, non destano particolari preoccupazioni, pur tuttavia son di gran fastidio per gli anziani che subiscono tali affezioni paragonate nella locuzione in epigrafe alle cadute da una pianta di prezzemolo, cadute che poiché avvengono da una pianta molto bassa non son pericolose, anche se - altrove si consiglia di evitare cadute vasce (cadute basse) in quanto pericolose.
78. Campà annascuso da ‘o Pataterno.
Ad litteram: Vivere nascondendosi all’ Eterno Padre; id est: vivere non dando contezza di sè nemmeno al Cielo, quasi di soppiatto, clandestinamente se non addirittura a dispetto ed in barba di tutti gli altri.A Napoli la locuzione è usata quando si voglia dare ad intendere che sia impossibile conoscere da cosa o chi taluno tragga i propri mezzi di sostentamento, posto che il suo tenore di vita eccede le di lui conclamate possibilità economiche.
79. Cca nisciuno è fesso!
Ad litteram: Qui nessuno è sciocco! Affermazione perentoria fatta nei confronti di chi era aduso a ritenere che gli abitanti del Sud dello stivale fossero degli sciocchi, per significare che, invece era in errore chi ritenesse vera una cosa simile .La locuzione, divenuta una sorta di monito, è passata poi a significare:bada che non ci casco, attento ché non riuscirai a prenderti gioco di me, giacché sono tutt’altro che fesso, come chiunque altro viva in questi luoghi.
80. Cca ssotto nun ce chiove
Ad litteram: Qui sotto non ci piove
L’espressione che viene pronunciata puntando il dito indice teso contro il palmo rovesciato della mano sinistra, viene usata, a mo’ di risentito avvertimento , nei confronti di chi - dopo di aver promesso un aiuto o una liberalità - sia venuto meno clamorosamente a quanto promesso, nell’intento di fargli capire che non si è pi ú disposti a sopportare una simile mancanza di parola data e, per converso, si è pronti a restituire pan per focaccia;
81. Ce mancano diciannove sorde p’apparà ‘a lira.
Ad litteram:ci mancano (ben) diciannove soldi per raggranellare una lira. Poiché la lira de quo contava venti soldi il fatto che, come affermato in epigrafe, mancassero diciannove soldi, significava che ci si trovava in gran carenza di mezzi e la locuzione, riferita ad una azione principiata con tal carenza voleva significare che, con ogni probabilità, non si sarebbe potuto portare a compimento il principiato e che, forse, sarebbe stato pi ú opportuno il desistere.
82. Ce mancano ‘e quatte laste e ‘o lamparulo.
Ad litteram: mancano i quattro vetri e il reggimoccolo Locuzione di portata simile alla precedente; in questa, in luogo della lira, il riferimento è fatto ad una ipotetica lanterna che è stata costruita in maniera raffazzonata di talché non è adatta allo scopo per cui è stata costruita e non potrà produrre vantaggi a chi se ne dovesse servire, posto che essa lanterna manca dei quattro vetri che ne costituiscono le pareti e manca addirittura del reggimoccolo centrale: un simile oggetto non potrà mai servire ad illuminare.
83. Chesta è ‘a ricetta e ca Ddio t’’a manne bbona!
Ad litteram: Questa è la ricetta e che Dio ti assista favorevolmente. Locuzione che viene usata ogni volta che si voglia avvertire qualcuno che, nei suoi confronti, si è fatto quanto era nelle nostre possibilità o capacità. A colui a cui viene rivolta la locuzione non resta che prender per buono quanto gli sia stato prescritto o suggerito e mettersi poi nelle mani di Dio, augurandosi che l’Onnipotente voglia tutelarlo ed adeguatamente soccorrerlo.
84. Chi à avuto, à avuto e chi à dato, à dato
Locuzione che non à bisogno di traduzione, essendo di facile intellezione e che viene usata tutte le volte che, intendendo por fine a piccole querelle o questioncelle, ci si accontenta di fare piccole reciproche concessioni, pur di non procrastinare oltre il diverbio, accontendandosi saggiamente dell’avuto e del dato, senza stare a rifare calcoli.
85. Caro te costa!
Ad litteram:ti costerà caro; id est: il prezzo o lo scotto che dovrai sborsare, per ciò che vuoi o per quel che stai facendo, sarà molto rilevante; è meglio che ti assuefai all’idea di dovere incorrere in simili gravose spese. La locuzione, per traslato è usata a mo’ di avvertimento o minaccia per chiunque si imbarchi in un’impresa a cuor leggero Da notare che la locuzione in epigrafe che usa l’indicativo presente, è stata tradotta con il futuro, perché nella lingua napoletana che pure possiede il tempo futuro, esso non viene usato e l’idea della cosa di là da venire è resa spesso con l’indicativo o con costruzioni verbali particolari del tipo: devo fare, in luogo di farò.
86. Casale sacchiato specie nell’espressione fà ‘nu casale sacchiato
Ad litteram: casale saccheggiato specie nell’espressione fare un casale saccheggiato; letteralmente l’espressione si riferirebbe ad un villaggio messo a ferro e fuoco, ma con la locuzione in epigrafe si suole indicare qualsiasi ambiente in cui contrariamente a quanto ci si attenda, regni il massimo disordine e la confusione pi ú grande e dalle mamme napoletane la locuzione viene usata nei confronti dei propri figli accusati normalmente di fare delle stanze loro assegnate luoghi cos í disordinati e pieni di confusione al punto di apparire come villaggi appena saccheggiati.
87. Chesta è ‘a zita e se chiamma Sabella
Ad litteram: Questa è la ragazza e si chiama Isabella. Id est: Questi sono e cos í vanno i fatti; non puoi pretenderli di mutare o aggiustarli a tuo piacimento; ti devi accontentare ed accettare il mondo per quel che è; qualsiasi cosa tu faccia non potresti nè mutarlo, nè migliorarlo. La locuzione riporta la risposta risentita data da una vecchia mezzana ad un giovanotto che faceva le viste di non gradire appieno la ragazza che la mezzana gli stava proponendo in isposa.
Per traslato la locuzione è usata in ogni affare da colui che si vede costretto a contrattare con un eterno scontento che voglia condurre in altro modo le trattative che invece non sono suscettbili di mutamento.
88. Che ce azzecca?!
Ad litteram: che ci lega? Locuzione che spesso in maniera risentita viene usata in una discussione da chi voglia far capire al proprio interlocutore che le ragioni addotte, i discorsi tenuti ed i ragionamenti fatti non hanno niente a che vedere con l’assunto da cui si è partiti e che pertanto vanno cambiati in quanto, per comune logica, non legano con quanto si è detto fino a quel momento ed il mantenerli peggiorerebbe solo la discussione.
89. Chijarsela a libbretto
Ad litteram: piegarsela a mo’ di libricino id est:accettare, sia pure obtorto collo, che le cose vadano in un certo modo ed uniformarvisi atteso che non ci sia altro da fare per migliorare la situazione. La locuzione in origine si riferisce al modo pi ú opportuno di consumare una pizza allorché non ci si possa accomodare ad un tavolo e servirsi di adeguate posate; in tal caso la pizza viene consumata addentandola stando all’impiedi o addirittura passeggiando e la maniera pi ú acconcia di tenere fra le mani la pietanza è quella di piegare la pizza in quattro parti fino a farle assumere quasi la foggia di un piccolo libro di quattro fogli, affinché, cos í piegata trattenga e non lasci cadere i condimenti di cui è coperta , che se cadessero imbratterebbero gli abiti di colui che mangia la suddetta pizza da asporto.
90. Chesto passa ‘o cunvento oppure ‘o guverno
Letteralmente: questo elargisce il convento oppure il governo id est: questo ci viene dato e di questo occorre contentarsi; bisogna far buon viso a cattivo gioco essendo inutile ribellarsi o adontarsi, tanto la situazione non potrebbe migliorare, né migliorerà!
BRAK
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