mercoledì 15 aprile 2015
VARIE 15/315
1 -VUJE VEDITE Ô PATATERNO!
Ad litteram: Voi guardate(ponete attenzione) al Padre Eterno!(cosa mi à comminato!) Espressione/invito che contravvenendo il 2° comandamento viene spesso usata con un moto di delusione e/o rammarico quando non addirittura di rabbia, nell'osservare e/o prender coscienza di sgraditi accadimenti che ci colgano di sorpresa e che si pensa provengano dal Cielo e se ne provi molta meraviglia, mai pensando che il celeste Padre potesse o avesse potuto chiamarci a quelle difficili prove.Rammento che in napoletano, contrariamente a quanto fanno la maggior parte degli autori partenopei, che però sono a digiuno delle regole grammaticali dell’idioma partenopeo norme che sono diverse ed autonome rispetto a quelle della lingua nazionale, cui invece essi si ispirano, il complemento oggetto se animato è sempre introdotto da una A segnacaso che fondendosi per crasi con l’articolo determinativo del complemento determina, volta a volta, ô = a+’o, â= a + ‘a, ê = a + ‘e.
2 -VULÉ FOTTERE E SBATTERE 'E MMANE o anche VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA.altrove ancóra VULÉ FOTTERE E VASÀ
Ad litteram: voler coire ed applaudire o anche voler mingire ed andare in carrozza o anche ancóra voler coire e baciare; espressioni usate alternativamente per indicare la sciocca idea di chi voglia conseguire nello stesso momento due risultati antitetici e perciò non conciliabili; nella prima espressione è sottintesa la posizione c.d. del missionario nella quale le mani sono impegnate a sostenere il corpo e dunque non possono applaudire; la variante rammenta uno dei frequenti motivi di litigio tra i passeggeri ed i vetturini da nolo, i quali - in ispecie durante le corse notturne dovevano a loro malgrado, arrestare spesso la vettura per permettere ai passeggeri che lo richiedevano di provvedere ai loro bisogni fisiologici: naturalmente la faccenda, ripetendosi spesso, comportava perdite di tempo sgradite ai vetturini, sempre alenanti a principiare nuove corse; nella terza espressione si prendono in esame due comportamenti inconciliabili quali il coito(ma orale) ed il bacio.
3 -VULÉ PISCIÀ TUTTE DINT'Ô RINALE oppure VULÉ PISCIÀ TUTTO DINT'Ô RINALE
Ad litteram: voler minger tutti nell'orinale oppure voler mingere completamente nell’orinale ; in ambedue i casi le espressioni stanno per : pretendere l'impossibile; infatti non a tutti è concesso di fare tutte le medesime cose, come non è possibile che tutti possano mingere nell'orinale, qualcuno dovrà contentarsi di farlo all'aperto e - come i cani - contro il muro. Nell’altra espressione si manifesta l’acclarata certezza che orinando non si può depositare tutto l’orina nel pitale; inevitabilmente si finisce per versarne fuori una parte!
piscià voce verbale (infinito) = orinare, mingere derivata dal tardo lat. pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscià;
rinale s.vo m.le = orinale, pitale, piccolo vaso da notte; voce dal lat. *urinale(m)→rinale per aferesi della u diventata o e deglutinata in quanto inteso articolo: *urinale(m)→ orinale(m)→ ‘o rinale.
4 - VULÉ VEDÉ MUORTO A QUACCUNO
Ad litteram: voler vedere morto qualcuno id est: odiare tanto qualcuno al segno di voler assistere alla di lui morte.
5 -VULÉ VENNERE ZIZZA 'E VACCA PE TARANTIELLO
Ad litteram:voler vendere mammella di mucca per insaccato di tonno
id est: tentare di imbrogliare qualcuno in maniera palese e spudorata, come chi tentasse di cedere in vendita la vile mammella vaccina per il piú pregiato e costoso insaccato di tonno detto tarantiello perché prodotto largamente nel circondario della città di Taranto.
6 -VULESSE DDIO!
Ad litteram:lo volesse Iddio! È l’utinam latino. Id est: magari!, Piacesse al Cielo che accadesse!
7- VUTÀ CÀNTARE
Ad litteram:vuotare vasi di comodo. Détto di chi insiste continuamente e fastidiosamente a partecipare agli altri i propri guai, le proprie angosce,i propri malanni che nella locuzione vengono assimilati a putescenti grossi pitali sversati non in mare ma coram populo quasi ai piedi altrui. Càntere s.vo m.le plur. di càntaro o càntero alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea
cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro)!
8 -VUTTÀ 'E MMANE
Ad litteram: buttare le mani id est: sbrigarsi, attivarsi sollecitamente e procedere con uguale sollecitudine per portare a compimento celermente un lavoro, agitando all'uopo le mani in un finalizzato moto.
9 -VUTTÀ FUOCO P''E RRECCHIE
Ad litteram: gettare fuoco per le orecchie Detto di chi per essere esageratamente nervoso ed arrabbiato si dimostri eccitato se non esagitato iperbolicamente emettendo per le orecchie l'ipotetico fuoco che cova dentro di sé.
10-VUTTARSE SOTT' Â BANNERA
Ad litteram:buttarsi sotto la bandiera Detto di chi, per vile opportunismo è solito schierarsi con il piú forte, mettendosi sotto la di lui bandiera, e ciò quando ancora ferve una mischia; peggiore il caso ricordato altrove dove lo schierarsi avviene a mischia conclusa, a risultato acquisito e si balzi allora sul carro del vincitore.
11 -ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte.
chetta s.vo f.le raccolta di monete operata tra gli spettatori da parte dei suonatori ambulanti e/o saltimbanchi; voce dal francese quete = questua
12 -ZITTO E MMOSCA!
Ad litteram:silenzio assoluto! Ordine perentorio rivolto genericamente intorno, affinché tutti tacciano completamente al segno che si possa udire il volo d'una mosca.
13 -ZOMPA CHI PO’, DICETTE 'O RANAVUOTTOLO
Ad litteram: Salti chi puó, disse il ranocchio; gli altri si contentino del proprio stato ed accettino la loro condizione che, a causa dell'età o per sfavorevoli congiunturali condizioni, non permette loro di raggiunger traguardi allettanti o beate evasioni; questo è il senso della locuzione in epigrafe con la dispettosa espressione posta sulla bocca di un altrettanto dispettoso ranocchio che avendo ricevuto in sorte la possibilità di saltare, si prende giuoco di chi non può farlo.
14 -ZUCÀ A DDOJE ZIZZE
Ad litteram:succhiare da due mammelle Detto di chi, ingordo, avido, insaziabile quando non prevaricante, pretende di ottenere, non si sa come, doppi insperati vantaggi o di ricavare danaro, magari estorcendolo da piú fonti .
15 -ZÚCATE 'O FRANFELLICCO
Ad litteram: súcchiati il bastoncino di zucchero; detto a mo' di soddisfatto commento della gradevole situazione in cui si trovi qualcuno che per essergli occorsi tutti favorevoli accedimenti, non gli resti che beatamente goderli gustandosi golosamente il franfellicco: gustoso bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando.
Talvolta però la locuzione è usata in senso completamente opposto, quando si voglia significare a qualcuno: ti è andata male... ora non ti resta che succhiare il franfellicco, usato - in questa valenza - eufemisticamente in luogo di una intuibilissima parte anatomica maschile; in tale seconda valenza piú spesso si adopera l'espressione: zúcate 'o limone (súcchiati il limone ) con evidente riferimento al gusto acre dell'agrume che richiama la spiacevolezza della situazione andata male.
Zúcate voce verbale = súcchiati (2° p. sg. imperativo dell’infinito zucare/à = succhiare (zucare/à etimologicamente è un denominale di sucus attraverso un *sucare) da notare che l’accento ritratto sulla prima sillaba indica che si tratta di 2ª p. sg.; la 2ª p. pl. sarebbe stata zucàte.
Franfellicco s.vo m.le = bastoncino di zucchero filato variamente insaporito, da leccare passeggiando; in senso furbesco: membro maschile(etimologicamente voce marcata per adattamento sul francese fanfreluque).La voce a margine fu usata icasticamente nel senso di bene di cui profittare, in una canzoncina di anonimo, molto popolare e databile tra la fine del 1700 ed i principi del 1800( quando ne riferí, con divertito gusto, persino il Goethe(Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – †Weimar, 22 marzo 1832) che l’udí durante il suo viaggio in Italia; nella canzoncina, con riferimento all’invasione francese, si disse: Vi’ quant’è bbello Napule, pare ‘nu franfellicco; ognuno vène, allicca, arronza e se ne va!
16 -.ZUMPÀ ASTECHE E LLAVATORE
Ad litteram: saltare tra lastrici solai e lavatoi ; id est: andar su e giú perdendo tempo. Detto di chi, eterno perdigiorno, dedichi il suo tempo non ad impegni lavorativi o di studio, ma lo trascorra bighellonando senza una precisa meta, ascendendo i lastrici solai(asteche pl. di asteco dal greco ast(r)akon), posizionati in vetta alle abitazioni, o frequentando i lavatoi posti in basso, nei pressi dei cortili delle suddette abitazioni.
17 -ZUMPÀ DA LL'ASTECO Â FENESTA
Ad litteram: saltare dal lastrico solaio alla finestra. Detto di chi manchi di ogni lineare coerenza e o tenga un comportamento continuamente oscitante ed indeciso o, piú spesso, tenga un modo di discorrere, non facilmente comprensibile atteso che non segua un filo logico e coerente, ma si avventuri in circonvoluzioni ardite ed indecifrabili.
18 -ZUMPÀ COMME A N'ARILLO
Ad litteram:saltare come un grillo; detto con, non sempre velata, invidia di chi pur essendo già avanti con gli anni goda di tanta buona salute che gli consente una ipercinecità tale da poterla paragonare a quella di un grillo insetto noto per il suo continuo saltellare.
19 -ZUMPÀ 'NCOPP' Ê CCANNUCCE
Ad litteram:saltare sulle cannucce id est: vivere pericolosamente e perciò in continuo timore, come chi lo faccia muovendosi e saltando su risibili, piccole e sottili canne con il pericolo continuo di sprofondare .
20 -N’HÊ ‘A MAGNARTÉNE FURNE ‘E PANE!
Iperbolica, ironica icastica espressione che tradotta ad litteram vale: “Devi mangiarne forni di pane!” Id est: Devi mangiare (ancóra) tantissimo pane... (prima di poter ritenere di esserti affermato, prima d’essere all’altezza della situazione, prima di poter esprimere un parere su di un argomento, prima di aver dimostrato di valere qualcosa e prima di poter aspirare ad una posizione di preminenza)! L’espressione viene usata, come si evince, ironicamente ed a mo’ di ammonimento rivolta a chi arrogantemente, pur essendo alle prime armi, presuma di bruciare le tappe ritenendosi e proponendosi come esperto o navigato nei piú svariati campi dello scibile, dell’azione o -piú in generale - del vivere quotidiano!
21 -TENÉ 'A PAROLA SUPERCHIA
Ad litteram: tenere la parola superflua. Detto di chi parli piú del dovuto o sia eccessivamente logorroico, ma anche di chi, saccente e suppunente, aggiunga sempre un' ultima inutile parola e nell'àmbito di un colloquio cerchi sempre di esprimere l'ultimo concetto, perdendo -come si dice - l'occasione di tacere - atteso che le sue parole non sono né conferenti, né utili o importanti, ma solo superflue.
22 -TENÉ 'A PÓVERA 'NCOPP' Ê RECCHIE
Ad litteram: tenere la polvere sulle orecchie Icastica locuzione usata a Napoli per indicare chi sia o - solo - sembri, per la voce e/o le movenze, un diverso accreditato di avere le orecchie cosparse di una presunta polvere , richiamante quella piú preziosa, in quanto aurea ,che usavano gli antichi effeminati dignitarii messicani e/o peruviani cosí apparsi ai conquistatori ispanici. La locuzione in epigrafe, a Napoli viene riferita ad ogni tipo di diverso, sia al ricchione (sodomita attivo), che al femmeniello (sodomita passivo).
23 - TENÉ 'A PUZZA SOTT' ô NASO
Ad litteram: tenere ilpuzzosotto il naso Detto di chi, borioso, tronfio e schizzinoso assuma un atteggiamento di ripulsa, quello di chi avendo un puzzo sotto il naso, non lo tollerasse.
24 TENÉ A UNO APPISO 'NCANNA o anche PURTÀ A UNO APPISO 'NCANNA
Ad litteram: tenere uno appeso alla gola o anche portare uno appeso alla gola Locuzione dalla doppia valenza: positiva e negativa; in quella positiva si usa per significare di avere una spiccata preferenza per una persona, quasi portandola al collo a mo' di preziosa medaglia benedetta; nella valenza negativa la locuzione è usata per indicare una situazione completamente opposta a quella testé segnalata, quella cioé in cui una persona generi moti di repulsione e di fastidio a mo' di taluni pesanti, tronfi monili che messi al collo, finiscono per infastidire chi li porti.Chiarisco qui che per meglio determinare la valenza della locuzione, quella positiva è segnalata dall'uso del verbo purtà (portare), quella negativa dall'uso del verbo tené (tenere).
25 -TENÉ A CQUACCUNO APPISO A LL'URDEMO BUTTONE D''A VRACHETTA
Ad litteram:tenere qualcuno appeso all'ultimo bottone della apertura anteriore dei calzoni.
Id est: Avere e mostrare aperta repulsione nei confronti di qualcuno al segno di considerarlo fastidioso elemento da poter - figuratamente - sospendere, per vilipendio, all'estremo bottone della brachetta anteriore dei calzoni.
26 -TENÉ A QUACCUNO 'NCOPP' Ê PPALLE
Ad litteram:tenere qualcuno sui testicoli Id est: Cosí si esprime chi voglia fare intendere di nutrire profonda antipatia ed insofferenza nei confronti di qualcuno al segno di ritenerlo, sia pure figuratamente, assiso fastidiosamente sui propri testicoli.
27 -TENÉ 'A SARÀCA DINT' Â SACCA o anche TENÉ 'A QUAGLIA SOTTO
Ad litteram:tenere la salacca in tasca o anche avere la quaglia sotto
Icastiche locuzioni, usate alternativamente per indicare la medesima cosa e cioè quella di trovarsi in una incresciosa situazione tentando inutilmente di nasconder qualcosa ; nel primo caso infatti è impossibile celare di avere in tasca una maleodorante salacca ; il suo puzzo l'appaleserebbe subito; nella variante è ugualmente improbo, se non impossibile nascondere di essere affetto da una corposa, voluminosa ernia (quaglia) inguinale .
28 -TENÉ 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A PPISCIÀ E SSE NE CADETTE
Ad litteram:tenere il destino di Cazzetta: si dispose a mingere ed il pene cadde in terra.
Divertente locuzione usata però a bocca amara da chi voglia significare di essere estremamente sfortunato e perseguitato da una sorte malevola al segno di non potersi iperbolicamente permettere neppure le piú normali funzioni fisiologiche, senza incorrere in gravi, irreparabili disavventure quali ad es. la perdita del pene.
29 -TENÉ 'A SCIORTA D''O PIECORO CA NASCETTE CURNUTO E MMURETTE SCANNATO
Ad litteram:tenere il destino del montone che nacque becco e morí squartato.
Locuzione che, come la precedente viene usata da chi si dolga del proprio infame destino, qui rapportato a quello del montone che nato cornuto (per traslato: tradito) finisce i suoi giorni ucciso.
30 -TENÉ 'A SALUTE D''A CARRAFA D''A ZECCA
Ad litteram:tenere la salute (consistenza) della caraffa della Zecca.
Id est: essere molto cagionevoli di salute al segno di poter essere figuratamente rapportati alla estrema fragilità della ampolla di sottilissimo vetro, (la cui capacità era di litri 0,727= ampolla che marcata, tarata e conservata presso la Regia Zecca Napoletana era la unica atta ad indicare la precisa quantità dei liquidi contenutied alla sua capacità dovevano uniformarsi le ampolle poste in commercio.
31 -TENÉ 'A VOCCA SPORCA
Ad litteram:tenere la bocca sporca Détto di chi, per abitudine parli facendo uso continuato ed immotivato di volgarità e/o parole sconce ed oscene al segno da restarne figuratamente con la bocca sporcata.
32 - TENÉ 'E CHIRCHIE ALLASCATE
Ad litteram:tenere i cerchi allentati Detto di chi, vacillandogli la mente, sragioni o abbia vuoti di memoria, alla stregua di una botte che per essersi allentati i cerchi contentivi delle doghe, vacilla e perde il liquido contenuto.
33 -TENÉ 'E GGHIORDE
Letteralmente: essere affetto da giarda, malattia che colpisce giunture ed estremità di taluni animali; le parti colpite si gonfiano impedendo una corretta andatura. La locuzione è usata nei confronti di chi appare pigro, indolente e scansafatiche quasi avesse difficoltà motorie causate da enfiagione delle gambe che appaiono come contratte ed attanagliate da nodi. In turco, con il termine jord si indica il tipico doppio nodo dei tappeti - da jord a gghiorde il passo è breve.
.
34 -TENÉ 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ P''A CAPA
Letteralmente: Avere le matite a quadretti per la testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellatum a sua volta corruzione parlata del classico lapis quadratum (o anche opus reticulatum); il lapis quadratum o lapis quadrellatum (donde lappese a quadriglié) fu un’antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno,ed il vertice verso l'interno, di piccole piramidi di tufo o altra pietra , per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione, applicazione ed attenzione con conseguente sforzo mentale tale da procurare fastidio e ... mal di testa per la tensione ed il nervosismo, quelli che figuratamente sono indicati con la locuzione a margine.Ricorderò che erroneamente qualche scrittore di cose napoletane chiama in causa le matite o lapis propriamente detti, ed in particolare una pubblicità d'inizio del 20° secolo che mostrava una testa su cui erano conficcate a mo' di raggiera delle matite laccate a quadrettini neri e bianchi; ma atteso che la locuzione in epigrafe è molto antecedente all'epoca di quando furono commercializzate le matite( ca. 1790), ne discende che l'ipotesi è da scartare.
35 - TENÉ 'E PPALLE QUADRATE
Ad litteram:tenere i testicoli quadrati. Icastico ed iperbolico modo di dire usato ad encomio di chi appaia nel proprio agire solerte, pronto ed attento, dotato di efficaci capacità mentali e/o operative attribuite all'inusuale quadratura dei suoi testicoli che risultano sia pure figuratamente non banalmente sferici, ma addirittura cubici richiamanti quella quadratura indice di facoltà mentali e/o operative superiori alla media.
36 -TENÉ 'E PECUNE
Ad litteram:tenere i pichi Espressione che con valenza positiva viene riferita a coloro che sebbene giovani di età, si mostrino moralmente cresciuti, intelligenti e capaci di operare al di là del presagibile, quasi che non siano gli imberbi adolescenti che l'anagrafe dice, ma a mo' degli uccelli prossimi a metter le piume, mostrino di avere, figuratamente, sparsi per il corpo quei pichi propedeutici negli uccelli allo spuntar delle piume
37 -TENÉ 'E PAPPICE 'NCAPA
Ad litteram:tenere i tonchi in testa Id est: sragionare, non connettere. Locuzione usata nei confronti di coloro che con parole o atti adducano nei rapporti interpersonali, ragionamenti non consoni, assurdi, sciocchi e pretestuosi, quasi fossero generati da teste i cui cervelli fossero assaliti e lesi nelle capacità raziocinanti dai tonchi quei minuscoli insetti che talora infestano i cereali in genere e la pasta in particolare.
38 - TENÉ 'E PPIGNE 'NCAPO
Ad litteram:avere le pigne in testa. Locuzione di identica valenza della precedente, usata però quando si voglia intendere che la mancanza di raziocinio è ritenuta esser dovuta ad una ipotetica violenza subíta, come potrebbe esser quella di sentirsi cadere in testa i duri stròbili del pino.
39- TENÉ 'E RRECCHIE PE FFINIMENTE 'E CAPA
Ad litteram:tenere le orecchie per guarnimento della testa. Divertente locuzione di portata esattamente contraria alla precedente, che viene usata nei confronti di chi sia cosí duro d'orecchio da fare ritenere i loro padiglioni auricolari buoni solo per agghindare la testa.
40 -TENÉ FATTO A CQUACCUNO
Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, usata da chi voglia fare intendere di avere completamente in pugno qualcuno, di tenerlo nella propria disponibilità, avendolo quasi plagiato.
41-TENÉ ARTETECA
Ad litteram:stare in agitazione continua Detto soprattutto di ragazzi irrequieti, instabili e vivaci in perenne movimento, incapaci di star fermi in un luogo e adusi a stender le mani su tutto ciò che capiti nei loro pressi.La parola arteteca, etimologicamente viene da un tardo latino: arthritica con il significato nella restante parte dello stivale di artrite. mentre
nell'Italia meridionale vale irrequietezza quella che ad un dipresso si può cogliere in chi (affetto da artrite) si agita in continuazione nel tentativo di trovare una posizione antalgica per lenire i fastidiosi dolori muscolari che l’artrite comporta.
42 - TENÉ 'MMANO
Ad litteram: tenere in mano id est: attendere, rimandare, procrastinare, quasi trattenendo nelle mani ciò che vorrebbe esser fatto súbito.
43 -TENÉ 'MPONT' Ê DDETE
Ad litteram: tenere(qualcosa) sulla punta delle dita; id est: essere pienamente padrone d'un'arte o mestiere, conoscendone a menadito la strada ed i tempi da seguire per ottenere degni risultati o anche essere tanto esperto di una materia , conoscerla cosí bene da averla quasi come propria impronta digitale quella che si ricava appunto dalle punte delle dita.
44 -TENÉ 'NA PIONECA 'NCUOLLO
Ad litteram: tenere una miseria addosso; id est: essere o ritenersi di essere perseguitati dalla malasorte , quasi vessati dalla sfortuna che si è quasi attaccata addosso a mo' di seconda pelle.
45 -TENÉ N' APPIETTO 'E CORE
Ad litteram: avvertire una compressione toracica id est: trovarsi in uno stato di angoscia, essere ansiosi al punto di avvertire il cuore pulsare tachicardicamente nel petto, quasi comprimendosi contro la gabbia toracica.
46 -TENÉ 'NU CHIUVO 'NCAPA
Ad litteram: tenere un chiodo in testa id est:avere un'idea fissa che preoccupa ed affanna tenuta per iperbole a mo' di chiodo confitto in testa.
47 -TENÉ 'NFRISCO A QUACCUNO
Ad litteram: tenere in fresco qualcuno id est: fare attendere qualcuno prima di provvedere ai suoi bisogni o desideri , oppure anche solo prima di prestargli ascolto, lasciarlo in sospeso, senza curarsene, come di un cibo che d'estate, prima d'esser consumato venga messo a refrigerare.
48- TENÉ 'NU PÍSEMO 'NCOPP'Ô STOMMECO/VERNECALE
Ad litteram: tenere un peso sullo stomaco id est: avere la sgradevole sensazione di portare un peso sullo stomaco, peso rappresentato - per solito - da una grave contrarietà ricevuta e risultata metaforicamente indigesta, sí da avvertirne il relativo peso sullo stomaco.
49 -TENÉ 'O BBALLO 'E SAN VITO
Ad litteram: essere affetto da còrea ed estensivamente essere o mostrarsi irrequieto ed instabile .
50 - TENÉ 'O CULO A BBUTTIGLIONE, A MMAPPATA, A PPURTERA, A MMANDULINO
Ad litteram: avere il culo a forma di bottiglione, di pacco, di portiera, di mandolino. Cosí, in vario modo si suole alludere alle diverse configurazioni del fondoschiena femminile; la forma piú - diciamo - pregiata è ritenuta l'ultima: quella che arieggia la struttura del mandolino; le altre tre forme si riferiscono alla medesima sgraziata forma d’un fondoschiena eccessivamente vasto tale da potersi volta a volta raffigurare come un bottiglione (grossa bottiglia di grande capacità), o come una mappata ( ampio inviluppo di panni)(ed in tale accezione si fa riferimento non solo al fondoschiena femminile di donne adulte, ma anche a quello degli infanti spesso avviluppati nei pannolini) o infine come una purtera (vasto sportello).
51 -TENÉ 'O CULO A TTRE PPACCHE
Ad litteram: avere il culo a tre natiche Atteso che la cosa è anatomicamente impossibile, la locuzione è usata ironicamente, a mo' di dileggio di ogni spocchioso, borioso saccente e supponente che si ritenga titolare di eccezionali doti e talenti fisici o morali che in realtà non esistono, come è inesistente un culo con tre natiche; la locuzione è però usata altresí con una punta d’invidia nei confronti di chi sia cosí fortunato da essere appunto accreditato d’avere un fondoschiena (pensato sede della buonasorte) vastissimo ed addirittura a tre natiche!
52 -TENÉ 'O CUORIO A PPESONE
Ad litteram: avere le cuoia a pigione id est: essere costretti a vivere a rischio continuo, in modo precario, nelle mani della malasorte, in un clima di continua incertezza, come chi - non essendo proprietario di alloggio, sia costretto a prenderne uno in pigione al rischio di vedersi improvvisamente messo fuori dal proprietario.
53 -TENÉ 'O FFRÀCETO 'NCUORPO
Ad litteram: avere il fradicio in corpo id est: portarsi dentro, tentando di non appalesarle, ingenti carenze intellettive o morali, o - piú spesso - pessime inclinazioni; va da sè che ci sia poco da fidarsi di chi abbia tali carenze o inclinazioni.
54 -TENÉ 'O PIZZO SANO E 'A SCELLA ROTTA
Ad litteram: avere il becco integro e l'ala rotta Détto ironicamente di chi sia sempre pronto a prendere, ma accampi scuse per esimersi dal dare . Al di là del significato traslato, la locuzione si riferisce di per sé a chi sia sempre pronto a mangiare e restio a lavorare.
55 - TENÉ 'E PPEZZE
Ad litteram: avere le pezze id est: essere ricco, disporre di molto danaro, atteso che qui il termine pezza non sta a significare: straccio, ma - appunto - moneta; rammenterò che al tempo dei Borbone, nel Reame di Napoli la pezza era una ben identificata, grossa moneta d'argento detta anche piastra del valore di ben 15 carlini; l’essere in possesso di tante piastre o pezze era indice di grande ricchezza.
56 -TENÉ 'E FRUVOLE PAZZE DINT' Ô MAZZO
Ad litteram: avere le folgori pazze nel sedere Riferito soprattutto a ragazzi irrequieti e chiassosi, recalcitranti ai freni ed in quanto tali ritenuti titolari di folgori pazze (tipo di fuochi artificiali)allocate nel sedere, che con il loro scoppiettío, costringono i ragazzi a non stare fermi e ad agitarsi continuamente.
57 -TENÉ 'E SETTE VIZZIE D''A ROSAMARINA
Ad litteram: avere i setti vizi del rosmarino Detto iperbolicamente di chi non sia ritenuto titolare di alcuna virtú, anzi - al contrario - di troppi vizi ; tra i quali sono considerati anche le eccessive voglie, i desideri, le richieste pressanti in ispecie quelle di taluni incontentabili ragazzi, ma anche di qualche adulto di sesso femminile.
La pianta del rosmarino, arbusto aromatico che viene molto usato in cucina , ma anche sfruttato in erboristeria per la produzione di profumi, ed in farmacopea - per le sue capacità terapeutiche, è ritenuto però ricca di vizi, che se non sono sette come affermato nella locuzione in epigrafe, son comunque tanti: è pianta che brucia con difficoltà , fa molto fumo e poca fiamma e dunque non riscalda, quando brucia, contrariamente a ciò che avviene normalmente, putisce ed irrita fastidiosamente gli occhi con il suo fumo.
58 -TENÉ 'O SFUNNOLO
Ad litteram: avere lo stomaco sfondato Detto iperbolicamente di chi sia
cosí tanto vorace ed insaziabile da mangiare continuatamente ad immettendo tantissimo cibo nello stomaco, senza mai satollarsi, quasi che lo stomaco fosse sfondato e non fosse possibile riempirlo mai.
59 -TENÉ 'O STOMMACO 'MPIETTO E 'O VELLICULO Ô PIZZO SUJO.
Ad litteram: avere lo stomaco nel petto(id est: nel torace) e l'ombellico al suo (giusto) posto. Detto ironicamente di chi lamenti continui,gravi (ma - in realtà –inesistenti) malanni.
Brak
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento