LAGNA – LAMENTO &
DINTORNI
Questa volta è stato
il caro amico G. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono
ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi di illustrare le eventuali
differenze tra le voci in epigrafe e di indicargli le voci dell’idioma
partenopeo che le rendono . Accontento
lui e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,entrando súbito in argomento.
Lagna s.vo f.le
1– Lamento insistente e noioso: finiscila con quella lagna!;
per estens., di discorso o faccenda lunghi, interminabili, noiosi: che lagna
questa conferenza!; protesta o lamento ripetuto, insistente | (estens.) testo,
discorso, brano musicale lento, prolisso, noioso;
fig. anche riferito a persona lagnosa: quella lagna di mia sorella!; sei proprio una lagna, bella
mia!
2 -anche cosa molesta, che dia motivo di lagnarsi: Lèvati
quinci e non mi dar più lagna (Dante).
Quanto all’etimo è un deverbale del lat. lania(re)
'dilaniare', poi 'dolersi, lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di
graffiarsi gli arti ed il volto e
strapparsi i capelli in segno di dolore.
Lamento s.vo m.le
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso
di dolore di un animale: emettere, mandare, levare un lamento; un lamento
straziante; il lamento di un cane ferito | lamento funebre, (etnol.)
manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle forme
consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere
sordo ai lamenti altrui
4 componimento in versi, per lo piú di carattere popolare,
in cui si esprime il dolore per la morte di una persona, diffuso soprattutto nel medioevo;
5 (mus.) composizione vocale che commemora un personaggio
illustre; nell'opera, aria in cui il personaggio esprime la sua disperazione
per la morte della persona amata.
Quanto all’etimo è dal lat. lamentu(m);
Gemito s.vo m.le
grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.): i
gemiti dei feriti; il gemito del vento; il gemito del popolo oppresso. Quanto
all’etimo è voce dal lat.
gemitu(m)deverbale di gemere;
guaíto s.vo m.le
1 in primis verso acuto, breve e lamentoso emesso da
animali, e spec. dal cane quando prova dolore
2 (estens.) lamento | (spreg.) stonatura nel canto,
forzatura della voce.
Quanto all’etimo è voce deverbale di guaire che è dal lat.
vagire 'vagire', con gu- iniziale di orig. germ.; cfr. ad es. guado(dal lat.
vadu(m), connesso con vadere 'andare, passare', con gu- iniziale tipico delle
voci di orig. germanica)
;
lamentela s.vo f.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza: è una lamentela
generale; si sentono lamentele sul suo conto.
Quanto all’etimo è voce derivata da lamentu(m) con suff.
durativo ela come per querela, cautela ecc.
E passiamo alle voci napoletane che rendono quelle
dell’italiano:
addiasillo s.vo m.le
lamento continuo o ripetuto; lagnanza, piagnisteo,
querimonia; etimologicamente è voce ricavata corrompendo ed agglutinando in un
sol termine una parte dell’espressione
latina: dies irae, dies illa→(dies irae)diesilla→diasillo con prostesi di un ad
intensivo: ad+diasillo→addiasillo; dies irae, dies illa (giorno dell’ira, quel
dí) è l’inizio d’una sequenza della liturgia
dei defunti del religioso francescano,
poeta e scrittore Tommaso da Celano (Celano, circa 1200 – †Val dei Varri, circa
1270) autore appunto dell'inno Dies irae
di due vitae di san Francesco d'Assisi,
di una vita di santa Chiara, ed almeno due lodi del Poverello.
diasilla s.vo m.le
, mugolio, piagnucolio, lamento, pianto, querimonia, lamentazione, lagno; etimologicamente è voce
derivata, come dalla precedente dalla
corruzione ed agglutinazione in un sol termine della sola parte finale
dell’espressione latina: (dies irae,) dies illa→diasilla (giorno
dell’ira, quel dí)
gnagnera s.vo f.le piagnucolio, lamento insistente,
fastidioso e non motivato di donna
querula; quanto all’etimologia è voce, come attestato nella stragrande
maggioranza dei maggiori lessici in uso (D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri)
palesemente onomatopeica, presente in varie altre parlate regionali con
significati analoghi; fa eccezione il solo D’Ascoli che fantasiosamente si inventò una derivazione da un non attestato spagnolo ñaña (lèggi gnagna )(escremento) in
un suo bizzarro significato estensivo di fastidio.Dissento dal D’Ascoli toto
corde e mi accodo ai D.E.I. – Treccani – Garzanti ed altri.
catalajo s.vo m.le
voce antica ed ormai desueta; tuttavia talora la si ritrova, sulla bocca
di vecchi partenopei della città bassa,
corrotta in cantaguaje riferita a persona che sia solita lamentarsi di sue vere o piú spesso presunte
sventure, avversità, traversie; di per sé invece la corretta voce a margine vale lamento, gemito
dolente,lagnanza mesta e dolorosa espresso ad alta voce ed è etimologicamente
costruita sul s.vo lajo (che è dal fr.
lais=suono, canto) con protesi di un catà rafforzativo; rammento che il
sostantivo lajo/laio è presente anche nella lingua italiana ed indicò in origine, con riferimento alla poesia francese medievale, un componimento lirico di argomento amoroso o
fantastico, recitato o cantato con accompagnamento musicale;
successivamente il medesimo s.vo anche nel linguaggio poetico della lingua
italiana (usato però esclusivam. al plur. lai),indicò voci meste e dolorose,
lamenti.
La stessa voce, per sineddoche (causa-effetto), è usata per
significare sventura, disgrazia.
iumisso anzi jumisso
s.vo m.le
Voce antica, ma desueta ed assente, purtroppo per me che l’ò
cercata, in tutti i repertorii in mio
possesso;corrisponde però all’italiano
gemito in tutti i suoi significati:
grido sommesso, lamento; voce di dolore (anche fig.); in mancanza di
possibilità di confronti, ò dovuto far da solo e reputo, a mio modo di vedere, che
l’etimo sia un adattamento locale
(ge→ju) dal francese gemisse(ment)= gemito;
per il passaggio della g palatale ad j cfr. ad es.: jennero che è da
generu(m); non meraviglia altresí il passaggio di e ad u cosa normale in sillaba iniziale
atona (cfr. perócchio ma purucchiuso, tellína→tunninola etc.);
lagno s.vo m.le nel suo significato primo la voce a margine
vale: fossato con acqua, acquitrinio fangoso ma, per traslato vale lamento
fastidioso o lagnanza insistente e
noiosa, l’uno e l’altra semanticamente vicini al fastidio d’un acquitrinio
fangoso ed appiccicaticcio; per quanto
riguarda l’ etimo della voce preferisco
accodarmi all’idea dell’amico
prof. Carlo Iandolo che lègge in questo
lagno un agg.vo amnius da amnis=fiume con successiva agglutinazione
dell’art. l→ *l-amnius ed esito finale lagnu(s)→lagno , come
somniu(m)→sogno, piuttosto che ritener la voce (considerato il suo significato
primo) un deverbale di di lagnarsi che, come ò già detto, è dal lat. laniare 'dilaniare', poi 'dolersi,
lamentarsi', dall'abitudine delle prefiche di graffiarsi e strapparsi i capelli
in segno di dolore.
lamiénto s.vo m.le s. m.
1 suono, voce, parola che esprime dolore; per estens., verso
di dolore di un animale:fa unu lamiento (si lamenta in continuazione);’nu
lamiento strazziante (un lamento straziante); ‘o lamiento ‘e ‘nu cane feruto(il
lamento di un cane ferito) | ‘o lamiento d’’o funnarale( il lamento funebre),
(etnol.) manifestazione rituale di cordoglio, espressa davanti alla salma nelle
forme consacrate dalla tradizione (grida, nenie, gesti ecc.)
2 (estens.) suono flebile e triste: il lamento di un violino
3 espressione di risentimento; lagnanza, rimostranza: essere
sordo ai lamenti altrui
per quanto riguarda l’ etimo
la voce è dal lat. lamentu(m);
lòteno s.vo m.le è propriamente un litigio lungo,
noioso,ripetitivo che spesso si ripropone a scadenze continue; di tale lòteno
la caretteristica precipua è appunto quella
d’essere noiosamente ripetitivo ( donde il fastidio affine a quello del
pregresso lagno) e quasi appiccicaticcio; etimologicamente lòteno è da
collegarsi a lota = fango (dal lat. lutum a sua volta dalla medesima radice
di luere=lavare, bagnare; partendo da
lota(fango, terra bagnata) si va a lotulum (fangoso, melmoso, appiccicaticcio)
donde con dissimilazione l→n il nostro
lòteno;
‘nzíria s.vo f.le è
il fastidioso, lamentoso capriccio
proprio del bambino piccolo, d''o criaturo, capriccio accompagnato spesso dal piagnucolare senza motivo apparente e per
ciò indica estensivamente indica anche un prolungato, lamentoso pianto,
apparentemente non supportato da cause facilmente riscontrabili o
riconoscibili; tale lamentoso piagnucolare è, ovviamente, costume dei bambini e
segnatamente degli infanti, ai quali – impossibilitati a rispondere – sarebbe
vano o sciocco chieder ragione del loro pianto; spesso di tali piccoli bambini
che, all’approssimarsi dell’ora del riposo notturno, comincino a piagnucolare
lamentosamente se ne suole commentare l’atteggiamento con l’espressione:Lassa
‘o stà… è ‘nziria ‘e suonno… (lascialo stare,non curartene, non
preoccuparti: è bizza dovuta al sonno…
per cui bisogna aver pazienza!).
Rommento ancóra che un tempo accanto alla forma ‘nziria, vi
furono anche, con medesimo significato:zírria, zirra .
Per quanto riguarda l’etimologia del vocabolo ‘nziria (da
cui gli aggettivi ‘nzeriuso/’nzeriosa che connotano i bambini/e che si
abbandonano ai capricci ed alle bizze) scartata l’ipotesi che provenga da un in
+ ira: troppo distanti sono infatti l’idea di ira da quelle di bizza,
capriccio, non mi sento neppure di aderire a ciò che fu proposto dall’amico
avv.to Renato de Falco nel suo, peraltro informato Alfabeto napolitano vol. 1°
e cioè che la parola ‘nziria potesse discender dal greco sun-eris = con
dissidio, stante quasi il contrasto che si viene a creare tra il bambino in
preda alla ‘nziria e l’adulto che dovrebbe dar corso alle richieste, in quanto
reputo l’eventuale contrasto solo un effetto della ‘nziria, non il suo
sostrato; penso che sia molto piú probabile una discendenza da un latino insidiae; a sua volta da un in + sedeo
= sto sopra, mi fermo su,insisto che ben mi pare possa rappresentare
semanticamente l’impuntatura
fanciullesca che è tipica della ‘nziria.
parafísema attestato (Basile) anche come parafísemo s.vo
m.lein doppia morfologia voce antica e
desueta che vale: protesta o lamento ripetuto, insistente fissazione
ingiustificata; capriccio irragionevole, poco meno che físema = fisima; quanto
all’etimo è voce costruita partendo da un’alterazione del gr. (só)phisma, (deriv. di sophízesthai
'divenire saggio' (da sophía 'sapienza'), poi 'cavillare,reiterare i
concetti, valersi di sottili
argomentazioni’, tutte cose
semanticamente vicine al lamento ripetuto ed insistente), con prostesi della cong. parà = circa, quasi
ottenendosi paraphisma e successivo paraphisema mediante l’anaptissi eufonica
di una e tra ph= f e s;
píccio s.vo m.le piagnucolío, piagnisteo, lamento prolungato
e noioso, tipici di bambini o di donne immature; quanto all’etimo è voce da un
lat. volg. *pipiu(m) connesso al verbo pipiare = piagnucolare; per il passaggio
della seconda sillaba pi a cci cfr.
accio←apium, saccio←sapio etc.
píulo/pívulo s.vo
m.le doppia morfologia[ma la seconda è
solo una sistemazione della prima] d’un termine che letteralmente in primis
vale pigolío, poi per estensione e
traslato piagnucolío, piagnisteo etc. come la voce precedente; etimologicamente
è voce deverbale di piulà/pivulà che è dal Lat. volg. *piulare→*pivulare (con
epentesi di una v eufonica), per il
class. pipilare, di orig. onomatopeica;
règnula s.vo f.le lamento a denti stretti, provocatorio, piagnucolío dispettoso,
provocatorio e molesto;
quanto all’etimo è voce deverbale da un lat. volg.
*ringulare ( da ringi = digrignare i denti)
che ebbe anche una forma frequentativa;
*ringuljare che per metatesi diede regnuljare = piagnucolare; règnula è però un diretto derivato metatetico
di *ringulare→rengulare→regnulare senza transitare per il frequentativo
*ringuljare.
riépeto o liépeto
s.vo m.le vedi oltre sub taluorno;
sciabbàcco s.vo m.le in primis vale: fracasso,
baraonda, schiamazzo, trambusto e
poi per estensione e/o traslato lamento,
lamentela, reclamo, protesta, querela,
piagnisteo (che non possono mancare in una baraonda);etimologicamente
è voce
dall’arabo šábak= trambusto;
sizia – sizia o
siziasizia s.vo m.le lamento querulo
e reiterato; la voce viene usata quasi
sempre nell’icastica espressione che suona: fa unu sizia-sizia.
letteralmente: fa un sitio- sitio, cioè si lamenta
continuamente riferito di solito ad inopportuni bambini o a fastidiose
donne che assillano con richieste
pressanti ed irritanti richieste tese ad
ottenere qualcosa appunto con ossessiva
petulanza. La voce e la locuzione son ricavate
prendendo spunto da un episodio dei Vangeli quello relativo al “Sitio!”(ò sete), una delle sette
parole pronunciate da Cristo sulla
croce.Rammento che alla richiesta del
Signore i soldati risposero offrendogli da bere
dell'aceto misto ad acqua e ciò
non per ulteriormente vilipenderlo, ma solo perché un misto d’acqua ed aceto è la bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
taluórno s.vo m.le
lamento reiterato, ripetizione
noiosa, canto fastidioso; chiarisco súbito che etimologicamente taluorno non
deriva come improvvidamente e fantasiosamente
pensò qualcuno (D’Ascoli, dal quale – confesso ! – per un certo periodo
mi lasciai convincere, salvo poi (per fortuna!) a ravvedermi),non deriva da un inesistente latino: tal-urnus:
ripetizione; in realtà etimologicamente il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella
lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura ed inopinatamente esclusa (manca persino nel
Pianegiani!) nei correnti ed accreditati
lessici della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di
ritornare con dissimilazione r→l) indicò
un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa
e con una tipica dittongazione regionale della sillaba to (forse intesa breve)
la voce latorno divenne latuorno
sia in area calabro-lucana che in area
pugliese, dove indicò il tipico
lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f.le dell'agg. praeficus
'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché la prefica era preposta al gruppo delle ancelle che
piangevano; in effetti essa prefica fu la donna che, presso gli antichi romani,
veniva pagata per piangere e lamentarsi durante le cerimonie funebri; l'usanza
ancóra sopravvive in alcune aree
mediterranee europee; scherzosamente la
voce prefica è usata poi anche per
indicare una persona che si lamenti per
nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche
riépeto/liépeto che semanticamente
richiamano il latuorno/taluorno con il
suo reiterarsi.
riépeto o liépeto s.vo m.le
sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza/dissimilazione partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di
repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto
il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di
tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa
finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento
funebre delle prefiche e poi estensivamente atto noioso e/o
ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il
fantasioso tal – urnus del D’Ascoli, si possa tranquillamente intendere come lettura metatetica di
latuorno→taluorno.
trívulo s.vo m.le s. in primis la voce a margine è
1 (bot.) nome di diverse piante spinose | (lett.) pruno,
rovo, sterpo:
2 (mil.) ciascuno degli arnesi metallici provvisti di punte
che si spargevano anticamente sul terreno per ostacolare l'avanzata della
cavalleria;
3 (fig. ed è il caso che ci occupa ) tormento,fastidio
preoccupazione, angustia che generano pianto,
lamentele, rimostranze, proteste
:’na vita ‘ntrivule e ‘ntempesta
(una vita fra triboli e tempeste); l’etimo è dal lat. tribulu(m), dal gr. tríbolos
'spino'; normale nel napoletano l’alternanza b/v cfr. barca→varca, bocca→vocca,
bótte→vótte etc.
zinfunía s.vo f.le , piagnucolio reiterato , accordo discordante
di suoni, lamento continuo ed immotivato
, pianto, querimonia, lamentazione,
lagno tutti espressi, spesso coralmente ed a gran volume di voce da bambini o
donne immature ; etimologicamente è voce derivata dal gr. symphonía , comp. di
sy/n- 'sin-' e un deriv. di phoné 'suono'; comune nel napoletano il passaggio
della s a z
ziteresélla s.vo f.le
voce antichissima, popolaresca, ma desueta nata nella città bassa al
tempo(fine 1800 principi 1900) in cui ancóra alcune popolane esercitavano il
mestiere di capera (pettinatrice girovaga, ciarliera e pettegola; la voce è dal
lat.parlato capa(m)+ il suffisso di attinenza era f.le di iere cfr. salumera ma
al m.le salumiere etc. );la voce a
margine ziteresélla in primis valse cantafera,cantilena, tiritera, querimonia lunga e tediosa ed
estensivamente lamento, lagnanza con riferimento alle noiose tiritere, farcite
di lamenti e lagnanze con cui le logorroiche pettinatrici a domicilio solevano condire il loro lavoro errabondo; in
effetti etimologicamente la voce è formata dall’agglutinazione del sostantivo
zi’ ( che è l’ apocope di zia) usato (in luogo d’un corretto sié) in
unione con il nome proprio Teresella
collaterale di Teresenella (ipocoristici
di Teresa) degradato semanticamente a nome comune.Sarebbe vano andare alla
ricerca di quella Teresella/Teresenella
che – con ogni probabilità – fu una conosciuta ciarliera, lamentosa
capera che svolgeva la sua attività nei bassi, fondaci o case della città bassa
inondando di lamenti, lagnanze e querimonie
le povere clienti che ipso facto servendosi del nome della pettinatrice
coniarono il termine ziteresélla per indicare una cantilena,una tiritera,una querimonia lunga e tediosa ed
estensivamente un lamento,una lagnanza; rammento comunque che a Napoli piú che il
semplice ipocoristico Teresella ,di Teresa è in uso dapprima il diminutivo Teresina e poi un suo vezzeggiativo Teresenella.
Faccio ora un passo indietro e chiarisco la faccenda della
voce zi’ usata in luogo di sié , ricordando che spesso nel napoletano
una voce che nella prima sillaba à la consonante esse, quest’ultima viene letta zeta determinando una confusione tra
voci diverse ed inducendo in errore, come capita ad es. con i sostantivi signore e signora che apocopati
rispettivamente in si’= si(gnore) e sié = signora (sié è apocope ricostruita di
signora dalla voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur →
sie-(gneuse); per errore tali si’ e sié
vengon letti zi’ e zié→zi’ che sono invece l’apocope di zio e zia che sono dal
lat. thiu(m)/thia(m) e dunque voci affatto diverse da signore e signora che son voci di rispetto, ma generiche
rispetto a zio/zia che indicano un chiaro rapporto parentale che di norma manca nel rapporto
interpersonale dei soggetti indicati come signore o signora; rammento al
proposito l’espressione essere ‘o si’ nisciuno che ad litteram è : essere il
signor nessuno. Espressione usata nei confronti di chi sia ritenuto
un’autentica nullità, un essere di nessuna valenza e/o importanza un autentico
signor nessuno.Rammento che spesso anche
tra napoletani di vecchio conio la locuzione in epigrafe suona, per la ragione
ricordata come: essere ‘o zi’
nisciuno sostituendo la sibilante S con
una piú dura, ma inesatta Z e persino il
grandissimo don Peppino Marotta,si lasciò
confondere ed incolse nell’errore di
tradurre l’espressione in maniera errata: essere lo zio nessuno , laddove la
parola esatta da usarsi nella locuzione
è: si’ che comporta la traduzione
in signore. In effetti usando lo scorretto zi’ nisciuno ci troveremmo ad avere
a che fare con la parola zi’ forma apocopata della voce zio(zio) che è dal lat. thiu(m) e l’espressione in un
certo senso si snaturerebbe del suo significato giacché usando zi’ nisciuno
(zio nessuno) non si raggiungerebbe l’icastica espressività che è contenuta
nell’esatta locuzione che prevede l’uso di si’ nisciuno (signor nessuno) dove
si’ è la forma apocopata della parola
si(gnore).
Giunto a questo punto potrei anche ritenermi soddisfatto e
reputare d’aver contentato l’amico G.G.
e qualche altro dei miei ventiquattro lettori,mettendo un punto fermo;
ma prima di farlo mi piace ricordare a vol d’uccello qualche verbo o
espressione che si collegano alle voci esaminate:
allamentarse = lamentarsi,
lagnarsi; reclamare, protestare, rimostrare;
fà unu sizia-sizia ne
ò già détto antea sub sizia-sizia;
lepetà/repetà/ repetïàre/ ïà
dolersi, pianger lamentosamente durante i funerali e/o
le veglie funebri. cfr. antea sub taluorno;
Piccïàre/ ïà cfr. antea sub píccio;
regnulïàre/ ïà cfr. antea sub regnula;
sciabbacchïàre/ïà cfr. antea sub sciabbacco
Faccio notare in coda a quest’ultimo elenco che in napoletano tutti i verbi in ïare/ïà
comportano una sillaba in piú rispetto ai verbi in iare/à cosa che esige una
coniugazione diversa; ad esempio in napoletano esistono i verbi cacciare/à e cacc ïare/ïà; il primo
(trisillabo) con etimo dal lat. volg.
*captiare, deriv. del class. capere 'prendere' vale: 1 mandare via con la forza
o sgarbatamente; scacciare (anche fig.): caccià ‘e casa malamente (cacciare di
casa, in malo modo); caccià ‘e cattive penziere(scacciare i cattivi pensieri)
2 (fam.) tirar fuori, cavare, estrarre: caccià ‘na cosa ‘e
sorde(tirar fuori del danaro)
ed à una normale coniugazione dei verbi di prima cng.che ad es. all’ind. presente è i’ caccio/tu cacce/isse
caccia/nuje cacciàmmo/vuje cacciàte/lloro càcciano
Affatto diverso è il quadrisillabo caccïare/ïà che a
malgrado abbia il medesimo etimo dal
lat. volg. *captiare, deriv. del class.
capere 'prendere', vale: dare la caccia a un animale selvatico per ucciderlo o
catturarlo e non segue la normale
coniugazione dei verbi di prima cng ma
una che tiene conto della sillaba in piú, per cui ad es.
all’ind. presente è i’caccéjo/tu
caccíje/isso caccéja/nuje caccíjammo/
vuje caccíjate/lloro caccéjano
Sulla falsariga della coniugazione ora indicata si
comportano tutti i verbi in ïare/ïà
anche se non esistono loro similari in are/à, per cui i sunnotati verbi in
ïare/ïà si adeguano tutti alla medesima coniugazione di caccïare/ïà e non a
quella di cacciare/à.
Demumque penso proprio di poter metter ora il mio consueto satis est.
Raffaele Bracale
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