venerdì 3 settembre 2021

21 DATATE LOCUZIONI PARTENOPEE

 

21  DATATE LOCUZIONI PARTENOPEE

1 -TURNÀ 'A STIMA A QUACCUNO

Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est:  riconfermare  la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore  o transeunti, futili  motivi erano stati tolti.

2 -UNA NE FA E CCIENTO NE PENZA

Ad litteram: una ne fa e cento ne progetta  Locuzione che  fotografa il comportamento iperattivo di chi si dedichi , ma non si sa con quanto successo, a troppe iniziative di varia portata; la locuzione è usata altresí  per stigmatizzare,anche se bonariamente, la ipercinecità di un ragazzo attivamente impegnato a fare innumerevoli marachelle.

3 - UOCCHIE CHINE E MMANE VACANTE

Ad litteram: occhi pieni e mani vuote; cosí si suole dire di chi, o per suo demerito o per sopravvenute contrarietà insormontabili,  non riesce a raggiungere  il risultato sperato e resti a bocca asciutta o mani vuote e si debba contentare di veder prossimo il risultato sperato, senza però avere la capacità o possibilità di  toccarlo con le mani ossia

realizzarlo; in chiave piú becera, ma  simpatica la locuzione fu usata per stigmatizzare la situazione di chi, attratto da procaci, provocatorie rotondità femminili si doveva contentare di guardare, senza poter toccar con mano e  quindi senza potersi regolare nel modo ricordato altrove.

4 -UOCCHIE 'NFRONTE NUN NE TIENE?

Ad litteram: occhi sulla fonte non ne ài? Icastica ed ironica domanda retorica che si suole rivolgere, per redarguirlo, a chi colpevolmente distratto o disattento sia incorso in errori  che si ritenga siano stati provocati dal fatto che  egli non abbia esattamente guardato o badato  a ciò che faceva, quasi non fosse munito di occhi.

5 -UH, ANEMA D''E PIERE 'E PUORCHE!

Locuzione esclamativa intraducibile ad litteram  atteso che è impossibile che le zampe di un maiale abbiano quell'anima  che iperbolicamente, ma erroneamente, nella locuzione  viene chiamata in causa;

il senso celato della locuzione è: che esagerazione!, cosa mi vai raccontando?, è incredibile ciò che mi dici!, come incredibile sarebbe un maiale provvisto nelle zampe o altrove di anima.

6 -UOCCHIE SICCHE

Ad litteram:occhi seccati, o - meglio - seccanti,cioè:  occhi capaci di seccar, prosciugare(ossia arrecar danno) coloro contro cui vengon rivolti. Cosí, come in epigrafe, vengono chiamati i menagramo, gli iettatori, tutti coloro che con i loro sguardi sono ritenuti capaci  di grandemente danneggiare qualcuno, non con azioni proditorie, ma semplicemente guardandolo.

7 -USO NUN METTERE E USO NUN LEVÀ

Ad litteram: non creare (nuove) abitudini  e non toglierne; id est: lascia stare il mondo cosí com'è; non impegnarti a tentare di cambiarlo introducendo nuove abitudini  che  specialmente se si concretano in liberalità, omaggi e donativi nei confronti di terzi, diventano con il trascorrere del tempo eccessivamente onerosi  e difficili se non impossibili da toglier via; la cosa vale anche quando si trattasse di togliere inveterate abitudini; il tentativo di estirparle potrebbe ingenerare malumori  nei terzi  che vedendo eliminati o lesi alcuni pregressi privilegi potrebbero ribellarsi anche violentemente.

8 -UH, SSEVERE 'E PAZZE !

Esclamazione impossibile da tradurre ad litteram che viene pronunciata  nell'osservare situazioni o accadimenti  ritenuti  cosí strani ed improbabili da destare gran meraviglia, stupore e/o rabbia, nell'intento di sottolineare  che quelle situazioni o accadimenti son cose da matti, quasi incredibili.

Strana locuzione quella in esame dove  con ogni probabilità il termine ssevere è   l’adattamento corruzttivo dell'espressione francese: c'est vrai[lèggi:sè-vrè] ( de foux) (è veramente da folli); la stranezza della espressione napoletana consiste nel fatto  che ci si è limitati  nella sua formulazione, alla sola corruzione della prima parte di quella francese: c'est vrai,[sè-vrè→severe] completandola con  il termine  pazze = pazzi   esatta traduzione del francese foux.

9 - VA'  A FFÀ 'E PPEZZE!

Ad litteram: va’ a raccattare cenci!

Eufemistica espressione usata in luogo di altra piú corposa anche se becera, che qui di seguito illustrerò, per invitare un importuno, fastidioso individuo a liberarci della sua sgradita presenza, ed andare a raccattare cenci.

10 -VA'  A FFÀ 'NCULO!  ma meglio VALLO  A PIGLIÀ 'NCULO!

Superfluo tradurre  questi conosciutissimi modi di rendere l'italiano: va' a quel paese!La variante è sí piú becera, ma quanto piú corposa, esplicita, icastica ancorché dura,  atteso che colui cui è rivolta la locuzione è  invitato a tenere nell'ipotetico rapporto sodomitico  la posizione soccombente, non quella attiva prevista dalla prima locuzione; ambedue però, come quella del num. precedente, si rivolgono ad un importuno, fastidioso soggetto, invitato qui a dedicare il suo tempo ad altre attività che non quella di infastidirci.

Rammento che nel fiorito linguaggio espressivo popolare talora la prima espressione in esame, (nello sciocco intento di evitar di pronunciare la parola culo ingiustamente intesa volgare o becera) viene imbarocchita in VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E MAZZO  che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di sedere dove con il termine piega di sedere si intende il solco anatomico di separazione delle natiche solco che icasticamente rappresenta una piegatura di quelle. Nel pronunciare tuttavia quest’ultima espressione accade che in luogo di pronunciare il termine culo, becero e volgare, se ne pronuncia uno analogo: mazzo di talché per ovviare a tutto ciò qualcuno trasforma eufemisticamente l’espressione in un’altra di analogo significato, ma  che suona VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E VESTA! che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di veste e con essa espressione    si dà luogo ad una precisazione utilissima , con cui si  chiarisce  che la piega di sedere da prendere in considerazione è esattamente una piega femminile, cosa che si evince dal fatto che la veste è un indumento femminile!

chieja sv.vo f.le  =piega, piegatura, ma anche incavo, solco; voce dal lat. plica-m con consueta risoluzione del digramma latino pl seguito da vocale nel napoletano chi (cfr. chiummo←plumbeu(m) - chiazza←platea – pluere→chiovere etc.).

mazzo  sv.vo m.le di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano  complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. ultra)  non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione ‘a gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo   si  preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare de  ‘o buco d’’o culo  con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio,  taficchio, màfaro etc.   si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo nell’accezione indicata  è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam  è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza  à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano)   e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere  e mazza il bastone.

A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo  che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non  dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom.  lat. med. macĭus.  

11 -VA' TE COCCA!

Ad litteram: va' a coricarti  Altro modo di invitare qualcuno a togliersi di torno, ad andar via, a sparire per non importunarci o tediarci. Qui con modi piú contenuti e gentili rispetto a quelli dei numeri precedenti, lo si  vuol convincere di liberarci della sua presenza, andandosene a dormire. Talvolta però, atteso che  per coricarsi occorre stendersi su di un letto, con la locuzione in epigrafe  si adombra il  recondito, cattivo, se non pessimo desiderio  che il soggetto contro cui è rivolta  debba giacere definitivamente disteso cioè debba mancare, andarsene, scomparire, passare nel numero dei piú, liberandoci per sempre della sua sgradita presenza!

12 -VATTE A FFÀ FOTTERE!

Ad litteram: va' a farti possedere Ma è il medesimo perentorio invito  a farsi sodomizzare - sia pure metaforicamente - contenuto nella variante di cui precedentemente al n°10.

13 -VEDÉ 'A MORTE CU LL'UOCCHIE

Ad litteram: vedere la morte con gli occhi ; e sarebbe sciocco ed inopportuno chiedere: e con che altro si può vedere?, atteso che il napoletano è ricchissimo di simili tautologie, come appunto:'a vista 'e ll'uocchie,  puorto 'e mare, palazzo 'e case, etc. tutte però  necessarie a quel tipico barocchismo dell'eloquio partenopeo.La locuzione si usa per riferire di essersi trovati in situazioni di vita di relazione o di salute cosí gravi e/o pericolose  da vedere la morte in viso e di esserne fortunatamente venuti fuori tanto da raccontarne.

14 -VEDÉ COMME SE METTONO 'E CCOSE

Ad litteram: vedere come evolvono le cose; id est: mettersi in prudente attesa, vagliare e soppesare le situazioni  e decidersi all'azione solo quando ci si sia resi ben conto di quali pieghe posson prendere o stanno prendendo  le faccende che ci occupano

15 -VEDERSENE BBENE

Locuzione, impossibile da tradurre alla lettera, dalla doppia valenza: in primis: profittare  di ciò che ci venga messo a nostra disposizione, godendone ampiamente, senza remore o misura; con altra valenza la locuzione è usata per indicare il franco, disinibito comportamento di chi  apertamente affronti qualcuno  e gli dica a muso duro tutto il fatto suo, senza scrupoli e/o timori reverenziali.

16 -VEDERSE PIGLIATO DÊ TURCHE

Ad litteram: vedersi preso dai Turchi  Id est: Essere  assalito da grande timore e disperazione , trovandosi in situazioni pericolose o cosí ingarbugliate e contorte da non poterne venire fuori, come temporibus illis dovevano trovarsi i rivieraschi assaliti continuamente da quei pirati saraceni, tutti ritenuti e detti  Turchi  adusi alle piú efferate violenze.

17 -VENÍ FRISCO FRISCO

Ad litteram: giungere  fresco fresco; detto di chi con tranquilla faccia tosta si presenti ed entri nel merito di un accadimento già da gran tempo avviato ed in corso  e  senza dimostrare di essersi impegnato per parteciparvi o di avere conclamate capacità organizzative  o risolutive,   voglia imporre il proprio punto di vista  a dispetto di quanti  stiano da gran tempo e con grande impegno lavorando al progetto de quo.

18 -VENÍ FRISCO E DDÂ GROTTA.

Ad litteram: giunger fresco e dalla grotta; locuzione simile alla precedente con l'aggravante  qui che il soggetto cui si riferisce avrebbe dovuto concorrere all'accadimento in questione ed invece  se ne è a lungo disinteressato, per presentarsi  a reclamare il proprio utile a giuochi fatti, quando le asperità sono state affrontate e livellate da altri.

L'immagine della locuzione  ripete quella del cocomero che  arriva in tavola solo a fine pasto dopo essere stato tenuto al fresco artificiale del ghiaccio o a quello naturale d'una cantina.

19 -VENCERE 'O PUNTO

Ad litteram: vincere il punto; id est: riuscire, in un contrasto, a far prevalere il proprio punto di vista, affermandolo e mantenendolo  quasi che esso fosse un premio da conseguire.

20 -VENÍ O SCENNERE DÂ MUNTAGNA

Ad litteram: venire o scendere dalla montagna; Detto di chi sia ritenuto sciocco, stupido e credulone, nella erronea convinzione che coloro che vivono in luoghi impervii ed appartati siano, nel confronto con i cittadini cosí corrivi, sempliciotti e creduloni da poterli facilmente circuire ed imbrogliare.Per converso, ma con medesimo intento di dileggio,   sulla bocca dei montanari si posson  cogliere le espressioni vení dô mare oppure vení dâ riviera.

21 – FORA MARIA DÊ CRESTIANE!

Ad litteram:  Fuori Maria dai cristiani! ; id est:la vergine  Maria venga estromessa dal culto dei cristiani! Espressione usata quando si voglia imporre a chicchessia di tenersi fuori da ogni coinvolgimento in quale che sia azione o situazione (atteso che non si à fiducia nelle sue capacità operative o nella sua intelligenza.) La Maria coinvolta nell’espressione è proprio la Vergine Maria, madre del Cristo; l’espressione antichissima risale al tardo settecento quando i protestanti, che notoriamente negano la dulia mariana, vennero in contatto con i partenopei e fecero qualche proselito. A proposito dell’avverbio fora= fuori rammento  come sia interessante e meritevole di sottolineatura  la differenza di evoluzione della voce napoletana fora (fuori)derivato dal lat.  fŏras diversa della evoluzione della voce italiana  fuori derivato dal lat.  fŏris.

Nel caso di fŏri(s)→fuori  in sillaba libera la

vocale tonica “ŏ” subí la normale dittongazione “uó”; nel caso invece di fora  che derivò dal collaterale “fŏra(s)”, data la vocale terminale “-a”, non si incorse nel fenomeno della dittongazione dovuta alla metafonia dialettale, onde la forma definitiva di “fora”, con  conservazione della tonica e con la solita vocale finale atona di tipo evanescente.

     Raffaele Bracale Brak

 

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