NASCITA DELL’IDIOMA NAPOLETANO – 4
Diamo, qui giunti, una risposta alla domanda che c’eravamo
posti: come definire il napoletano?
Non lo si può definire lingua perché pur essendo stato, per lunga pezza , un sistema di suoni
articolati distintivi e significanti (fonemi), di elementi lessicali, cioè
parole e locuzioni (lessemi e sintagmi), e di forme grammaticali (morfemi),
accettato e usato da una comunità etnica, politica o culturale come mezzo di
comunicazione per l’espressione e lo scambio di pensieri e sentimenti, con
caratteri tali da costituire un organismo storicamente determinato, con proprie
leggi fonetiche, morfologiche e sintattiche (al pari della lingua italiana,
francese, inglese, tedesca, araba, turca, cinese, ecc.) all’attualià, pur
essendo mezzo di comunicazione scritta ed orale di molti individui non è parlata da tutta una nazione e resta
nell’àmbito della varietà dei dialetti e
delle parlate regionali; non la si può definire lingua, mancandogliene la
dignità pur risultando essere mezzo
espressivo di moltissimi letterati, poeti, commediografi che servendosi del
napoletano ànno prodotto importanti opere letterarie (poesie, commedie,
narrativa), spesso anche accompagnate dalla musica (melodrammi, canzoni ecc.);
ma non lo si deve neppure definire
dialetto atteso che in genere con tale termine si intende
un volgare, riduttivo linguaggio
minore tributario della lingua ufficiale, cosa che non si attaglia per nulla al
napoletano che è invece (e mi ripeto sottolineandolo) è un degnissimo idioma, una apprezzabilissima parlata autonoma, ad ampia diffusione regionale, figlia del
tardo latino e di quello volgare e parlato, idioma ricco di storia e di testi
ed usatissimo per secoli in tutto il meridione, non diventato lingua
nazionale solo per la protervia di certi governanti e per la furbizia di taluni
mercanti, banchieri, scrittori e/o poeti
toscani! Rammento a chi mi lègge che il fiorentino, diventò lingua nazionale peraltro (se non
ricordo male,e non ricordo male!) rubando
a piene mani nei linguaggi e nelle opere di artisti meridionali; tutti son
concordi nel riconoscere che l'italiano moderno è infatti, come spesso
accade con le lingue nazionali, un dialetto che è riuscito, per motivi a volte
incomprensibili, a far carriera; ad imporsi, cioè, come lingua ufficiale di una
regione molto piú vasta di quella originaria. Alla base dell’italiano si trova infatti il fiorentino letterario
usato nel Trecento da Dante (1265 -†1321), Petrarca(1304 -†1374), e Boccaccio(1313 -†1375), ed influenzato dalla lingua siciliana
letteraria elaborata in origine dalla
Scuola siciliana di Giacomo da Lentini (1230-†1250) e dal modello latino.) italiano pervenuto poi alle nostre latitudine anche per il tramite
degli invasori lombardo- piemontesi,
soppiantando o almeno tentando di
soppiantare (senza riuscirvi) la ns. parlata autoctona costruita nobilmente, come del resto il fiorentino, e tutti gli
altri linguaggi locali dell’Italia,
verosimilmente sul latino volgare
(parlato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal
latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca). L’italiano
che non à nulla in piú del napoletano, si impose come lingua nazionale in epoca
trecentesca per l’opera interessata di
poeti e scrittori, di mercanti e di banchieri ed in età post-unitaria per la
proditoria diffusione voluta dai Savoia e dal fascismo e la vessatoria opera di
ministri, filosofi e professori che per anni imposero e continuano ad
imporre a schiere di poveri
indifesi ragazzi Divine Commedie e
Promessi Sposi, Libri Cuore etc. a
colazione, pranzo e cena, tenendo in non cale tutta la produzione secentesca ed
ottocentesca napoletana! In conclusione reputo che per evitare confusione o
fraintendimenti il napoletano non sia da definirsi nè dialetto, nè
lingua, ma idioma!
Idioma ch’io difendo a spada tratta e mi auguro che prima o
poi chi comanda i giuochi prenda una
decisione storica e si decida a fare
insegnare l’ idioma partenopeo almeno nel meridione, in tutte le scuole
d’ ogni ordine e grado affidandone l’insegnamento non a “strascinafacenne”
incolti e presuntuosi né ai soliti noti
amici degli amici, ma ad appassionati e preparati studiosi
sia pure estranei ai palazzi del potere.
Hoc est in votis! (FINE)
Raffaele Bracale
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