12 DATATE
LOCUZIONI 28.6.21
1.TENÉ 'E FRUVOLE DINT' Ô MAZZO.
Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con
la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti
titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che
con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a
muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene
riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno quieti
un momento. Letteralmente 'e fruvole (dal latino fulgor con roticizzazione e
successiva metatesi della elle, nonché alternanza metaplasmatica g→v o v→g
come in gallo→vallo, gallina→vallina,vorpa→gorpa, vulio→gulio) sono i
fulmini, le folgori.
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2. Rummané â prevetina o comme a don Paulino.
Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est:
Rimanere in condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico
don Paolino, sacerdote nolano che, non avendo di che comprare ceri per
celebrar messa, si doveva accontentare di tizzoni accesi.
Rammento
altresí che anticamente (anni 1850 e ss.) con il termine prevetina si
indicò una moneta= pari a 13 GRANI = 56,745 lire
italiane; ebbe questo nome perché con essa si pagava la celebrazione d’ una
messa piana e fu quindi moneta di pertinenza quasi esclusiva dei preti; va da
sé che potendo un prete
quotidianamente – per solito – celebrare una sola messa, non avesse da
stare allegro contando per tutte le sue esigenze giornaliere sulla
modicissima somma di una prevetina
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3.Tanto va 'a lancella abbascio ô puzzo, ca ce rummane 'a
maneca.
Letteralmente: tanto va il secchio al fondo
del pozzo che ci rimette il manico. Il proverbio con altra raffigurazione,
molto più icastica, ripete il toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia
lo zampino, e ne adombra il significato sottointendendo che il ripetersi di
talune azioni, a lungo andare, si rivelano dannose per chi le compie. La
lancella (dal t. lat. lancula diminutivo di lanx) della locuzione è propriamente
un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto di doghe
lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per
staccarsi dal secchio.
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4.Signore mio scanza a mme e a chi coglie.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e
chiunque possa venir colto. È la locuzione invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi
davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i
colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni
non supportate da perizia.
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5.'O piezzo cchiú gruosso à dda essere 'a recchia.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve
essere l'orecchio. Iperbolica minaccia che un tempo veniva rivolta
soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi cui si promettevano inenarrabili
percosse tali da ridurli in pezzi di cui il più grande avrebbe dovuto essere
l'orecchio.
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6. Essere 'na guallera cu 'e filosce.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di
frittate d'uova. Icastica iperbolica
offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle
dal carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano
attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente molli e spugnose frittatine
d'uova.
Guallera s.f. = ernia (dall’arabo wadara= ernia)
Filosce s.n. pl. di filoscio = frittatina sottile (dal fr.
filoche ←
fil= sottile)
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7. Mettere a uno 'ncopp' a 'nu puorco.
Letteralmente: mettere uno a cavallo di un
porco. Id est: sparlar di uno, spettegolarne, additarlo al ludibrio degli
altri, come avveniva anticamente quando al popolino era consentito di condurre alla gogna il condannato
trasportandolo a dorso di maiale affinché venisse notato da tutti e fatto
segno di ingiurie e contumelie. Questa abitudine era tipica della città
partenopea dove v’era abbondanza di maiali che circolavano liberamente
per strade e vicoli, allevati com’erano in libertà
assoluta per esser poi destinati oltre che all’uso personale di chi li
allevasse, anche come offerta ai monaci del TAU che conducevano nei pressi
della chiesa di S. Antonio Abate (in piazza Carlo III) uno loro piccolo
ospedale dove curavano affezioni dermatologiche usando pomate confezionate
anche con il lardo dei maiali; altrove (ad es. a Roma) ci si serviva di
asini.
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8. Oramaje à appiso 'e fierre a sant' Aloja.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a
sant'Eligio. Id est: ormai non à piú velleità sessuali,(à raggiunto l'età
della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese
Alois) al Mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad
appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di
lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli
anziani.
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9. Si me metto a ffà cappielle, nàsceno criature senza capa.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli
nascono bimbi senza testa. Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da
chi si ritenga titolare di una sfortuna macroscopica.
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10. A - Nun fa pérete a chi tène culo.
B - Nun dà ponie a chi tène mane.
I due proverbi in epigrafe, con parole diverse mirano in fondo allo stesso scopo: a consigliare cioè colui
a cui vengon rivolti di porre parecchia attenzione al proprio operato per non
incorrere - secondo un noto principio fisico - in una reazione uguale e
contraria che certamente si verificherà; nel caso sub A, infatti è facile
attendersi una salve di peti da parte di colui che, provvisto di sedere, sia
stato fatto oggetto di una medesima salve. Nel caso sub B, chi à colpito con
pugni qualcuno si attenda pure la medesima reazione se il colpito è provvisto
di mani.
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11. Chi se fa masto, cade ‘int' ô mastrillo.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce
per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri
e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e
supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma
poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro
che pretendono di ammaestrare.
masto s.vo m.le =mastro,
capoperaio,esperto d’un settore lavorativo; voce derivata dal lat. ma(gi)st(r )u(m)→masto;
mastrillo s.vo m.le = trappola
per topi; voce derivata dal tardo lat.
mustricula con cambio e maschilizzazione del
suffisso diminutivo cula→illo ed
alterazione espressiva della vocale nella sillaba d’avvio: u→a.
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12 Tutto a Giesú e niente a Maria.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a
Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú
e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano
davanti ad una iniqua distribuzione di beni, distribuzione di cui ci si dolga, nella speranza che chi
di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle
volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente e
resta solo l’amara espressione dell’epigrafe che riproduce quella pronunciata
da un anziano curato di una piccola chiesa popolare nei confronti del suo
sacrestano che, delegato ad addobbare i due altari presenti nella chiesuola,
aveva riservato gli addobi all’altare del Salvatore tenendo sguarnito quello
dedicato alla Vergine.
Brak
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