52 ESPRESSIONI 20.6.21
1. FÀ A UNO ‘NZOGNA E PPUMMAROLA.
Ad litteram: fare (cucinare) uno (con) sugna e pomodoro Icastica espressione usata per indicare che si intende maltrattare qualcuno, violentemente percuoterlo, ridurlo a cattivo stato fino ad iperbolicamente cucinarlo in forno dopo averlo schiacciato a dovere come si farebbe con una pizza condita, a maggior disdoro, non con il tenue olio d’oliva, ma con la greve sugna e la classica salsa di pomodoro.
La pizza ‘nzogna e ppummarola fu anticamente uno dei piú classici modi di approntare la pizza che veniva appunto condita con sugna, pomidoro ed abbondante pecorino prima d’esser cotta in forno; successivamente il condimento per questa pizza napoletana mutò e venne usato olio d’oliva, pomidoro aglio ed origano e la pizza cosí condita non ebbe piú il nome di napoletana, ma divenne â marenara. E tutto ciò con buona pace di un tal Luciano Galassi che in un suo volumetto, pur citando questa mia esposizione, me ne contesta la morfologia asserendo che nel caso l’espressione derivasse veramente dal modo di condire e cucinare una pizza la locuzione avrebbe dovuto essere: “Fà a uno cu ‘nzogna e ppummarola” laddove basta semplicemente entrare in una autentica pizzeria napoletana ed ordinare una pizza ‘nzogna e ppummarole per rendersi conto che il cu è o sarebbe pleonastico ed irrilevante; il pizzaiuolo capirebbe che tipo di pizza gli si stesse ordinando con e senza il “cu”!
2. FÀ ‘O MANTESENIELLO
Letteralmente: fare il grembiulino. Id est: comportarsi come chi indossi il grembiulino; locuzione usata a dileggio di certi uomini che, dimenticando la loro (supposta) mascolinità, si comportino da donnetta mostrandosi pettegoli e linguacciuti, ciarlieri al punto di propalare notizie apprese: fatto di per sé disdicevole, ma che lo è ancora di piú quando le notizie, che ci si diverte a portare in giro, sono state apprese in “camera caritatis” per le pubbliche funzioni che svolge il manteseniello della locuzione.
manteseniello= grembiulino s.vo m.le diminutivo (cfr. il suff. iello) di mantesino= grembiule, zinale; la voce mantesino è dal tardo lat. mantu(m)+ ante+ sinu(m)→mantesinu(m).
3. FÀ ‘O MASTO ‘E FESTA.
Ad litteram: fare il maestro della festa Locuzione da intendersi sia in senso strettamente letterale che in senso figurato; intesa in senso letterale si fa riferimento a chi, sia pure dispoticamente, si impegna ad organizzare feste pubbliche o private conferendo spesso il proprio danaro oltre che il proprio tempo ed impegno;in senso traslato la locuzione si usa con dispetto nei confronti di chi, senza esserne né invitato, né delegato a farlo pretende di organizzare l’altrui esistenza; costui con incredibile faccia tosta si presenta non richiesto in casa altrui e disponendosi ad agire tamquam un fac-totum dispensa sgraditi consigli sul modo migliore di comportarsi ed agisce quasi alla medesima stregua del tipo detto spallettone o mastrisso(cfr. ultra).
4. FÀ ‘O GALLO ‘NCOPP’Â MMUNNEZZA
Ad litteram: fare il gallo sull’immondizia Id est: assumere gratuitamente arie di superiorità, montare saccentemente in cattedra cercando di imporsi su tutti gli altri che però a ragion veduta non sono altro che un cumulo di rifiuti di talché, solamente messo al loro confronto, il gallo può primeggiare; altrove non conterebbe nulla, potendosi quasi definirlo: monoculo in terra coecorum.
5. FÀ ‘O NNACCHENNELLO
Ad litteram: fare il cicisbeo
Il vocabolo in epigrafe è oggi fra i napoletani piú giovani quasi sconosciuto, mentre persiste nella memoria e nell’uso di quelli piú avanti negli anni. Con tale vocabolo si indica il lezioso, lo svenevole, lo eccessivamente complimentoso, il vagheggino, il manierato cicisbeo; è chiaro che in un’epoca come la nostra che à statuito la parità dei sessi sarebbe impensabile un uomo che si comportasse verso il gentil sesso in maniera tale da esser paragonato a quei settecenteschi cavalier serventi che solevano portare lunghe capigliature spartite sulle fronte e portate sul volto a coprire un occhio, mentre con l’altro, attraverso un occhialetto,spesso colorato, sogguardavano le dame ; tale postura faceva pensare che i suddetti cavalieri non avessero che un occhio;in francese la cosa suonava: il n’à q’un oeil che letto rapidamente diveniva il n’à che n’el da cui i napoletani trassero nnacchennello.
6. FÀ ‘O PRUTUSENIELLO
Ad litteram: fare il prezzemolino; id est: fare il ficcanaso, voler partecipare ad ogni conversazione esprimendo la propria opinione, specialmente se non sollecitata o richiesta; comportarsi cioè come fa il prezzemolo erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; è chiaro che la locuzione in epigrafe si riferisce agli uomini ed è usata a mo’ di dileggio, ritenendosi che normalmente un uomo non debba tenere simili comportamenti, piú consoni alle donne.
Prutuseniello = prezzemolino s.vo neutro diminutivo (cfr. il suff. iello) di prutusino s.vo neutro = prezzemolo, come détto famosissima erba aromatica largamente presente nelle minestre della cucina partenopea; la voce prutusino è una lettura metatetica del tardo lat *petrosinu(m) che è dal gr. petrosélinon, comp. di pétra 'roccia, pietra' e sélinon 'sedano'; propr. 'sedano che cresce fra le pietre'.
7. FÀ ‘O PORTAPULLASTE.
Ad litteram: fare il porta pollastri Id est: agire da mezzano, da ruffiano che rechi messaggi alternativamente all’ amoroso o all’amorosa; per traslato fare il propalatore di notizie, per il solo gusto di portarle in giro senza neppure riceverne alcun sia pure piccolo vantaggio quale ad es. una mancia che si è soliti dare ad un garzone di macellaio che rechi effettivamente dei polli acquistati e non bigliettini amorosi. Interessantissima l’etimologia del sostantivo ricavato con traduzione pedissequa dell’espressione francese porte-poulet (portapolletto) ma che in realtà non si riferiva a qualcuno che realmente portasse dei polli, bensí a chi favorisse,recandoli, lo scambio di bigliettini amorosi tra gli innamorati; la particolare piegatura dei foglietti li faceva assomigliare a dei piccoli polli con le alucce donde il nome di poulet (polletto) ed ovviamente chi recava quei bigliettini fu détto porte-poulet (portapolletto); originariamente, tale scambio di bigliettini amorosi avveniva tra innamorati della medio-alta borghesia partenopea, adusa alla lingua francese, usata anche nella corte, per cui il mediatore fra innamorati, piú che esser détto semplicemente portabigliettini, fu détto alla francese porte-poulet; quando poi la medesima abitudine passò tra gli innamorati del popolo che non avevano dimestichezza con la lingua d’oltralpe, ma solo con l’idioma partenopeo ecco che porte-poulet (portapolletto)diventò portapullaste restando acquisito come sostantivo per indicare il mezzano, il ruffiano etc.
8. FÀ ‘O PÍRETO CCHIÚ GGRUOSSO D’’O CULO.
Ad litteram: fare il peto piú grande del culo. Versione piú prosaica, ma quanto piú icasticamente viva dell’algido italiano: fare il passo piú lungo della gamba; in effetti il massimo danno che potrebbe derivare dall’operare secondo la locuzione italiana sarebbe quello di dover sopportare il dolore di uno strappo muscolare; nel caso della locuzione napoletana i danni sarebbero ben piú gravi ed ignominosi.
9. FÀ ‘O VIAGGIO D’’O MISCHINO
Ad litteram: fare il viaggio del Meschino Id est: impegnarsi in una faticosissima attività, un’improba impresa, ma totalmente inutile vuoi per le ragioni che la promuovono, vuoi per i risibili risultati che si raggiungono; la locuzione in epigrafe richiama le avventure di uno degli eroi del ciclo carolingio : Guerino detto il Meschino protagonista di numerose dure ma inutili avventure narrate dallo scrittore italiano Andrea da Barberino e riprese oltr’ alpi da narratori francesi.
10. FARNE CCHIÚ ‘E CATUCCIO.
Ad litteram: farne piú di Catuccio Id est: comportarsi, per iperbole, in maniera piú truffaldina e delittuosa di quel tal Luigi Filippo Bourguignon celebre bandito parigino (La Courtille, Belleville, 1693 -† Parigi 1721); tale noto masnadiero francese fu soprannominato Cartouche corrotto nel napoletano Catuccio, e sin da giovanissimo operò in Francia e prima di finire i suoi giorni sulla forca ne combinò di tutti i colori, compiendo scelleratezze e nefandezze efferate.
11. FÀ PALLA CORTA
Ad litteram: fare la palla corta Id est: mancare il fine prefissato, non giungere al risultato per avere errato nel conferire la forza necessaria affinché si potesse raggiungere lo scopo; locuzione mutuata dal giuoco delle bocce o del bigliardo nel quale la biglia (palla) messa in giuoco può mancare di raggiungere il punto voluto e risultare corta se nel lanciarla il giocatore non vi à impresso la necessaria e giusta spinta.
12. FÀ ZITE E MURTICIELLE E BATTESIME BUNARIELLE.
Letteralmente: fare (partecipare a) matrimoni e funerali e battesimi abbastanza buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose portate di pesce fresco. dette cuònsolo (consolazione).
13. FÀ SCENNERE 'NA COSA DÊ CCOGLIE 'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa
dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a
sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di
concedere al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere
che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stantene la augusta (ma in
realtà falsa) provenienza.
coglie s.vo f.le pl. di coglia= testicolo ( voce dal lat. coleu(m).
14. FÀ TRE FICHE NOVE ROTELE
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli.
Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera e si ammanti di meriti che non possiede, né può possedere.
Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie corrispondente in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario, ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta, che prima di divenire colonia inglese apparteneva al Reame delle Due Sicilie.
Ricordo altresí che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano.
15. FÀ FETECCHIA.
Ad litteram: emettere una vescia, ma per traslato mancare completamente il risultato di un’azione.
I l termine in epigrafe à un variegato ventaglio di significati nella parlata napoletana, ma tutti riconducibili al primario significato di vescia, scorreggia non rumorosa, scoppio silenzioso simile a quello del fungo che giunto a maturazione esplode silenziosamente emettendo le spore; col termine fetecchia , restando nell’ambito della silenziosità,viene indicato altresí lo scppio non riuscito di un fuoco d’artificio, e piú in generale un qualsiasi fallimento o fiasco di un’operazione non giunta a buon fine
Per ciò che attiene l’etimologia, tutti concordemente la fanno risalire al latino foetere nel suo significato di puzzare - tenendo presente il primario significato di fetecchia, ma anche negli altri significati c’è una sorta di non olezzo che pervade la parola.e la riconduce al foetere latino.
16. FÀ ‘O RRE CUMMANNASCOPPOLa
Locuzione intraducibile ad litteram con la quale si suole a Napoli porre alla berlina l’atteggiamento supponente di chi non avendo né il carisma, nè l’autorità fisica e/o morale pretende di impancarsi a re e duce delle umane vicende, ma è destinato miseramente a fallire atteso che le sue qualità al massimo lo potrebbero far considerare un re dei bambini ai quali però, per farsi ubbidire dovrebbe assestare qualche scappellotto; atteggiamento tipico tenuto da uomini affetti da complessi d'inferiorità, o - peggio ancora - grandemente frustrati che non valendo una cicca e non essendo, nell'ambito della loro famiglia, tenuti in alcun conto, sfogano la loro repressione e frustrazione vessando in qualche modo, o tentando di vessare le persone con le quali, per il loro ufficio vengono a contatto, ben sapendo però che non riusciranno nè a farsi ubbidire, nè addirittura ad esser presi in considerazione e saranno reputati alla stregua del re riportato in epigrafe.
17. FÀ ‘O SPALLETTONE oppure al femminile FÀ ‘A CCIACCESSA
Espressioni intraducibili ad litteram in quanto in italiano manca un vocabolo unico che possa tradurle, per cui bisogna dilungarsi nella spiegazione per poter venire a capo delle espressioni in esame.
Ciò premesso, dirò che esiste, o meglio, esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune, conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. E’ il vocabolo in epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis dirò che con esso vocabolo si indica il saccente, il supponente, il sopracciò, il millantatore, colui che anticamente era definito mastrisso ovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non aveva né la cultura, nè il carisma necessarii per essere preso in seria considerazione.
Piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specie di quelli altrui , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per risolvere, naturalmente senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son frutto della propria saccenteria in virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui, mai dei propri !? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli; e cosí via non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che, specie quando non sia interpellato, si offre e tenta di imporre la propria presenza dispensando ad iosa consigli non richiesti che - il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno, aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di dizionarii della lingua napoletana, anche i piú moderni, con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco e del suo Alfabeto napoletano, non fanno riferimento alla lingua parlata, ma esclusivamente a quella scritta nei classici partenopei, va da sè che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei classici.
Orbene reputo che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di trovare l’etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S non eufonica, ma intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone:ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il pettegolo che è altra cosa e che in napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però un corrispondente termine femminile con i medesimi significati del maschile ed è come riportato nella variante in epigrafe: cciaccessa correttamente scritto con la geminazione iniziale della C: cciaccessa; l’etimo mi è sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare che possa essere un deverbale formatosi su di un iniziale ciarlare.
18. Hê TRUVATO ‘A FORMA D’’A SCARPA TOJA
Ad litteram: ài trovato la forma (su cui è stata modellata la tua scarpa) Id est: Ti conosco benissimo, sei stato addirittura modellato su di me e pertanto ti sei imbattuto in una persona cosí tanto simile a te (da poterti contrastare efficacemente in ogni circostanza giacché ti conosce bene ed a fondo e sa di te pregi e difetti). Espressione usata per mettere sull’avviso gradassi o prepotenti che erroneamente pensassero di poter sorprendere il contendente senza rendersi conto della vanità del loro comportamento che non rappresenta una sorpresa e/o un pericolo.
19. - QUANNO ‘A GATTA NUN CE STA ‘E SURECE ABBALLANO
Quando il gatto non c’è i sorci ballano
Id est:quando è assente il capo o il superiore tutti i sottoposti, siano figli o studenti o impiegati o operai ne profittano, facendo il proprio comodo e contravvenendo alle previste regole comportamentali.
20. QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CCHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE
Quando una moglie è procace e piacente ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corne
Id est:la moglie procace e sfrontata d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà.
chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;
21. - QUANNO ‘A PALLA FA TTA-TTÀ, O SÎ STRUNZO O NUN SAJE JUCÀ
Quando la palla rimpalla (fa tta-ttà) o sei uno sciocco o non sai giocare.
Locuzione proverbiale in uso tra i giocatori di biliardo con la quale si assicura che il giocatore che con il suo colpo induca la propria palla a rimpallare ripetutamente con un’ altra o è uno stupido o – piú probabilmente – è incapace di giocare; per estensione la locuzione è usata tutte le volte che si voglia accusare di inettitudine chi non riesce a portare a buon fine un’operazione, confondendosi anche in mancanza di conclamati intralci.
strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco';
22.'A
CARNE SE JETTA I 'E CANE S'ARRAGGIANO. |
23.'A
VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO. Trapanaturo s.m. = aspo, strumento girevole che serve per avvolgere in matassa un filato; la voce napoletana trapanaturo deriva dal gr. trypanon, deriv. di trypân 'forare/girare', mentre la voce italiana aspo deriva dal gotico *àspa.
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24. JÍ
ZUMPANNO ASTECHE E LLAVATORE. |
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25. 'O
CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È
MMUORTO. |
26. JÍ
CASCIA E TURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ. |
27. TU
MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO! |
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28.HÊ 'A
MURÍ RUSECATO DA 'E ZZOCCOLE E 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MAMMÈTA |
29.MA TE
FOSSE JIUTO 'O LLICCESE 'NCAPO? |
30. 'A
FATICA D''E FRACETE SE VENNE A CARO PREZZO. |
31.DALLE
E DDALLE 'O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO. |
32.
QUANN'È PE VIZZIO, NUN È PECCATO! |
33.
PASSASSE LL'NGELO E DICESSE: AMMENNE! |
34. VA
TRUVANNO: 'MBRUOGLIO, AIUTAME. |
35. PARE
PASCALE PASSAGUAJE. |
36. PARÉ
'O PASTORE D''A MERAVIGLIA. |
37.MEGLIO
A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP' Ô MUOLO. |
|
38. FÀ
‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA. |
39. FÀ
TRENTA E UNA TRENTUNO. |
40.ESSERE
CARTA CANUSCIUTA. |
41.
ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE. |
42. 'O
RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE. |
43. 'E
PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO. |
44.
AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA. |
45. TANNO
SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA. |
46.TRE
CCALLE E MMESCAMMÉCE. |
47. CHI
SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO. masto = maestro, mastro (dal lat. magistru(m)→ma(gi)st(r)u(m)→masto, deriv. di magis 'di piú, molto' mastrillo = trappola per topi ( dal lat. mustriculu(m). |
48. TUTTO
A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA. |
49. CHI
GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O MMAGNATO. |
50. PARÉ
LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA |
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51.
MENARSE DINT' Ê VRACHE... |
52. CHI
POCO TÈNE, CARO TÈNE. Brak |
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