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ESPRESSIONI NAPOLETANE 16.6.21
1 -Canta
ca te faje canonico!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai
ragione Il proverbio intende sarcasticamente sottolineare l'abitudine di
tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare
alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o
convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta l’abitudine dei canonici della
Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso
elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
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2 -Armammoce
e gghiate.
Letteralmente: armiamoci ed... andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al
pericolo; come son soliti fare troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma
mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva
comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat
in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a
bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati.
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3 - A -
Cane e ccane nun se mozzecano B- Cuóvere e cuóvere nun se cecano ll'uocchie.
Letteralmente:
A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO
B- CORVI
E CORVI NON SI ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo
che esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche
agli uomini, ma intendo sottolineare che persone di cattivo stampo non son
solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei
terzi.
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4 -Cca
'e ppezze e cca 'o sapone.
Letteralmente: Qui gli stracci e qui il sapone. Espressione che compendia
l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue
immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai
rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, del
sapone per bucato e che perciò erano detti sapunare.
Il sapone
da bucato offerto da quei rigattieri era un sapone molto morbido, di colore
ambra ed era un sapone di produzione artigianale che non si trovava in
vendita nelle botteghe, ma era reperibile quasi esclusivamente presso quei
rigattieri girovaghi che svolgevano all’aperto (in piazza) la loro opera e
perciò fu detto sapone ‘e piazza ,
ma come tutti i manufatti artigianali d’antan era un ottimo prodotto che
serviva egregiamente allo scopo.
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5 - Tené
'a sàraca dint' â sacca
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e
frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca
(aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della
scomoda compagna.
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6 -T'aggi''a
fà n'asteco areto a 'e rine...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti
violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa
grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per
asteco (dal greco óstrakon= coccio)
a Napoli si intende il solaio di copertura delle case, solaio la cui
copertura anticamente era formata con
coccio residuo della lavorazione delle anfore
e con abbondante lapillo vulcanico ammassato all'uopo e poi
violentemente percosso con appositi martelli al fine di grandemente
compattarlo e renderlo impermeabile alle infiltrazioni di acqua piovana.
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7 -Ogne
anno Ddio 'o ccumanna
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea
traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i
napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto
corresponsabile delle pazzie umane quale ordinante delle medesime.
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8 - Pe
gulío 'e lardo, mettere 'e ddete 'nculo ô puorco.
Letteralmente: per desiderio di lardo, infilare le dita nell'ano del porco. Id est: per appagare un
desiderio esser pronto a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e che
comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío=
voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío
non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la
parola gulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con
consueta trasformazione della B greca nella napoletana G come avviene per es.
anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies
divenuta raggia.
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9 -Sciorta
e mole spontano 'na vota sola.
Letteralmente:la fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est:
bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione
propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone
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10 -Ll'arte
'e tata è mmeza 'mparata.
Letteralmente: l'arte del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a
Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano il mestiere del
genitore son favoriti rispetto a coloro che dovessero apprenderlo ex novo.
Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però càpita che taluni inetti
ed incapaci si vedano immeritatamente spianata la strada ed invece al redde
rationem mostrano di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore e
finisce che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere
intesa in senso ironico ed antifrastico.
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11 -
Attaccarse ê felínie.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli
per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi
argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie
pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non
inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
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12 - Jí
facenno 'o Ggiorgio Cutugno.
Letteralmente: andar facendo il Giorgio Cotugno. Id est: andare in giro
bighellonando, facendo il bellimbusto, assumendo un'aria tracotante e
guappesca alla stessa stregua di tal mitico Cotugno scolpito in tali
atteggiamenti su di una tomba della chiesa di san Giorgio maggiore a Napoli.
Con la locuzione in epigrafe il re Ferdinando II Borbone Napoli soleva
apostrofare il duca Giovanni Del Balzo che era solito incedere con aria
tracotante anche davanti al proprio re.
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13 -
'Ncasà 'o cappiello dint' ê rrecchie.
Letteralmente: calcare il cappello fin dentro alle orecchie, ossia calcarlo in testa con tanta forza che
il cappello con la sua tesa faccia quasi accartocciare i padiglioni
auricolari. A Napoli, l'icastica espressione fotografa una situazione nella
quale ci sia qualcuno che vessatoriamente, approfittando della ingenuità e
disponibilità di un altro richieda a costui e talvolta ottenga prestazioni o
pagamenti superiori al dovuto, costringendo - sia pure metaforicamente - il
soccombente a portare un supposto cappello calcato in testa fin sulle
orecchie.
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14 -Rompere
'o nciarmo.
Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a
situazioni che per potersi mutare ànno bisogno di decisione e pronta azione
in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i
normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu
per venire a capo della faccenda.
La parola
nciarmo= magia, fascino, incantesimo non deriva
dal lat. in+ carmen ma da un francese n + charme
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15 -'Ngrifarse
comme a 'nu gallerinio.
Letteralmente:arruffar le penne come un tacchino. Il tacchino o gallo d'india
(da cui gallerinio) allorché subodora un pericolo, si pone in guardia
arruffando le penne segno questo - per chi si accosti ad esso - che non lo
troverà impreparato.La locuzione è usata a mo' di dileggio nei confronti di
chi si mostri spettinato, quasi con i capelli ritti in testa; di costui si
dice che sta 'ngrifato comme a 'nu gallerinio, anche se il soggetto 'ngrifato
non sia arrabbiato o leso, ma solamente spettinato.
‘ngrifato=rizzato, irsuto etc. è il
part. pass. dell’infinito ‘ngrifà/arse=rizzare/adirarsi
etc. dallo spagnolo engrifar
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16 -Fà
zite e murticielle e battesime bunarielle.
Letteralmente: fare(partecipare a)matrimoni e funerali e battesimi abbastanza
buoni.Id est: non mancare mai, anche se non espressamente invitati, a
celebrazioni che comportino elargizioni di cibarie e libagioni, come accadeva
temporibus illis quando la maggior parte delle cerimonie si svolgevano in
casa, allorchè il parroco o prete del rione non mancava mai di rendersi
presente a battesimi o matrimoni, per presenziare alla tavolata che ne
seguiva. La cosa valeva anche per i funerali (murticielle) giacché, dopo la
sepoltura del morto, i vicini erano soliti offrire ai parenti del defunto un
pantagruelico pasto consolatorio spesso comportante gustose portate di pesce
fresco.
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17 - Vieste
Ciccone, ca pare barone.
Letteralmente:vesti Ceccone e sembrerà un barone. La locuzione napoletana
stravolge completamente quella toscana che afferma: l'abito non fa il monaco.
Il detto partenopeo, al contrario, afferma che basta vestire accuratamente un
qualsiasi Ceccone (villano) per farlo apparire un barone...
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18 -Pigliarse
'e penziere d''o Russo.
Letteralmente: Prendersi i pensieri del Rosso. Id est: preoccuparsi di
faccende senza importanza, trascurandone altre ben piú importanti.Il Rosso
della locuzione fu un famoso ladro, che condannato al capestro, invece di
preoccuparsi della propria sorte, si chiedeva chi sarebbe stato incaricato di
portare la scala necessaria all'esecuzione.
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19 - Vestirse
'a fesso.
Letteralmente: indossare l'abito dello stupido. Id est: comportarsi in
maniera volutamente sciocca, fare lo gnorri, tenere un comportamento da
stupido nella speranza che cosí facendo si possa indurre una ipotetica
controparte a non calcar la mano con pretese e richieste e raggiungere cosí
il fine sperato con poca fatica e minimo impegno.E' l'atteggiamento che
temporibus illis tenevano taluni chiamati alle armi per evitare la partenza
per il fronte.Il fatto era compendiato nella frase: fà 'o fesso pe nun gghí â
guerra(fare lo sciocco per non andare in battaglia; spesso si raggiungeva lo
scopo, giacché non erano graditi soldati stupidi.
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20 - Fà 'nu sizia-sizia.
Letteralmente: fare un sitio- sitio Id est: richiedere ripetutamente e
lamentosamente qualcosa con ossessiva petulanza. La locuzione nasce prendendo
spunto dal Sitio! pronunciato da Cristo sulla croce. Alla richiesta del
Signore i soldati risposero offrendogli dell'aceto che misto ad acqua è la
bevanda piú adatta a spegnere l'arsura.
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21 - Essere
'na pimmice 'e canapé.
Letteralmente: essere una cimice annidata in un divano. Id est: essere
inaffidabile, subdolo e perfido come una cimice che - secondo la credenza
popolare - è pronta a tradire il proprio simile o colui che abbia la sventura
di tenerla nascosta nel proprio divano; il primo ad essere morsicato sarà
proprio il padrone del divano.
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22 -Ma tenisse 'e gghiorde?
Letteralmente: fossi affetto da giarda? Domanda retorica che con aria
insolente, viene rivolta a Napoli, a qualcuno che appaia pigro, indolente,
scansafatiche, che non si muove, nè fa alcunché, quasi fosse affetto da
giarda la malattia che colpisce le giunture ed in ispecie il collo del piede
dei cavalli producendo eccessiva enfiagione delle zampe delle bestie,
impossibilitate, per ciò a procedere speditamente.
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23 -Jí
cercanno 'mbruoglio, aiutame!
Letteralmente: andare alla ricerca di un imbroglio che possa aiutare. Id est:
quando ci si trovi in situazioni o circostanze tali che non lascino
intravedere vie d’uscita, l’unico mezzo di trarsi d’impaccio è quello di
rifugiarsi in un non meglio identificato ‘mbroglio (imbroglio,astuzia,
inganno, moto di destrezza) che in un modo o in un altro consenta di risolver
la faccenda. La locuzione a Napoli è usata a salace commento delle azioni di
chi, per abitudine, non è avvezzo ad agire con rettitudine o chiarezza e per
habitus mentale si rifugia nell’imbroglio, pescando nel torbido.
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24 -
Appíla ca jesce feccia!
Letteralmente: tura ché esce feccia. È questo
il comando imperioso dato dall'oste al garzone che stia aiutandolo a
travasare il vino affinché ponga lo stoppaccio o zipolo alla botte quando,
oramai vuotata, questa comincia a metter fuori la feccia o (in gergo) la
mamma del vino; per traslato è il caustico ed imperioso comando che a Napoli
si suole dare a chi - colloquiando - cominci a metter fuori sciocchezze o,
peggio ancora, offese gratuite.
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25 - Â
pprimma entratura, guardateve 'e ssacche!
Letteralmente: entrando per la prima volta, in qualche sito sconosciuto,
badate alle tasche; id est: state attenti alle nuove frequentazioni specie di
sconosciuti che possono derubarvi o procurare altri danni.
Brak
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