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ICASTICHE ESPRESSIONI [30.10.20]
1- TENÉ
'E FRUVOLE DINT'Ô MAZZO.
Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con
la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti
titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che
con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a
muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene
riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno
quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole sono i fulmini, le folgori dal
latino fulgor con roticizzazione e successiva metatesi della elle.
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2- RUMMANÉ Â PREVETINA O COMME A DDON PAULINO.
Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in
condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino, poverissimo
sacerdote nolano che,potendo contare per il suo sostentamento giornaliero su
di un’unica prevetina (moneta che negli anni 1850 e ss. corrispondeva ad appena 13 grani cioè a 56,745 lire italiane e che
si ebbe questo nome perché con essa si
pagava la celebrazione d’ una messa piana e fu quindi moneta di pertinenza
quasi esclusiva dei preti) potendo contare per il suo sostentamento
giornaliero su di un’unica prevetina non
ne aveva di che comprare ceri
per celebrar messa, e si doveva accontentare di tizzoni accesi.
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3- TANTO
VA 'A LANCELLA ABBASCIO Ô PUZZO, CA CE RUMMANE 'A MANECA.
Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il manico.
Il proverbio con altra raffigurazione, molto più icastica, ripete il toscano:
tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il
significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo
andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella della locuzione è
propriamente un secchio atto ad attingere acqua dal pozzo, secchio provvisto
di doghe lignee e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente,
finisce per staccarsi dal secchio.
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4- SIGNORE
MIO SCANZA A MME E A CCHI CÒGLIE.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir còlpito. È la
locuzione - invocazione rivolta a Dio
quando ci si trovi davanti ad una situazione nella quale si corra il pericolo
di finire sotto i colpi imprecisi e maldestri di qualcuno che si stia
cimentando in operazioni non supportate da capacità o perizia.
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5-'O
PIEZZO CCHIÚ GRUOSSO À DDA ESSERE 'A RECCHIA.
Letteralmente: il pezzo piú grande deve essere l'orecchio. Iperbolica
minaccia che un tempo veniva rivolta soprattutto ai ragazzini chiassosi e/o facinorosi
cui si promettevano inenarrabili percosse tali da ridurli in pezzi di cui il
piú grande avrebbe dovuto essere l'orecchio.
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6- ESSERE
'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica
offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal
carattere debole o anche inadatto ad o incapace di un lavoro che faccia le
viste di svolgere, quasi si tratti di una molle pendula ernia a
cui iperbolicamente siano attaccate, per maggior disdoro delle ugualmente
molli e spugnose frittatine d'uova.
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7- METTERE
A UNO 'NCOPP' A 'NU PUORCO.
Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno,
spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente
quando al popolino era consentito condurre alla gogna il condannato
trasportandolo a dorso di maiale (altrove, Roma, a dorso d’asino) affinché
venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e contumelie.
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8- ORAMAJE
À APPISO 'E FIERRE A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú
velleità sessuali,(à raggiunto l'età
della senescenza ...)Il sant'Aloja della locuzione è sant'Eligio (in francese
Alois) al mercato, basilica napoletana dove i cocchieri di piazza andavano ad
appendere i ferri dei cavalli che, per raggiunti limiti di età, smettevano di
lavorare. Da questa consuetudine, il proverbio ammiccante nei confronti degli
anziani.
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9- SI
ME METTO A FFÀ CAPPIELLE, NÀSCENO CRIATURE SENZA CAPA.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa.
Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di
una sfortuna macroscopica.
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10- A -
NUN FÀ PÉRETE A CHI TÈNE CULO. B - NUN DÀ PONIE A CHI TÈNE MANE.
I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso
scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia
attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio
fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà;
nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salve di peti da parte di
colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima
salve. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la
medesima reazione se il colpito è provvisto di mani.
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11- CHI
SE FA MASTO, CADE ‘INT'Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato.
L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle
situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son
soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per
farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di
ammaestrare, atteso che quei tali ammaestramenti e/o consigli non son
supportati da effettiva scienza teorico-pratica, ma solo da vellitaria
sciocca albagia o prosopopea.
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12- TUTTO
A GGIESÚ E NNIENTE A MMARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a
conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è
invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua
distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si
ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però
non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
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13- CHI
GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno.
Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti
che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi
riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri!
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14- PARÉ
LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere
un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce,nano inglese, venuto a Napoli sul finire del
1860, ad esibirsi in un circo equestre,nano che essendo molto piccolo e ridicolo fu preso a modello
dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie
in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita
con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di
esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto
opposto.
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15- FÀ
COMME A SSANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si
apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi,
quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che
accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di
ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri
avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa partenopea.
Brak
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