24 LOCUZIONI [18.10.20]
-QUANNO QUACCHE AMICO TE VENE A TRUVÀ,
QUACCHE CAZZO LE VVENE A MANCÀ.
Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare, qualcosa gli manca (e
la vuole da te)Id est: non bisogna mai attendersi gesti di liberalità o
affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono - in fondo - degli
sfruttatori, che ti frequentano solo per carpirti qualcosa.
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2 - LL'UOCCHIE
SO' FFATTE PE GGUARDÀ, MA 'E MMANE PE TTUCCÀ.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani (son fatte) per
toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere (quasi a mo' di
giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o vecchi che siano
- sogliono azzardare palpeggiamenti delle rotondità femminili.
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3 - ZAPPA
'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una
donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un
bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale
è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e
sia anzi deleterio per la terra.
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4 - 'AMICE
E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono essere di antica
data.
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5 - 'A
MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E
DDENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di bovini perché
trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura delle
vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti caseari);
per traslato giocoso (ma non troppo) : la vita migliore è quella che si
trascorre tra donne e danaro.
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6 - 'O
TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ ATUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i
bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò
pericolosissimi.
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7 - 'O
PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole.
Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove
occorre.
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8 - 'O
GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantuomo che va in miseria, diventa un essere spregevole.
In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde
onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere
dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli
consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono
permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
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9 -'E
FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun
luogo (che ànno imbrattato). Il proverbio, oltre che nel suo significato
letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizi ad occuparsi
di cento faccende, ma non ne porti a compimento nessuna, lasciando ovunque le
tracce del proprio passaggio.
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10 - 'E
VRUOCCOLE SO' BBUONE DINTO Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato
del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si
intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto
da esser ricordati come "mangiafoglie",
sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie
nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare
solo i vezzi degli innamorati.
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11 - STATTE
BBUONO Ê SANTE: È ZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte ai santi!La vacca à montato il bue. Id est:
Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo
davanti a situazioni cosí tanto contrarie alla norma che è impossibile
raddrizzarle.
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12 - QUANNO
'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ‘ACITO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú
aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel
momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe cosí cattiva, dura ed
impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
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13 - 'O
DULORE È DE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TÈNE MENTE.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono
alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid
qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla
propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non
supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o
si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! -
affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
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14 - 'O
FATTO D''E QUATTE SURDE.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di
seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in
epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella
quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che
viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il
primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il
secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me
penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto
concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia,
quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
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15 - A
'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIÀVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa;
la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un
frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi
sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè
il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel
convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di
riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà
impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire sullo sfruttato e non
dargli quartiere, addirittura
ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
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16 - CHI
VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce.
Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o
pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi
risultati diversi o migliori.
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17 -AMMORE,
TOSSE E ROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre
situazioni sono cosí eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si
ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la
locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
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18 -'MPÀRATE
A PARLÀ, NO A FATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro,sarcastico, ma ammiccante proverbio napoletano dal quale
è facile comprendere la disistima tenuta dai napoletani per tutti coloro che
non si guadagnano da vivere con un serio e duro lavoro, ma fondono la propria
esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al
conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro
(FATICA). In fondo la vita è dei furbi, cioè di quelli capaci di riempirti la testa di
vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo.
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19 -CHI
TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A GATTA E SE LU MAGNA.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio-
che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a
significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che
è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o
consuma tutto il messo da parte.
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20 - 'A
SOTTO P''E CHIANCARELLE.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento
di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del
toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai
che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle
accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di
legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano,
olim, da supporto ai solai e alle
pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo
al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi erigere un
palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: “eques
Ferdinandus Sanfelicius fecit”(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un
bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello
stabile, aggiunse a lettere cubitali LEVÀTEVE 'A SOTTO! (toglietevi di sotto!
).
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21 - A
'STU NUNNO SULO 'O CÀNTARO È NICESSARIO.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il vaso di comodo. Id
est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla buona
riuascita dell'esistenza la sola cosa che conta è nutrirsi bene e digerire
meglio. In effetti con la parola càntaro - oggetto destinato ad accogliere
gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la buona salute indicata
da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la possibilità di
nutrirsi. Si tenga presente che la parola càntaro non à l'esatto corrispettivo
in italiano essendo il pitale(con la quale parola spesso è reso in italiano) destinato ad accogliere
gli esiti prettamente liquidi, mentre il càntaro era destinato ad accogliere
quelli solidi.
càntaro o càntero alto
e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva comodamente
sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero
o càntaro è dal basso latino càntharu(m)
a sua volta dal greco kàntharos;
rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce
partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr)
diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata
per indicare una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si
riferisce il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e
cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di
un’oncia nel culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…));
molti napoletani sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano
dire, erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un
pitale in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre
in relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che
con un altro peso (cantàro)!
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22 SPARTERSE
'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli si dice di chi,
esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di
per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota ,
divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
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23 ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRIBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a
Napoli si suole dire - specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti
e disposti al colloquio aperto e simpatico, mentre in casa sono musoni e
lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
24.QUANNO
‘A GALLINA CANTA, ‘A CASA SE REGNE
TUTTA QUANTA!
Ad litteram: Quando la gallina (in luogo del gallo)canta, la
casa si riempie per intero; id est: allorché la moglie prende il posto del marito,sostituendolo in quelle che sono
le sue attribuzioni è probabile che lo sposo sia morto o sia vicino a
decedere e la casa si riempie di visitatori
accorsi ad onorare il defunto.
La donna che pretenda di comandare in casa risulta pericolosa o
addirittura deleteria per l’uomo di casa.
Brak
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