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MODI DI DIRE -1 [24.10.20]
1. TENÉ 'E FRUVOLE DINT'Ô MAZZO.
Letteralmente: avere i fulmini, i razzi nel sedere. Icastica espressione con
la quale si indicano i ragazzi un po' troppo vivaci ed irrequieti ritenuti
titolari addirittura di fuochi artificiali allocati nel sedere, fuochi che
con il loro scoppiettio costringono i ragazzi a non stare fermi, anzi a
muoversi continuamente per assecondare gli scoppiettii. La locuzione viene
riferita soprattutto ai ragazzi, ma anche a tutti coloro che non stanno
quieti un momento. Letteralmente 'e fruvole ( lettura metatetica del latino fulgor con rotacizzazione della L e metaplasmo della G in V come vallina/vallo
per gallina/gallo , gulio/vulio, vappa→guappo etc.) sono i fulmini, le
folgori.
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2. RUMMANÉ Â PREVETINA O COMME A DON PAULINO.
Rimanere alla maniera dei preti o come don Paolino. Id est: Rimanere in
condizioni economiche molto precarie addirittura come un mitico don Paolino,
sacerdote nolano che,potendo contare per il suo sostentamendo ed ogni altro
bisogno d’una sola prevetina quotidiana (la prevetina era una vilissima
moneta che a far tempo dal1850 e ss.)valeva
13 grani corrispondenti a
56,745 lire italiane; s’ebbe quel nome perché con essa si pagava la
celebrazione d’ una messa piana e fu quindi moneta di pertinenza quasi
esclusiva dei preti); non avendo di
che comprare ceri per celebrar messa, si doveva accontentare di tizzoni
accesi.
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3. TANTO VA 'A LANCELLA ABBASCIO Ô PUZZO, CA CE RUMMANE 'A
MANECA.
Letteralmente: tanto va il secchio al fondo del pozzo che ci rimette il
manico. Il proverbio con altra raffigurazione, molto piú icastica, ripete il
toscano: tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino, e ne adombra il
significato sottointendendo che il ripetersi di talune azioni, a lungo
andare, si rivelano dannose per chi le compie. La lancella è una brocca o un
vaso di creta, quella della locuzione
è propriamente un secchio atto a contenere acqua o ad attingerne dal pozzo; in tal caso è un secchio in
terraglia o provvisto di doghe lignee
e di un manico in metallo che, sollecitato lungamente, finisce per staccarsi
dal secchio.la voce lancella/langella è dal lat. lanx-lancis e dai suoi diminutivi lancula e lancella
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4. SIGNORE MIO SCANZA A MME E A CCHI CÒGLIE.
Letteralmente: Signore mio fa salvo me e chiunque possa venir colto. E' la
locuzione invocazione rivolta a Dio quando ci si trovi davanti ad una
situazione nella quale si corra il pericolo di finire sotto i colpi imprecisi
e maldestri di qualcuno che si stia cimentando in operazioni non supportate
da perizia.
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5. ESSERE 'NA GUALLERA CU 'E FILOSCE.
Letteralmente: essere un'ernia corredata di frittate d'uova. Icastica
offensiva espressione con cui si denota una persona molle ed imbelle dal
carattere debole quasi si tratti di una molle pendula ernia a cui siano
attaccate, per maggior disdoro, delle ugualmente molli e spugnose frittatine
d'uova.
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6. METTERE A UNO 'NCOPP' A 'NU PUORCO.
Letteralmente: mettere uno a cavallo di un porco. Id est: sparlar di uno,
spettegolarne, additarlo al ludibrio degli altri, come avveniva anticamente
quando in Napoli al popolino era consentito condurre alla
gogna il condannato trasportandolo a dorso di maiale – animale di cui la città
di Napoli brulicava essendo détta bestia allevata da chiunque e dovunque –
affinché il condannato venisse notato da tutti e fatto segno di ingiurie e
contumelie.A Roma il condannato alla gogna vi era menato a dorso d’asino.
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7. ORAMAJE À APPISO 'E FIERRE
A SANT' ALOJA.
Letteralmente: ormai à appeso i ferri a sant'Eligio. Id est: ormai non à piú
velleità sessuali,(à raggiunto l'età della senescenza ...)Il sant'Aloja della
locuzione è sant'Eligio (in francese Alois) al mercato, basilica napoletana
dove i cocchieri di piazza andavano ad appendere i ferri dei cavalli che, per
raggiunti limiti di età, smettevano di lavorare. Da questa consuetudine,
nacque il proverbio ammiccante nei confronti degli anziani.
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8. SI ME METTO A FFÀ CAPPIELLE, NASCÉNO CRIATURE SENZA CAPA.
Letteralmente: se mi metto a confezionare cappelli nascono bimbi senza testa.
Iperbolica amara considerazione fatta a Napoli da chi si ritenga titolare di
una sfortuna macroscopica.
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9. A - NUN FÀ PÉRETE A CCHI TÈNE CULO.
B - NUN DÀ PONIE A CCHI TÈNE MANE.
I due proverbi in epigrafe, in fondo con parole diverse mirano allo stesso
scopo: a consigliare cioè colui a cui vengon rivolti di porre parecchia
attenzione al proprio operato per non incorrere - secondo un noto principio
fisico - in una reazione uguale e contraria che certamente si verificherà;
nel caso sub A, infatti è facile attendersi una salve di peti da parte di
colui che, provvisto di sedere, sia stato fatto oggetto di una medesima
salve. Nel caso sub B, chi à colpito con pugni qualcuno si attenda pure la
medesima reazione se il colpito è provvisto di mani.
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10. 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE.
Letteralmente: la cattiva fortuna di Cazzetta che si dispose a mingere e
perse per caduta l'organo deputato alla bisogna. Iperbolica locuzione costruita
dal popolo napoletano intorno ad un fantomatico Cazzetta ritenuto cosí
sfortunato da non potersi permettere le piú elementari funzioni fisiologiche
senza incorrere in danni incommensurabii. La locuzione è l'amaro commento fatto
da chi veda le proprie opere non produrre gli sperati risultati positivi, ma
al contrario negatività non prevedibili.
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11. QUANNO CHIOVONO PASSE E FICUSECCHE.
Letteralmente: quando cadono dal cielo uva passita e fichi secchi. Id est: mai. La locuzione viene usata quale
risposta dispettosa a chi chiedesse quando si potrebbe verificare un
accadimento ritenuto invece dalla maggioranza irrealizzabile.
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12. 'O CULO 'E MAL'ASSIETTO NUN TROVA MAJE ARRICIETTO.
Letteralmente: il sedere di chi siede malvolentieri non trova mai tregua. Per
solito, con la frase in epigrafe si fa riferimento al continuo dimenarsi,
anche da seduti, che fanno i ragazzi incapaci di porre un freno alla loro
voglia di muoversi. Assietto s.m. = assetto, seduta, sistemazione, modo di sedere;quanto
all’etimo è un deverbale dal lat.
volg. *asseditare, frequent. di sedíre 'star seduto'
arricietto sost.
masch. = tregua, calma, riposo ma
pure sistemazione derivato del basso lat. *ad-receptu(m)→arrecettu(m)→ arricietto.
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13. FATTE 'E CAZZE TUOJE E VIDE CHI T''E FA FÀ...
Letteramente: impicciati dei casi tuoi e procura di trovare qualcuno che ti
aiuti in tal senso.Il mondo è pieno, purtroppo di gente incapace di restare
nel proprio ambito, pieno di gente che
gode ad intromettersi negli affari altrui dispensando consigli non richiesti
che il piú delle volte procurano ulteriori affanni, invece di lenire la
situazione di coloro a cui vengon rivolti i sullodati consigli. Tanto basta a
giustificare l'invito dell'epigrafe che è perentorio e non ammette repliche.
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14. ESSERE A LL'ABBLATIVO.
Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere alla fine, alla
conclusione e, per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre
riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è
appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine.
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15. ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere
prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno
per esser scoperti. La
Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia
operante in Napoli dal 1550 ed era insediata in CastelCapuano assieme alle
carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e veniva
condannato, era subito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle
vicinissime di San Francesco.
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16. CU 'O TIEMPO E CU 'A PAGLIA...
S’AMMATURANO ‘E NESPOLE
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La
frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe
vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i
tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo
lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono
raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a
compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali
aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e
saporiti.
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17. SÎ ARRIVATO ALLA MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: Sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo
alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che
davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di
legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una
suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del
monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove
fin dal 1600 si curavano le malattie mentali.
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18. STAMMO A LL'EVERA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine,
non c'è piú niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente
detta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in
maniera piú estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il
verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei
pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde,
significava che s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far
qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo
all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi.
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19. HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Ài sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia
di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un
ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria piú cupa ed esser
costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe
è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituí la santa
Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea
raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo
infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente
di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes che la
descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel
suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce
nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli
altri cavalieri non abbastanza puri.
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20. FATTE CAPITANO E MAGNE GALLINE.
Letteralmente: diventa _(oppure fa’ le viste d’essere) capitano e mangerai
galline. Id est: la condizione socio-economica di ciascuno, determina il
conseguente tenore di vita (olim il mangiar gallina era ritenuto segno di
lusso e perciò se lo potevano permettere i facoltosi capitani non certo i
semplici, poveri soldati). La locuzione à pure un'altra valenza dove
l'imperativo fatte non corrisponde a diventa, ma a mostrati ossia: fa le
viste di essere un capitano e godine i benefici.
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21. CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MURÍ QUATRO.
Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato. Id est: è impossibile
mutare l'indole di una persona che, nata con un'inclinazione, se la porterà
dietro per tutta la vita. La locuzione, usata con rincrescimento osservando
l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere le cattive
inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio dell'impossibilità
della quadratura del cerchio.
22. A CCHI PARLA ARETO, 'O CULO LE RISPONNE.
Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponde il sedere. La locuzione
vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un individuo, cioè
gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del loro
vaniloquio una salve di peti.
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23. A CCRAJE A CCRAJE COMME Â CURNACCHIA.
Letteralmente: a crai, a crai come una cornacchia. La locuzione, che si usa
per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a
procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso
della cornacchia e la parola latina cras che in napoletano suona craje e
che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi
non à seria intenzione di lavorare .
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24. CHELLO CA NUN SE FA NUN SE SAPE.
Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La
fama diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole che le cose
proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto
prima o poi viene risaputo.
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25. 'O PESCE GRUOSSO, MAGNA Ô PICCERILLO.
Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est piú generalmente:
il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari
destinata sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro un
grande.
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26. 'O PUORCO SE 'NGRASSA PE NE FÀ SACICCE.
Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce. La locuzione
vuole amaramente significare che dalla disincantata osservazione della
realtà si deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi chiunque
fa del bene ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che gliene
deriverà, come - nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che lo
si lasci ingrassare per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui
che l'alleva è quello di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di
salsicce.
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27. JÍ METTENNO 'A FUNE 'E NOTTE.
Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si dice sarcasticamente
nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano proditoriamente i
prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti coloro che
vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei confronti di
costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei masnadieri che
nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel buio, una fune
nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando a terra
diventavano facilmente cosí oggetto di rapina da parte dei masnadieri.
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28. SE SO' RUTTE 'E TIEMPE, BAGNAJUÓ.
Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i tempi(per cui non avrai piú
clienti bagnanti e i tuoi guadagni precipiteranno di colpo). La locuzione
la si usa quando si intenda sottolineare che una situazione sta mutando in
peggio e si appropinquano relative conseguenze negative.
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29. PARLA QUANNO
PISCIA ‘A GALLINA!
Letteralmente: parla quando orina la gallina. Cosí, icasticamente ed in
maniera perentoria, si suole imporre di zittire a chi parli inopportunamente
o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini, magari gratuite
cattiverie. Si sa che la gallina espleta le sue funzioni fisiologiche, non
in maniera autonoma e separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe
quasi pensare che, non avendo un organo deputato esclusivamente alla
bisogna, la gallina non orini mai, di talché colui cui viene rivolto
l'invito in epigrafe pare che debba tacere sempre.
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30. PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA.
Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). E' come a dire: Possa tu
morire. Per la zona della Loggia di Genova, infatti, temporibus illis,
transitavano tutti i cortei diretti al Camposanto.
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31. CORE CUNTENTO Â LOGGIA.
Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Cosí il popolo suole apostrofare
ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi
ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua
perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della
Loggia di Genova che era una sorta di territorio franco concesso dalla
città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi
svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi.
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32. FARNE UNA CCHIÚ 'E CATUCCIO.
Letteralmente: compierne una piú di Catuccio. Id est: farne di tutti i colori,
compiere infamie e scelleratezze tali da sorpassare quelle compiute in
Francia dal settecentesco Louis Philippe Bourguignon (La Courtille, Belleville, 1693
-† Parigi 1721).Costui,
figlio d'un bottaio, lasciò gli studi intrapresi presso i gesuiti, per
darsi alla malavita e divenne
protagonista, durante una dozzina d'anni, di furti e avventure d'ogni
sorta, che resero la sua biografia
popolare in tutta Europa . Questo celebre brigante venne soprannominato Cartouche, nome corrotto in napoletano con il termine
Catuccio. Arrestato, fu
giustiziato nella piazza di Grève. La locuzione viene usata per
bollare il comportamento non raccomandabile di chi agisce procurando danno a
terzi, ma iperbolicamente anche per sottolineare il comportamento un po'
troppo vivace dei ragazzi.
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33. ESSERE PASSATA 'E CÓVETA O 'E CUTTURA.
Letteralmente: essere passata di raccolta cioè già sfiorita sull'albero
perché abbondandemente maturata oppure essere oramai passata di cottura cioè
molle o bruciacchiata perchè troppo
cotta. Ambedue le espressioni fanno furbescamente riferimento ad una donna
piuttosto in avanti con gli anni perciò sfiorita e non piú degna di
attenzioni galanti alla medesima stregua o di un frutto lasciato sul ramo
troppo tempo dopo la maturazione o come un cibo lasciato sul fuoco oltre il
tempo necessario, facendolo quasi bruciare o lessare eccessivamente.
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34. QUANNO 'O DIAVULO T'ACCAREZZA È SIGNO CA VÒ LL'ANEMA.
Letteralmente : quando il diavolo ti carezza, significa che vuole l'anima. Lo
si afferma a commento delle azioni degli adulatori o di coloro che godono di
cattiva fame; se uno di costoro ti blandisce, offrendoti servigi o opere
gratuite, bisogna non fidarsi, giacché nel loro operare c'è nascosta la
richiesta di qualcosa molto piú importante della prestazione offerta.
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35. È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA.
Letteralmente: È finito il cacio sotto ed i maccheroni sopra. Locuzione usata per commentare con disappunto una
situazione che non si sia evoluta secondo i principi logici, esatti e
codificati. In effetti, logica vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di
sopra un piatto di maccheroni, non che facesse loro da strame. Id est:
maledizione! Il mondo va alla rovescia!
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36. DOPPO MUORTO, BUZZARATO.
Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo aver subito la morte, sopportare
anche il vilipendio. La locuzione corrisponde, anche se in maniera un po' piú
dura al toscano: il danno e la beffa. Essa fu usata nel corposo linguaggio
partenopeo da un napoletano che assistette al consueto percuotimento del capo
del defunto papa PIO XII, con il previsto martelletto d'argento operato dal
cardinale camerlengo, per accertarsi che il pontefice non reagisse
dimostrando cosí d'essere morto.
buzzarato voce verbale part. pass. dell’infinito buzzarà =1 (ant.
, volg.) sodomizzare
2 (per estensione region. pop.come nel
caso in esame)
percuotere, vilipendere
3 (region.
pop.) imbrogliare, ingannare. etimologicamente metaplasmo dal lat. tardo Bugarus
per Bulgarus 'bulgaro'; nel medioevo, dopo che questo popolo ebbe
abbracciato l'eresia patarina, il suo nome significò anche 'eretici' e quindi
(forse per l'identità della pena) 'sodomiti.
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37. TROPPI VALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNE.
Letteralmente: troppi galli a cantare, non spunta mai il giorno. Id est:
quando ci sono troppe persone ad esprimere un'opinione, un parere, non si
arriva mai ad una conclusione; ed in effetti tenendo presente l'antico adagio
latino: tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri, sarà ben
difficile, anzi sarà impossibile trovarne di collimanti per modo che si possa
finalmente giungere ad una conclusione.
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38. NUN C'È PRERECA SENZA SANT' AUSTINO.
Letteralmente: Non v'è predica senza sant'Agostino. Come si sa,
sant'Agostino, vescovo d' Ippona, è uno dei piú famosi padri della Chiesa
cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non usi citare gli scritti
del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene usata a mo' di
risentimento da chi si senta chiamato in causa - soprattutto ingiustamente -
e fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non desiderate.
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39. 'A MALANOVA LL'ACCUMPAGNA 'O VIENTO.
Letteralmente: la cattiva notizia viaggia sulle ali del vento. Id est: le
cattive notizie ti raggiungono rapidamente, spinte come sono dal vento; per
cui il popolo è solito affermare: nessuna nuova, buona nuova, poichè sono le
cattive notizie a giungere sospinte dal vento; se non ne giungono, significa
che si tratta di buone notizie che - per solito - non viaggiano col vento.
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40. E BBRAVO Ô FESSO!
Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe la si usa sempre
quando si voglia ironicamente plaudire all'operato di chi pretende da
saccente e supponente, con la propria azione di dimostrare la propria
valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla medesima
stregua. Piú chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro di
coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se lo
sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o
ovvie ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un esempio. Poniamo vi sia
un uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà ad ascendere una scala a
pioli. Si presenta uno sciocco che, essendo pienamente integro nella sua
salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta con aria saccente:
"Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è
quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: Sei
cosí stupido da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità
fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che ài fatto tu!
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41. QUANNO 'O MELLONE JESCE RUSSO, OGNEDUNO NE VO’ 'NA FELLA.
Letteralmente: Quando il cocomero al taglio si presenta ben colorito di
rosso, ognuno ne vuole una fetta. Id est: Quando l'occasione è buona, ognuno
cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per traslato, l'espressione è usata
quando si voglia accusare il pessimo comportamento di chi è sempre pronto a
saltare sul carro del vincitore...
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42. SI 'O SIGNORE ME PRUVVEDE, M'AGGI' 'A FÀ 'NU QUACCHERO
LUONGO NFI’ Ê PIEDE.
Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza, debbo farmi un soprabito lungo
fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e aiuto dal Cielo mi voglio ricoprire
fino ai piedi per modo che non possa temere offese dall'esterno. La parola quacchero
che di per sé indica un seguace di un movimento religioso protestante
(Società degli amici) sorto in Inghilterra nel sec. XVII e diffusosi negli
Stati Uniti, qui è usato nel senso di
cappotto, rammentando i lunghi costumi indossati dai détti seguaci.
Etimologicamente è un adattamento
dall'ingl. quaker, propr. 'tremolante', deriv. di to quake
'tremare'; nome attribuito per scherno, nel 1650, ai seguaci del movimento,
perché il fondatore aveva ammonito i presenti (ad una delle prime riunioni
della setta) a tremare davanti alla parola di Dio.
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43. LL'ABBATE TACCARELLA.
Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome [che fu anche il
nome di un sapido, pettegolo personaggio d’una
commedia di F.sco Cerlone(Napoli, 1730
ca. – † Napoli,
1812
circa) librettista
e drammaturgo partenopeo, ritenuto l’emulo di Carlo Goldoni(Venezia,
25 febbraio
1707
– †Parigi,
6 febbraio
1793)]
viene bollato, a Napoli,il/la pettegolo/a,
la malalingua, chi per abitudine ami
sparlare, colui/colei che,
metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il s.vo f.le taccarella [diminutivo di tacca]
inteso poi nome proprio maschile Taccarella è chiaramente un deverbale
desunto dal verbo taccarià che quale denominale di tacca= scheggia, pezzo (dal
ted. taikka→ta(i)kka→tacca)
significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti.
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44. T' HÊ PIGLIATO 'E CCIENT' OVE.
Letteralmente: ài preso le cento uova; ài bevuto cento uova. Id est: sei
diventato pazzo. La locuzione rammenta un antichissimo metodo di cura della pazzia
in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, al tempo di un famosissimo medico dei
pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi il termine
mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico pare
inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento uova
di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la ruota di un
pozzo.
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45. FRIJENNO, MAGNANNO.
Letteralmente: friggendo e mangiando. L'uso, tutto napoletano, di mettere in
fila due gerundi, senza un apparente modo finito reggente, sta ad indicare
che le due azioni debbono essere eseguite quasi contemporaneamente, senza
soluzione di continuità, e - nella fattispecie - il cibo una volta fritto
deve essere subito consumato, senza indugio, con immediatezza e rapidità. Il
cibo, sottinteso nella locuzione, è rappresentato dalle famosissime paste
cresciute, dai tittoli, dai fiori di zucca in pastella e da tutte quelle
numerose verdure, fette di ricotta, uova sode, animelle etc. che concorrono a
formare quello che erroneamente si dice fritto all'italiana e che sarebbe piú
consono dire fritto alla napoletana, giacchè in Napoli fu ideato questo tipo
di preparazione culinaria da consumarsi velocemente all'impiedi davanti ai
banchi delle friggitorie (antenate delle moderne pizzerie) esercizi dove
detto fritto veniva preparato ed offerto seduta stante all'avventore anche
frettoloso.
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46. FATTE 'NA BBONA ANNUMMENATA E VA'SCASSANNO CHIESIE.
Letteralmente: procura di farti una buona nomea e poi saccheggia pure le
chiese. Id est: ciò che conta nella vita è di godere di una buona opinione
presso i terzi, poi si possono operare i peggiori misfatti, addirittura furti
sacrileghi, nessuno mai sospetterà di uno che gode di buona nomea. La
locuzione insomma affronta l'antico dilemma: essere o apparire e propende,
stranamente per la cultura popolare, da sempre incline dalla parte della
sostanza piuttosto che da quella della forma, per il secondo corno del
dilemma.
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47. AMMACCA E SSALA, AULIVE 'E GAETA.
Letteralmente: schiaccia e sala, olive di Gaeta! Di per sè è la voce - ossia
la frase di richiamo - usata dai venditori di olive e con essa si rammenta la
tecnica della conservazione in salamoia delle olive che vengono stipate in
botticelle e conservate in un bagno di acqua salata. Con la stessa locuzione
si suole commentare a mo' di riprovazione, il comportamento di coloro che
operano in maniera rapida e superficiale, senza porre attenzione ed
applicazione a ciò che sono stati chiamati a fare.
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48. CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SAPONE.
Letteralmente: di qui le pezze e di là il sapone. E' il modo rapidamente
incisivo per dire che non si fa credito di sorta. Chi usa detta locuzione
intende comunicare che con lui non si fanno contratti se non a prestazione e
controprestazione immediata, contratti dove il do e il des sono
contemporanei. Originariamente, la locuzione era usata dai robivecchi
girovaghi detti "sapunari"
perché offrivano in cambio di abiti dismessi un tot di sapone artigianale
quale merce di scambio.
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49. M''O SSENTO 'E SCENNERE PE DERETO Ê RINE.
Letteralmente: me lo sento colare lungo il filo della schiena. L'espressione
viene usata con senso di rammarico se non di timore, quando si voglia
comunicare a terzi di avvertire su se stessi la sensazione di un prossimo
imminente disastro e/o pericolo e di non potervi porre riparo.
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50. SE SO' 'NCUNTRATE 'O SANGO E 'A CAPA.
Letteralmente: si sono uniti il sangue e la testa. Id est: si è verificato
l'incontro di due elementi ugualmente necessarii al conserguimento di un
quid. Anche in senso marcatamente dispregiativo per sottolineare l'incontro
di due poco di buono dalla cui unione deriverà certamente danno per molti. La
locuzione, in senso positivo, fa riferimento all'incontro liturgico della
teca contenente i reperti ematici del sangue di san Gennaro con il busto
contenente il cranio del santo; solo dopo détto incontro infatti per solito
si verifica il miracolo della liquefazione del sangue.
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51. ESSERE D''O BETTONE.
Letteralmente: essere del bottone Id est: Appartenere ad un medesima
consorteria, ad una stessa associazione e perciò essere nella condizione di
poter chiedere e ricevere aiuto ed assistenza dai propri sodali. Il bottone
della locuzione è, senza dubbio, il distintivo, cioè il segno esteriore della
appartenenza ad un determinato consesso, ma è inesatto ritenere il distintivo
della locuzione quello fascista, perché l'espressione, a Napoli, era nota e
si usava fin dall'epoca dei Borbone.
Brak
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