6 MUNTAGNE E MUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO.
Letteralmente: le montagne non si scontrano
con le proprie simili. E' una velata minaccia di vendetta con la quale si
vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche
cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili...
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7 FACCIA 'E TRENT'ANNE 'E FAVE.
Letteralmente: faccia da trent'anni di fava.
Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto
poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono,
anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la
fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva
somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione
comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a
trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e
sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le
distanze.
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8 SPARÀ A VRENNA.
Letteralmente: sparare a crusca. Id est:
minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati.
L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si
concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito
borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con
crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si
esercitava.
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9 'E SCIABBULE STANNO APPESE E 'E FODERE CUMBATTONO.
Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al
chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le
situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva
volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con
risultati chiaramente inferiori alle attese.
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10 'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí,
a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle
donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle
piú disparate ore, pretendendo che venga loro servito un pasto caldo. A tali
pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del
trentuno, nota bettola partenopea che prendeva il nome dal civico dove era
ubicata, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora
del giorno e della notte.
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11 'A VACCA, PE NUN MOVERE 'A CODA SE FACETTE MAGNÀ 'E PPACCHE
DA 'E MOSCHE.
Letteralmente: la mucca per non voler muovere
la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli
indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono
un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca che assalita dalle
mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lasci che le mosche
le pizzichino il fondo schiena!
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12 TRASÍ O PASSÀ CU 'A SCOPPOLA.
Letteralmente: entrare o passare con lo
scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o
pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie
credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo
comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza
pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per
traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove gratuitamente
si ottengono benefíci per la magnanimità di coloro che invece dovrebbero
controllare.
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13 POZZA MURÍ 'E TRUONO A CHI NUN LE PIACE 'O BBUONO.
Letteralmente: possa morire di violenta
bastonatura chi non ama il buono. In una città come Napoli dove vi è
un'ottima e succulenta cucina chi non è buongustaio merita di morire
bastonato violentemente. in napoletano TRUONO significa sia tuono che
percosse violente.
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14 'A FORCA È FATTA P''E PUVERIELLE.
Letteralmente: la forca è fatta per i poveri.
Id est: nei rigori della legge vi incorrono solo i poveri, i ricchi trovano
sempre il modo di scamparla. In senso storico, la locuzione rammenta però che
la pena dell'impiccaggione era comminata ai poveri, mentre ai ricchi ed ai
nobili era riservata la decapitazione o - in tempi piú recenti - la
fucilazione.
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15 DARSE 'E PIZZECHE 'NCOPP' Â PANZA.
Letteralmente: darsi pizzichi sulla pancia.
Id est: sopportare, rassegnarsi, far buon viso a cattivo gioco. E' il
consiglio che si dà a chi ad una contrarietà sarebbe pronto a render la
pariglia ed invece gli si consiglia di sopportare assestandosi dei pizzichi
sulla pancia quasi che il dolore fisico che ne deriva servisse a lenire
quello morale, in nome del quale ci si sentirebbe pronto a scatenare una
guerra!
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16 'NCOPP' Ô MUORTO SE CANTA 'O MISERERE.
Letteralmente: sul morto si piange il
miserere Id est: non bisogna precorrere i tempi, in ispece quelli delle
lamentazioni che allora son lecite quando ci si trovi davanti al fatto
compiuto del danno patito, mai prima.
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17 BBUONO PE SCERIÀ 'A RAMMA.
Letteralmente: buono per pulire le stoviglie
di rame. Cosí in modo quasi rabbioso viene definito un frutto cosí aspro di
sapore da non essere edibile, ma che può solo servire alla pulizia delle
pentole di rame. Un tempo, quando non esistevano acciai inossidabili o
allumini leggeri, le pentole erano in rame opportunamente ricoperte di
stagno; per la loro pulizia e lucidatura ci si serviva di pietra pomice,
arena 'e vitrera (sabbia da vetraio ricca di silice), e limoni con i quali si
soffregavano le pentole fino a detergerle e addirittura farle luccicare. Per
traslato, la locuzione in epigrafe si attaglia anche a chi è di carattere cosí
aspro e spigoloso da non consentire ad alcuno di avervi rapporti.
18.MIÉTTELE NOMME PENNA!
Letteralmente: Chiamala penna! La locuzione viene usata, quasi
volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far
intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto,
divenuto quasi piuma d'uccello. La piuma essendo una cosa leggera fa presto a
volar via, come sparisce un oggetto prestato a qualcuno che per solito non
restituisce ciò che à ottenuto in prestito. A maggior conferma del fatto si
usa dire che se il prestito fosse una cosa buona, si impresterebbe la
moglie... a margine rammento che con il nomme penna si intendeva anche una
vilissima monetina che si spendeva con facilità, senza remore o
pentimenti; la moneta détta penna ebbe
il valore esiguo di 1 carlino, questa stessa moneta per il motivo ricordato è ricollegabile al
détto qui esaminato: miéttele nomme penna (chiamala penna) in riferimento
appunto ad ogni cosa che si potesse facilmente perdere o
cedere senza lasciar tracce di remore o dispiaceri; la monetina s’ebbe
il nome di penna giacché su di una delle facce (verso) v’era effigiata un’ala
pennuta, quella dell’arcangelo Gabriele che sul dritto era il protagonista
dell’Annunciazione.
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19 PISCIÀ ACQUA SANTA P''O VELLICULO.
Letteralmente: orinare acqua santa
dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro
che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è
diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo
sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente,
addirittura dell'acqua santa.
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20 Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE
Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est:
in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate cose di cui si parli che
risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della
locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano
Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e
nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi retaggi architettonici
risalenti al 1400, in
varie strade napoletane.
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21 ARRETÍRATE, PIRETO!
Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed
ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti
consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di
rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua
sede vi possa rientrare a comando...
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22 A 'NU PARMO Dô CULO MIO, FOTTA CHI VO’.
Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere, si
diverta chi vuole. Id est: fate pure i vostri comodi, purchè li facciate
lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi
arrechiate danno!
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23 DICETTE 'O MIEDECO 'E NOLA: CHESTA È 'A RICETTA E CA DDIO
T''A MANNA BBONA...
Letteralmente: Disse il medico di Nola:
Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata
quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto
tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai
confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi.
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24 FÀ 'NU QUATTO 'E MAGGIO.
Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id
est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in
senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel
lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di
porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si
operavano nella città di Napoli, fissò appunto al 4 di maggio la data fissa
soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4,
da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire
mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto.
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25 S'À DDA ÒGNERE L'ASSO.
Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est:
se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua bisogna, anche
obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio:
inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano
spalmare con grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei
loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo
delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di
"mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri
chiarimenti.
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26 PARÉ 'NU PIRETO ANNASPRATO.
Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato.
Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo,
pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo.
Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come,
sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un
maleodorante, vacuo flatus ventris.
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27 L'ACCÍOMO Ê BBANCHE NUOVE.
Letteralmente: l' Ecce òmo ai Banchi nuovi.
Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla
moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che
dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami
della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura
lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano
sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura
rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il
Cristo, dopo le percosse e gli sputi subiti dai saldati romani, sofferente,
smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani
cui la locuzione si attaglia.
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28 CHI TÈNE CUMMEDITÀ E NNUN SE NE SERVE, NUN TROVA 'O PREVETE
CA LL'ASSOLVE.
Letteralmente: Chi à comodità e non se ne
serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o
meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non
solo una sciocchezza autolesiva, ma pure un peccato cosí grave per la cui
assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far
ricorso al penitenziere maggiore.
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29 QUANNO NUN SITE SCARPARE, PECCHÉ RUMPITE 'O CACCHIO Ê
SEMMENZELLE?
Letteralmente: poiché non siete ciabattino,
perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata
quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non
gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue
capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui
i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere
alla fattura di una scarpa.
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30 'A RIGGINA AVETTE BISOGNO D''A VICINA.
Letteralmente: la regina dovette ricorrere
alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è
bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina,
figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è
un'isola.
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31 SENZA ‘E FESSE NUN CAMPANO 'E DERITTE.
Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono
i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi
che consentano loro di prosperare.
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32 'O PURPO S'À DDA COCERE CU LL'ACQUA SOJA.
Letteralmente: il polpo si deve cuocere con
l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza
interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che
recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile
ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si
autoconvincano, come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta
d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto.
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33 DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE.
Letteralmente: dare sulle orecchie. La
locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei
supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa
elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare
una sana violenza colpendoli, sia pure metaforicamente, sulle orecchie per
fargliele abbassare.
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34 N' AGGIO SCAURATO STRUNZE, MA TU ME JESCE CU 'E PIEDE 'A FORA...
Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí
grosso)che non entri per intero nella ipotetica pentola destinata all'uso della bollitura.
Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri
per pensiero e/o azione, cosí
esageratamente pezzo di merda da eccedere i limiti della ipotetica pentola in cui dovrebbe esser bollito.
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35 TANTE GALLE A CANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: tanti galli a cantare non
spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere
intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si
addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il
parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori
non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente? Parlano in tanti... come si vuole che giungano ad una conclusione pratica
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36 SÍ, SÍ QUANNO CURRE E 'MPIZZE...
Letteralmente: sí quando corri ed infili! La
locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto
difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico,
volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non potrà avvenire, nè avverrà. La locuzione fa riferimento ad
un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si
infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un
anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al
vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la
punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
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37 MADONNA MIA, MANTIENE LL'ACQUA!
Letteralmente: Madonna mia reggi l'acqua. Id
est: fa’ che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata
quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si
prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei
contendenti.
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38 OMMO 'E CIAPPA.
Letteralmente: uomo di bottone e, per
traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione à origini antichissime
addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria
particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe
dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni
d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo,
appunto, di detta consorteria.
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39 'A NAVE CAMMINA I 'A FAVA SE COCE.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si
cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la
sopravvivenza,id est la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della
nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è piú
opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce.
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40 ESSERE 'NU CASATIELLO CU LL'UVA PASSA.
Letteralmente: essere una caratteristica
torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona
greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve
di suo per esser ripiena di formaggio, uova, salame, resa meno digeribile
dalla presenza dell'uva passita...
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41 NCE VONNO QUATTO LASTE
I 'O LAMPARULO.
Letteralmente: occorono quattro vetri (laterali) ed il reggimoccolo.
Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente
incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna
ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla
sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi,
ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad
un attento controllo esso risulta vistosamente carente .
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42 JÍRSENE CU 'NA MANA ANNANZE E N'ATA ARRETO.
Letteralmente: andarsene con una mano davanti
ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore
si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum – in
napoletano: zitabona -, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una
colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver piú niente.
La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso
nulla di buono, ci abbia rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resti
che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di
dietro.
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43 A - MIETTE MANO â TELA
B - ARRICIETTE 'E FIERRE
Le due locuzioni indicano l'incipit e il
termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse
indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela,
ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro. sub
B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro.
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44 ESSERE 'NU/’NA SECATURNESE.
Letteralmente: essere un/una sega tornesi.Id est: essere un avaraccio/a,
super avaro/a al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete,
che al tempo in cui circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per
poi rivender la limatura e far cosí piccoli guadagni: venne poi la
carta-moneta e finí il divertimento.
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45 ESSERE 'NA MEZA PUGNETTA.
Esser piccolo di statura, ma soprattutto valer
poco o niente, non avere alcuna conclamata attitudine operativa, stante la
ridottissima capacità fisica, intellettiva e morale essendo il prodotto di un
gesto onanistico non compiuto neppure per intero.
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46 ESSERE 'NA GALLETTA 'E CASTIELLAMMARE.
Letteralmente: essere un biscotto di
Castellammare. Id est: essere poco incline ad atti di generosità, anzi tener
sempre saldamente chiusi i cordoni della borsa essendo molto restio ad
affrontare spese di qualsiasi genere, in ispecie quelle destinate ad opere di
carità, essere insomma cosí duro nei propri parsimoniosi intendimenti da
essere paragonabile ai durissimi biscotti prodotti in Castellammare, biscotti
a lunga conservazione usati abitualmente come scorta dalla gente di mare che
li preferiva al pane perché non ammuffivano, ma che erano cosí tenacemente
duri che - si diceva - neppure l'acqua di mare riuscisse ad ammorbidire.
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47 'E CURALLE LL'À DDA
Fà 'O TURRESE.
Letteralmente: i coralli li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno
deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi
previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la
lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo dell'abitante di Torre del
Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti
lavorati in corallo.
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48 MO T''O PPIGLIO 'A FACCIA ô CUORNO D''A CARNACOTTA
Da intendersi: adesso lo prendo per te dal corno per la
carne cotta. Icastica ed eufemistica espressione con la quale suole
rispondere chi, richiesto di qualche cosa, non ne sia in possesso né abbia
dove reperirla o gli manchi la volontà di reperirla. Per comprendere appieno
la locuzione bisogna sapere che la carnacotta è il complesso delle trippe o
frattaglie bovine o suine che a Napoli vengono vendute già atte ad essere
consumate o dai macellai o da appositi venditori girovaghi che le servono
ridotte in piccoli pezzi su minuscoli fogli di carta oleata; i piccoli pezzi
di trippa vengono prima irrorati col succo di limone e poi cosparsi con del
sale che viene prelevato da un corno bovino scavato ad òc proprio per
contenere il sale e bucato sulla punta per permetterne la distribuzione.
Detto corno viene portato dal venditore di trippa, appeso in vita e lasciato
pendente sul davanti del corpo. Proprio la vicinanza con intuibili parti anatomiche
del corpo, permettono alla locuzione di significare che ci si trovi
nell'impossibilità di aderire alle richieste.
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49 PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO.
Letteralmente: anche i corbellati vanno in
paradiso. Massima consolatoria con cui si tenta di rabbonire i dileggiati cui
si vuol fare intendere che sí è vero che ora son presi in giro, ma poi
spetterà loro il premio del paradiso. Il termine cuffiato cioè corbellato è
il participio passato del verbo cuffià che deriva dal sostantivo coffa =
peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
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50 DICETTE 'O SCARRAFONE: PO’ CCHIOVERE 'GNOSTIA COMME VÒ ISSO,
MAJE CCHIÚ NIRO POZZO ADDEVENTÀ...
Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far
cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di
quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già
ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri
sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno.
Brak
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