1.E BBRAVO Ô FESSO!
Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe la si usa sempre quando si voglia ironicamente plaudire all'operato di chi pretende, da saccente e supponente, con la propria azione di dimostrare la propria supposta valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla medesima stregua. Piú chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o ovvie transeunti ragioni. Per meglio chiarire, occorre che mi spieghi con un esempio. Poniamo vi sia un uomo infortunato alle gambe che abbia perciò difficoltà ad ascendere una scala a pioli. Si presenta lo sciocco arrogante di turno che, essendo pienamente integro nella sua salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta (volendo fare intendere che l’infortunato è incapace di fare cose semplici non perché infortunato, ma perché inetto di costituzione), commenta con aria saccente: "Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: “Sei cosí stupido da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che ài fatto tu!” A margine di tutto rammento che spesso autori sedicenti napoletani, ma colpevolmente a digiuno di semantica e/o sintassi e grammatica della parlata partenopea rendono l’espressione in epigrafe non cosí come riportato E bbravo ô fesso! (Bravo allo sciocco!) con un inesatto E bbravo ‘o fesso! (Bravo lo sciocco!) che a parte il fatto di non riprodurre l’esatto pensiero dell’autentico napoletano che mentalmente articola appunto Bravo allo sciocco! e non Bravo lo sciocco! a parte ciò, contraddice le statuizioni della grammatica e sintassi del napoletano dove un complemento oggetto d’una proposizione transitiva o l’oggetto delle esclamative non è mai introdotto dal semplice articolo determinativo ‘o (il)/’a(la)/ ‘e (le o gli) come càpita nella lingua italiana, ma è introdotto dalle prep. articolate ô = a+ ‘o(allo) oppure â(= a + ‘a= alla ) o ê (=a +’e = a gli – alle) in quanto la parlata napoletana, sulla scorta di un antico latino volgare parlato esige per i complementi oggetti di proposizioni transitive o esclamative (persone o esseri animati, ma non cose; es. aggiu visto a pàteto ( ò visto tuo padre), aggiu chiammato ô cane(ò chiamato il cane, ma aggiu pigliato ‘o bicchiere(ò preso il bicchiere) esige una a segnacaso che unita all’articolo di pertinenza del complemento oggetto determina, come ò già détto una preposizione articolata ô = a+ ‘o(al, allo),â(= a + ‘a= alla ) ê (a +’e = a gli – alle)
2.ESSERE AURIO 'E CHIAZZA E TRIBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Così a Napoli si suole dire - specie di uomini che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
3.AVENNO, PUTENNO, PAVANNO.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando Strana locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò.
4.AMMÈSURATE 'A PALLA!
Letteralmente: Misùrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai per fare così eviterai di incorrere in grossolani errori; renditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te delle tue azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione.
5.
A -APPENNERE 'A GIACCHETTA. B - APPENNERE 'O CAZONE.
A- Appendere la giacca B- Appendere il pantalone. Si tratta in fondo di due indumenti - per solito indossati dall'uomo, ma quanto diverso tra loro il significato sottinteso dalle due locuzioni. Quello sub A - fa riferimento alla giacca e sta a significare che si è smesso di lavorare e ci si è pensionati, rammentando che - normalmente - specie per lavori manuali l'uomo è solito liberarsi della giacca e lavorare in maniche di camicia; per cui disfarsi del tutto della giacca significa che non si è intenzionati a rimettersi al lavoro. Diverso e di significato più grave la locuzione sub B;essa adombra il significato di decedere, lasciando una vedova, tenendo presente che della giacca ci si libera per lavore, mentre del calzone lo si fa per coricarsi anche definitivamente.
6. BBONA 'E DDIO!
Letteralmente: Con il benvolere di Dio. Id est: ci assista Dio. E' l'augurio che ci si autorivolge nel principiar qualsiasi cosa affinché la si possa portare a compimento senza noie o pericoli. Traduce ad litteram l'augurio A la buena de Dios che i naviganti spagnoli solevano rivolgersi scambievolmente al levar delle àncore.
7.SCUNTÀ A FFIERRE 'E PUTECA.
Letteralmente: scontar con utensili di bottega. Id est: saldare un debito conferendo non il dovuto danaro, ma una prestazione di lavoro confacente al proprio mestiere, con l'uso dei ferri da lavoro usati nella propria bottega.
8.PARÉ 'O CARRO 'E BATTAGLINO.
Letteralmente: sembrare il carro di Battaglino. Id est: essere simile ad un famoso carro che veniva usato a Napoli per una processione votiva della sera del sabato santo, processione promossa dalla Cappella della SS. Concezione a Montecalvario. Detta Cappella era stata fondata nel 1616 dal nobile Pompeo Battaglino; sul carro che dal nobile prese il nome, era portata in processione l'immagine della Madonna accompagnata da un gran numero di musicio e cantori.In ricordo di detto carro, ogni mezzo di locomozione che sia stipato di vocianti viaggiatori si dice che sembra il carro di Battaglino.
9.FATTÉLLA CU CHI È MMEGLIO 'E TE E FANCE 'E SPESE.
Letteralmente: Frequenta chi è miglior di te e sopportane le spese. Il proverbio compendia la massima comportamentale secondo la quale le amicizie vanno scelte nell'ambito di persone che siano migliori di se stessi, soprattutto dal punto di vista morale... e bisogna coltivare questo tipo di amicizia anche se esso tipo comporta il doverci rimettere economicamente parlando.
10.I' FACCIO PERTOSE E TU GAVEGLIE.
Letteralmente: io faccio buchi e tu cavicchi; id est: io faccio buchi e tu sistematicamente li turi, ossia mi remi contro. La locuzione è usata anche profferendone la sola prima parte e sottointendendo la seconda quando si voglia redarguire qualcuno che si adoperi a distruggere o vanificare l'operato di un altro e lo faccia non per ottenerne vantaggio, ma per il solo gusto di porre il bastone tra le ruote altrui.
11. 'A MUSICA GIAPPUNESE.
La musica giapponese. Così i napoletani - abituati a ben altre armoniche melodie - sogliono definire quelle accozzaglie di suoni e rumori in cui vengon coivolti strumenti musicali, ma che con la musica hanno ben poco da spartire. Quando ancora esisteva la magnifica festa di Piedigrotta, spesso a Napoli per la strada si potevano incontrare gruppetti di ragazzi che producevano una dissonante musica -detta: musica giapponese -servendosi di particolari strumenti musicali quali: scetavajasse, triccabballacche, zerrizzerre e putipú.
12.TE FACCIO SENTÍ MUNTEVERGINE CU TUTT''E CASTAGNE SPEZZATE.
Letteralmente: Ti faccio sentire Montevergine con accompagnamento delle castagne frante. Espressione minacciosa con la quale si promette una violenta reazione ad azioni ritenute lesive; è costruita sul ricordo della gita fuori porta fatta il lunedì dell' angelo allorché interi quartieri solevano recarsi al santuario di Montevergine su carrozze trainate da cavalli bardati a festa. Il ritorno verso la città avveniva in una sarabanda di suoni e di canti corali portati allo strepito anche per i fumi dei vini consumati in gran copia; il vino era consumato per accompagnare il consumo di castagne secche ed infornate che erano vendute confezionate come grani di collane di spago che ogni cavallo si portava al collo come abbellimento.
13.FÀ SCENNERE 'NA COSA DA 'E CCOGLIE 'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al petente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stante la augusta provenienza.
14. CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo così di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
15.
TRÒVATE CHIUSO E PIÉRDETE CHIST' ACCUNTO...
Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione violentemente ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere o che si compierebbe, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente, o anche quando si voglia sottolineare la incresciosa situazione di un negoziante che veda entrare in bottega una persona, che invece di acquistare, guarda, indaga, chiede e non si decide a comprare. Va da sé che la locuzione a margine si adatta per ampliamento semantico nei confronti di chiunque in qualsiasi tipo di contrattazione pretende solo vantaggi a danno dell' altro contraente o pretestuosamente faccia perder tempo e non addivenga al dunque!
Accunto = cliente abituale dal latino adcognitus id est: noto, conosciuto, atteso che il cliente abituale è persona che frequenta quasi quotidianamente una bottega e quindi è ben conosciuto dal bottegaio di cui è cliente.
Raffaele Bracale
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