IL VERBO MAGNÀ E LA
SUA FRASEOLOGIA
Nell’intento di contentare alcuni miei lettori che me ne
ànno fatto richiesta illustro qui di sèguito alcune delle piú comuni locuzioni costruite sul
verbo magnà/magnare. Premetto che
il verbo MAGNÀ (magnare) =
mangiare etimologicamente è una forma metatetica del
francese manger→magner a sua volta originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico e passo alle locuzioni:
1. MAGNÀ ‘E ‘RASSO
Ad litteram: Mangiare di grasso. Id est: avere o contentarsi
degli scarti. Espressione usata a sarcastico commento delle azioni di chi pensi
di ottenere dal suo operato risultati positivi ed invece, quasi certamente, ne ricaverà poco
o niente o addirittura i risultati saronno fallimentari. Nella locuzione si fa
riferimento al fatto che per solito nel cibarsi di alimenti è d’uso assumerne le parti migliori scartando quelle
meno pregiate, tra le quali il grasso; chi invece, come nell’espressione, lo
dovesse assumere dimostrerebbe di preferire scioccamente gli scarti o di doversene contentare.
2.'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIENTE TENIENTE
I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione degli affari.
teniente è il plur. di tenente = tenente( che è il part. pres. del verbo tenere e non l’omofono ed omografo grado militare che è dal fr. [lieu]tenant), e con l’iterativo teniente,teniente ci si riferisce al modo di cottura della pasta che occorre far lessare brevemente, senza che si disfaccia e nell’iterazione quasi superlativa teniente teniente vale molto pronti, quasi duretti come cosa che abbia tenuto la cottura evitando di ammollarsi eccessivamente; letteralmente il sg. tenente ed il pl. teniente sono, come ò detto, il participio presente del verbo tené (tenere) che è dal latino teníre, corradicale di tendere 'tendere'.
3.MAGNARSE ‘A REZZA
D’ ‘O CORE
L’espressione in epigrafe che ad litteram vale: Mangiarsi la rete del cuore, nutrirsi del
pericardio è un’icastica quantunque iperbolica locuzione usata in
riferimento all’incresciosa situazione psicologica, interiore di chi esacerbato, irritato, da qualcuno a cui non riesca a rispondere, rendendogli
pan per focaccia, o di cui non riesca o
non si possa liberare o ancóra in riferimento all’incresciosa situazione di chi sia arrabbiato, stizzito per qualcosa a cui non possa porre o sia
incapace di porre rimedio e nell’un caso e nell’altro si macera, si tormenta, affligge o angustia nel proprio essere quasi consumandosi
e sino quasi ad iperbolicamente nutricarsi del proprio
pericardio; il tutto per significare
quanto (per colui che si sente quasi costretto ad agire come nell’espressione
in epigrafe) siano insopportabili, fastidiosi, irritanti, indisponenti,
seccanti, molesti, fastidiosi gli avvenimenti o la persona che lo affliggono,
lo tormentano lo angariano al segno
che l’oppresso, incapace di trovare una soluzione positiva che lo soddisfi finisce per sfogare la propria rabbia
repressa su se stesso nutrendosi addirittura, iperbolicamente del proprio pericardio.
In coda a tutto quanto détto preciso che la locuzione in
epigrafe non va confusa con altra, a prima vista simile, ma che è – come dirò –
molto diversa e che suona:
3bis. MAGNARSE
‘O CORE A PPEZZULLE; questa ultima che vale: Mangiarsi il cuore a pezzetti infatti non fa riferimento alla
situazione di chi si tormenta, affligge
o angustia nel proprio essere perché non
riesce a contrastare qualcuno o qualcosa che lo irriti, incollerisca,
stizzisca, indispettisca o sdegni ma –
al contrario – configura il proponimento di quell’esacerbato che invece di
macerarsi subendo inerte , intenda
reagire e minacci l’antagonista vero o figurato di volersene iperbolicamente mangiare il cuore ridotto dapprima a
pezzettini per comodità di deglutizione.
magnarse è l’infinito riflessivo del verbo magnà
(magnare).
rezza
s.vo
f.le 1 rete a maglie fittissime, usata per lavori di ricamo 2 rete da
pesca.3 (come nel caso che ci occupa) pericardio,membrana sierosa
che riveste il cuore, omento, peritoneo,
membrana sierosa che avvolge la massa
gastrointestinale con riferimento in primis a quello del maiale. voce dall’acc.
lat. retia neutro pl. del sg. rētĕ( =rete);
core s.vo m.le cuore 1
(in primis.) organo muscolare
cavo a forma di cono, situato nella parte mediana della cavità toracica, con
l'apice rivolto a sinistraè centro motore dell'apparato circolatorio;
2 (estens.) la parte del petto dove sta il cuore
3 (fig.) la sede degli affetti, dei sentimenti
e delle emozioni; la parte più intima dell'animo;
4 (fig.) ardimento, coraggio;
5 qualsiasi oggetto a forma di cuore: core ‘e Maria [cuore
di Maria], (bot.) pianta ornamentale con fiori rossi a forma di
piccoli cuori (fam. Papaveracee)
6 il centro, la parte centrale o più interna di qualcosa (anche fig.)
voce dal nom. lat. cor
pezzulle = pezzetti s.vo
m.le pl. del sg. pezzullo
=pezzetto; pezzullo è il diminutivo del s.vo piezzo 1quantità, parte non determinata, ma
generalmente piccola, di un materiale solido; 2 parte, porzione di un tutto, frammento;3 pezzo, parte,rattoppatura (piú spesso però, in tal senso al femm. pezza);
etimologicamente pezzullo è ottenuto partendo dal maschile piezzo che al
f.le è pezza ambedue dal
lat. medioevale pettia di origine celtica, attestata nel lat.
parlato anche come petia e pecia; da notare
che la forma maschile comporta rispetto al femminile la dittongazione popolare e→
ie in sillaba seguita da due consonanti come
altrove cappiello←cappello, castiello←castello
etc.;al s.vo m.le piezzo è aggiunto il suffisso –ullo;
ollo/a –ullo sono suffissi diminutivi di s.vi ed
aggettivi; ambedue continuano il lat. ullus/a suffisso nato aggiungendo –ulus a
termini in ur ottenendo dapprima urulus poi contratto in
-ullus; l’esito fu –ollo/-olla
in Toscana ed –ollo/-olla oppure ullo in Campania ed Abbruzzo ed –ullu/-uddu
nell’estremo mezzogiorno.
4.E PPOVERA VIGNA MIA, CHI COGLIE E MMAGNA!
:
L’espressione esclamativa, da
intendersi quasi ad litteram: Povera
vigna mia (preda di) chi raccoglie e mangia (senza averne diritto) è
un’espressione di rammarico che olim veniva colta sulle labbra di chi dovesse
dolersi di veder le proprie sostanze reali [beni, denaro] o figurate [tempo,
dedizione,affetto e/o amore] sprecate, se non dilapidate da congiunti prossimi
o remoti o preda di profittatori ed opportunisti
quando non speculatori ed addirittura avvoltoi, sciacalli adusi a trarre
vantaggio dalla bontà o insipienza
altrui al segno di spoliarlo saccheggiando e razziando nei suoi beni veri o
figurati.
Va da sé che la locuzione nacque
in àmbito georgico, rurale, rusticano, rustico con riferimento a tutti coloro
che profittando di poter facilmente accedere in una vigna incustodita ne
godessero dell’uva ivi ladronescamente
raccolta.
pòvera agg.vo f.le =malagiata, meschina, misera,
ridotta a mal partito voce dal lat. pop. pauper -a -um, per il class. pauper -ĕris, composto di paucus "poco" e parĕre
"procacciare, produrre"; propr. "che produce poco" (detto,
in origine, della terra).
vigna s.vo f.le =1 (in primis) terreno coltivato a viti, vigneto,pergola, pergolato. 2 (per metinomia anche) uva.
voce dal lat. vīnea, der. di vinum "vino".
còglie voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’inf. cògliere 1(in primis)tirare via dal terreno o da una pianta un frutto, spiccare, staccare, svellere dal terreno, sradicare,prendere, raccogliere. 2(figurato) trarre giovamento da una circostanza favorevole, da un'occasione, approfittare (di), avvantaggiarsi (di), giovarsi (di), sfruttare. voce dal lat. collĭgĕre.
magna voce
verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’inf. magnare/magnà alimentarsi (con), assumere,
cibarsi (di), ingerire, nutrirsi (di), assumere cibo, pappare, rifocillarsi
(con), sfamarsi (con), sostentarsi...Etimologicamente forma metatetica
del francese manger originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico.
5.MAGNARSE ‘E MACCARUNE
Ad litteram: mangiare i maccheroni
id est:capire l’antifona, fiutare il
pericolo prossimo, mettendosi in guardia.
Alibi, il medesimo concetto lo si esprime dicendo: addurà ‘o fieto d’‘o miccio id est: subodorare il puzzo della
miccia accesa; in coda di questa esplicazione, mi soffermerò sui singoli
vocaboli in epigrafe o richiamati; per intanto dico che la locuzione
in epigrafe, nasce dalla
considerazione che gli abitanti del circondario partenopeo, (villici e
cafoni) accreditati di scarso acume,
erano detti mangiafoglie, mentre i
cittadini che si ritenevano piú scaltri
erano detti mangiamaccheroni ;
per cui mangiarsi i maccheroni
equivaleva, nell’inteso cittadino, ad essere scaltri, capaci di accorgersi di ciò che stesse per accadere, non facendosene cogliere di sorpresa. Interessante notare
come il medesimo senso della locuzione
in epigrafe sia reso in italiano con la locuzione mangiare la foglia quasi
volendo richiamare quello che altrove si afferma dicendo che è il contadino (il mangiafoglie) quello ad aver il cervello
fine, ad esser scaltro, certamente piú del cittadino (mangiamaccheroni). Per quanto riguarda l’espressione addurà ‘o fieto d’‘o miccio e cioè annusare
il puzzo del lucignolo o meglio annusare il puzzo della miccia rammenterò
che con la parola miccio (etimologicamente dal fr. mèche, che è dal lat. volg. micca,
per il class. myxa 'luminello, stoppino') , in napoletano si
indica sia il lucignolo della candela che la miccia di un ordigno e nella
fattispecie è questa seconda valenza che bisogna considerare giacché l’espressione nel suo significato
nascosto sta per: fiutare un pericolo,
accorgersi dell’approssimarsi di un
danno; orbene il lucignolo della candela puzza quando da acceso diventi spento, ma
allora non è foriero di alcun
pericolo, mentre la miccia di un ordigno quando è accesa e sprigiona un
suo greve olezzo, allora prospetta un prossimo, pericoloso scoppio.
Ciò détto, ritorniamo all’espressione in epigrafe, ricordando ancóra súbito
che magnarse è l’infinito
riflessivo del verbo magnà (magnare).
maccarune/i plurale
metafonetico del singolare maccarone = generica pasta alimentare,
piú nota con varie specifiche denominazioni
giusta il formato di détta pasta: lunga o corta, bucata e non;
etimologicamente il termine maccarone deriva,secondo alcuni, dal
greco makaría= piatto di fave e
fiocchi di avena, o da makariòs= beati
o pasto funebre; a mio avviso però è
molto piú convincente l’etimologia che chiama in causa il latino maccare
= impastare e comprimere (rammenterò infatti che originariamente i maccaruni
latini furono essenzialmente
della pasta casalinga (gnocchi)
ricavata dall’impasto di farina, sale ed acqua; tale impasto veniva schiacciato (maccatus) e tagliato in pezzetti poi compressi tal quale i greco -
napoletani strangulaprievete (vedi alibi).
Rammenterò ora i piú noti formati
di détta pasta secca alimentare, cominciando
da quella lunga e doppia:
Maccarune
‘e zite = maccheroni da
ragazze da marito; in effetti tali lunghi e doppi maccheroni di
formato cilindrico a sezione circolare di ca un cm. di diametro venivano e
talvolta vengono ancora usati , spezzati a mano in pezzi di ca 4 cm . di altezza, variamente e
sontuosamente conditi, nei pranzi di nozze delle cosiddette zite (etimologicamente
collaterale popolare del toscano citta= ragazza nubile) e cioè le ragazze da marito; faccio notare
come la voce zite plurale di zita nel significato di nubile da
sposare è voce femminile e come tale al
plurale preceduto dall’articolo ‘e, in napoletano va scritta con la
geminazione della z iniziale: ‘e
zzite laddove se è preceduta dalla preposizione ‘e (di) va scritta con la
zeta scempia: maccarune ‘e zite; passata
ad indicare, nel comune parlar napoletano , un tipo di pasta secca
alimentare la voce zite à finito per essere
intesa, come la maggioranza degli alimenti ( ‘o ppane, ‘o vino, ‘o ppepe, ‘o cafè etc.) neutro
da scriversi e leggersi scempio, anche se preceduto dall’articolo ‘e :
‘e zite;
bucatine
– pirciatielle = bucatini – foratini; bucatino = s. m.pasta alimentare consistente
in un grosso spaghetto piuttosto doppio,
cavo e bucato per tutta la sua lunghezza, va da sé che il nome bucatino è da collegarsi al fatto che tale tipo di
pasta è bucata; la medesima bucatura centrale che percorre la pasta per tutta
la sua lunghezza la si ritrova nei pirciatielle grossi spaghetti piú doppi
dei precedenti bucatini; poiché la voce verbale bucare (perforare) non è napoletana, se ne deduce che tra bucatine
e pirciatielle la pasta piú tipicamente partenopea sia la
seconda, atteso che il verbo bucare
(perforare) è reso in napoletano con
la voce pircià (che è dall’antico francese percer) da cui derivano ‘e
pirciatielle che ci occupano;
ancòra, trattando di pasta doppia, abbiamo:
mezzane tipo di pasta
cilindrica doppia e corta: 4 – 5
cm . di altezza, ampiamente forata a superficie liscia o
rigata (per trattener meglio il sugo) etimologicamente da un lat. medianu(m),
deriv. di medi°us 'mezzo' atteso che tale formato di pasta fa quasi da
mediano tra i formati lunghi e quelli corti;
maltagliate
tipo di pasta simile alla precedente dalla quale si differenzia per
aver, questa a margine le estremità tagliate, non perpendicolarmente rispetto
all’asse minore, ma in maniera obliqua, tal quale le antiche penne d’oca usate
per la scrittura: per tale taglio diagonale e non perpendicolare la pasta
parrebbe quasi mal tagliata donde il nome; taluni rammentando il taglio a
becco obliquo delle antiche penne d’oca, usano chiamare tale formato di pasta penne,
ma è voce piú moderno rispetto alla classica maltagliate;
mezzanelle/mezzanielle con tale formato
di pasta molto simile ai pirciatielli, sebbene
di calibro piú doppio ci troviamo di fronte al formato che fa da trait d’union
tra i formati doppi e lunghi e quelli di transito come i mezzani, da cui con un
pretestuoso vezzeggiativo diminutivo
traggono il nome sia che lo si intenda femminile (mezzanelle) sia che lo si intenda maschile (mezzanielle) rammenterò che mentre i perciatelli possono esser
cotti e serviti, per come sono lunghi, questi a margine, per esser di calibro
maggiore devono essere ridotti in pezzi di altezza di ca 3 cm .
Affrontiamo ora la vasta qualità
dei formati lunghi, ma sottili e di diverso calibro; abbiamo:
spavette
id est: spaghetti = pasta alimentare, di forma cilindrica lunga e
sottile, che si mangia generalmente asciutta: spaghetti al...etc. la
voce napoletana è un derivato di spavo
= spago che è dal tardo latino spacu(m) con normale caduta della gutturale ed
epentesi di un suono di transizione v.
vermicielli
id est: vermicelli (dim. di verme) = pasta alimentare secca del tipo degli
spaghetti, ma di calibro leggermente piú spesso;
linguine – lengue ‘e passere sia le prime che le seconde
sono un tipo di pasta alimentare secca,
lunga e sottile, simile a tagliatelle (che vedremo) molto strette;
ambedue i tipi (ma segnatamente il secondo traggono il nome dall’accostamento alla
voce lingua (di passero) cui – per lo
spessore – assomigliano;alibi (Liguria) le linguine son dette trenette (dim. del genov. trena
'cordoncino, passamano'; cfr. trina);
tagliarelle
– tagliuline ecco due formati di pasta
alimentare secca fettucce – fettuccine che corrispondono ad un dipresso alle tagliatelle
e tagliolini che invece son
paste alimentari fresche, all’uovo ricavate da una cosiddetta pettola (la
voce napoletana pettola è
quella che rende l’italiana sfoglia;
dirò
súbito che con il termine pettola si indica innanzi tutto
l'ampia falda posteriore delle camicia,quella che dentro o fuori i pantaloni
insiste sul fondoschiena; estensivamente, con il medesimo termine – come ò
accennato - , si indica quella che in toscano è detta sfoglia, che si ottiene con l’ausilio del matterello ( rammento
che la voce matterello, che è
diminutivo di mattero,
etimologicamente deriva da un antico latino mattaris
o mataris= bastone, randello, voci
probabilmente di origine gallica; talvolta nell’italiano televisivo/mediatico
s’usa in luogo di matterello, la voce mattarello,ma
è uso errato in quanto mattarello è
voce regionale (laziale)); con il matterello
su di una apposita spianatoia si
stende e si assottiglia, portandolo ad un consono spessore, l’impasto di farina, uova e/o altri ingredienti, per ottenerne,
opportunamente tagliata o riempita, pasta alimentare e/o altre preparazioni
culinarie; la sfoglia ripiegata su se stessa e tagliata a nastro piú o meno
largo dà le tagliatelle o i piú
stretti tagliolini che derivano il
loro nome dal verbo tagliare che è da
un tardo lat.taliare, deriv. del class. talea
'piantone, bastoncino'; cfr. talea;
Tornando alla voce pettola
dirò che etimologicamente si fa derivare da
un acc. latino: petula(m)con consueto
raddoppiamento espressivo popolare della
dentale T in parole sdrucciole, con
derivazione radicale dalla radice pet di peto (lat.:peditum);e non se ne faccia
meraviglia: si pensi a su cosa insiste la
originaria pettola!
Altra ipotesi, ma forse meno convincente, è che la pettola/pettula si
riallacci al basso latino: pèttia(m)=pezza,nella
forma diminutiva pettúla(m) e
successivo cambio di accento che abbia dato péttula: questa
etimologia può solleticare, ma è lontana dalla sostanza della péttola
napoletana che non indica una piccola pezzuola quale appunto è la
pettúla, ma, al contrario, un’ampia falda di stoffa o una congrua sfoglia di pasta.
Riprendiamo il ns. excursus sui varî formati lunghi di pasta alimentare secca; abbiamo:
lagane
e laganelle che sono delle fettuccine piú o meno larghe; esse derivano il loro nome dal
matterello con il quale si ricavano nella versione domestica all’uovo; in napoletano il
matterello, cosí come il tagliere per la sfoglia è detto laganaturo
(che è da un originario greco laganon,
latinizzato nel neutro plurale lagana
poi inteso femminile.
Un tipo particolare di laganelle larghe
circa due cm. ed andulate per tutta la
lunghezza dei due bordi sono le manfredi
un tipo di pasta molto datata, originaria pugliese e precisamente della città di
Manfredonia donde il nome in onore del re Manfredi di Svevia (n. 1232ca - † 1266) che fondò la città nel XIII sec.
E passiamo ad illustrare i formati corti delle paste alimentari secche;
abbiamo:
don
Ciccillo ‘ncruvattato letteralmente: don
Franceschino con la cravatta che sono dei grossi tubettoni cosí chiamati con riferimento a taluni
antichi alti e duri colletti da camicia usati
quando si indossassero ampie e
congrue cravatte (che è dal fr. cravate,
adattamento del croato hrvat 'croato'; propr. 'croata', poiché designava
all'origine la sciarpa portata al collo dai cavalieri croati del sec. XVII);
tubbette e tubbettielle pasta corta cilindrica
piú o meno grande con derivazione diminutiva e/o vezzeggiativa dalla voce tubo
(che è dal lat. tubu(m); rammenterò che tali tipi di pasta assumono, secondo le varie industrie
produttrici di paste alimentari, i piú
svariati nomi sui quali non mi soffermo,
mentre nel popolare parlare partenopeo tubbette e tubbettielle vengon detti paternoste o avemmarie
secondo che siano piú grossi (paternoste)
o piú piccoli (avemmarie)
con riferimento – quanto al nome
– non alle omonime preghiere, ma ai grani della corona del
Rosario nella quale i grani per
contare le avemarie sono piú minuti di quelli che segnalano il padrenostro;
elenco ora, infine, i principali formati minuti di paste
alimentari secche usate per esser cotte
in brodo o in minestre; e sono:
anellette cosí chiamati per aver la forma di
piccoli anelli;
semmenze ‘e mellone cosí chiamati per aver la forma
dei semi del melone (dal lat. tardo melone(m), nom. mílo, forma
abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mílopépon -onos, comp. di mêlon
'melo, frutto' e pépon 'popone) che è frutto ovoidale a pasta bianca o
gialla dolce e profumata, ricchissimo di semi giallastri, frutto da non confondere con il cocomero (che è dal
lat. cocumere(m) dalla polpa rossa ed
acquosa con semi radi, piccoli e neri;
sturtine il cui nome deriva dal fatto che detta
pasta à la forma di un tubicino di piccolissimo calibro, piegato a mo’
d’archetto tal d’apparire storto/stuorto (p.pass. del verbo
storcere che è dal lat. torquére 'strappare a forza girando o piegando,
con tipica prostesi di una S
intensiva);
rosamarina cosí chiamati per aver la forma degli
aghi del rosmarino ( di cui la voce partenopea rosamarina è corruzione), pianta
arbustiva con piccole foglie lineari persistenti e fortemente aromatiche e
fiori in spiga violacei, profumati; detta pianta viene coltivata per le foglie, usate come
aromatizzante in cucina, e per le infiorescenze, da cui si estrae un olio
essenziale impiegato in profumeria.
(etimo: ros marinu(m), propr. 'rugiada di mare', cosí detto perché
cresce spontaneo nelle zone costiere mediterranee);
ponte d’aco = punte di ago: è un tipo di pasta
secca alimentare di formato
piccolissimo, lanceolato tal quale le punte degli aghi donde trae il nome;
acene ‘e pepe altro tipo di pasta secca alimentare di formato piccolissimo usato soprattutto per
l’alimentazione di bambini piccoli e sdentati, non necessitando, per esser
deglutito, di lunga e faticosa masticazione; va da sé che il nome gli deriva
dal fatto di somigliare quasi ai piccoli acini/acene (dal lat. acinu(m))
di pepe (che è dal lat. piper
piperis, dal gr. péperi, voce di orig. orientale) la notissima pianta
tropicale rampicante le cui bacche rotonde, nere, di forte aroma, sono usate
intere o opportunamente macinate come condimento.
E fermiamoci qui con l’elencazione dei formati della pasta
secca alimentare, facendo un passo all’indietro per rammentare che con la voce
generica maccarone, nella parlata napoletana si intende per traslato ed
estensivamente la persona sciocca, il
babbeo, lo stupido, anche se in tale accezione il napoletano suole dire: maccarone senza pertuso, e cioè maccherone non bucato nella convinzione
che la pasta secca alimentare migliore sia quella lunga doppia, ma forata come zite, perciatelli etc., mentre spaghetti, vermicelli, fettuccine e
similari siano di qualità inferiore; tanto è vero che s’usa dire: meglio unu maccarone ‘e zite ca ciente
vermicielle ! di talché lo sciocco, il babbeo è ‘nu maccarone che sia però senza
pertuso (= buco, foro da un lat.
pertusiu(m) derivato di pertundere).
maccarone sàuteme ‘ncanna! = maccherone saltami in gola! detto di chi sia cosí tanto inetto, svogliato
ed incapace di fare alcunché al segno di non sapersi o volersi nutrire da sé ed
attendersi, addirittura!, che il cibo (maccherone) gli piova in gola per modo che gli sia evitato il fastidio di
portare il cibo alla bocca;
sàuteme = salta a me; voce verbale dell’infinito sautà (che sia pure attraverso il
francese sauter donde è pervenuto al napoletano è
riconducibile al lat. volgare saltare frequentativo di salire; normale il passaggio di al→au;
‘ncanna
= in gola; da in +
canna (che è dal lat. canna(m), dal greco kanna) di per sé nome di vari oggetti di forma tubolare: canna
di un'arma da fuoco; canne dell'organo; canna della bicicletta: il tubo orizzontale del telaio; canna
fumaria, il condotto del camino, qui sta per gola, esofago, condotto respiratorio,
tubo digerente;
maccarune vierde vierde o teniente teniente = maccheroni verdissimi o molto tenenti (che abbiano retto la cottura
senza diventar molli) cioè pronti,
duretti, di giusta cottura; a Napoli i maccheroni non vanno eccessivamente
lessati, soprattutto quando si tratti di pasta lunga e non doppia!
vierde letteralmente verde, ma nell’espressione richiamata e nell’iterazione superlativa
vale molto pronto, quasi duretto come un frutto che fosse non del tutto
maturo e fosse perciò quasi verde ( che è dal lat. viride(m), deriv. di viríre
'verdeggiare'.
teniente o tenente = tenente, ma nell’
espressione e nell’iterazione
superlativa vale molto pronto, quasi duretto come cosa che abbia tenuto la cottura
evitando di ammollarsi eccessivamente, cosí come ò già détto antea;
letteralmente le voci a margine sono il participio presente del verbo tené (tenere) che è dal latino teníre, corradicale di
tendere 'tendere'.
In tema di consigli teorici e pratici sul modo di assumere i maccheroni rammento l’antichissimo:
6.'E MACCARUNE SE MAGNANO GUARDANNO 'NCIELO! Id est: i maccheroni si mangiamo tenendo il viso rivolto verso l’alto (con la bocca spalancata). E ciò ovviamente per favorire l’immissione nella medesima bocca di una piccola porzione di pasta che olim veniva prelevata dal piatto, tenuto in grembo,senza aggomitolarla con una forchetta ma con l’ausilio di pollice indice e medio, sollevata verso l’alto e di lí calata nella bocca. Ò parlato di espressione/consiglio antichissima perché essa nacque tra la fine del ‘700 ed i princípi dell’ ‘800 e tenne campo fino a tutto il 1870 quando con l’invasione piemontarda (coadiuvata dalle bande garibaldesche) e la fine del Reame delle Due Sicilie si dismise l’abitudine di mangiare per istrada la pasta venduta da maccaronari girovaghi che servivano di preferenza pasta a trafila lunga e sottile (vermicelli) lessata al dente, cosparsa di pecorino e pepe e consegnata a gli avventori in piccoli piatti di banda stagnata; tale pietanza dal costo di due grani fu détta ‘o doje allattante(in bianco) in quanto pasta semplicemente lessata; dopo l’avvento del masnadiero nizzardo accanto al doje allattante si prese a servire a richiesta una pasta non piú semplicemente lessata e guarnita di formaggio e pepe, ma condita altresí con una cucchiaiata di salsa di pomidoro e tale pietanza fu détta ‘o tre ccalibbarde in riferimento al rosso delle camície (in origine camisacci da lavoro usati dagli operai nei macelli d’Argentina)indossate, quale divisa, dalle bande garibaldesche ed il costo di détta pietanza fu appunto di tre grani. Il grano napoletano fu una moneta di modicissimo valore corrispondente a 4,365 lire italiane;nel medesimo periodo vi fu una moneta détta tornese che corrispondeva al valore di due grani cioè a 8,73 lire italiane per cui con solo un tornese ci si poteva sfamare con un piatto di pasta in bianco, mentre con appena dieci lire ed ottanta si poteva consumare un piatto di vermicelli con sugo di pomidoro.
màgnano voce verbale 3ªpers. pl. ind. pres. dell’infinito magnare/magnà = mangiare.
In chiusura di tutto quanto trattato rammenterò altre due
tipiche icastiche espressioni partenopee che chiamano in causa i maccheroni; e
sono:
È ccaruto ‘o maccarone dint’ ô ccaso letteralmente: È cascato il maccherone nel cacio id est: si è verificata una
circostanza estremamente favorevole ed inattesamente proficua: per solito e
normalmente è il cacio ad esser cosparso
sui maccheroni, qui invece il maccherone casca e si rotola addirittura nel
formaggio che viene per ciò ad essere
attinto cosí tanto copiosamente da
risultare cosa eccessiva quantunque gradevole e gradita; caruto
= caduto voce verbale (part. pass.) dell’infinito cadé (cadere) che è dal lat.
volg. cadíre, per il class. cadere con tipica alternanza mediterranea D/R;
caso = cacio, formaggio (dal lat. caseu(m));
-
Mmità a ccarne e mmaccarune letteralmente: Invitare a (desinare) carne e maccheroni, ma per traslato: Fare una proposta molto allettante, invitare
qualcuno a partecipare ad un avvenimento oltremodo gradevole; un tempo,
stante la grande miseria popolare dei napoletani, satollarsi
improvvisamente – magari a sbafo – di
carne e maccheroni fu ritenuto una gran fortuna; la carne ed i
maccheroni furono, un tempo il pasto domenicale dei napoletani, pasto che ben
difficilmente poteva venir consumato nei giorni feriali, se non per elargizione
munifica di qualcuno.
‘Mmità
voce verbale, infinito del verbo
‘mmità (‘mmitare) che è
invitare
l’/etimo è dal latino invitare
composto dalla particella in +
vitare (dove vitare dovette significare volere e cioè: invitare qualcuno = voler qualcuno
in un (consesso) in un (banchetto) etc.
La strada seguíta per
pervenire a ‘mmità partendo da invitare
è quella che prevede l’aferisi della
vocale nella sillaba d’avvio e la successiva assimilazione progressiva che da nv porta ad mm come altrove che da invece portò a ‘mmece, inventare che condusse ad ammentà e poi ‘mmentà etc. In coda aggiungo l’espressione
'NU MACCARONE, VALE CIENTO VERMICIELLE. ppure MEGLIO ‘NU MACCARONE CA CIENTO
VERMICIELLE
Letteralmente: Un maccherone, vale cento vermicelli.oppure
meglio un solo maccherone, che cento vermicelli Ma le locuzioni non si
riferiscono alle pietanze in sé. Il maccherone delle locuzioni adombra la
prestanza fisica ed economica che la vincono sempre sulle corrispondenti
gracilità, quantunque strictu sensu un maccherone (pasta doppia) sia veramente
preferibile per gusto a cento vermicelli
(pasta sottile).
7.PARÉ ‘A GATTA D’ ‘O
STURENTE CA MAGNA E S’ALLAMENTA
Letteralmente: Sembrare la gatta dello studente che mangia e
si lamenta;locuzione usata per
sarcasticamente bollare la pessima,incomprensibile abitudine delle persone [soprattutto donne] che tengono,
per partito preso, un ingiustificato comportamento immotivatamente lagnoso, uggioso e piagnucoloso anche in occasioni del tutto
gradevoli, quale quello del mangiare. Protagonista
della locuzione è una gatta (presumibilmente femmina) atteso che - la locuzione viene di preferenza riferita
ad una donna ed al suo comportamento;nell’ espressione in esame però la gatta non è piú la strana bestiola
[cfr. alibi] della sié Maria di altra
locuzione adusa a lamentarsi se felice ed a ridere se scontenta, ma è la bestiola [forse tenuta come domestico
animale di compagnia] d’un non meglio identificato studente che entra nella
locuzione soltanto per fornire una rima al verbo allamenta,tenendo presente che
nell’idioma napoletano, quando non siano parole tronche accentate sull’ultima
sillaba, le vocali finali delle parole
son tutte pronunciate in modo evanescente e/o debole per cui un’acconcia rima
con allamenta può esser fornita da qualsiasi
parola terminante ovviamente in ènta, ma pure in ènte o ènto e sturente può rimare tranquillamente con
allamenta!
E qui penso di poter far punto
convinto se non d’avere esaurito
l’argomento, soddisfatto almeno gli amici, tra i quali P.G. ed interessato qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori e piú genericamente
chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
Brak
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