Arricurdarse ‘o cippo a Furcella, ‘a lava d’’e Virgene, ‘o catafarco ô Pennino, ‘o mare ô Cerriglio.
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare al Cerriglio.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populus; tipico il passaggio in napoletano PL→CHI)
parola poi corrotta in cippo e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi sono ricordati vari altri accadimenti , quali
1- ‘a lava d’’e Virgene(la lava in lingua napoletana, etimologicamente dal dal lat. labe(m) 'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava., ma anche un a copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a quest’ultima che qui si fa riferimento (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua piovana che a Napoli fino agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) e percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò che capitasse lungo il suo precipitoso percorso),
2 - ‘o catafarco al Pendino (id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino, altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in lingua napoletana, con derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV SEC. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me che divenne na per render femminile la parola originariamente maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; l’adattamento corruttivo di me in na si rese necessario, atteso che volgere al femminile un nome terminante in me facendolo diventare ovviamente, ma inesattamente ma, (atteso che i sostantivi maschili terminanti in E, normalmente volti al femminile non mutano desinenza e potrebbero ingenerare confusione interpretativa in mancanza dell’articolo) sarebbe stato errato, si preferí cambiar l’inesatta ma in na (desinenza che non ingenera confusione)!) si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni; qui è usato per traslato ad indicare un altare molto imponente), infine:
3 - ‘o mare al Cerriglio (cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:
Magnammo, amice mieje, e po' vevimmo
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace = ci sta; il ce dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima pers. pl. [atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B→V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
Raffaele Bracale
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