PASTIERA NAPOLETANA*
Ingredienti
Per Sei Persone
Grano cotto - 1 lattina 450 gr,
Aroma millefiori per dolci - 10 ml,
Latte - 250 gr,
Strutto - 180 gr,
Arancia o limone - scorza grattugiata,
Ricotta - 550 gr,
Uova - 9
Zucchero - 600 gr,
Vaniglia - 1 bustina
Cannella in polvere – 1 cucchiaino da tè
Farina - 350 gr,
Sale una presa
Zucchero a velo per guarnire 2 cucchiai
Canditi sminuzzati - 100 gr.
Per arricchire il composto della pastiera è d'uso e consigliato aggiungere alcune cucchiaiate di una crema pasticciera preparata con:
un bicchiere di latte,
1 etto di zucchero,
50 gr. di farina 00,
4 rossi d'uovo,
la scorza di un limone,
un baccello di vainiglia
Procedimento
Preparate la pasta frolla: sulla spianatoia lavorate la farina con 2 uova, un pizzico di sale, 140 g di strutto e 140 g di zucchero. Come tutte le paste frolle bisogna impastare rapidamente. Ottenuto un panetto sodo ed elastico tenetelo a riposo, coperto, mentre preparate il ripieno.
Versate il contenuto del barattolo di grano cotto in una casseruola; amalgamatelo sulla fiamma bassa con il latte e la scorza grattugiata di un'arancia o di un limone a vostra scelta. Cuocere a lungo ed a mezza fiamma, mescolando attentamente perché non si attacchi, fino ad ottenere un composto cremoso.
Frullate la ricotta con 500 gr. di zucchero, 5 uova intere piú due rossi, una bustina di vaniglia, un cucchiaino da tè di cannella in polvere ed 1 fiala di aroma millefiori. Questo aroma può essere sostituito anche da una fiala di fiori d'arancio, piú facilmente reperibile sul mercato. La vera essenza da usare, però, nella pastiera è la prima. Amalgamate il frullato con il composto a base di grano e aggiungetevi i canditi tagliati a dadini, girando molto bene.
Accendete il forno e portatelo a 180°. Ungete di strutto o rivestite con carta da forno una tortiera adeguata (ca 25 cm. di diametro), a bordi alti sei cm. di quelle apribili. Foderate lo stampo con la pasta frolla in modo da arrivare fino ai bordi e avendo cura di conservare un po' di pasta frolla per decorare la superficie del dolce. Versate il composto e decoratene la superficie con strisce strette 1,5 cm. di pasta frolla, formando come un graticcio
Infornare per ca 180 minuti.
Lasciar raffreddare bene nello stampo e prima di servire cospargere di zucchero a velo.
Accompagnare la preparazione con rosolii dolci al gusto di arancia o limone.
*Questo dolce è tipico della zona napoletana e viene preparato in occasione della festività primaverile della santa Pasqua e la sua ricetta è molto antica. Da qualcuno, ma non so quanto veridicamente, si afferma che la pastiera, , accompagnò le feste pagane celebranti il ritorno della primavera, durante le quali le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l'uovo, simbolo di vita nascente, mentre il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta, potrebbero derivare dal ricordo del pane di farro delle nozze romane, dette appunto confarreatio= confarreazione, una delle forme legali del matrimonio romano, la piú solenne (tanto che un matrimonio celebrato in questa forma non poteva esser mai sciolto!) che prendeva il nome dalla focaccia di farro farcita di ricotta offerta agli sposi e a Giove.
Un'altra ipotesi circa l’origine della pastiera la fa risalire alle focacce rituali che si diffusero all'epoca di Costantino il Grande, derivate dall'offerta di latte e miele, che i catecumeni ricevevano nella sacra notte di Pasqua al termine della cerimonia battesimale. Per il vero la versione originale della pastiera napoletana, versione nata nel contado partenopeo, consistette ed in taluni paesi ancóra consiste ( sia pure con il nome di pizza doce ‘e tagliuline) in una sorta di frittata di pasta, frittata dolce fatta mescolando uova, zucchero, ricotta ed aromi con la pasta lessa (spaghetti o vermicelli o tagliolini) scondita, eccedente il fabbisogno dei commensali; dalla parola pasta addizionata del suffisso femm. di pertinenza iera deriva il nome di pastiera.
Nell'attuale versione, si pensa che la pastiera fosse stata inventata probabilmente nella pace segreta di uno sconosciuto, dimenticato monastero napoletano dove un'ignota suora addetta alla cucina volle che in quel dolce, simbologia della Resurrezione, si unisse agli ingredienti della cucina quotidiana, il profumo dei fiori d'arancio del giardino conventuale. Alla bianca ricotta mescolò una manciata di grano bollito,quel grano che, sepolto nella scura terra, germoglia e risorge splendente come oro, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori odorosa come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie venute dall'Asia.Non vi sono certezze circa il nome del monastero, mentre è certo che le suore dell'antichissimo convento di San Gregorio Armeno furono reputate maestre nella complessa manipolazione della pastiera, e nel periodo pasquale ne confezionavano in gran numero per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia, o per offrirne (in cambio di una piccola elemosina da destinare ai poveri) ai visitatori del convento.
Oggi ogni brava massaia napoletana si ritiene detentrice dell'autentica, ed ovviamente migliore, ricetta della pastiera. Ci sono,per intenderci , due scuole di pensiero : la piú antica insegna a mescolare alla ricotta, al grano cotto ed agli altri ingredienti delle semplici uova sbattute, e prevede che il dolce risulti alto non piú di due dita; la seconda(decisamente innovatrice) alla quale aderí anche mia madre dalla quale ò appreso la ricetta del dolce piú buono in assoluto, raccomanda di confezionare un dolce alto tre dita almeno e mescolare a tutti gli ingredienti (uova sbattute comprese) una densa crema pasticciera che se non la rende piú leggera, la fa certamente morbida ed appetitosa ; tale innovazione fu dovuta al dolciere-lattaio Starace con bottega in un angolo della Piazza Municipio, bottega ora non piú esistente.
La pastiera va confezionata con un certo anticipo, non oltre il Giovedì o il Venerdì Santo, per dare agio a tutti gli aromi di cui è intrisa di bene amaIgamarsi in un unico e inconfondibile sapore. Appositi "ruoti" di ferro stagnato sono destinati a contenere la pastiera, che in essi viene venduta e anche servita, poiché è assai fragile e a sformarla si rischia di spappolarla irrimediabilmente.
Personalmente lo ritengo il dolce piú saporito che si possa preparare, superiore ad ogni altra leccornia.
Tradizionalmente viene fatto per festeggiare il ritorno della bella stagione e quindi è associato alla Pasqua ma in realtà si può fare in ogni momento dell'anno visto che gli ingredienti son reperibili tutto l’anno e sarebbe un peccato non approfittarne!
* Leggenda e mitologia
Leggenda e mitologia si sposano nel narrare la storia della sirena Partenope che incantata dalla bellezza del golfo, disteso tra Posillipo ed il Vesuvio,pare avesse fissato lí(al fondo del mare di Napoli) la sua dimora. Ogni primavera però la bella sirena emergeva dalle acque per salutare le genti che popolavano il golfo, allietandole con canti d'amore e di gioia.
Una volta la sua voce fu cosí melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti: accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d'amore che la sirena aveva loro dedicato. Per ringraziarla di un cosí grande diletto, decisero di offrirle quanto di piú prezioso avessero.
Sette fra le piú belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare i doni alla bella Partenope: la farina (forza e ricchezza della campagna), la ricotta (omaggio di pastori che la producevano con il latte delle loro pecorelle); le uova (simbolo della vita che sempre si rinnova) il grano tenero, bollito nel latte (a prova dei due regni della natura), l'acqua di fiori d'arancio (perché anche i profumi della terra rendessero omaggio alla sirena ), le spezie (come omaggio dei popoli piú lontani del mondo) ed infine lo zucchero (per esprimere l'ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l'universo).
La sirena, felice per tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei. Questi, inebriati anche essi dal soavissimo canto, riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
Senza scomodare la mitologia si racconta, a vanto della pastiera, che Maria Teresa D'Austria (Vienna 31.07.1816 † Albano Laziale 08.08.1867) , consorte in seconde nozze del re Ferdinando 2° di Borbone (Palermo 1810 † Caserta 1859), soprannominata dai soldati la Regina che non sorride mai, cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, accondiscese ad assaggiare una fetta di pastiera e non poté far a meno di sorridere, nel gustare la specialità napoletana. Pare che a questo punto il Re esclamasse: "Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo".
Concludendo dirò che sia che si tratti di un dono degli dei ghiottoni, sia che sia un antico dolce d’epoca romana, o una trovata di una solerte capa ‘e pezza o piú modestamente un’ideazione di una contadina economa e parsimoniosa, a noi non resta che plaudire all’indirizzo di chi ci à donato quest’insuperabile dolce, metterci in cucina, scorciarci le maniche, prepararlo e poi mangiarlo appena sia raffreddato, in barba al diabete, trigliceridi, colesterolo memori ca una vota se campa e tutt’’o llassato è perduto!
Alla pastiera ò dedicato i seguenti sonetti.
’A Pastiera
I
Simmo arrivate a Ppasca e pure st’ anno
t’ hê miso ’ncapo ca m’ hê ’a fa ’a pastiera…
Tu me saje cannaruto ’e che manera
pe chistu dolce lloco e staje ’nciarmanno
cu zuccaro e ricotta, ca… nun sanno
qua’ fine aspetta… ggià da ajeressera
’mmiez’ ô revuoto ’e cinche, seje turtiere
ca o songo piccerelle o troppo ’ranne…
Ògne anno ’a stessa storia puntualmente
e ògne anno ’o risultato è ttale e cquale…
J’ ’o ssaccio: me vulisse fà cuntento,
ma ’o fatto è cchisto – nun l’averlo a mmale –
quanno s’ arape ’o furno, ch’ esce fora?
’Na ddia ’e pantosca tosta e senz’ addore!
E me se stregne ’o core!
E m’ arricordo, ahimmé, cu nustalgia
d’ ati pastiere… Chelle ’e mamma mia!
II
Quanno era viva mamma, eh gioja mia…,
ê juorne ’e Pasca, ’a casa, chien’ ’addore
sapeva tutta d’ acqua ’e millefiore
e te metteva ’ncore n’ alleria…
Ma che ne faje ’e ’na pasticceria!?
Pastiere tante, oj ne’, chiene ’e sapore
cotte a mestiere, ca ’un vedive ll’ora
e n’ assaggià ’na fella, comme sia
senza aspettà ca se fosse freddata,
pecché, ’ncopp’ ô buffè d’ ’a stanza ’e pranzo –
guardannole zucose e prelibbate –
pareva ca dicesse’: Fatte ’nnanze!
Ch’ aspiette? Taglia e dicce: Bellavita
’e ffa cchiú mmeglio, ’e ffa cchiú sapurite?…
Nun resistevo ô ’mmito
e ne facevo tale e tante assagge
ca finché campo nun m’ ’e scurdarraggio!
III
E pure tu ’assaggiaste e te piacette
talmente tanto d’alliccarte ’e ddete…
Dicive: Sta ricotta è comme â seta,
’sta pastafrolla è propeto allicchetto!…
Ragion per cui, teté, cu ogni rispetto,
nun t’ ’a piglià si j’ mo, ’nnante a ’sta… preta,
cu ’a scusa ’e tené ’o ppoco ’e diabbete,
j’ me ricuso… Nun è ppe dispietto
ma proprio nun ce ’a faccio… Tiene mente:
se sente ’o ggrano, è vvascia, s’ è arruscata
è scarza ’e cetro e ’a crema n un va niente…
e aje voglia ’e ’mpupazzarla: ’sta… crostata
secca e ’ntaccuta e cu ’na faccia nera
nun m’ ’a puó fa passà pe ’na pastiera!
Pirciò cagna penziero:
nun è arta toja! E si è pe… devuzzione
pígliala bbella e ffatta… e statte bbona!
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento