sabato 6 febbraio 2016

IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA


IL  RADDOPPIAMENTO  DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA
 

 Premesso che a mio avviso la questione del raddoppiamento détto pure geminazione iniziale o interno  delle consonanti, quantunque  rappresenti, soprattutto per i non addetti ai lavori o per chi sia alle prime armi,ma pure (purtroppo) per taluni spocchiosi studiosi o sedicenti tali che ne negano l’utilità e/o l’obbligatorietà (e faccio, uno per tutti,  il nome di A.Altamura il cui calepino del napoletano brulica di strafalcioni morfologici..., quantunque la questione   rappresenti, una delle maggiori difficoltà nel rendere per iscritto i dialetti centro meridionali e segnatamente  la  parlata napoletana,ma che comunque non presenti difficoltà  insormontabili, rammenterò   che già intorno al  1780 in ordine a tale questione ed altre similari s’erano scontrati letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando  Galiani.

( Luigi Serio   letterato e patriota (Massa Equana, Napoli, 1744 † Napoli 1799);  fu allievo di A. Genovesi, prof. di eloquenza all'univ. di Napoli, dopo il 1790 fu repubblicano, e morí combattendo i sanfedisti. Fu improvvisatore e autore di melodrammi;  egli propugnò (in un'arguta risposta polemica in dialetto (Lo Vernacchio) all'abate Galiani), propugnò e giustamente una scrittura dialettale quanto piú prossima possibile alla lingua parlata, servendosi perciò senza lesinare  di geminazioni,accenti e  segni diacritici, nonché  di apocopi,   aferesi etc.  )Di parere diametralmente opposto fu il cosiddetto abate Galiani (

Ferdinando Galiani: economista e letterato (Chieti 1728 † Napoli 1787). A 16 anni scriveva dissertazioni di argomento politico, economico, archeologico etc. pubblicò poi un trattatello sul Dialetto napoletano (1779) ed un vocabolario del medesimo dialetto (post., 1789)).

Rammentato  lo scontro tra  letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando  Galiani, preciso súbito ch’io mi schiero con Lugi Serio e son dalla sua parte  e non per simpatie politiche! Tutt’altro! Sono un convinto filoborbonico e sanfedista… e tuttavia in campo letterario mi schiero con lui e non son dalla parte del cafoncello  F. Galiani che aveva la pretesa di dissertar di napoletano,a malgrado che in realtà fosse  solo un chietino! 

Dirò altresí  che comunque  sulla questione del raddoppiamento o geminazione iniziale o interno  delle consonanti,  occorre essere cauti, ma fermi,  dando poche, ma sufficienti e  nitide dritte e/o indicazioni.

Inizio perciò con il chiarire che  diversa è la questione del A)raddoppiamento consonantico iniziale da  quella del

B) raddoppiamento consonantico interno


 A)raddoppiamento consonantico iniziale


  Per quanto riguarda il raddoppiamento consonantico iniziale,  occorre fare una prima, basilare considerazione:  anche in italiano ci sono  tante consonanti iniziali che,  precedute da vocale,  si pronunciano forti e raddoppiate, ma la loro scrittura (per una scelta dei padri fondatori della lingua nazionale, scelta che non condivido)  è sempre scempia;  ad esempio: in italiano  “a poco a poco”,   di fatto vien pronunciato   a ppoco a ppoco,  “a me”  lo pronunciamo di fatto  a mme,  “vado a casa”  lo pronunciamo di fatto  vado a ccasa. Ma, ripeto, la loro scrittura (cosí vollero, ahi loro, i padri della lingua nazionale…) è sempre scempia e  non si capisce proprio in base a quale criterio  si evitò  di scrivere quelle parole le cui consonanti iniziali son pronunciate in maniera forte e raddoppiata,  con la consonante iniziale geminata.  Ebbene, prendendo a modello l’italiano,  qualcuno (A. Altamura, per non far nomi, ma solo cognomi!...,  si chiede (ma erroneamente),  perché mai  in napoletano  si dovrebbero avere o si ànno per iscritto  tanti raddoppiamenti di consonanti iniziali. Sarebbe piú giusto chiedersi il contrario: perché mai l’italiano eviti la scrittura  delle consonanti geminate     e  non si capisce proprio in base a quale criterio  si debbano  scrivere scempie le consonanti iniziali pronunciate doppie!  

D’altro canto se anche esistesse un criterio o una regola dell’italiano chiara e codificata e non dovuta all’uso,  che affermasse l’inutilità dell’indicazione per iscritto  della consonante iniziale geminata, non vedo perché la cosa dovrebbe valere per l’idioma napoletano scritto che è linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle  della lingua nazionale. Ma  quel qualcuno ed altri suoi pari:  L.I., N.D.B.( e qui pago il mio tributo alla solita carità cristiana che m’impone di limitarmi alle iniziali di nome e cognome, per tacere che si tratta: il primo   d’un notissimo medico/letterato uso ai teleschermi regionali ed il secondo d’un altrettanto noto cattedratico del principale ateneo partenopeo)    intignano ed insistono con il sostenere che a  loro  avviso,  il lettore (sia esso partenopeo che di diversa origine) non à bisogno di essere guidato graficamente alla pronuncia doppia,  dal momento che è già abituato (se è  italiano) a pronunciare raddoppiate tante consonanti iniziali che si appoggiano ad una vocale precedente.Ebbene  vorrei chiedere a quei dessi  come si comporterebbe, a parer loro  uno straniero che dovesse leggere un testo  napoletano scritto alla maniera del Galiani o di costoro suoi epigoni che    osservano  inoltre che il non napoletano non saprà mai ben pronunciare il  dialetto partenopeo  neppure se  fosse guidato dai piú accurati e puntigliosi segni diacritici e fonetici.Ognuno vede che si tratta d’una sciocca petizione di principio priva di conclamata prova. Né mette conto  dar risposta a colui che scioccamente si chiedesse   perché utilizzare per   (o abbondare in ) il napoletano scritto   combinazioni grafiche del tutto estranee alle regole ed alla tradizione della  lingua madre nazionale? Non mette conto  dar risposta a costui che dimostrerebbe chiaramente d’ignorare che l’idioma napoletano scritto o orale   è un linguaggio autonomo, che risponde a regole proprie e non è tributario di regole d’altro linguaggio, men che meno   della lingua nazionale.  Da ciò il sedicente professore A. A.( è lui quel desso che piú di tutti  ignora talune regole linguiste e scioccamente intigna) ne trasse il convincimento che è superfluo raddoppiare graficamente le consonanti iniziali se non in quei pochi casi che possano ingenerare confusioni o incertezze: giunse a fare l’esempio di   ccà (qui)  rispetto a  ca (che,  perché).Ed aggiunse che peraltro anche in tale esempio sarebbe agevole osservare che la doppia  “c”  è superflua in quanto come discrimine diacritico  sarebbe sufficiente la sola accentazione  della vocale  “a”  per la voce avverbiale; quanta supponente sciocca asinaggine!Gli rintuzzo infatti che è erroneo e sciocco accentare l’avverbio napoletano  di luogo cca corrispondente dell’italiano qua;

 infatti l’avverbio cca (qua) etimologicamente deriva dal latino (e)cc(um h)a(c) ed un professore universitario dovrebbe sapere (e se non lo sa è un asino calzato e vestito…e conferma la regola che quando non si conosce qualcosa, bisogna insegnarla!...) che la caduta finale d’una consonante e non d’una sillaba non lascia alcun residuo in segni diacritici: accenti o apostrofi come càpita nel napoletano  con mo←mo(x), pe←pe(r), cu←cu(m),e nell’italiano con re←re(x)  esiti tutti che non richiedono accento o apostrofe, e chi li ponesse sbaglierebbe!

La cosa grave è che il sedicente prof. A.A. à fatto proseliti(purtroppo è nella natura umana seguire chi erra piuttosto che chi stia nel giusto…) e nel suo medesimo senso si è espresso anche L. I.(altro letterato napoletano sodale del cattedratico Nicola De Blasi)   suggerendo di raddoppiare graficamente la consonante iniziale “soltanto quando ciò rivesta un’utilità grammaticale”,  ricordando un po’ troppo semplicisticamente che vanno pronunziate doppie   - anche se si scrivono semplici -   le consonanti iniziali delle parole che sono precedute da:  a  (moto a luogo),  e/’e,,  cchiútrecunu’  (non),    (tu sei),  èàso’  (io/essi sono),  sto’  (io sto),  accussíògnequarche;  nonché  quelle che sono precedute dai pronomi dimostrativi plurali maschili e femminili.  

      Già Pirro Bichelli (altro addetto ai lavori, ma di nessuna affidabilità stante la cervelloticità di certe sue proposte o soluzioni grammaticali) ,  nel 1974,  aveva  affermato che il   “raddoppiamento grafico…  non si verifica generalmente per le consonanti in posizione iniziale,  in base al principio della uniformità della parola,  dato che esse,  nella détta posizione,  per alcuni casi si pronunziano col suono forte,  per altri col suono normale: a  ssecuzzune=a schiaffoni, ma  ‘e secuzzune.Il Pirro semplicisticamente  pretese di considerare regola una particolarità o un’ eccezione!

Tanto premesso e chiedo scusa d’essermi dilungato (ma era necessario), torniamo al nostro assunto e parliamo del

A)Raddoppiamento Consonantico Iniziale

1 - In generale si usano nello scritto e nell’orale doppie le consonanti iniziali di monosillabi che abbiano un monosillabo analogo scritto con consonante scempia ma di significato diverso (ad es. l’avverbio cca (= qua )e non ccà come asinescamente scritto da qualche sedicente letterato o professore, cca  da non confondere con la congiunzione ed il pronome ca (=che); l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano ) pur non confondendosi nel napoletano con nessun altro monosillabo la (articolo che in napoletano è dal ‘600 in poi  sempre ‘a, tranne nell’unico caso di quel disinformato Salvatore  Di Giacomo che scrisse La luna nova…) dicevo l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano ) si scrive con la doppia per rispettare l’etimologia (i)lla(c) ed in napoletano non è necessario accentarlo (llà) giacché in napoletano  la o lla non si confonde con nulla.

2-  si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali  non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.) oppure dall’ articolo neutro ‘o (il) (es. ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o ppecché, ‘o cchiummo etc.), ma se l’art. ‘o (il) è maschile (es. ‘o pesce, ‘o cinema etc.) la consonante iniziale torna ad essere scempia perché si pronunzia debole;

3 - come pure si leggono e si scrivono ugualmente doppie le consonanti iniziali di parole precedute dall’ articolo femm. ‘e (le) (es. ‘e ffiglie (=le figlie), ma ‘e figlie(=i figli).

 

Vado oltre e preciso altresí che il raddoppiamento iniziale delle consonanti nel napoletano

1)può dipendere da un aferesi che lascia una doppia (ad es.:  ‘a cchiesa/cchiesia←(e)cclesia(m) –  ll’/llu/lle(art.)←(i)ll(e)/ (i)ll(a) – lloro ←(i)lloru(m); di lla (là)←(i)lla(c) ò già détto;

    2) le consonanti iniziali b, p e g (palatale) sono sempre geminate (ad es.:bbuccaccio, bbuttone, bbutteglia,bbuvero, gGiorgio,ggente, ggioverí etc.; non si opera il raddoppiamento se la consonante g, di voci maschili  ma non le altre  comprese le  esplosiva (p,b) è seguita dai  dittonghi uo, ua (es.:  ‘e guante etc.,ma ‘e gguallere, ma ‘o bbuono,  ma a cquanno); il raddoppiamento invece avviene se la consonante g di voci maschili  e  le altre  comprese le  esplosiva (p,b) è seguita dai  dittonghi ie, ia, iu (es.: a ppiede, a Ggiesú, ‘o ggiaccone, ‘a ggiuventú, ‘o ggiuvinotto etc.)

    3) la geminazione della consonante iniziale può dipendere ancóra da assimilazione regressiva in + parole comincianti per m→mm (ad es.: in mezzo→ ‘mmiezo etc.), da assimilazione regressiva con parole introdotte da termini che conservano una sorta di consonante finale etimologica funzionale: cfr. a←ad, tre←tres,cchiú←plus che producono raddoppiamenti del tipo vaco a mmare – tre ccose – cchiú ccurto etc.  o pure la geminazione della consonante iniziale può dipendere da assimilazione progressiva  m+b/m+v→mm (cfr. ‘mmocca←in+bucca→’nbucca→’mbucca→mmocca; ‘mmidia←invidia(m)→’nvidia(m)→’mvidia(m)→mmidia;’mmitare/’mmità ←invitare)→’nvitare→’mvitare→’mmitare/’mmità);

 

4)  si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale di parole che seguono  gli aggettivi femminili  ati(altre), bbelli(belle),bbrutti (brutte) chelli (quelle) chesti/’sti(questi) cierti(talune) quanti (quante) tanti(tante)

(cfr. ad es.: ati ccose, bbelli ffemmene, bbrutti scarpe, chelli/chesti/’sti ccarte, cierti vvote, quanti/tanti ggunnelle ma quanti/tanti cavalle  etc.)

 

5) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale z (seguíta  da a, i,,o,u) di parole che sono o sono intese neutre mentre la consonante iniziale z (seguíta  da a, i,,o,u) di parole di altro genere resta scempia;

6) si verifica infine  la geminazione della consonante iniziale dei lemmi usati in funzione di  esclamazione:

Ggiesú, Ggiesú! Uh Mmaronna!

7)ecco infine un elenco di lemmi con raddoppiamenti iniziali derivanti da aferesi non segnalata graficamente

 e da  successiva assimilazioni regressive

cchiú ← *(i)nplu(s) →nchiú→cchiú  

dDio ←*(oh) Dio→oddio→(o)ddio→dDio –

ggenio ← *(i)ngeniu(m) –

lloco  non da *illoloco→illoco→lloco, ma piú verosimilmente da un *hoc (oppure in) loco donde *oc-loco→olloco→(o)lloco oppure *in-loco→illoco→(i)lloco; mmaje (forma alternativa della scempia maje; mmaje è spiegabile sempre come  assimilazione regressiva con una partenza da un

*(ia)m magis→*(ia)mma(gi)s→*(ia)mmaj(s)→ (ia)mmaje;

di per sé maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino magi(s)= piú   con caduta della  sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale e  al posto della i ;

 

mme  e tte ( = mi e ti) forme collaterali di me e te; il raddoppiamento consonantico riporta ad una base (a)d me, (a)d te  nel valore sintattico di compl. oggetto o di termine; tale raddoppiamento però non è tassativo e può essere talora usato in funzione di rafforzamento espressivo.

E veniamo al

B) Raddoppiamento Consonantico Interno

Premesso che tutte le consonanti interne  esplosive che formano sillaba con una vocale tonica  si pronunziano e si scrivono doppie (cfr. ad es. tabacco in italiano ma in napoletano tabbacco, abete in italiano, ma in napoletano abbete etc.); e premesso che  ugualmente si leggono e scrivono doppie, oltre le esplosive   b e p, anche il gruppo br→bbr e quello blbbl, la zeta , e  la g palatale  soprattutto nelle parole che in italiano terminano in zione o gione ed in napoletano vanno rese, se precedute da vocale in zzione e ggione mentre conservano la zeta o la gi scempia nel caso zione o gione siano precedute da consonante;  tanto premesso entriamo in altri dettagli.

1)   son sempre doppie le consonanti interne in parole derivanti da assimilazioni regressive (cfr. abbasta← ad+basta);

 2)una serie di geminazioni è dovuta (sulla scia di esito osco ) all’assimilazione progressiva  dei foni –mb-, -nd – che evolvono nelle doppie delle rispettive nasali: mb→mm, nd→nn (cfr.  cchiummo←plumbeu(m), palummo←palumbu(m), fronna←fronda, unnece←undeci(m);  

3) si à sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole derivate da lemmi in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia (cfr. cammurista←camorra – cannottiera ←canotto etc.);

4) si à  ugualmente sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole  in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia, raddoppiamento dovuto all’intensità dell’accento tonico e dai suoi riflessi su sillabe caratterizzate da liquide o nasali (cfr. ad es.:melòne→mellone ,amóre→ammóre, innamorato→nnammurato, varechína→varrichina/varricchina etc.)

5) altri casi di raddoppiamento interno soprattutto nella seconda sillaba risalgono ad un originario prefisso ad- che à subíto una normale assimilazione regressiva con la consonante iniziale successiva producendo esiti del tipo:ad+b→abb, ad+c→acc, ad+d→add,etc.

6) consueti  casi di raddoppiamento interno riguardano le consonanti b,br,g (palatale) che se intervocaliche vanno sempre soggette alla geminazione scritta ed orale (cfr. debiti→diebbete, libro→libbro, aprile→abbrile, cugino→cuggino etc.).

Come penso di aver sufficientemente espresso, si tratta di poche e chiare norme alle quali occorre attenersi, norme che non m’appaiono né difficili , né complesse il tutto con buona pace dei paludati studiosi e/o sedicenti professori A.A., L.I.,N.D.B. che pretenderebbero, cassando n’atu rigo ‘a sott’ ô sunetto di banalizzare ciò che di per sé è già semplice e facilmente comprensibile.

In coda a tutto quanto già détto,sulla scia di quanto mi suggerí l’amico prof. Carlo Iandolo,  preciso quali sono le voci che comportano il raddoppiamento consonantico iniziale della parola che le segue; si tratta innanzi tutto di  una piccola schiera di diciassette monosillabi speciali costituiti dalla sola vocale oppure da  una consonante + vocale, a cui vanno aggiunti i due aggettivi bisillabi ògne e quacche, nonché l’avverbio trisillabo accussí: esse voci, poste avanti ad una parola con avvio consonantico, ne causano il raddoppiamento in modo del tutto particolare. Tale fenomeno à una sua giustificazione nel fatto che   il napoletano come altri idiomi/dialetti  specchio del “latino

volgare possono avérconservato –specie ed almeno nei monosillabi– le caratteristiche forme originarie conservando

sia pure nascosta nel  loro sottofondo una loro antica consonante finale( cfr. a ← “a-d”, è ← “e-st”, e ← “e-t”, ← “ne-c”, so’ ← “su-m oppure su-nt”, tre ← “tres”…), che risulta ancóra talmente vitale e funzionale da procurare

un’assimilazione regressiva, fenomeno fonetico per cui essa diventa eguale alla

successiva consonante iniziale.Seguiamo l’iter di quell’antica consonante che  in un primo momento diventò uguale a quella iniziale della parola successiva pur rimanendo

nelle rispettive sedi; ma in seguito avvenne che la consonante finale del monosillabo

si staccò andandosi  ad agganciare all’inizio della parola successiva, procurando appunto il

raddoppiamento anche scritto:ess.: tu e-t nuje → tu en nuje →tu e nnuje; tre-s vote →  trev vote →tre

vvote;e-st guaglione → eg- guaglione → è gguaglione…;etc.

Ora  non ci rimane, a mo’ di riepilogo  che  l’elencazione dei A) diciassette “monosillabi speciali”del napoletano:

a (← a-d), che (qui-d), cchiú (← plu-s), cu (← cu-m), è (← e-st), e (← e-t), formula

à dda + infinito (← *hat da), (← ne-c), nu’ (= nu-n), l’articolo neutro (il-l)u(-d) →’o(-d), l’articolo plur. femminile (*l)e(-s)→’e, il pronome (*l)e(-s)→’e + verbo, pe (← pe-r), po’

+ infinito (← *po-test), tu sî (← si-s), so’ (← su-m opp. su-nt), sto’ (← *stom: come “su-m” ), tre (← tre-s).

Una seconda conferma della consonante nascosta ma attiva,è

rappresentata anche nel “qui-d” latino = “che” napoletano   voce che asddirittura conserva

ancóra l’originaria “-d” nell’espressione interrogativa  ched’è / cher’è?(cosa è?)che riproduce esattamente il lat. quid e(st) e non à ragione di scrivere che d’è; l’apostrofo di ched’è è usato solo per soddisfare il senso estetico dell’occhio che non apprezzerebbe un ched è.

B) Ancóra poi  anche dodici aggettivi terminanti in i, pur senz’avere la consonante finale

nascosta ed operante, procurano egualmente il raddoppiamento de quo, ma soltanto se la parola successiva è di genere femminile:

ati, bbelli, bboni, bbrutti, chelli, chesti, cierti, (antico articolo) li, quali, quanti,

’sti, tanti, troppi (che per giunta –in quanto proclitici, cioè posti prima, ma  intimamente legati alla

parola successiva– ànno pronunzia piena, anche se la loro “-i” finale risulta atona).

Ess: ati ffemmene, cierti ssartulelle, chesti ssignore, quanti vvote, ’sti mmane, li ccerase rosse, tanti ffessarie,  troppi ccose

Quando però i medesimi aggettivi, ad eccezione di ati, chelli, chesti, cierti, quanti, ’sti, tanti, troppi [che son sempre proclitici]  seguono il sostantivo femminile   assumono la classica morfologia  in “-e”  finale di tono evanescente e sono: bbelle, bbone, bbrutte  che sono i medesimi bbelle, bbuone, bbrutte  posposti usati per il m.le plurale e non v’à ragione di usare per gli agg.vi m.li pl. le forme bbelli, bbuoni, bbrutti con la pronunzia piena della “-i” finale  atona. È mia convinzione che la desinenza femminile  “-i” di suono pieno altro non sia che una “-e” camuffata per dare alla parola suono pieno. ancorché atono e non quello evanescente della  “-e”.

C) Diverse le ragioni del raddoppiamento iniziale di voci quali ‘o rre (il re) ‘o rraú (il ragú) ‘a rrobba (la roba); vediamole analiticamente: nel caso d el sg.  ‘o rre  (il re) con ogni probabilità il raddoppiamento è dovuto ad una sorta di analogia con la voce pl. li rre (i re) nella quale temporibus illis si procedette alla geminazione della consonante iniziale  ad imitazione di quella dovuta  all’ art. f.le li  di cui antea; la geminazione della voce plurale fu poi mantenuta nell’uso comune  anche per il sg. ‘o rre; nel caso della voce rraú  il raddoppiamento è da riferirsi all’ art.icolo neutro (ill)u-d →’o  onde l’assimilazione regressiva di cui già dissi; nel caso di rrobba (roba) come per altri lemmi quali rraggia (rabbia), rricietto (sistemazione, riposo) bisogna rammentare che nei lessici ottocenteschi i lemmi sono registrati come arrobba, arraggia, arricietto per cui non fa meraviglia se nel corso del tempo la A iniziale  fu intesa come articolo e disglutinata  lasciò lemmi con  la geminazione della consonante iniziale. In coda ed in aggiunta a tutto quanto qui détto rammento e preciso  che in napoletano  la “B” nonché la “G” palatale (soprattutto + “i”)  di termini preceduti da articolo (cosí da propiziare una posizione intervocalica) propendono al raddoppiamento consonantico iniziale  per un fenomeno popolare naturale.Con ogni probabilità si tratta  d’un influsso toscano sul napoletano (reiterato nei secoli), cosí come congetturò il grande grammatico Alfredo Schiaffini, che individuò condizioni d’origine di tale raddoppiamento nell’area senese, poi piattaforma di diffusione : ad es.: il giovane [pronunciato il ggiovane], il bicchiere [pronunciato il bbicchiere]; nel napoletano aduso, come ò piú volte rammentato, a ripetere graficamente i raddoppiamenti fonetici avremo quindi   ’ o bbicchiere, ’o bbabbà, ‘o ppanecuotto  e via via ‘o ggiovane, ‘a ggiuventú, ‘o ggiurnale ‘o ggiuvinotto etc.  Del resto anche il Rohlfs (Fonetica della lingua italiana e dei suoi dialetti) a pag. 211 (paragrafo 156) precisa che nell’Italia meridionale “questa g palatale viene pronunciata con un appoggio piuttosto forte della voce, per cui è quasi una gg; alle volte si forma una vocale d’appoggio, per es. in romanesco ggente, brindisino ‘a ggènda, napoletano a ggente, calabrese a ggenti = “la gente” (dove per vocale d’appoggio l’illustre studioso intendeva l’articolo ’a…) ecc. Ciò a riprova della precisazione ben valida dello Schiaffini, che delineò l’origine locativa del fenomeno.

 

E giunto a questo punto, per evitare che mi scappino i cavalli e smarroni nei confronti di qualche cattedratico, faccio punto augurandomi di non dover far ricorso ad un errata corrige.

Satis est.

Raffaele Bracale   

 

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