domenica 7 febbraio 2016

PEPPIÀ E PAPPULIÀ


PEPPIÀ E PAPPULIÀ

  Un amico, di cui taccio il nome mi à chiesto spiegazione delle voci in epigrafe; gli à testualmente risposto: Caro amico ò piacere che mi abbiate posto il quesito, perché è necessario dire una definitiva parola chiarificatrice per modo che finalmente si intenda che il verbo pippià/peppià [riservato al ragù e sughi affini] è del tutto diverso dal verbo pappulià, impropriamente usato in provincia riferito al ragù e sughi affini; infatti pappulià = cuocere a fuoco medio alto ed a pentola coperta al fine di asciugare minestre troppo brodose è un collaterale del verbo pappià, denominale di pappa + il suff. dimituvo ul e l’infisso intensivo/durativo –i-.

Come vede c’è enorme differenza tra pippià/peppià = cuocere lentamente ed a fuoco moderato ma  a pentola semicoperta e pappià/pappulià ed è erroneo e provinciale confonderli. Mi dilungo e reitero la spiegazione circa i verbi

 

PEPPÏARE /PIPPÏJÀRE

VocI onomatopeiche che indicano in generale una tipica cottura prolungata a fuoco basso con recipiente non del tutto turato dal coperchio, ma indica soprattutto  il momento prossimo alla conclusione della preparazione del ragú napoletano, allorché dal fondo della pentola dove è in cottura la salsa di carne e pomodoro, affiorano ripetutamente  in superficie delle bolle  d’aria che al culmine della tensione si rompono producendo un suono simile a quello  che  produce  chi  tira una boccata di fumo dalla pipa. Il toscano traduce in maniera piuttosto imprecisa e  superficiale: sobbollire.

Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú, come una qualsiasi altra preparazione  che dovrebbe peppiare,sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe napoletana. Il segreto per far peppiare la salsa sta – oltre che nel tenere la fiamma piuttosto bassa- nel non turare completamente con il coperchio la bocca della pentola, ma nel poggiare il coperchio su di un lato della pentola mentre in direzione opposta occorre poggiare il coperchio non sul bordo della pentola, ma sul cucchiaio di legno posto di traverso l’imboccatura, per modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda. Solo dopo che la salsa abbia peppiato per circa tre quarti d’ora e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione dell’olio e dello strutto  che affiorano in superfice lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno,  si potrà spegnere il fuoco .

In chiusura rammenterò che la voce in epigrafe è resa  nelle Puglie con il termine pippijà che ad un dipresso ripete l’onomatopea partenopea peppïà,

mentre in Sicilia è usato il termine carcariare  voce che, risultando essere un denominale di carcara ( calcara o grossa pentola), lascia presumere che

 il  vocabolo presupponga un’ebollizione così violenta tale  che possa indurre il sugo ad uscir di pentola; non è pertanto il napoletano peppiare che come ò spiegato indica un bollore sí prolungato, ma calmo, direi quasi riflessivo, mai agitato o violento. In napoletano, in effetti,  il verbo carcarïare/carcarïà è usato per indicare il rumoreggiare, l’agitarsi.  Rammento ancòra  che quando in napoletano vogliamo indicare un'azione agitata di un individuo che aneli a qualcosa e lo voglia  subitaneamente, diciamo che, a proposito del bene desiderato,  quell'individuo sta scarcarenno ossia è così agitato che tracima l'ipotetica pentola del comportamento.

 

peppïà – pippijà = pipeggiare, fare il rumore della pipa ; voci onomatopeiche.

carcarïare/carcarïà =rumoreggiare; bulicare rumorosamente; voce verbale denominale di carcara che con derivazione dal  lat. tardo (fornacem) calcaria(m), deriv. di calx.calcis 'calce' indica innanzitutto

  la fornace in cui si fanno cuocere i calcari per produrre la calce o il  forno in cui si fonde la miscela di sabbia e soda usata per fabbricare il vetro e per traslato – nel caso che ci occupa -  una grossa pentola, una caldaia, un  grande recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa;

scarcarenno = tracimando  la caldaia  voce verbale (gerundio ) dell’infinito

scarcarí = tracimar la caldaia  denominale di carcara  da un  

ex-carcara   però con cambio di coniugazione  che da un  atteso excarcarïà  passa adexcarcarí.

A margine e completamento di tutto quanto esaminato, rammento che   i verbi pippijà/peppià [riservato al ragù e sughi affini] sono del tutto diverso dal verbo pappulià, impropriamente usato in provincia riferito al ragù e sughi affini; infatti pappulià = cuocere lento ed a pentola coperta al fine di asciugare minestre troppo brodose è un collaterale del verbo pappià (di pari significato), denominale di pappa + il suff. dimituvo -ul- e l’infisso intensivo/durativo –i-.

Come  si vede c’è enorme differenza tra pippià/peppià e pappià/pappulià ed è erroneo e da provinciali confonderli

Brak

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