1 PARE
PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente:
sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va
reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure
che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui
rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il
Pasquale richiamato nella locuzione fu
un tal Pasquale Barilotto lamentoso personaggio di farse pulcinelleche del
teatro di A. Petito.
2 PARÉ 'O
PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente:
sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta,
statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano
settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui
stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole
chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera
l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.
2bis PARÉ 'O VOCCAPIERTO ‘E SAN GIUVANNE
Letteralmente:
sembrare il bocca-spalancata di San Giovanni. Id est: avere l'aria attonita
stupita, allibita, meravigliata,tal quale i mascheroni apotropaici (con occhi
spiritati e bocca spalancata) che ornavano una villa fatta edeficare nel 1535
da Bernardino Martirano, segretario del regno ( Cosenza
1490,†
Portici (NA) 1548) in contrada
Leucopreta adiacente il quartiere
napoletano di San Giovanni a Teduccio;
l’espressione viene altresí, sebbene
impropriamente, riferita a tutti coloro
che siano pettegoli e linguacciuti al segno di tener sempre la bocca aperta per
riferire fatti ed avvenimenti che, per altro, non li riguardano e non sarebbero
perciò tenuti a propalare. Qualcuno erroneamente (come si evince da ciò che ò
già detto) pensa che la locuzione si riferisca agli abitanti di san Giovanni a
Teduccio, zona periferica di Napoli, abitanti ritenuti ( però gratuitamente ),
linguacciuti e pettegoli
3 MEGLIO A
SSAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô MUOLO.
Letteralmente:
meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni
ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno.
Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate le carceri,
mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza
Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.
4
FUTTATENNE!
Letteralmente:Infischiatene,
non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. E' il pressante invito a
lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando
eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia
operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su
parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san
Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della
"memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero
la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero sui muri cittadini:
SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non
si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma.
5 FÀ ‘E UNO
TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente:
farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno
talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in
minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa.
6 FÀ TRENTA
E UNA TRENTUNO.
Quando
manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo
piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno non v'è che
un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che
fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, per mera liberalità (non essendovene
reale necessità) un trentunesimo non previsto in origine.
6 ESSERE
CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente:
essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e
facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco
opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve.
7 ESSERE
CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente:
essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene
riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni
nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non
perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono,
per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei
peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che
ne rimane metaforicamente insozzato.
8 'O RIALO
CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente
: il regalo che fece Berta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La
locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente
quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse
elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res.
9 'E PPAZZIE
D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente:
i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di
cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe
opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla
osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per
gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi
vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a
pratiche sodomitiche
10.TRE
CCALLE E MMESCÀMMECE.
Letteralmente:
tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito
a Napoli colui che, senza verun sacrificio di mezzi o di azioni, si intromette nelle faccende altrui,volendo
sempre, da saccente e supponente, dire
la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due
facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di
callo. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende
altrui.
11.CHI SE FA
MASTO, CADE DINT'Ô MASTRILLO.
Letteralmente:
chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della
locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto
soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o
consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in
trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. Il mastrillo, dal
lat. mustricula, è la piccola trappola per topi.
12.TUTTO A
GGIESÚ E NNIENTE A MARIA!
Letteralmente:
Tutto a Gesú e niente a Maria! Ma non è un incitamento a conferire tutta la
propria devozione a Gesú ed a negarla alla Vergine; è invece l'amara
constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni,
distribuzione di cui ci si dolga, nella
speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa
redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non
migliora per il petente. Le parole in
epigrafe ripetono quelle pronunciate da
un anziano pievano che redarguí il proprio sacrestano che, delegato ad
addobbare gli altari laterali della pieve, aveva riservato gli addobbi al solo
altare del Cuore di Gesú, lesinando sugli addobbi all’altare della Vergine.
13.CHI
GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente:
chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione
della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano
ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori
di beni altrui sono incorreggibili ladri! Perché meravigliarsi se gli
amministratori della cosa pubblica son usi a rimpiunguire i propri conti
correnti? È un fatto ineluttabile a cui bisogna abituarsi!
14.PARÉ
LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente:
sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo
e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce(nome d’arte di Charles S.
Stratton, nanetto inglese [che si esibiva nel circo dell’impresario Barnum
Phineas Taylor(Bethel, Connecticut, 1810 - † Bridgeport, Connecticut, 1891)]
,pagliaccio inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860,ad esibirsi in un
circo equestre; fu uomo molto piccolo e ridicolo e per questo fu preso a modello dagli
artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo come maniglia del
coperchio delle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato,
l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini
che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono
invece l'esatto opposto.
15.FÀ COMME
A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATO CE METTETENO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente:
far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro.
Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il
danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di
santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del
preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già
perpetrato i loro furti sacrileghi a danno della antica chiesa partenopea.
16.ESSERE 'A
TINA 'E MIEZO.
Letteralmente:
essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto piú sporco,
piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a
persona ritenuta cosí massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata
al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami
da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti
con due tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il
letame raccolto.
Rammento che
con il vocabolo tina (dal t. lat tina(m)←tinu(m)) si è creato il femminile di tino per indicare
un oggetto piú grande del corrispondente maschile In napoletano infatti un
oggetto che sia o sia inteso di volume o ampiezza piú grande e/o grosso di un
corrispettivo oggetto maschile, viene
inteso femminile (cfr. cucchiaro piú piccolo e cucchiara piú grande, carretto
piú piccolo e carretta piú grande, tammurro piú piccolo e tammorra piú grande,tino
piú piccolo e tina piú grande etc.; uniche eccezioni caccavella piú piccola, ma
femminile e caccavo piú grande, ma
maschile e tiana piú piccola, ma
femminile e tiano piú grande, ma
maschile).
17.'A CAPA
'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.
Letteralmente:
la testa dell'uomo è una falda di cipolla. È il filosofico, icastico commento
di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e
che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei
comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto
ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed
inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla.
18.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.
Letteralmente:
non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso
capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato
il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a
significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à né l'autorità, né la
capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.
19.TU NUN
CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A DO' 'E CCACCE?
Letteralmente:
Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale
domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile,
improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la
domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende
che la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la
ricchezza mostrata è frutto di mali affari. È da ricordare anche che il termine
gliuommero (dal lat. glomeru(m)(gomitolo))indicava, temporibus illis, anche una
grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento.
20.MENARSE
DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente:
buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo,
lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione
che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio
dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi,
sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (b.
lat. *braca(m)(imbracature)) proprio perché imbracano la bestia.
21.TERESA,
TERESA, TUTTA ‘A NOTTE ‘A TENE APPESA
Letteralmente:
Teresa, Teresa, tutta la notte la tiene appesa (...in mostra). Trattasi di
un’antica locuzione di tono cantilenante usata nella città bassa, negli anni
cinquanta del millenovecento, a furbesco dileggio di procaci ragazze
accreditate di essere di facili costumi e dedite se non al meretricio, alla
bella vita notturna facendo mostra gratuita delle proprie grazie. In realtà
l’espressione nacque e con tutt’altro sapore ed intendimento, al tempo del
regno di Francesco II di Borbone (Napoli, 16 gennaio 1836 – †Arco, 27 dicembre
1894), allorché l’industria dei
guantai a Napoli era già fiorente soprattutto nel quartiere Sanità dove
primeggiava tra gli altri produttori una tale Teresa Fiorillo [ ne mancano,
purtroppo, dati biografici] che prese l’abitudine di tenere aperto al
pubblico giorno e notte i suoi negozi,
inalberando l’insegna della mano guantata
appesa (cfr. alibi) donde l’espressione nata quasi a fare da reclame a quella
prodruttice di guanti; però – come ò anticipato - nella città bassa, negli anni cinquanta del
millenovecento l’espressione fu presa in prestito e ripetuta con tono
cantilenante, fu intesa nel significato salace e furbesco
riportato.
Brak
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