1 JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO
oppure
JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ
Per ambedue: Attivarsi a
qualcosa, ma non addivenire a nulla!Ad litteram: Jí cascia e turnà bauglio: Andar cassa e tornare baúle oppure jí stocco e turnà baccalà: andare
stoccafisso e tornar baccalà id est:
non approdare a nulla di concretamente apprezzabile; nel primo caso detto di
chi partito quale cassa (mero
contenitore) ne ritornasse, senza veri risultati, ma con il solo nome mutato; il bauglio è comunque nulla di piú che un semplice contenitore
ad un dipresso simile, se non uguale ad una cassa! Idem dicasi, nel caso della
seconda espressione jí stocco e turnà
baccalà per lo stoccafisso ed il baccalà i quali o che sia seccato ed affumicato (stoccafisso) o eviscerato, salato e
conservato in barile (baccalà) è pur
sempre un semplice, povero merluzzo!
Cascia: etimologicamente dal latino capsa (da capio) attraverso uno spagnolo
caja
Baúglio: etimologicamente
deverbale metatetico del latino bajulare=portare
s.m. = baúle, contenitore usato per
portare merci o altro;altrove estensivamente gobba che insiste sul petto.
Stocco: etimologicamente dallo spagnolo/portoghese estoque =bastone
Baccalà: etimologicamente dallo sp. bacalao, e
questo dal fiammingo kabeljauw
2 JÍ CU ‘O
CHIUMMO E CU ‘O CUMPASSO.
Ad litteram: andare con il
piombo ed il compasso id est: agire in ogni occasione con estrema
attenzione, tal quale gli artieri che innalzano fabbricati che usano il filo a
piombo per tener sotto controllo la esatta verticalità delle mura, o il compasso
per non perder di vista le proporzioni progettuali;
chiummo: etimologicamente dal latino plumbeum con la tipica mutazione del gruppo pl che approda al napoletano chi come altrove ad es. plaga
che diede chiaia o anche plus diventato cchiú;
cumpasso :
etimologicamente dal latino cumpassu(m)=
che à il medesimo passo.
3.AIZÀ ‘A
MANO
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere
L’ espressione, che viene
usata quando si voglia fare intendere
che si è proclivi al perdono
soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto
del sacerdote che al momento di
assolvere i peccati , alza la mano per
benedire e mandar perdonato il peccatore pentito.
4. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE.
Ad litteram: Al tempo di Pappacoda
Espressione usata a Napoli per dire che ciò di cui si sta parlando
risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso memoria e - tutto
sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da
riprodurre o riproporre; La parola Pappacone
è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima
e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di
Napoli.E ciò valga a smentire l’inesatta affermazione di taluni sprovveduti di
storia patria che ritengono (chiaramente a torto) che il Pappacone
dell’espressione sia un adattamento
del nome Pappagone, maschera
teatrale, piuttosto recente (1966), creazione del famosissimo Peppino De
Filippo(Napoli, 24 agosto 1903 –† Roma, 26 gennaio 1980). Essendo l’espressione
in esame molto piú datata rispetto alla creazione del De Filippo se ne evince che non vi sia alcun
collegamento se non una semplice assonanza tra Pappagone e Pappacone.
5. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A TERÒCCIOLE.
Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione
analoga alla precedente , espressione con la quale si vuol significare che si
sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le
braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole
carrucole metalliche.
6.
ARRICURDARSE ‘O CIPPO A FFURCELLA, ‘A LAVA D’’E VIRGENE, ‘O CATAFARCO Ô
PENNINO, ‘O MARE Ô CERRIGLIO, ‘O PERE ‘E LATTERE A FFURIA.
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei
Vergini, del catafalco al Pendino, del mare al Cerriglio e del palmizio
piantato a dimora nei giardini di piazza Cavour al tempo che il luogo era détto
‘o Llario d’’e ppigne in quanto vi si trovavano numerosissimi e frondosi pini
mediterranei.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole
di qualcuno che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai
remotissimi quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via
Forcella; per il vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id
est: pioppo; chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class.
populus; tipico il passaggio in napoletano PL→CHI) parola poi corrotta in cippo
e cosí mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi sono
ricordati vari altri accadimenti , quali 1- ‘a lava d’’e Virgene(la lava in
lingua napoletana, etimologicamente dal dal lat. labe(m) 'caduta, rovina',
deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente
costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di
lava., ma anche un a copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a
quest’ultima che qui si fa riferimento (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene
si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua piovana che a Napoli fino
agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente
sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla
sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un
monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) e
percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza
Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò
che capitasse lungo il suo precipitoso percorso),2 - ‘o catafarco al Pendino
(id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino,
altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus
Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta
probabilità derivata da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo
falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in napoletano, con derivazione da un antico castellame, si indica il
catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara
durante i funerali solenni; qui è usato per traslato ad indicare un altare
molto imponente),o ancóra 3-‘o pere ‘e lattere a Ffuria cioè, ripeto,allorché
in piazza Cavour cioé in quella zona al principio di via Foria, che sino a
tutto il 1860 era chiamata Largo delle Pigne e che gli usurpatori del Reame maldestramente
intitolarono al massimo mestatore del cosiddetto risorgimento, il conte di
Cavour Camillo Benso, cosí come mutarono la toponomastica di tante strade vie e
piazze napoletane a cominciare da quel Largo di PALAZZO [che il Re Ferdinando I
delle Due Sicilie, come voto nei confronti di san Francesco da Paola, che aveva
intercesso per lui affinché ritornasse sul trono del Regno, decise la
costruzione di una chiesa che fu portata a termine tra 1816 ed il 1846 al
centro del costruendo porticato], trasformato in piazza del Plebiscito [ in
memoria di quella truffa storica che il
21 ottobre 1860 aveva decretato l’annessione del Regno delle Due Sicilie allo
staterello savoiardo Regno di Sardegna],
da Largo di Mercatello trasformato in piazza Dante, Corso Maria Teresa [strada
panoramica, una delle arterie principali della città di Napoli, di cui può
essere considerata come la prima "tangenziale" in ordine di tempo
anch’essa voluta nel 1852 dal Re Ferdinando II]degradata a Corso Vittorio
Emanuele, in omaggio al monarca usurpatore ed altre vie;orbene originariamente
l’odierna piazza Cavour s’ebbe il nome di Largo delle Pigne [ed in napoletano
Llario d’’e ppigne (id est Largo dei Pini, détte in napoletano PIGNE con
riferimento a gli strobili di détti alberi sempreverdi della famiglia delle
Pinaceae che trovano il loro ambiente
ideale vicino alle coste del mare
)] ed infine: 4 - ‘o mare al
Cerriglio (cioè quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al
porto, nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî
amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli;
nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o
osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi
venivano a provare l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che
per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle
prostitute (in cerca di clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare
fosse, durante il suo soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi,
detto il Caravaggio Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte
Argentario), 18 luglio 1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i
seguenti popolareschi versi epicurei se non edonistici:
Magnammo, amice mieje, e po' vevimmo
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace = ci sta; il ce dal lat. volg. *hicce, per il class. hic
'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni,
all’italiano ci che è pron. pers. di prima pers. pl. atono; in presenza delle
particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito
da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron.
pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la
posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo
(piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in
posizione sia proclitica sia enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato
vita etimologicamente derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di
lux lucis 'luce', o piú probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di
appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal
latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo
significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V,
nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere,
come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
7. ACRUS EST E TE LL’HÊ ‘A VEVERE
Ad litteram : È acre, ma devi berlo
La locuzione è tipico
esempio di frammistione tra un tardo latino improbabile ed un vernacolo pieno.
Cosí a Napoli si suole
ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di talune
situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di
seguito la storiella donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un
anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il
vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle labbra il calice contenente
l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso
sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)
il curato, minacciandolo:” Dopo la messa t’aspetto in
sacrestia...”
il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me truove!” (Probabilmente
non mi troverai...)
Oggi la locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene
pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere qualcun altro che debba soggiacere agli eventi e non se ne
possa esimere.
8. AMMACCA
E SSALA, AULIVE ‘E GAETA!
Ad litteram: Comprimi e
sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il modo sbrigativo di
conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel di Gaeta,viene
usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle azioni compiute in
modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza porvi soverchia
attenzione.
9. “ A
LLU FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO, SIENTE ‘O CHIANTO”
Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero)
odore” - “Al momento di cambiarli,
piangerai.”
Locuzione che riproponendo
un veloce scambio di battute intercorse
tra un venditore ed un compratore, viene usata quando si voglia far
comprendere a qualcuno di non tentare di fare il furbo in una contrattazione
usando metodi truffaldini,perché correrebbe il rischio d’esser ripagato allo
stesso modo.
Un anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si
vide servito con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della
faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi sentí il pescivendolo che si gloriava di
averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione
in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase.
10. ADDÓ ARRIVAMMO, LLÀ METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO
Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco. La locuzione è usata sia a mo’ di divertito
commento di un’azione iniziata e non
compiuta del tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso
dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si
potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi
cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel
punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione
per portarla successivamente a
compimento.”
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di
taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio,
assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione
osco mediterranea d→r.
11.
CHIAITARSE QUACCOSA
Ad litteram: Reclamare, richiedere
(con insistenza) qualcosa,piatirla quasi lamentosamente, esigerla,
pretenderla, ridomandarla, rivendicarla con accanimento, con petulanza, con pressione e sollecitazione quasi ricorrendo (per
ottenerla) alla questione o al
litigio.Il verbo chiaità[=rivendicare, richiedere] donde il riflessivo
chiaitarse trova il suo etimo nel lat.
placitàre attraverso un plagitare con
caduta della “g” intervocaliva e sviluppo di una “j” di transito poi assorbita
nella “i” donde plagitare→pla(g)itare→plajitare→plaitare→chiaità; normale nel
napoletano e tipico l’ esito del
digramma pl in chi (cfr. platea→chiazza
- plumbeum→chiummo - pluere→chiovere – plattu-m→chiatto etc.);a sua volta
plagitare è un denominale di plagitu-m←placitu-m= lite, litigio, vertenza che
diede il napoletano chiajeto di pari significato.
12 – E
TTE PAREVA!?
Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta
pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!?”,ma che va addizionata di un
sottinteso che cosí non fósse per darle l’esatto significato che è quello di:
“Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e
viene usata con un senso di risentito
rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende
temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia
monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai
da tale pessima linea di condotta.
13 –
DOPPO PASCA VIÉNEME PESCA E MMIETTE ‘O CULO ‘INT’A LL’EVERA FRESCA!
Ad litteram: Dopo Pasqua vieni a pescarmi [cioé trovami(se ne sei
capace...)] e (per farlo) poggia le natiche nell’erba fresca. Espressione
sarcastica posta sulla bocca di un debitore che intenda procrastinare ad
libitum un pagamento o rimandare ad un tempo migliore l’adempimento d’un
compito gravoso o fastidioso quasi che il moroso voglia
sfidare il creditore a trovarlo e gli significhi che dopo la
Pasqua non lo potrà reperire presso il proprio domicilio, ma altrove e cioé
quasi certamente in giro per freschi prati pramaverili là dove si sarà recato
per la consueta gita del lunedí in
albis.
Brak
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