MANNÀ A LL’URMO
Letteralmente: mandare all’olmo che sta per mandare qualcuno a far da olmo; successivamente chiarirò il concetto; ora comincio col dire che spesso la frase in epigrafe viene confusa e distorta in mannà all’urdemo, ma si tratta evidentemente di un qui pro quo generato dall’assonanza tra urmo ed urdemo e dal fatto che chi usi l’espressione mannà all’urdemo in luogo di mannà all’urmo, probabilmente non conosce l’origine di quest’ultima espressione e perché la si usi; la cosa capitò inopinatamente (ma forse m’inganno) anche al grande Libero Bovio che in una sua canzone, che ora mi sfugge, erroneamente scrisse: t’aggiu mannato all’urdemo /pecché ll’urdemo ‘e ll’uommene tu sî. che tradotto suona: ti ò mandato in ultimo perché l’ultimo degli uomini tu sei; in tale errore probabilmente non sarebbe incorso don Ferdinando Russo, a mio avviso il più grande poeta partenopeo, oltre che drammaturgo, narratore e saggista, attentissimo studioso della parlata napoletana che andava a cogliere di persona sulle labbra dei frequentatori di infime bettole e fondaci abitati da miseri individui adusi ad un lessico popolare -gergale! In effetti mannà a ll’ urmo è espressione usata nelle bettole o osterie nel giuoco chiamato a Napoli ‘o tuocco o patrone e sotto; identico giuoco lo si fa nelle osterie romane dove prende il nome di passatella; il giuoco si svolge tra varî giocatori tra i quali vengono scelti un capo (patrone) ed un vice capo (sotto) i quali decidono ad insindacabile giudizio chi (dei giocatori) e quanto vino debba bere; spesso per dileggio o pretestuoso motivo un giocatore viene condannato dal patrone o dal sotto a non partecipare alla bevuta ed è destinato a reggere il boccale del vino in favore degli altri senza mai poterne bere; in tal caso costui si dice che è mannato a ll’urmo ossia è mandato a far da olmo (dell’altrui bevuta) riducendosi a comportarsi cosí come l’olmo, albero che nelle vigne è piantato accanto alle viti per reggerle.
PRECISAZIONE
Mi corre l’obbligo di apportare una correzione a quanto detto precedentemente; circa i versi: t’aggiu mannato all’urdemo / pecché ll’urdemo ‘e ll’uommene tu sî, mi ero ingannato e devo ritornar la stima a don Liberato Bovio;
pare infatti che i versi incriminati non appartengano ad una sua canzone, ma ad una canzone di giacca (la canzone di giacca fu un tipo particolare di composizione poetico-musicale a fortissime tinte, spesso addirittura granguignolesche, composizioni che venivano presentate in teatro da un cantante che, per l’occasione, dismetteva il frac o lo smoking, per indossare piú confacenti giacche vistose che s’attagliassero all’argomento trattato dalla canzone) intitolata : QUISTIONE ‘E TUOCCO per i versi di un tal Giuseppe. Barra e la musica del notissimo E.A.MARIO; d’accordo i versi furono di un non meglio conosciuto Giuseppe Barra, ma è grave che E.A.MARIO, il signor tutto della canzone napoletana abbia lasciato correre il qui pro quo (urdemo/urmo) e non abbia operato alcuna correzione, come invece era uso spessissimo fare con chi gli fornisse versi per le sue canzoni. Raffaele Bracale
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