sabato 4 maggio 2013
VARIE 2361
1 - QUANNO 'O MELLONE JESCE RUSSO, OGNEDUNO NE VO’ 'NA FELLA.
Letteralmente: Quando il cocomero al taglio si presenta ben colorito di rosso, ognuno ne vuole una fetta. Id est: Quando l'occasione è buona, ognuno cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per traslato, l'espressione si usa quando si voglia bollare il comportamento di chi (come l’italiano medio) è sempre pronto a saltare sul carro del vincitore...
quanno = quando, allor che, nel momento che, ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo): avv. di tempo dal lat. quando con assimilazione progressiva nd→nn;
mellone = anguria, cocomero; in napoletano ‘o mellone è sia la pianta erbacea con foglie lobate e fusto strisciante, originaria dell'Asia e dell'Africa tropicale, coltivata nelle regioni temperate per i frutti commestibili (fam. Cucurbitacee) | il frutto di tale pianta, sferico od ovoidale, con polpa biancastra, gialla o arancione, dolce e profumata(mellone ‘e pane) sia la pianta erbacea con fusto strisciante, coltivata per il grosso frutto tondeggiante dalla polpa dolce, rossa e acquosa; anguria, (mellone d'acqua) (fam. Cucurbitacee); l’etimo della voce mellone è dal lat. tardo melone(m), nom. mìlo, forma abbr. di melopepo -onis, che è dal gr. mìlopépon -onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépon 'popone; nella voce napoletana, al contrario della voce italiana melone che à mantenuto la scempia etimologica, si è avuto un tipico raddoppiamento espressivo della liquida l nella sillaba centrale;
jesce letteralmente esce e cioè si presenta, s’appalesa, si mostra voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito ascí= uscire, sortire, venir fuori con etimo dal lat. volg. ab-exire→axire→*assire→ascire;
russo= rosso (da non confondere con ruosso che è grosso)di colore rosso derivato del latino volgare russu(m) per il class. ruber;
ògneduno = ognuno pronome indef. [solo sing.] dal lat. omne(m) et de unu(m)
vo’/vole= vuole voce verb. (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito vulé/volere dal lat. volg. *volíre, per il class. velle, ricostruito sul tema del pres. volo e del perfetto volui;
‘na= una art. indeterm. femm. ed agg. numerale femm. nella sua grafia completa una; ‘na infatti è dall’acc. latino una(m) aferizzato;
fella= fetta, porzione ricavata per affettamento, pezzo di cibo tagliato largo e/o sottile: ‘na fella ‘e pane = una fetta di pane,’na fella ‘e pizza =una fetta di di torta; taglià a ffelle=affettare, tagliare a fette; l’etimo della voce napoletana è dal lat. volg. *offella(m), dim. di offa 'focaccia';
2 - SI 'O SIGNORE ME PRUVVEDE, M'AGGI' 'A FÀ 'NU QUÀCCHERO LUONGO NFINO Ê PIERE.
Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza, debbo farmi un soprabito lungo fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e aiuto dal Cielo mi voglio ricoprire fino ai piedi, un po’ per sollevar l’invidia e per modo che, ben coperto, non possa temere offese dall'esterno. .
Signore= signore, ma scritto con la maiuscola indica il Signore per antonomasia; alternativamente o il Padreterno, il Dio Padre oppure il Suo Figliounigenito Gesú Cristo; la voce a margine, presente anche nell’italiano è un derivato del Lat. seniore(m), compar. di senex senis , 'vecchio', ma è pervenuta nel napoletano probabilmente attraverso lo spagnolo señor o piú probabilmente attraverso il franc. seigneur nel pari significato di piú vecchio, piú anziano;
pruvvede= dà provvidenza, dà assistenza ed aiuto voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito pruvvedé =provvedere, disporre quanto è necessario affinché qualcosa non manchi o non subisca danni o avvenga felicemente; in partic., disporre il necessario per soddisfare un pubblico bisogno o per garantire una privata occorrenza; con etimo dal latino providíre, comp. di pro ‘a favore' e vidíre 'vedere'
m’ aggi’ ‘a fà = devo farmi; letteralmente: ò da fare per me ; locuzione verbale formata dalla 1° pers. sing. ind. pres. dell’infinito avé=avere (dal latino habíre; in napoletano l’aspirata d’avvio, intesa inutile e pletorica è eliminata) seguíta dalla preposizione ‘a(da) e dall’infinito fà/fare (dal lat. sincopato fa(ce)re) nel significato di dover fare, dire etc. qlc.; il me d’avvio della locuzione vale il mihi latino dativo di vantaggio;
quàcchero neologismo di inizio 20° sec. sost. masch. intraducibile ad litteram, ma con attestato significato nel parlato di cappotto, lunga palandrana; la voce fu modellata sul termine quaccheri ( un movimento religioso appartenente al protestantesimo); il termine quàcchero proviene dall’inglese to quake che significa tremare, quindi significa "il tremolante"; era l’appellativo con cui venivano indicati, in senso dispregiativo, gli appartenenti ad un movimento protestante, sorto nell’ambito della chiesa Anglicana in Inghilterra nel XVII secolo, perché nelle loro riunioni quando scendeva lo Spirito avevano alcune manifestazioni esteriori, fisiche, (tremori estatici), tra cui il tremare. Loro preferivano autodefinirsi: "Society of friends", ossia "Società degli amici" (di Gesú), e traevano questo nome dal Vangelo di Giovanni cap.15 ver.15, dove Gesú dice ai discepoli: "Io non vi chiamo piú servi; perché il servo non sa quel che fa il suo signore; ma voi vi ò chiamati amici, perché vi ò fatto conoscere tutte le cose che ò udite dal Padre mio".
A Napoli, rammentando i lunghi, severi costumi indossati dagli aderenti al movimento suddetto fu assunto il sostantivo quàcchero come sinonimo di cappotto, palandrana;
luongo= lungo agg. qual. masch. dal lat. lŏngu(m) con tipica dittongazione della sillaba breve d’avvio; la dittongazione manca nel femm. che è longa da longa(m);
nfino= fino, sino preposizione impropria ed altrove avv. dal lat. fine, abl. di finis 'limite', col significato preposizionale di 'fino a';nfino va scritto senza alcun segno diacritico iniziale poiché la n iniziale non è il residuo di un in illativo che avrebbe comportato (i)n→’n, ma è semplicemente una prostesi eufonica; per cui nfino e non ‘nfino come qualche inesperto scrive!
ê piere = ai piedi; cominciamo con il sottolinere che ê (ai) è preposizione articolata plurale masch (ai – a gli) e altrove anche femminile(alle), secondo una grafia fusa alternativamente di a + ‘e (li) o di a+ ‘e (le) e pertanto non va confusa con ‘e(i/le) art.determ. plur. maschile o femm; piere= piedi sost. masch. plurale del sing. pede/pèro= piede con etimo dal lat. pede(m) con la tipica rotacizzazione osco – mediterranea d/r nella variante pèro.
3- LL'ABBATE TACCARELLA.
Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che, metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona;
abbate= abate, il superiore di un'abbazia o di un monastero
nel sec. XVIII, chiunque godesse di un beneficio ecclesiastico, pur avendo ricevuto i soli ordini minori, la voce a margine ed in epigrafe è usata in senso ironico essendo lo sparlatore, la malalingua, il tagliuzzatore persona non meritevole di alcun rispetto e/o considerazione, proprio al contrario di un autentico superiore di un'abbazia o di un monastero; l’etimo di abbate è dal lat. eccl. abbate(m), che è dall'aram. ab `padre', attrav. il gr. abbâ
il soprannome giocoso Taccarella è chiaramente un deverbale desunto appunto dal verbo taccarià che significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti, con derivazione dal sostantivo tacca= scheggia, pezzetto, a sua volta da un gotico taikn.
4 - T' HÊ PIGLIATO 'E CCIENT' OVE.
Letteralmente: ài preso le cento uova; ài bevuto cento uova. Id est: sei diventato pazzo. La locuzione rammenta un antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, al tempo di un famosissimo medico dei pazzi, quel tal Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento uova di sèguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la ruota di un pozzo. Rammento che dell’esistenza di tale mastuggiorgio ←mastro Giorgio ( come ò detto medico presso l’ospedale degli Incurabili dove venivano curati anche gli affetti da malattie nervose) si fa menzione oltre che in un canto popolare di fine ‘600 che à i ss. versi: Comme te voglio amà, ca sî ‘na pazza? /Nun tiene ‘na parola de fermezza… /Vatténne a Nnincuràbbele pe pazza, / là ce sta Mastu Giorgio ca t’addrizza! anche in alcuni versi di Biaso Valentino ? - † fine 1600 ca (di professione scrivano e mediocre poeta, a credere al Galiani) che scrisse: Deh, mastro Giorgio mio, dotto e saputo, /che tanta cape tuoste aje addomate, /si nun te muove a darce quarch’aiuto, nuje simmo tutte quante arrovenate.
hê pigliato = ài preso, ài assunto, ài ingurgitato voce verbale (2° pers. sing. ind. pass. pross.) dell’infinito pigliare/piglià con etimo dal lat. volg. *piliare,perilclass.pilare'rubare,saccheggiare';
ciento= cento agg. numerale dal lat. centu(m) con tipica dittongazione popolare ie nella sillaba d’avvio;
ove = uova sost. femm. plur. del masch. uovo, cellula germinativa o gamete femminile di forma per lo più rotondeggiante o ellittica, di dimensioni variabili secondo la specie, con citoplasma più o meno ricco di riserve nutritive; à origine nell'ovaio e da esso, all'interno o all'esterno del corpo materno, si forma l'embrione del futuro animale;
l'uovo degli animali ovipari, che viene espulso dal corpo materno prima che l'embrione si sviluppi; l’etimo è dal lat. volg. òvu(m), dal greco oòn.
5 - MONECA 'E CASA: DIAVULO ESCE E TRASE, MONECA 'E CUNVENTO: DIAVULO OGNI MUMENTO.
Letteralmente: monaca di casa: diavolo entra ed esce, monaca di convento: diavolo ogni momento. La locuzione, con una punta di irriverenza, viene usata, quando si voglia eccepire qualcosa sul comportamento di chi, invece, istituzionalmente dovrebbe avere un comportamento irreprensibile. La monaca di casa era a Napoli una di quelle attempate signorine che, condannate a restar nubili, per non essere tacciate di zitellaggio, facevano le viste di dedicarsi alla cura di qualche parente anziano o prete. Va da sé che il diavolo della locuzione è usato eufemisticamente per indicare il medesimo diavolo di talune novelle del Boccaccio; e la locuzione sostiene che tali monache di casa non fossero cosí irreprensibili come lasciavano intendere ed al contrario si dessero, di nascosto, alla buona vita; ai medesimi piaceri del corpo si riteneva di dessero anche le monacate dei monasteri e per ciò che attiene al convento è facile pensare che la locuzione faccia riferimento a quel convento di sant'Arcangelo a Baiano in Napoli, finito nelle cronache dell'epoca (1550e ss.) e delle successive per i comportamenti decisamente libertini tenuti da quasi tutte suore ivi ospitate.( cfr. Cronaca del convento di Sant'Arcangelo a Bajano attribuito a Stendhal);
moneca ‘e casa letteralmente monaca di casa nel senso già spiegato; moneca= monaca, suora , colei che à abbracciato il monachesimo; nel cattolicesimo, membro di un ordine monastico o religioso che ha pronunciato i voti solenni di povertà, castità e obbedienza sost. femm. del masch. monaco che deriva dal lat. tardo mona°chu(m), che è dal gr. monachós 'unico', poi 'solitario' (e quindi 'monaco'), deriv. di mónos 'solo, unico';
casa = casa, dimora privata familiare con etimo dal lat. casa(m), propr. 'casa rustica'opposta alla domus, abitazione signorile del dominus;
diavulo= diavolo, nell'ebraismo e nel cristianesimo, potenza che guida le forze del male e si identifica con Lucifero, il capo degli angeli che si ribellarono a Dio, poi divenuto Satana, principe delle tenebre; per estens., ognuno degli altri angeli ribelli e la forza del male che essi incarnano | nella fantasia popolare è concepito per lo più come un mostro di forme umane con corna, ali, coda e altri attributi animaleschi, grande tentatore, amante di ogni disordine ed eccesso, con etimo dal lat. tardo diabolu(m), dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di diabàllein 'disunire, mettere male, calunniare', che nel gr. cristiano traduce l'ebr. satan 'contraddittore'; nella locuzione in epigrafe la voce a margine è usata – come ò già detto – in senso furbesco/osceno
jesce= esce, viene fuori voce verb. (3° pers. sing. pres.ind.) dell’infinito ascire/ascí = uscire venire fuori da un luogo chiuso, circoscritto o idealmente delimitato con etimo dal lat. volg. ab-exire→*axire→assire→ascire ;
trase = entra, penetra voce verb. (3° pers. sing. pres.ind.) dell’infinitotrasire/trasí = penetrare in un luogo, andar dentro, introdursi con etimo dal lat. volg. *trasire per il class. transíre;
cunvento =convento, edificio in cui vive una comunità di religiosi o religiose che ànno pronunciato voti solenni; nell'uso corrente, sin. di monastero sost. masch. con etimo, come per la corrispondente voce italiana, dal lat. conventu(m) 'adunanza, convegno', deriv. di convenire 'trovarsi insieme'; nella voce napoletana si è avuta la tipica chiusura della sillaba lunga ō→unella sillaba d’avvio;
mumento = momento, periodo di tempo di varia durata, considerato in relazione alle condizioni che in esso si determinano; circostanza, occasione, opportunità con etimo dal lat. momentu(m),sincope di *movime°ntum, deriv. di movìre 'muovere'; propr. 'impulso, moto', poi 'peso che fa muovere (la bilancia)' e anche 'brevissimo periodo di tempo' con la tipica chiusura della sillaba lunga ō→unella sillaba d’avvio.
6 - FRIJERE 'O PESCE CU LL' ACQUA.
Letteralmente: friggere il pesce con l'acqua. La locuzione stigmatizza il comportamento insulso o quanto meno eccessivamente parsimonioso di chi tenti di raggiungere un risultato apprezzabile senza averne i mezzi occorrenti e necessari in mancanza dei quali si va certamente incontro a risultati errati o di risibile efficacia, come sarebbe quello di una frittura, che d'altronde non si può acconciamente fare senza disporre di olio o di grasso;
frijere= friggere,cuocere nell'olio o in altro grasso bollente ed estensivamente rodersi, struggersi; fremerevoce verbale infinito dal verbo onomatopeico latino frígere con caduta della g sostituita dal suono di transizione intervocalico j;
pesce= pesce sost. masch. generico per indicare qualsiasi animale vertebrato acquatico di varia grandezza, per lo più fusiforme, rivestito di squame e provvisto di pinne per nuotare, con respirazione branchiale e scheletro osseo o cartilagineo che quando il pesce sia stato cotto e spolpato viene detto lisca da un tardo lat. lisca(m), di origine germanica; l’etimo di pesce è dal lat. pisce(m);
acqua= acqua, composto di idrogeno e ossigeno, presente in natura allo stato liquido (in mari, fiumi, laghi, nel sottosuolo o in forma di goccioline nelle nubi), allo stato solido (ghiaccio e neve) e allo stato di vapore (nell'atmosfera); costituente fondamentale degli organismi, in condizioni ordinarie è un liquido trasparente, inodore, insapore ed incolore, azzurrognolo se in grandi masse; l’etimo è dal lat. aqua(m) con raddoppiamento popolare della consonante q→cq.
7 - MEGLIO 'NA MALA JURNATA, CA 'NA MALA VICINA.
Meglio una cattiva giornata che una cattiva vicina. Id est: meglio sopportare gli effetti negativi di una giornata improduttiva o fastidiosa, che la frequentazione quotidiana con pessimi vicini, colleghi di lavoro ed assimilati… Ed il perché è facile da comprendersi: una giornata cattiva, prima o poi passa e probabilmente, con essa, i suoi effetti negativi, ma dei cattivi vicini, dei pessimi colleghi di lavoro, perdurante la loro stabile vicinanza, di giornate cattive ne possono procurare parecchie...ed a maggior ragione quando i cattivi vicini, i pessimi colleghi di lavoro siano di sesso femminile.
meglio = meglio, avv. e agg.nel senso di migliore con valore neutro, nel significato di cosa migliore, preferibile, nell'uso pop. regionale, preceduto dall'art. determ. (‘o – il), à valore di superlativo relativo, equivalendo a il migliore (‘o meglio jucatore= il miglior giocatore, ‘o meglio attore= il migliore attore etc.);
con valore neutro, nel significato di cosa migliore, preferibile, preceduto dall’art. determ. ‘o che comporta la geminazione della consonante m e seguíto dallo specificativo partitivo de (‘e) es.: ‘o mmeglio d’’o mmagnà= la cosa migliore del pranzo etc. l’etimo è dal lat. melius, neutro di melior -oris 'migliore'
mala= cattiva, non buona , brutta, trista agg. qual. femm. con etimo dal lat. malu(m) reso femm. *mala(m);
jurnata = giornata, il periodo compreso tra la mattina e la sera in rapporto al tempo atmosferico o al lavoro, all'attività che vi si svolge, oppure (come nel caso che ci occupa) agli avvenimenti che vi accadono; l’etimo è dal francese journée da un antico jornée derivati di journ/jorn= giorno;
vicina= vicina sost. femm. (dall’agg. qualif. vicino/a = che, chi non è lontano o è poco lontano nello spazio o nel tempo, confinante, anche chi à rapporti di parentela o di amicizia:
con etimo dal lat. vicina(m), deriv. di vicus 'villaggio'; propr. 'che appartiene allo stesso villaggio'.
8 - FATTE 'NA BBONA ANNUMMENATA E VA' SCASSANNO CCHIESIE.
Letteralmente: procura di farti una buona nomea e poi saccheggia pure le chiese.Amara, disincantata osservazione della realtà dalla quale si ricava che ciò che conta nella vita è purtroppo l’apparenza, piuttosto che la sostanza; in virtú di ciò, basta godere di una buona opinione presso i terzi, poi si possono operare i peggiori misfatti, addirittura furti sacrileghi, nessuno mai sospetterà di uno che goda di buona nomea. La locuzione insomma affronta l'antico dilemma: essere o apparire e propende, stranamente per la cultura popolare, da sempre incline dalla parte della sostanza piuttosto che da quella della forma, per il secondo corno del dilemma.
fatte= fatti= fa’ per te voce verbale (da non confondere con l’omografo ed omofono sost. masch. plur. di fatto= accadimento) (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito fà/fare
(con etimo dal lat. sincopato fa(ce)re) addizionato in posizione enclitica del pronome te con valore di dativo di vantaggio per te;
bbona =buona, conforme al bene; onesta, moralmente positiva agg. qual. con etimo dal lat. bona(m);
annummenata/’nnummenata = nomea, rinomanza, nome, reputazione, fama letteralmente aggettivo poi sostantivato ricavato dal part. pass. femm. del verbo annummenà/’nnumenà= nominare, dare fama, reputazione con etimo dal lat.ad+ nominare,forma intensiva(vedi ad) di nominare deriv. di nomen -minis 'nome';
va’= vai voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito jí= andare ( con etimo dal lat. ire; ma per le forme che ànno per tema vad→vac derivano dal lat. vadere 'andare';
scassanno= rompendo,infrangendo ed estensivamente , come qui,rapinando, perpetrando furti voce verbale (gerundio)
dell’infinito scassare/scassà= rompere, infrangere etc. con etimo da un tardo latino s (intensiva)+ quassare frequentativo di quatere; ricorderò che in napoletano esiste una seconda voce scassà con etimo e significato diversi; questa seconda voce verbale sta per raschiare, cancellare e deriva da un tardo latino s (intensiva)+ cassare denominale di cassus=vano, vuoto;
chiesie/chiese= chiese, luoghi di culto, sost. femm. plur. di chiesia/chiesa= comunità di fedeli che professano una delle confessioni cristiane, ma piú spesso segnatamente il luogo, l’edificio dove si svolgono le riunioni e le cerimonie di culto delle confessioni cristiane (l’etimo è dal lat. ecclesia(m), derivato dal gr. ekklēsía 'assemblea', deriv. di ekkalêin 'chiamare'.
9 -AMMACCA E SSALA, AULIVE 'E GAETA.
Letteralmente: schiaccia e sala, olive di Gaeta! Di per sè è la voce - ossia la frase di richiamo – lanciata dai venditori girovaghi o da quelli usi ad affacciarsi sulla imboccatura della propria bottega (per attirare a viva voce l’attenzioni di probabili clienti) di olive e con essa voce si rammenta la tecnica della conservazione in salamoia delle olive che vengono stipate in botticelle e conservate in un bagno di acqua salata. Con la stessa locuzione si suole sarcasticamente commentare a mo' di riprovazione, il comportamento di coloro (lavoranti e/o figliuoli) che operano in maniera rapida e superficiale, senza porre attenzione ed applicazione a ciò che sono stati chiamati a fare.
ammacca= comprime, schiaccia, pigia voce verbale (3° pers. sing. ind. presente o altrove 2° pers. sing. imperativo) dell’infinito ammaccà = comprimere, schiacciare, pigiare (con etimo dal tardo latino ad+maccare forma intensiva (vedi ad) di maccare di pari significato; dal verbo maccare è derivata la voce maccarone (maccherone) = impasto schiacciato;
ssala= sala, cosparge di sale voce verbale (3° pers. sing. ind. presente o altrove 2° pers. sing. imperativo) dell’infinito salare/salà = c ondire un cibo col sale; e qui cospargere di sale un alimento per conservarlo ( denominale di sale ( lat. sale(m))
aulive = olive o ulive, s. f. plur. di auliva il frutto dell'olivo, costituito da una piccola drupa ovale, commestibile, ricca di olio commestibile: l’etimo della voce napoletana è dall’acc. lat. (il)la(m) uliva(m) con agglutinazione eufonica dell’ articolo ‘a da la;
Gaeta splendido comune laziale di 21mila abitanti circa, posizionato sul livello del mare nella parte bassa della Provincia di Latina, sede Arcivescovile, sede del Parco Regionale Riviera di Ulisse, dista circa 120 Km. da Roma e 80 Km. da Napoli. Le origini del nome di Gaeta sono tuttora avvolte nella leggenda:
Strabone indicò la sua provenienza dal termine Caiatasusato dai pescatori locali per indicare il sito, con chiaro riferimento all'ampia insenatura del suo golfo;
Diodoro Siculo collegò queste terre al mito degli argonauti facendo derivare il nome della città da Aietes, mitico padre di Medea (figlia di Circe), la maga innamorata di Giasone.
Virgilio, nell' "Eneide" (Eneide, VII, 1-4) trovò la sua origine nel nome della nutrice di Enea,Cajeta, sepolta dall'eroe troiano in quel sito durante il suo viaggio verso le coste laziali. Dante, quasi a significare la storicità dell'Eneide, confermò l'avvenimento (Inferno, XXVI, 92).
Salto a pie’ pari gli abbondanti riferimenti storici della città di Gaeta, rammentando solo che essa subí ben quattordici assedi che coincisero con importanti avvenimenti, a partire dalla sconfitta del ducato di Gaeta ( 1140 ca con annessione al Regno di Sicilia) fino all'ultimo assedio, quello tenuto dalle truppe del generale piemontese Cialdini nel 1861 (che sarà nominato duca di Gaeta) e che diede inizio all'unità d'Italia. In coda ricorderò che il 25 novembre 1848 il papa Pio IX si rifugiò a Gaeta, ospite dei Borbone, in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana ad opera di Giuseppe Mazzini, e vi rimase fino al 4 settembre 1849, periodo durante il quale Gaeta assunse la denominazione di "Secondo Stato della Chiesa". E fu proprio durante questo soggiorno che papa Pio IX venne illuminato dallo Spirito Santo durante le sue preghiere presso la Cappella d'Oro e proclamò il Dogma dell'Immacolata Concezione al suo ritorno a Roma.
Il 13 febbraio 1861 Francesco II di Borbone si arrese a Gaeta, ultimo baluardo del suo regno, capitolando all'assedio delle truppe del generale Enrico Cialdini (assedio di Gaeta (1860-1861)): determinando la fine del Reame delle Due Sicilie e iniziò l'unità d'Italia ad opera dei Savoia. Da questo momento in poi iniziò la lenta decadenza di Gaeta come importante centro politico, militare ed amministrativo.
Storicamente parte dell'antica provincia di Terra di Lavoro in Campania, fu trasferita al Lazio nel periodo fascista, quando venne incorporata nella nascente Provincia di Littoria (Latina).
10 - CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SAPONE.
Letteralmente: di qui le pezze e di là il sapone. È il modo rapidamente incisivo per dire che non si fa credito di sorta. Chi usa detta locuzione intende comunicare che con lui non si fanno contratti se non a prestazione e controprestazione immediata, contratti dove il do e il dai devono verificarsi senza soluzione di continuità, quasi contemporaneamente.
Originariamente, la locuzione era usata dai robivecchi girovaghi detti sapunari appunto perché cedevano in cambio di abiti dismessi o stoviglie ed oggetti usati un tot di sapone quale merce di scambio.
cca = qua, in questo luogo, (indica il luogo dov'è chi parla o un luogo molto vicino a chi parla; è meno determinato di qui, non altrove avv. di luogo, talvolta usato impropriamente quale rafforzativo anche in locuzioni di tempo del tipo cca mmo mmo= immantinente, senza indugio; l’etimo è dal lat. ec)cu(m) hac, propr. 'ecco per di qua'; rammento che in napoletano esiste un altro monosillabo ca = che quasi omofono dell’avv. a margine, ma non si tratta di un avverbio, bensí di una cong. o pronome relativo; trattandosi di due monosillabi simili regola grammaticale vorrebbe che o l’uno o l’altro fosse corredato d’un segno diacritico (accento, apostrofo ); ò usato il condizionale in quanto si è trovata la strada piú immediata e comoda di usare sempre la geminazione della c iniziale, evitando erronei, pletorici ed inutili accenti per l’avverbio di luogo, per modo di avere non l’errato ccà (come talvolta mi è capitato di trovare negli scritti perfino di commediografi famosi) ma l’esatto cca= qua,mentre per la congiunzione/pronome ca si usa la c iniziale scempia ed in tal modo viene evitata la confusione tra ca e cca;
ppezze= pezze, stracci, ritagli di tessuti usati, cenci; altrove la voce a margine indicò pure delle grosse monete d’argento
sost. femm. plurale di pezza che è dal lat. pettia(m) forse dall’ant. tedesco pfetzen= brandello, pezzo, brano;
sapone= sapone, generico nome dei sali alcalini di acidi grassi, di consistenza pastosa o solida, usati come detergenti con etimo dal lat. sapone(m) affine a sapiu(m) ed all’ant. ted. sapp/sap= succo; propriamente il latino sapone(m), fu una 'miscela di cenere e sego per tingere i capelli', voce di orig. germ. (vedi sapp) e solo successivamente indicò le paste usate quali detergenti. In chiusura rammenterò che i saponi conferiti dai saponari nei loro scambi, non erano le saponette che conosciamo , ma un tipo di sapone molto morbido e di colore ambra (da usare per detergere abiti e biancheria non per la pulizia personale), che veniva ceduto avvolto in fogli di carta oleata, affettato, staccandolo con una lama da un parallelepipedo compatto; tale sapone era comunemente detto sapone ‘e piazza= sapone della piazza, forse perché venduto esclusivamente per istrada /piazza da venditori/produttori artigianali girovaghi e/o rigattieri, robivecchi (saponari ).
Raffaele Bracale
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