FALÒ O FUCARAZZE 'E SANT' ANTUONO
Il caro amico G.T. ((i consueti problemi di privatezza mi
impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome) mi à chiesto
notizie circa l'origine dei falò o fucarazze 'e sant' Antuono. Gli rispondo
dicendogli che si tratta di una
consuetudine antichissima che si attesta
intorno alla metà del 1300. Come si ricava infatti da un diploma del re Roberto d'Angiò, , già
nel marzo del 1313, esistevano nei pressi di piazza Carlo III... una chiesa, un monastero ed un ospedale
dedicati a sant’Antonio Abate, ed in
questo luogoed in questo luogo venivano curati gli
infermi del morbo ERPES ZOSTER detto “fuoco sacro” o anche Fuoco di
Sant'Antonio, con un prodotto ricavato dal grasso di maiale.I maiali occorrenti
al bisogno venivano allevati liberamente nelle strade della città e poi
regalati ai monaci del Tau che conducevano l'ospedale. Visto che l'ospedale era
dedicato a sant'Antonio Abate (sant'Antuono)fu eletto protettore dapprima del
Fuoco sacro (ERPES ZOSTER) e poi del fuoco in generaleed in suo onore nel
giorno della festa 17 gennaio il popolo accese festosi falò dapprima nelle
strade adiacenti la Chiesa e poi in tutte le strade cittadine o della
provincia. la chiesa, un monastero ed un ospedale dedicati a sant'Antonio abate
ed in questo luogo venivano curati gli infermi del morbo ERPES ZOSTER detto
“fuoco sacro” o anche Fuoco di Sant'Antonio, con un prodotto ricavato dal
grasso di maiale.I maiali occorrenti al bisogno venivano allevati liberamente
nelle strade della città e poi regalati ai monaci del Tau che conducevano
l'ospedale. Visto che l'ospedale era dedicato a sant'Antonio Abate
(sant'Antuono)fu eletto protettore dapprima del Fuoco sacro (ERPES ZOSTER) e
poi del fuoco in generaleed in suo onore nel giorno della festa 17 gennaio il
popolo accese festosi falò dapprima nelle strade adiacenti la Chiesa e poi in
tutte le strade cittadine o della provincia. venivano curati gli infermi
affetti dal morbo Herpes zoster
(détto fuoco sacro o di sant’Antonio) con un linimento ricavato dal grasso di
maiale. Gli animali occorrenti alla bisogna, venivano allevati dal popolo e
liberamente fatti circolare per le strade cittadine e quando fossero cresciuti
venivano regalati ai monaci del TAU che conducevano la chiesa, il monastero e
l’annesso ospedale, affinché li usassero per il loro nutrimento, per quello dei
ricoverati e per la preparazione delle pomate.Visto che chiesa, monastero ed annesso ospedale erano dedicati a sant’Antonio
Abate, (sant' Antuono), costui fu scelto quale santo protettore dapprima del fuoco sacro o di sant’Antonio e poi del fuoco in generale
ed in suo onore nel giorno della sua festa (17 gennaio) il popolo accese
festosi falò in primis lungo le strade adiacenti la chiesa e poi in tutte le
strade della città, falò alimentati con
mobili e/o masserizie in disuso e di cui
ci si intendeva liberare; la raccolta di detti mobili e/o masserizie era fatta ad opera da squadrette
di vocianti monelli che sin dalle prime ore dell’alba del 17 gennaio
percorrevano i vicoli cittadini al grido: Menàte,
surè!
e provvedevano a racimolare, per convergerli ai punti di raccolta dove sarebbero stati accesi i falò, quanto precipitato dall’alto di balconi e finestre in istrada vi si fracassava. In coda a quanto or ora détto aggiungo l’illustrazione d’una tipica espressione partenopea che suona:
M' hê dato 'o llardo dint'â fijura
Letteralmente: Mi ài dato il lardo nel santino. L'espressione si usa nei confronti di chi usi eccessiva parsimonia nel conferire qualcosa a qualcuno o tenti addirittura di tacitare qualcuno conferendogli parva res in luogo dell’atteso congruo dovuto e prende l'avvio dall'uso che avevano i monaci del TAU o monaci di Sant'Antonio Abate a Napoli che gestivano, come ò détto e ripeto, in piazza Carlo III, annesso al loro convento prospiciente l’omonima chiesa dedicata al santo cenobita, gestivano un ospedale per cure dermatologiche ed usavano il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi; rammento che il s. Antonio di cui si parla ed il cui nome è dal greco antos= fiore eremita détto poi Sant'Antonio Abate è chiamato anche Sant'Antonio il Grande, Sant'Antonio d'Egitto, Sant'Antonio del Fuoco, Sant'Antonio del Deserto o Sant'Antonio l'Anacoreta ( Coma 250?-† Tebaide356) ed a Napoli sant’ANTUONO [da non confondere con il sant’Antonio da Padova, santo portoghese], fu eremita egiziano, considerato l'iniziatore del Monachesimo cristiano e il primo degli Abati in quanto a lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale abbà, si consacrano al servizio di Dio. La sua vita ci è stata tramandata dal suo amico e discepolo Sant'Atanasio (a Napoli: sant’Attanasio (Alessandria d’Egitto 295 -† Tebaide373). È ricordato nel Calendario dei santi il 17 gennaio, ma la Chiesa Copta lo festeggia il 31 gennaio che corrisponde nel loro calendario al 22 del mese di Tobi. Questo santo è noto e ricordato a Napoli con il nome di Sant’Antuono e gli è dedicata una chiesa parrochiale nelle immediate diacenze di piazza Carlo III .Si vuole che la chiesa, posta all'origine del borgo omonimo, sia stata fondata per volere della regina Giovanna I d'Angiò (Napoli, ca. 1327 –† Muro Lucano, 12 maggio 1382); tuttavia esiste un diploma del re Roberto d'Angiò (detto il Saggio (1277 – † 16 gennaio 1343), figlio di Carlo II d'Angiò, fu re di Napoli (con il nome di Roberto I di Napoli dal 1309 al 1343), re titolare di Gerusalemme, duca di Calabria (1296 - 1309) e Conte di Provenza e Forcalquier (1309 - 1343).diploma che dimostra che, già nel marzo del 1313, esistevano chiesa ed ospedale e che in questo luogo venivano curati gli infermi del morbo detto “fuoco sacro” o anche Fuoco di Sant'Antonio, con un prodotto ricavato dal grasso di maiale.
Molto probabilmente il complesso originario risaliva alla fine del XIII secolo, ma fu ampliato e in alcune parti ricostruito nell’ambito di un vasto programma di edilizia religiosa e assistenziale voluto nel 1370 dalla regina Giovanna I, Programma che ebbe enorme valore ai fini dell’urbanizzazione del borgo e dell’omonima strada la quale, attraverso Porta Capuana, rappresentava la principale via d’accesso alla città.
Verso la fine del Trecento, quindi, il complesso era già costituito dalla chiesa, dall’ospedale e dal convento, ed era tenuto dai monaci ospedalieri antoniani(monaci del TAU) i quali preparavano una tintura/pomata che veniva usata per curare l’hherpes zoster. Tra i napoletani si diffuse cosí l’abitudine di allevare liberamente anche per istada, maiali e maialini per donarli poi al monastero. L’ordine antoniano fu bandito agli inizi del Quattrocento dagli Aragonesi, che reputavano i monaci troppo legati ai loro protettori francesi. Malgrado ciò, l’usanza durò fino al 1665 quando, durante la funzione della benedizione degli animali, un maiale sfuggito al controllo, si intrufolò, rischiando di farlo cadere, tra le gambe del vescovo che quell’anno officiava la cerimonia,il vescovo, infuriato, dichiarò illegale l’allevamento cittadino dei maiali, ma pare che il popolino non se ne diede per inteso almeno per un quinquennio! Un primo rimaneggiamento dela chiesa è databile al 1370, il seguente fu quello del XVII secolo che, cancellò parte della struttura originaria.
Per volere del cardinale Antonino Sersale, la struttura religiosa subí un rimodernamento nel 1779;con il nome invece di sant’Antonio è noto e ricordato a Napoli il santo predicatore Sant'Antonio di Padova, al secolo Fernando Bulhão (Lisbona, 15 agosto 1195 -† Padova, 13 giugno 1231) che fu un frate francescano, santo e dottore della Chiesa cattolica , che gli tributa da secoli una fortissima devozione.
I monaci del TAU allorché
poi dimettevano un infermo erano soliti consegnare al medesimo, per il
prosieguo della cura, una piccolissima quantità di lardo benedetto, avvolto in
un santino raffigurante Sant'Antonio abate. Pur se benedetto la quantità del
lardo era veramente irrisoria e pertanto assai poco bastevole alla bisogna.
E qui faccio punto, convinto d’aver contento l’amico G.T. ed
interessato qualcuno dei miei soliti 24 lettori. Satis est.
Raffaele
Bracale
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