MIEZO PREVETE – BIZZUOCO E PPECUOZZO
Questa volta il caro amico E. V. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) mi chiede via e-mail le eventuali differenze tra le voci napoletane in epigrafe. Entro súbito in argomento dicendo che le voci miezo-prevete/miezu-prevete (mezzo prete) e la voce bizzuoco sono, nell’inteso comune, dei sinonimi e negli anni intorno al 1950 furono usati per dileggio con riferimento a tutti quegli uomini adulti che avessero frequentazioni piú o meno abituali e continue con la propria parrocchia o altre familiarità chiesastiche, per patecipare ad attività religiose, il piú delle volte risultando iscritti ad associazioni cattoliche come in primis, l’ A.C.I.( Azione Cattolica Italiana la più antica, ampia e diffusa tra le associazioni cattoliche laicali d'Italia, associazione le cui origini possono essere fatte risalire al 1867, quando due giovani universitari, Mario Fani, viterbese, e Giovanni Acquaderni, bolognese, fondano la Società della Gioventù Cattolica. Il motto dell’ A.C.I.: "Preghiera, Azione, Sacrificio" sintetizza la fedeltà a quattro principi fondamentali:la devozione al Papa (sentire cum Ecclesia),un forte progetto educativo (studio della religione),la vita secondo i principi del cristianesimo, un diffuso impegno alla carità verso i piú deboli ed i piú poveri) oppure ad altre associazioni di ispirazioni cattoliche: Terziari francescani, F.U.CI.(Federazione Universitaria Cattolica Italiana che nacque nel 1896, sull'onda di una nuova enfasi alla partecipazione sociale dei cattolici alla società civile ed alla politica, che culminerà con la fine del "non expedit" di lí a pochi anni),Coadiutori salesiani ed altre, o risultando assidui frequentari oltre che della santa messa domenicale anche di altre funzioni religiose quali benedizioni eucaristiche, processioni, mesi mariani (sermoni e preghiere quotidiane dedicate al culto della santa Vergine Maria,durante il mese di maggio) o del Sacro Cuore(sermoni e preghiere quotidiane dedicate al culto del sacro Cuore di Gesú,durante il mese di giugno), Ritiri di perseveranza (corsi predicati tenuti da gesuiti, corsi in genere serali e quotidiani di preghiera e meditazione tenuti nel mese antecedente la celebrazione dell festa della santa Pasqua di Resurrezione)etc. Ogni uomo adulto che avesse tali frequentazioni fu battezzato dal popolino con l’appellativo di miezo-prevete/miezuprevete =mezzo prete atteso che, per il popolo ignorante, solo un sacerdote avrebbe potuto sentire il bisogno di avere quelle frequentazioni quotidiane o ricorrenti con la materia religiosa; posto invece che quegli adulti che le avevano non erano sacerdoti, ma semplici laici, ecco che furono per dileggio détti mieze-prievete =mezzi preti, quasi preti. Tale appellativo fu – ovviamente – solo maschile; successivamente accanto all’appellativo or ora ricordato ogni uomo adulto che avesse frequentazioni chiesastiche fu battezzato anche con il termine bizzuoco che originariamente nella morfologia di bizzoca era destinato esclusivamente alle donne. Rammento altresí che alla fine degli anni ‘960 invalse l’uso d’usare, sia pure impropriamente, altresí il termine pecuozzo per indicare ogni uomo adulto che avesse quotidiane o ricorrenti frequentazioni chiesastiche.
Esaminiamo un po’ le singole voci incontrate:
parrocchia s. f. (dal lat. tardo parochia(m), dal
gr. paroikía, propr. 'vicinato', deriv. di paroikêin 'abitare
presso')
1 nella chiesa cattolica e in
altre chiese cristiane, la piú piccola circoscrizione territoriale in cui è
divisa una diocesi | la chiesa in cui il parroco esercita il suo ministero;
anche, la sede dell'ufficio parrocchiale o l'edificio in cui si svolgono alcune
attività parrocchiali; la parrocchia è una determinata comunità di
fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare,
e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad
un parroco quale suo proprio pastore; spetta unicamente al Vescovo diocesano
erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le
sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio
presbiterale.
2 l'insieme di tutti i parrocchiani cioè dei fedeli frequentanti la
parrocchia affidati alle cure pastorali del parroco; l’ò precisato perché in
napoletano esiste l’omofona ed omografa voce parrocchiano/parrucchiano che
non indica però il fedele frequentante
la parrocchia, ma indica il parroco con la medesima derivazione della voce
parrocchia(dal lat. tardo parochia(m)) con l’aggiunta del
suffisso di pertinenza aneus→ano); ricordo ancóra che ebbi con un tal sig.
Gambardella frequentatore di un mio blog una divertente diatriba e durai non
poca fatica per fargli comprendere ed accettare l’idea che le voci pacchiano e parrucchiano son solo graziosamente assonanti, ma ànno significati
affatto diversi : ò détto di parrucchiano=
parroco; mentre la voce pacchiano/a parola
(sost. ed agg.vo m. o f.) oramai pressoché desueta , che fu molto usata negli anni tra il ’40 ed il
’50 dello scorso secolo e fu usata per indicare i contadini, i provinciali ed estensivamente gli zoticoni ed i rozzi
provinciali provenienti dai paesi (nei quali per altro si rifugiarono parecchi
napoletani per sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale) della
campagna partenopea (da non confondere dunque con i cafoni per solito
provinciali di montagna).
Ancora piú estensivamente con il termine pacchiano si identificò il villano, il rozzo provinciale fisicamente
ben pasciuto, e con il corrispettivo pacchiana
la contadinotta di generose forme, quella contadina, detta affettuosamente ‘a
pacchianella ‘e ll’ova, che ogni giorno era solita rifornire le case dei
cittadini sfollati id est:fuggiti dalla città, di generi alimentari freschi
(uova, formaggi,insaccati, latte, burro nonché verdure ed altri prodotti
dell’orto).
Chiarito ad un dipresso il concetto di pacchiano/a, passiamo a parlare
brevemente della sua etimologia.
Sgombriamo súbito il campo da quella che – a mio avviso – è solo una graziosa,
ma pretestuosa paretimologia e cioè che con la parola pacchiana e poi il
corrispondente maschile si indicasse, contrariamente al cafone che è montanaro,
la contadina, la villana e poi il contadino, il villano che giungessero in
città p’’a chiana attraverso cioè la pianeggiante campagna. È altresí da
escludere una pretesa derivazione onomatopeica da un ipotizzato, ma non
spiegato suono pacchio.
Cosa mai produrrebbe nel pacchiano il suddetto suono? Non è dato sapere!...
Un’altra tentazione è che il termine pacchiano/a possa collegarsi al sostantivo
italiano pacchia =gran mangiata e per estensione: vita beata e tranquilla,
gioiosa ed allegra (dal latino: patulum→pat’lum→pac’lum→pacchio e pacchia = cibo,pasto),oppure
che il termine pacchiano/a possa essere un deverbale di pacchiare: vivere
beatamente, satollandosi di cibo e/o altro, senza quasi fatica; a me non pare
però che, per quanto ben nutriti e satolli, i contadini durino una vita che sia
solo una pacchia; ugualmente penso sia da scartare l’ipotesi che pacchiano/a
possan derivare da un tardo latino regionale pachylus→pachilós derivato da un
pachýs greco ="grassoccio".
Non resta dunque che aderire, per l’etimologia di pacchiano, a quanto proposto
dal grandissimo prof. Rohlfs che ne congettura una derivazione per metatesi dal
sostantivo chiappa (forgiato su di una radice indoeuropea klapp con l’aggiunta
del suffisso di pertinenza aneus→ano) nel significato però non di sasso
sporgente, ma di natica, elemento sporgente del corpo umano, tenendo presente
la morfologia fisica del pacchiano o piú spesso della pacchiana, dotati quasi
sempre di sostanziose natiche sporgenti.
3 (fig.) gruppo di persone legate da comuni interessi;
conventicola (per lo più spreg.): appartenere alla stessa parrocchia,
a parrocchie diverse.
miezo-prevete o anche miezuprevete s.vo ed agg.vo ma.le e solo m.le è voce usata esclusivamente per dileggio, sta per mezzo prete, quasi prete; etimologicamente è formata dalla unione di miezo = mezzo, metà a.vo (dal lat. mĕdiu(m)→miezo) e del s.vo prevete s.m. prete,presbitero, sacerdote, uomo consacrato, addetto al culto, che abbia ricevuto il sacramento dell’ordinazione; etimologicamente il napoletano prevete da cui poi per sincope della sillaba mediana ve si è formato il toscano prete è dal tardo latino presbyteru(m), che è dal greco presbyteros, propriamente: piú anziano; cfr. presbitero;
la via seguíta per giungere a prevete partendo da presbyteru(m) è la seguente: presbyteru(m)→pre’bytero/e→prebeto/e→preveto/e;
Come qui di sèguito per il monaco, anche il prete è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto molto preparato, a conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e segnatamente al prete titolare di una parrocchia (parrucchiano) i fedeli furono adusi rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio e/o soluzione dei problemi personali o familiari. A tal proposito rammento una gustusa, colorita espressione/esortazione che suona: fatte benedicere ‘a ‘nu monaco (ma oggi ) prevete ricchione
Letteralmente: Fatti benedire da un monaco (ma oggi) prete pederasta attivo. Id est: Chiedi la benedizione (che risolva i tuoi problemi) a qualcuno che ti possa adiuvare: nella fattispecie chiedila ad un monaco (o prete) pederasta.
Chiariamo la portata dell’espressione: In primis è da rammentare che il detto/consiglio originariamente parlava di un monaco ricchione, il prete è un' erronea e fantasiosa estensione piú moderna nata probabilmente a rimbrotto ritorsivo in un qualche monastero maschile.
Ma tentiamo di chiarire il perché dell’espressione; atteso che nella vita ci sono casi tanto disperati da necessitare di interventi adeguati per essere avviati a soluzione; chi se non un monaco (o un prete) ricchione, (che cioè siano tra coloro che abbiano tutto provato nella vita ed affrontato situazioni particolari) può/possono essere chiamato/i in causa per operare efficaci benedizioni che sortiscano i benefici effetti desiderati?
Benedicere =
benedire 1 (teol.) pronunciare una benedizione: il
Signore benedisse Abramo
2 invocare la protezione di Dio su persone o cose: il padre benedisse
il figlio; il sacerdote benedice i fedeli; benedire l'olivo |
andare, mandare a farsi benedire, (fig.) andare, mandare
via; anche, andare, mandare in malora
3 lodare, esaltare, ricordare con amore e gratitudine: lo benedico
per il bene che mi à fatto
4 da parte di Dio, aiutare, custodire, elargire grazie: benedetto da
Dio | che Dio ti benedica, formula di benedizione; nell'uso fam.,
esclamazione di meraviglia ironica o
lieve rimprovero: che Dio ti benedica, ài mangiato tutto tu!. L’etimo di
verbi sia italiano che napoletano (il
napoletano anzi ripete piú esattamente la forma latina) è dal lat. benedicere,
comp. di bene e dicere; propr. 'dir bene'
monaco s. m. è ovviamente il monaco cioè a dire chi à abbracciato il monachesimo; nel cattolicesimo, membro di un ordine monastico o religioso che à pronunciato i voti solenni di povertà, castità e obbedienza; etimologicamente è voce dal lat. tardo monachu(m), che è dal gr. monachós 'unico', poi 'solitario' (e quindi 'monaco'), deriv. di mónos 'solo, unico'; a Napoli il monaco è una figura emblematica, soggetto molto apprezzato nella vita interpersonale soprattutto del popolino, per essere inteso come soggetto a conoscenza dei casi della vita, soggetto dotato di sapere ed acume intellettivo tali da poter dare, nelle varie occorrenze i migliori e piú adatti consigli e proprio ai monaci dei numerosi conventi presenti nell’area cittadina e limitrofa il popolo napoletano fu aduso rivolgersi per chiedere aiuto, consiglio e/o soluzione di problemi. Per restare nell’àmbito della parola monaco rammento che il medesimo etimo d’esso monaco, sia pure addizionato di un suffisso diminutivo iello vale per la voce munaciello che nella tradizione popolare partenopea è (quantunque non si tratti di un autentico religioso) un particolare piccolo monaco;
‘o munaciello a Napoli è un’entità dai vasti poteri magici; ò parlato di entità in quanto non è dato sapere se si tratti di uno spirito o di un essere umano; nell’un caso o nell’altro detta entità è rappresentata con le sembianze che sono o di un nano mostruoso o di c.d. bambino vecchio, ed assume due personalità: quando si appalesa in una casa, o vi prende stabile dimora, se à in simpatia gli abitanti della casa,che lo abbiano accolto di buon grado, onorandolo e ammannendogli dolciumi (‘o munaciello è molto goloso!) egli arreca buona sorte e prosperità; se, al contrario prende in odio una famiglia, che non lo abbia accolto con i dovuti onori, egli le suscita guai ad iosa.Molto vaste son le testimonianze che riguardano l’apparizione di questa simpatica entità che non vi à posto per alcun dubbio sulle sue manifestazioni, che spesso sono oggetto di vivaci discussioni sul tipo di onori (lauti e dolci pasti, odorosi incensi) da tributare a questo spiritello che si mostra sotto forma di vecchio-bambino vestito col saio dei trovatelli accolti nei conventi, scarpe basse con fibbia d’argento, chierica e cappuccio.Non si lascia vedere da chiunque, ma compare d’improvviso, quando vuole ed a chi vuole(meglio però se donne in ispecie giovani e procaci) , magari portando in mano le scarpe che à tolto per non produrre rumore di calpestio Scalzo, scheletrico, spesso lascia delle monete sul luogo della sua apparizione come se volesse ripagare le persone, dello spavento procurato o di inconfessabili confidenze palpatorie che ama a volte concedersi. Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La prima ipotesi vuole l'inizio di tutta la vicenda intorno all'anno 1445 durante il regno Aragonese. La bella Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, si innamora di un tal Stefano Mariconda, bello quanto si vuole, ma semplice garzone di bottega.
Naturalmente l'amore tra i due è fortemente contrastato. Il fato volle che tutta la storia finisse in tragedia. Stefano venne assassinato nel luogo dei loro incontri segreti mentre Caterinella si rinchiude in un convento. Ma era già da tempo incinta di Stefano ed infatti dopo pochi mesi nacque da Caterinella un bambino alquanto deforme(il Cielo talvolta fa ricadere sui figli le colpe dei genitori!...). Le suore del convento adottarono motu proprio il bambino cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali con un cappuccio per mascherare le deformità di cui il ragazzo soffriva. Fu cosí che per le strade di Napoli veniva chiamato " lu munaciello". Gli si attribuirono poteri magici fino ad arrivare alla leggenda che oggi tutti i napoletani conoscono. Anche lu munaciello morí misteriosamente., lasciando probabilmente in giro il suo bizzarro spirito.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello altro non sia che il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, erano posti al centro dei cortili domestici, quando non addirittura nel primo vano delle case, di tal che aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli di pertinenza del pozzo.
Personalmente sono maggiormente attratto dalla vicenda di Stefano e Caterinella, che mi appare piú consona ad una favola, anche perché niente osta a che ‘o munaciello anche senza esserne il gestore, si servisse dei pozzi per penetrare in casa; del resto storicamente spesso Napoli, imprendibile dalle mura, fu invasa attraverso le condutture.
Proseguiamo:
di prevete ò già détto;
recchione o ricchione, s. m. omosessuale maschile, pederasta,gay, vocabolo che, partito dal lessico partenopeo, è approdato per merito o colpa di taluna letteratura minore ed altre forme artistiche quali: teatro cinema e televisione, nei piú completi ed aggiornati lessici della lingua nazionale dove viene riportata come voce volgare, nel generico significato di omosessuale maschile.
Molto piú precisamente della lingua nazionale, però, il napoletano con i vocaboli a margine non definisce il generico omosessuale maschile, ma definisce l’omosessuale maschile attivo quello cioè che nel rapporto sodomitico svolge la parte attiva; chi invece svolge la parte passiva è definito nel napoletano : femmenella che è quasi: femminuccia, piccola femmina ed è etimologicamente dal latino fémina(m) con raddoppiamento espressivo della postonica m tipico in parole sdrucciole piú il consueto suffisso diminutivo ella.
Torniamo al recchione - ricchione precisando súbito che nel napoletano tale omosessuale maschile non va confuso (come invece accade nell’italiano)con il pederasta il quale, come dal suo etimo greco: pais-paidos=fanciullo ed erastós=amante, è chi intrattiene rapporti omosessuali con i fanciulli;per il vero la parlata napoletana non à un termine specifico per indicare il pederasta e ciò probabilmente perché la pedofilía o pederastía fu quasi sconosciuta alla latitudine partenopea, quantuque Napoli sia stata città di origine e cultura greca ;dicevo: ben diverso il pederasta dal recchione – ricchione che infatti à i suoi viziosi rapporti sodomitici quasi esclusivamente con adulti di pari risma.
Ed accostiamoci adesso al problema etimologico del termine recchione – ricchione; sgombrando súbito il campo dall’idea che esso termine possa derivare dall’affezione parotidea nota comunemente con il termine orecchioni, affezione che attaccando le parotidi le fa gonfiare ed aumentare di volume.
Una prima e principale scuola di pensiero, alla quale, del resto mi sento di aderire fa risalire i termini in epigrafe al periodo viceregnale(XV-XVI sec.) sulla scia del termine spagnolo orejón con il quale i marinai spagnoli solevano indicare i nobili incaici, conosciuti nei viaggi nelle Americhe, che si facevano forare ed allungare, tenendovi attaccati grossi e pesanti monili, le orecchie; con il medesimo nome erano indicati anche dei nobili peruviani privilegiati, noti altresí per i loro costumi viziosi e lascivi; taluni di costoro usavano abbigliarsi in maniera ridondante ed eccentrica talora cospargendosi di polvere d’oro i padiglioni auricolari,donde la frase napoletana: tené ‘a póvera ‘ncopp’ ê rrecchie = avere la polvere sulle orecchie, usata ironicamente appunto per indicare gli omosessuali.
Da non dimenticare che detti usi di incaici e peruviani furono spesso mutuati da molti marinai che sbarcavano a Napoli, provenienti dalle Americhe, agghindati con grossi e pesanti orecchini(cosa che i napoletani non apprezzarono ritenendo gli orecchini monili da donna e non da uomo..) e parecchi di questi marinai furono súbito indicati con i termini in epigrafe oltre che per l’abbigliamento e le acconciature usati anche per il modo di proporsi ed incedere quasi femmineo, atteso che dai napoletani si ritenne che il loro comportamento sessuale cambiato, fosse stato determinato dalla lunga permanenza in mare, per i viaggi transoceanici, permanenza che li costringeva a non aver rapporti con donne e doversi contentare di averne con altri uomini.
Successivamente i termini recchione – ricchione palesi adattamenti dello orejón spagnolo passarono ad indicare non solo i marinai, ma un po’ tutti gli omosessuali attivi, conservando il termine femmenielle/femmenelle per quelli passivi.
E mi pare che ce ne sia abbastanza, anche se – per amore di completezza – segnalo qui una nuova ipotesi etimologica proposta dall’amico prof. Carlo Jandolo che ipotizza per ricchione/recchione una culla greca: orkhi-(pédes)= chi à la strozzatura dei testicoli,impotente, con aferesi iniziale, suono di transizione i fra r – cch←kh con raddoppiamento popolare espressivo e suffisso qualitativo accrescitivo one; tuttavia lo stesso Jandolo non esclude un influsso di recchia soprattutto tenendo presente la fraseologia riportata che fa riferimento ad un orecchio impolverato.
A malgrado dei sentimenti amicali che nutro per Jandolo, non trovo serî motivi per abbandonare quella, a mio avviso, convincente via vecchia per percorrere la impervia nuova.
Andiamo oltre e parliamo di:
bizzuoco/bizzoca s.vi ed agg.vi che valgono bigotto/a,bacchettone/a, baciapile, collotorto, pinzochero/a, e designano tutte all’incirca una persona che badi alle pratiche esterne della religione piú che allo spirito di essa, ed estensivamente quindi anche persona ipocrita attenta piú all’apparire che all’essere; in principio fu in uso la sola voce declinata al femminile atteso che furono in maggior numero le donne piuttosto che gli uomini coloro che avessero quotidiane frequentazioni chiesastiche; successivamente (attorno alla fine del 1800) con la nascita di associazioni a frequentazione anche maschili, accanto al termine di nuovo conio: miezoprevete, fu adottato, a maggior motteggio, il termine bizzuoco che al femminile è bizzoca = beghina; quanto all’etimologia di bizzuoco/bizzoca accanto ad un basso lat. *bigiòcius= dal saio bigio, ben si è supposto un *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m) base anche del successivo nap. picuozzo da cui per metatesi ed alternanza p/b→ bizzuoco/bizzoca.
L’ ultima voce appunto usata per dileggiare, motteggiare, irridere al massimo gli uomini adulti che avessero quotidiane frequentazioni chiesastico-parrocchiali, fu
pecuozzo s.vo ed agg.vo m.le e solo m.le che di per sé à un ambito piú ristretto ed identifica in primis il frate converso, il frate laico di convento e solo estensivamente tutte le voci quali bigotto,bacchettone, baciapile, collotorto, pinzochero, e tutti coloro che – come i surriportati uomini adulti - avessero quotidiane frequentazioni chiesastico-parrocchiali; l’etimo della voce è un tardo latino *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m)→ picuozzo/pecuozzo.
E qui potrei far punto, ma mi pare giusto dire anche di - bigotto chi fa le viste di stare in perenne continuo contatto con la Deità, assorto in continue orazioni e/o pratiche religiose, la voce deriva dal fr. bigot, originariamente epiteto spregiativo dato ai Normanni per il loro intercalare bî God, che nell'ant. alto ted.valse per Dio;
- beghina s. f.
1 (storicamente) donna appartenente a comunità ispirate a ideali
evangelici e caritativi, sorte spec. in Belgio nel sec. XII
2 (per estensione) donna bigotta, bacchettona.
Etimologicamente la voce a margine è dal fr. beguine, che è probabilmente un adattamento del medio ingl. beggen 'pregare';
- bacchettone che è chi si dedica a pratiche religiose con zelo esagerato e superstizioso; la voce è probabilmente un accrescitivo (cfr. suff. one) deriv. di bacchetta, con riferimento alla pratica medievale dell'autoflagellazione;oppure con riferimento a coloro che ben volentieri ed ostentatamente si recavano nelle basiliche dai penitenzieri maggiori che usavano assestar loro delle solenni bacchettate dette Sicutennosse parola interessante e presente sebbene con piccole varianti, ma analogo significato, nelle lingue regionali calabre: zicutnose, zichitinos; sicutenosse fu il nome dato al colpo assestato con una verga sulla testa o sulle spalle; etimologicamente la parola è una chiara, scherzosa deformazione del latino: sicut nos (come noi) che si incontra nella parte finale della preghiera pater noster; un tempo nelle cattedrali o nelle basiliche cattoliche esistevano i c.d. penitenzieri maggiori, sorta di prelati abilitati,nell’amministrare il sacramento della confessione,ad assolvere anche i piú gravi peccati, tali penitenzieri maggiori inalberavano sul lato destro del loro confessionale, dove sedevano ad ascoltare le confessioni dei penitenti, una lunga canna con la quale solevano colpire sulla testa o le spalle i penitenti a mo’ di suggello dell’avvenuta assoluzione.Poiché il piú delle volte i penitenzieri maggiori nel congedare i penitenti, facevan recitar loro il pater noster assestavano il previsto colpo di canna sul finire della recita della preghiera, proprio in coincidenza delle parole sicut nos e da ciò il colpo trasse il nome di sicutennosse;
- baciapile che è chi ostentatamente usi baciare , a mo’ di devozione ipocrita le acquasantiere presenti all’ingresso delle chiese; va da sé che l’etimo è una composizione di baciare( che è dal lat. basiare, deriv. di basium 'bacio' e il pl. di pila(= grande vasca di marmo usata nelle chiese cattoliche per contenere l’cquasanta o acqua benedetta dal lat. pila(m) 'mortaio', della stessa radice di pinsere 'pestare) per l'uso di baciare le pile dell'acquasanta;
- collotorto che è chi per mera ostentazione, reclini, quando prega, il capo in atto di falsa pietà; etimologicamente è composizione di collo (dal lat. collum) + l’agg.vo torto = piegato (dal part. pass. del lat. volg. *torquĕre, per il class. torquēre/torquíre;
- pinzochero che precisamente nel secolo XIV, fu un appartenente ad un gruppo di terziari francescani che praticavano il voto di povertà, ma non quello di obbedienza alla gerarchia; etimologicamente la voce a margine risulta la stessa di pizzocchero che è un ampliamento di pizzòco a sua volta da bizzo=bigio colore del saio indossato da quei terziari di cui sopra.
Satis est.
Raffaele Bracale
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