venerdì 15 agosto 2008

VARIE 31

varie 31

1 - S' è fatta notte ô pagliaro.
Letteralmente: È calata la notte sul fienile. La locuzione viene usata a mo' di incitamento all'operosità verso colui che procrastini sine die il compimento di un lavoro per il quale - magari - à già ricevuto la propria mercede; a tal proposito rammento che, in simili occasioni, si suole commentare: chi pava primma è male servuto (chi paga in anticipo è malamente servito...) ed ancóra: È mmeglio pavà a cammisa surata cioè: È piú opportuno pagare al termine d’un lavoro, quando si sia certi e soddisfatti dell’operato...;
pagliaro = fienile, pagliaio, grande cumulo di paglia o fieno sorretto da un palo centrale, per lo piú di forma conica ' l’etimo della voce è dal lat. paleariu(m), deriv. di palea 'paglia'.
2 - Quanto è bbello e 'o patrone s''o venne!
Letteralmente: Quanto è bello, eppure il padrone lo vende. Era questa, in origine la frase che, a mo' di imbonimento, pronunciava un robivecchi portando in giro, per venderla al migliore offerente, la statua di un santo presentata sotto una campana di vetro. Con tale espressione, oggi, ci si prende gioco di chi si pavoneggi, millantando una bellezza fisica che non corrisponde assolutamente alla realtà.
quanto = quanto avverbio qui con valore esclamativo come con derivazione dal lat. quantu(m), avv. da quantus;
bbello = bello aggettivo qual. masch. si dice di ciò che è dotato di bellezza; che suscita ammirazione, piacere estetico con etimo dal lat. volgare bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono';
patrone= padrone, proprietario, chi à la proprietà di qualcosa l’etimo è dal lat. patronu(m) 'patrono';
venne = vende voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito vénnere = vendere, cedere in vendita contro corrispettivo in danaro, l’etimo è dal lat. vendere, da vínum dare 'dare in vendita' con consueta assimilazione progressiva nd→nn.
3 - Si 'o vallo cacava, Cocò nun mureva.
Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione commenta sarcasticamente le parole di chi si ostini a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti,(quali l’espletamento di necessità fisiologiche del gallo e la morte di un non meglio identificato Cocò, che sono accadimenti logicamente non relazionabili tra di loro) o di chi insomma continui a fare dei ragionamenti privi di conseguenzialità logica.
vallo/gallo= gallo sostant. masch. uccello domestico commestibile, con piumaggio brillante, testa alta con grossa cresta carnosa e bargigli, zampe fornite di speroni, coda falciforme dai colori spesso vivaci; l’etimo è dal lat. gallu(m) con tipica alternanza partenopea g/v come alibi per volpe/golpe,vunnella/gonnella, vulio/gulio etc.
cacava= cacava, defecava voce verbale (3° pers. sing. imperf. indic.) dell’infinito cacà = cacare, defecare, andar di corpo; l’etimo è dal lat. cacare;
mureva = moriva, decedeva voce verbale (3° pers. sing. imperf. indic.) dell’infinito murí= morire, decedere cessare di vivere, detto di persone, animali, piante; ; l’etimo è dal lat. volgare morire per il class. mori.
4 - À perzo 'e vuoje e va ascianno'e ccorna.
Letteralmente: À perduto i buoi e va in cerca delle loro corna. Lo si dice ironicamente di chi, avendo - per propria insipienza - perduto cose di valore, ne cerca piccole vestigia, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni ed addossando ingiustamente ad altri la responsabilità del proprio errato comportamento che à determinato la perdita delle cose...
à perzo= à perso, à perduto voce verbale (3° pers. sing.passato prossimo ind.) dell’infinito perdere= perdere, smarrire non avere piú, restare privo di una persona con cui si aveva consuetudine, o di qualcosa che si possedeva, si usava, di cui si aveva facoltà l’etimo è dal lat. perdere, comp. di per 'al di là, oltre' e dare 'dare'; perzo è esattamente il part. pass. di perdere con normale variazione partenopea di rs→rz;
vuoje= buoi, sost. masch. plurale metafonetico di vojo, il maschio adulto castrato dei bovini domestici; vojo etimologicamente è dall’acc. lat. bove(m) con alternanza napoletana b/v (vedi barca,varca etc.) della consonante d’avvio, sincope della v intervocalica sostituita dal suono di transizione intervocalico j;
va ascianno=va cercando, va in cerca locuzione verbale
formata dall’ ind. pres. (3° pers. sing.) va dell’infinito jí= andare dal latino ire piú il gerundio ascianno= cercando dell’infinito ascià/asciare= cercare con insistenza, ricercare, indagare, investigare; desiderare, agognare; tendere, , aspirare a con etimo forse da un lat. volgare *anxiare→ a(n)xiare→assiare→asciare, ma piú probabilmente dal tardo lat. adflare→afflare= annusare;propendo per la seconda ipotesi che oltre a sembrarmi piú corretta semanticamente (l’annusare è tipico dei cani da ricerca..., mentre l’ansimare non comporta l’idea del cercare; ), morfologicamente contiene il tipico passaggio di fl→sci (cfr. flos→sciore, flumen→sciummo etc.)
ccorna = corna, sost. femm. plur. del maschile sing. cuorno
prominenza cornea o ossea, di varia forma ma per lo piú approssimativamente cilindro-conica e incurvata, presente generalmente in numero pari sul capo di molti mammiferi ungulati; anche, ognuna delle due analoghe protuberanze sulla fronte di esseri mitologici o, nell'immaginazione popolare, del diavolo con etimo dal lat. cornu(m) con tipica dittongazione di ǒ→uo nella sillaba d’avvio della voce singolare, dittongazione che viene meno, per far ritorno alla sola vocale etimologica o, nel plurale reso femminile (‘e ccorne) laddove nel plurale maschile è mantenuta (‘e cuorne) ; rammenterò che in napoletano il plurale femm. ‘e ccorne è usato per indicare le protuberanze cornee reali della testa degli animali, o quelle figurate dell’uomo o della donna traditi rispettivamente dalla propria compagna, o dal proprio compagno, mentre con il plurale maschile ‘e cuorne si indicano alcuni tipici strumenti musicali a fiato o i piccoli o grossi amuleti di corallo rosso usati come portafortuna;ugualmente con valore di portafortuna vengono usati i corni dei bovini macellati, corni che vengon staccati dalla testa, messi a seccare, opportunamete vuotati e talvolta tinti di rosso tali cuorne, non piú ccorna devono rispondere – nella tradizione partenopea a precisi requisiti, dovendo necessariamente essere il corno portafortuna russo, tuosto, stuorto e vacante pena la sua inutilità come porte-bonheur.
russo= rosso (da non confondere con ruosso che è grosso)di colore rosso derivato del latino volgare russu(m) per il class. ruber;
tuosto= duro, sodo, tosto derivato del lat. tostu(m), part. pass. di torríre 'disseccare, tostare'con la tipica dittongazione partenopea della ǒ→uo;
stuorto = storto, ritorto,non dritto, scentrato derivato del lat. tortu(m), part. pass. del lat. volg. *torquere, per il class. torquíre con prostesi di una s intensiva e tipica dittongazione partenopea della ǒ→uo;
vacante= cavo, vuoto ed altrove insulso, insipiente part. pres. aggettivato del lat. volg. vacare = esser vuoto, mancante, libero di; a margine rammenterò che esiste un altro tipico cuorno quello de ‘o carnacuttaro (il girovago venditore di trippe bovine che lavate, sbiancate e lessate vengon vendute al minuto opportunamente ridotte in piccoli pezzi serviti su minuscoli fogli di carta oleata, irrorate di succo di limone e cosparse di sale contenuto in un corno bovino, seccato, vuotato, forato in punta, per consentire la fuoriuscita del sale con cui viene riempito, e tappato alla base con un grosso turacciolo di sughero; tale cuorno viene portato pendulo sul davanti del corpo, legato in vita con un lungo spago, in modo che nel suo pendere insista su di una bene identificata zona anatomica; ciò è rammentato nell’espressione: Mo t’’o ppiglio ‘a faccia ô cuorno d’’a carnacotta! (Adesso te lo procuro, prendendolo dal corno della trippa) nella quale ‘o cuorno è usato eufemisticamente in luogo d’altro termine becero, facilmente intuibile se si tiene presente la zona su cui insiste il pendulo corno del sale… l’espressione è usata con una sorta di risentimento da chi venga richiesto di azioni o cose che sia impossibilitato a portare a compimento o a procurare, non essendo le une o le altre nelle sue capacità e/o possibilità.
5 - Pure ll'onore so' castighe 'e Ddio.
Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda.
pure= pure, anche avv. con valore aggiuntivo derivato dal lat. pure 'puramente, semplicemente' ed anche; nel lat. tardo, 'senza riserve, senza condizione;
onore/i =onori sost. neutro plur. di onore = buona reputazione acquistata con l'onestà, la coerenza ai propri principi; dignità, prestigio; coscienza del valore sociale e morale di tale reputazione e quindi delle virtú che l'ànno procurata derivato dal lat.honore(m) con eliminazione dell’aspirata d’avvio intesa inutile e pleonatica;
castighe = castighi sost. masch. plurale di castigo = castigo, punizione, sventura etc. deverbale di castigà che è dal lat. castigare, deriv. di castus 'puro'; in origine 'rendere puro';
Ddio = Dio, nelle religioni monoteiste, l'Essere supremo concepito come la causa creante di tutta la realtà o come il semplice ordinatore del caos primordiale, a cui si attribuisce il governo del mondo; in genere, costituisce anche il principio del bene e il fondamento della morale umana; l’etimo è dal lat. díu(m), da una radice indoeuropea che significa 'luminoso'.
6 - Madonna mia fa' stà bbuono a Nirone
Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. È l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso, piuttosto che l'imbelle democratico, oppure – con altra poco differente valenza - che esso popolo preferisce essere amministrato e/o guidato anche da un cattivo soggetto, temendo e paventando che un eventuale sostituto sia peggiore del sostituito!
Madonna/Maronna = Madonna, appellativo di cortesia con cui ci si rivolgeva alle donne di elevata condizione e che si premetteva al nome proprio, oggi usato in taluni paesi del Piemonte come segno di rispetto delle nuore verso le suocere, ma ovunque esclusivamente nei confronti della Madre di Dio; etimologicamente è voce forgiata sul francese madame=mia signora attraverso una composizione di ma (forma proclitica di mia) e donna/ronna=donna; la forma Maronna è d’uso piú popolano di Madonna e comporta la tipica rotacizzazione osco-mediterranea della d→r;
Nirone= Nerone 37-68 d.C.), imperatore romano (54-68), ultimo della gente Giulio-Claudia. Figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, cambiò il suo nome (Lucio Domizio Enobarbo) in Nerone Claudio Cesare dopo essere stato adottato dall'imperatore Claudio, che sua madre aveva sposato in seconde nozze. Nel 53 sposò la figlia di Claudio, Ottavia. Alla morte di Claudio, nel 54, i pretoriani, guidati dal prefetto del pretorio Sesto Afranio Burro (fedele ad Agrippina) lo proclamarono imperatore. Sotto la guida di Burro e del filosofo Seneca, suo tutore, Nerone si mostrò inizialmente deferente nei confronti del senato, la cui autorità era notevolmente diminuita durante i regni degli ultimi imperatori.
Entrato in contrasto con la madre, che si opponeva alla sua relazione con Poppea Sabina e intendeva esercitare sempre maggiore influenza, Nerone fece uccidere Britannico, figlio di Claudio e di Messalina, considerato un possibile pretendente al trono e allontanò la madre da Roma, facendola uccidere nel 59. Con la morte di Burro e il ritiro di Seneca dalla vita pubblica, Nerone modificò radicalmente la propria politica: divenuto ostile al senato, iniziò a favorire i ceti popolari e militari e a esercitare un potere sempre piú dispotico. Quando, nel luglio del 64, Roma fu distrutta da un incendio, l'imperatore ne fu ritenuto responsabile e cercò invano di incolpare dell'incendio i cristiani. In seguito, fece costruire per sé la nuova residenza imperiale (la domus aurea).
Il contrasto con il senato si acuí in seguito alla riforma monetaria introdotta da Nerone (59-60), secondo cui veniva privilegiato il denarius (la moneta d'argento di cui si serviva soprattutto la plebe urbana) all'aureus (moneta dei ceti piú agiati). Nel 65 Caio Calpurnio Pisone ordí una congiura ai danni di Nerone, che tuttavia la represse e fece uccidere tra gli altri Seneca e il poeta Lucano, accusati di aver preso parte alla cospirazione. Nel 66-67 Nerone si recò in Grecia, alla quale rese la libertà, rendendo piú difficili i rapporti con le altre province dell'impero. Nel 68 le legioni stanziate in Gallia e in Spagna, guidate rispettivamente da Vindice e da Galba, si ribellarono all'imperatore, costringendolo a fuggire da Roma. Dichiarato nemico pubblico dal senato, Nerone si suicidò.Nerone fu molto noto anche a Napoli nel cui teatro ubicato nei pressi dell’acropoli cittadina (sita tra le attuali strade di Spaccanapoli, san Gregorio Armeno e piazza san Gaetano) si esibí numerose volte cantando sue composizioni ed accompagnando il canto con la cetra. Personaggio discusso e non ancòra compreso a fondo dagli addetti ai lavori che tuttora ne studiano la complessa personalità non riuscendo a dare un giudizio univoco finale, fu ed ancòra è nell’immaginario comune emblema del male e della crudele perfidia.


7- Pe ttre ccalle 'e sale, se perde 'a menesta.
Letteralmente: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. Il treccalle era una piccolissima moneta divisionale ( la piú piccola era il callo contrazione di cavallo che era effigiato sul dritto della moneta) napoletana pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di tre calli per acquistare il necessario sale.
sale= sale, nel linguaggio corrente, il cloruro di sodio, presente in natura come salgemma o disciolto nelle acque del mare, e usato spec. per dar sapore ai cibi o conservarli letimo è dal lat. sale(m);
perde= perde voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.)dell’infinito pèrdere= non avere piú, restare privo di una persona con cui si aveva consuetudine, o di qualcosa che si possedeva, si usava, di cui si aveva facoltà; non trovare piú, smarrire, mandare a male con etimo dal latino pèrdere, comp. di per 'al di là, oltre' e dare 'dare';
menèsta = minestra genericamente ogni primo piatto, caratteristico della cucina italiana, a base di pasta o riso cotti in brodo o in acqua con legumi e verdure; piú particolarmente in napoletano la voce menèsta indica una portata di verdure lessate in brodo di carne, spesso addizionate (e si à la c.d. menesta mmaretata) di carni lesse bovine e suine e talvolta di pollame; l’etimo di menèsta è l’acc. lat. minestra(m) deverbale del lat. ministrare nel sign. di 'servire a mensa', deriv. di minister 'servo, servitore'con successivi metaplasmi popolari di apertura delle i→e e sincope della liquida r come alibi maesta da magistra etc.
8 - S'è aunito 'o strummolo a tiriteppete e 'a funicella corta.
Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e lo spago corto. Id est: ànno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio.
s’è aunito = si è unito voce verbale rifless. (3° pers. sing. del pass. pross.) dell’infinito aunir(se)= unirsi, congiungersi con etimo dal basso lat. ad +unire, deriv. di u¯nus 'uno': ad unu(m) ire;
strummolo = conica trottolina lignea azionata attraverso lo srotolamento con movimento secco e rapido di una cordicella arrotolata strettamente seguendo le scanalature parallele tracciate lungo la parete della trottolina che à una punta metallica infissa al vertice del cono; è un giuoco un tempo largamente diffuso, con varî nomi tra tutti i ragazzi della penisola; ed a Napoli fu detto strummolo con derivazione dal greco strombos che diede il latino strumbus→strummus→strummolo;
tiriteppe e talvolta tiriteppole intraducibile in quanto voce onomatopeica usata per indicare che la trottolina di fabbricazione non bilanciata e che abbia la punta scentrata , una volta le sia stato impresso il moto rotatorio, non prilla a dovere, ma ballonzola malamente, producendo un tipico rumore scorretto, toccando terra non con la punta, ma con le pareti laterali, fino a che – perduta la forza rotatoria – non crolli in terra e si fermi troppo presto dimostrando che la trottolina è ‘nu strummolo scacato (trottola senza forza e/o capacità) destinato a soccombere in ogni contesa ludica fino a subire l’estremo affronto d’essere scugnato (sbreccato se non spaccato da un colpo inferto con la punta acuminata dello strummolo vincitore…)
scugnato= sbreccato,spaccato part. pass. masch. dell’infinito scugnà= sbreccare, spaccare, percuotere, ma altrove anche dissodare, trebbiare, battere il grano con etimo dal lat. volg. *excuneare derivato di cuneus;
funicella= cordicella sost. femm. diminutivo (vedi suff. cella) di fune= corda, insieme di piú fili di canapa, d'acciaio o di altro materiale ritorti e intrecciati fra di loro; fune, cavo con etimo dal lat. fune(m);
corta= corta, di poca lunghezza o di lunghezza inferiore al normale; agg. femm. (il maschile è curto) con etimo dal lat. curtu(m) /curta(m)'accorciato/a, troncato/a'; anche l’italiano antico ebbe curto in luogo di corto.
9 - Ll'aucielle s'apparono 'ncielo e 'e chiàveche 'nterra.
Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunione sulla terra. Il termine: chiàveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al maschile plurale il termine originario femm. sing. : chiàveca che è la cloaca, la fogna, da un acc. tardo lat. clavica(m) normale il passaggio di cl→chi come ad es. in clavus=chiuovo, chiodo- clarum=chiaro etc.; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano, per i napoletani, gli uomini detti chiàveche quasi via di trasporto di escrementi; linguisticamente rammenterò che il plurale femm. di chiàveca si distingue da quello maschile perché, pur essendo anch’esso come il maschile chiàveche, se preceduto da vocale a,o,e oppure dall’art. ‘e (le) va scritto con la geminazione iniziale ‘e cchiàveche mentre il maschile ‘e(i) chiàveche non comporta la geminazione;
aucielle= uccelli sost. masch. plurale di auciello=uccello derivato di un tardo latino aucellus doppio diminutivo di avis attraverso avicula→avicellus→aucellus con la v letta u, e successiva sincope della prima i e dittongazione (ě→ie) della vocale implicata (seguita da due consonanti)
‘nterra = in terra, sulla terra; ‘nterra= in(illativo)+terra (dal lat. terra(m).
10 - 'E ciucce s'appiccecano e 'e varrile se scassano.
Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Cosí va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana à tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo piangano gli Achei...).
ciucce = asini, ciuchi sost. masch. plurale di ciuccio= asino, ciuco e figuratamente persona ignorante, ragazzo che non riesce negli studi; qui maliziosamente riferito ai capi, ai comandanti; per la voce ciuccio etimologicamente qualcuno sbrigativamente parla di un lemma espressivo, ma preferisco aderire all’idea di chi, forse piú acconciamente , pensa occorre riferirsi al lat. cillus sulla scia del greco kíllos= asino; il probabile tragitto seguíto è: cillus→ciccus→ciucco→ciuccio ,
appicecano= litigano voce verbale (3°pers. plur. ind. pres.) dell’infinito appiccecà= litigare, contrastarsi, venire alle mani intensivo di appiccià con etimo dal basso lat. adpiceare denominale di ad+piceus (riguardante la pece): chi litiga e viene alle mani si appiccica quasi all’avversario;
varrile= barili sost. masch. plur. di varrilo = recipiente simile a una piccola botte, fatto di doghe di legno tenute assieme da cerchi di ferro, impiegato per la conservazione di liquidi o altri prodotti | essere ‘nu varrilo, (fig.) essere molto grasso. con etimo dal basso latino barillus, ma attraverso il port., spagn, prov. barril con la tipica alternanza partenopea b/v come bocca/vocca, barca/varca etc. il basso latino barillus si forgiò su di una radice bàr=portare la medesima dello spagnolo barrica e franc. barrique= botte ed ancòra dello spagnolo barral= fiasco;
se scassano= si rompono, si infrangono voce verb. rifl. (3° pers. plur. ind. pres.) dell’infinito scassare/arse/ scassà= romper(si), infrangere con etimo da un tardo latino s (intensiva)+ quassare frequentativo di quatere; ricorderò che in napoletano esiste una seconda voce scassà con etimo e significato diverso; questa seconda voce verbale sta per raschiare, cancellare e deriva da un tardo latino s (intensiva)+ cassare denominale di cassus=vano, vuoto.
Raffaele Bracale

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