lunedì 31 dicembre 2018

STUCCHIMACCHIO/STRUCCHIMACCHIO/STRICCHIMACCHIO


STUCCHIMACCHIO/STRUCCHIMACCHIO/STRICCHIMACCHIO
Questa volta su solleticazione del caro amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche)  mi occupo della datatissima e forse desueta  voce napoletana in epigrafe  che  ormaje si può cogliere sulle labbra di qualche stagionato napoletano che ancòra la usa quando parla di un qualunque liquido o estensivamente, come dirò,unguento, pomata e simili di cui non sappia o non gli sovvenga il nome e talora, con una sorte di metonimia, anche per indicare il suo relativo contenitore, quando si tratti di una bottiglina, flacone od ampollina o astuccio cilindrico [come quello dei rossetti].E cosí ò fatto luce sul significato del vocabolo; ora rammenterò a chi lèggesse che in origine esso venne usato nella originaria lezione di “stucchimacchio” cosí come derivava dalla storpiatura dell’agg.vo greco    “stomachikós”= (bevanda) giovevole allo stomaco preso a modello per indicare qualsivolesse liquido anche quando non fósse esattamente una bevanda  da far bene, aiutare, agevolare, favorire, avvantaggiare l’organo deputato alla digestione; successivamente nella città bassa il vocabolo in esame finto sulle labbra dei popolani di piazza san Francesco e zone limitrofe vénne ulteriormente corrotto in “strucchimacchio”e/o “stricchimacchio”  ampliandone, a dileggio, il significato in riferimento ad ogni rossetto, unguento  o pomata usati dalle relative consorti. Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro  dei miei ventiquattro lettori e  chi  forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.
Raffaele Bracale

SBREVUGNÀ


SBREVUGNÀ
Il caro amico A. R. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche parola per illustrare significato e portata della parola napoletana in epigrafe. Gli ò cosí risposto: L’antico verbo di cui mi chiedi, spessissimo usato al participio passato sbrevugnat/a come sinonimo di sbetuperato/a,smerdiato/a ed estensivamente anche  scrianzato/a, scustumato/a è un verbo usato in napoletano per rendere l’italiano svergonare, disvelare qualcosa di segreto al fine di sconfessare, squalificare,sbugiardare qualcuno/a che menta spudoratamente, nella speranza che quel/la qualcuno/a ne provi rossore; il verbo napoletano  etimologicamente deriva da un prefisso intensivo S- + il lat. verecundiare per il tramite di uno *sbregunniare>sbreunniare>sbre-v-ugnare [con nj>gn e suono di transizione –v- in sostituzione della –g- caduta ed è un verbo che icasticamente pone l’accento sulla funzione correttiva di chi svergoni, squalifichi o addirittura tradisca il bugiardo, inducendolo al pentimento.
   E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A. R.  ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale

NUNN’È GGRANO CA SCAPEZZA


NUNN’È GGRANO CA SCAPEZZA
Mi è stato chiesto, via e-mail,  da un mio abituale frequentatore di questo BLOG, l’esimio signor  B. C. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche parola per illustrare significato e portata della locuzione in epigrafe.
Comincio col dire che letteralmente l'espressione significa: non è grano che casca [cioè non è grano da recidere, in quanto non è ancòra giunto a maturazione.]La datatissima locuzione nata in àmbito agreste, pervenuta in città, fu usata, al di là del significato letterale, figuratamente   in  riferimento in primis ad ogni  ragazzo che non fósse ancóra un adolescente in quanto ritardasse ad avere la sua prima polluzione e successivamente  fu riferito ad ogni faccenda che non percorresse il suo normale iter in modo celere e pertanto  che non giungesse in modo rapido a conclusione.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto il signor  B. C.  ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale

LL'ASTECO CHIOVE I 'A FENESTA SCORRE


LL'ASTECO CHIOVE I 'A FENESTA SCORRE
 Per illustrare l'espressione in epigrafe mi spiego in poche parole dicendo ch’essa  si rende ad litteram in italiano con: “il lastrico gocciola e la finestra (lascia) scorrere (l’acqua)” ed essa  attaglia ad una situazione in cui ogni cosa proceda pessimamente, come in una casa messa male con il solaio lesionato che lascia passar la pioggia e una finestra le cui ante sono  impregnate d'acqua piovana che non riescono a trattenere.  Rammento che l’ asteco  è il lastrico solare, tipica copertura delle case partenopee; etimologicamente la voce è dal greco óstrakon = coccio, quantunque l’asteco partenopeo non sia coperto di coccio ma un tempo di lapillo ed oggi di greve pece.
Brak

FRANCO ‘E VOZZOLA E CCAPPIELLO


FRANCO ‘E VOZZOLA E CCAPPIELLO
Mi è stato chiesto, via e-mail,  dal  caro amico M. A. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) di spendere qualche parola per illustrare significato e portata della locuzione in epigrafe.
Gli ò cosí risposto: la datatissima locuzione partenopea di cui mi chiedi è pressoché desueta e la si puó cogliere ormai  solo sulle labbra dei napoletani d’antan della città bassa, dove nacque; ad litteram suona:[Esser] libero,  esonerato, dispensato, sciolto, esente [dal procurarsi il necessario per] il vitto e l’abbigliamento e venne usata, in origine, nei riguardi di ogni persona, soprattutto giovane, che fósse apparentato e  vivesse in casa ed alle spalle  di  un sacerdote, e pertanto non lavorasse per procurarsi il necessario a vivere; in seguito la locuzione fu riferita ad ogni scroccone e cosí è giunta sino a noi.
Esaminiamo i termini usati:
franco/a  agg.vo m.le o f.le
1 (ant.) si diceva di persona o cosa non sottomessa politicamente:
2 (estens.) si dice di chi è libero da doveri e prestazioni | guardia franca, marenaro franco, membro dell'equipaggio che, libero dal servizio, può scendere a terra | franco tiratore, chi compie azioni di guerriglia nelle retrovie di un esercito invasore;
3(fig.) parlamentare che, nelle votazioni a scrutinio segreto, si sottrae alla disciplina di partito
4 libero dal pagamento di dazi, di spese di trasporto ecc. | mercanzia franca ‘e puorto (merce franca di porto), spedita a spese del mittente | franco frabbeca, franco dumicilio, a spese del mittente fino ai luoghi indicati | città franca, puorto franco, località in cui si introducono merci senza pagare i dazi doganali | farla franca, (fig.) compiere un'azione illecita e riprovevole senza essere sorpresi
5  (come nel caso dell’espressione in esame )libero,  esonerato, dispensato, sciolto, esente da spese o da condizionionamenti;
6(come nel caso dell’espressione sub 2)leale, schietto, sincero:
7 sicuro di sé, disinvolto; spedito: purtamento franco; prucedere cu ‘o  passo franco |
8(estens.) libero da pregiudizi, sfrontato.

 s.vo  m.le nelle costruzioni, distanza minima di sicurezza da un elemento sospeso o sporgente | in un'opera idraulica, la distanza fra il livello massimo a cui l'acqua può arrivare e quello che non deve raggiungere.
Etimologicamente è voce dal fr. ant. frank, propr. 'libero'.
 vozza/vozzola, s.vo f.le in primis vistosa tumefazione, rigonfiamento nella parte anteriore del collo, dovuta all'ingrossamento della tiroide, gozzo; per traslato
(fam.) gola, stomaco di una persona: regnerse ‘a vozzola(riempirsi il gozzo), mangiare esageratamente | tené coccosa dint’â vozza(aver qualcosa nel gozzo), (fig.) non riuscire a mandar giú un'offesa, un affronto o a tollerare qualcosa di sgradito | me sta ‘ncopp’â vozza ( mi sta sul gozzo), (fig.) si dice di cosa o persona che non si sopporta | nun tenerse niente dint’â vozza (non tenere nulla nel gozzo), (fig.) dire tutto quello che si à da dire; la voce a margine nella doppia morfologia (la seconda non è che una sorta di diminutivo della prima attraverso l’aggiunta del suff.  ola che continua il lat. olus/ola  e che unito ad aggettivi o sostantivi forma alterati con valore diminutivo o vezzeggiativo) la voce a margine, dicevo, nella doppia morfologia è un derivato del lat. tardo gargăla «trachea», da una radice *garg- assai diffusa in lingue romanze e in altre lingue indoeuropee antiche: da gargăla→gargozza donde (gar)gozza→gozza→vozza  con la tipica alternanza partenopea di g e v o v e g/c (cfr. volpe/golpe, vunnella/gunnella, vongola←concula  –gallo/vallo – vappa→guappo etc.).
Cappiello  s.vo m.le
1. nome generico di qualsiasi copricapo; in particolare, il copricapo con cupola e tesa o falda; 2. qualsiasi oggetto che, per  forma o  funzione, ricordi un cappello: cappello del lume; cappello di un fungo |cappello della tromba, del trombone, sordina
3. breve introduzione ad uno scritto, ad un discorso
4.  corona, ghirlanda
5. (come nel caso che ci occupa) nome usato quale emblema dell’abbigliamento specialmente se ricercato.
Voce etimologicamente dl  lat. mediev. cappĕllu(m),[con dittongazione ie della breve] deriv. di căppa ‘copricapo’.
 E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico M. A.  ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente  chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
 Raffaele Bracale