sabato 30 giugno 2012

MEZZEMANICHE ALLA ZINGARA

MEZZEMANICHE ALLA ZINGARA Questa volta vi suggerisco un gustosissimo piatto di pasta,il preferito di Ursula Andress, che fu ritenuta (e non a torto) la piú bella architettura svizzera dopo le Alpi. Eccovi la ricetta: ingredienti e dosi per 6 persone: 600 gr. di mezzemaniche rigate 100 gr. di pancetta affumicata tesa a cubetti 1 cipolla bianca affettata grossolanamente 1 polputa falda di peperone giallo, 1 falda di peperone rosso, 1 falda di peperone verde, 2 grossi funghi porcini freschi o surgelati affettati sottilmente alla francese in senso longitudinale, 1 etto di olive verdi di Spagna denocciolate, 1 etto di olive nere di Gaeta denocciolate, 4 pomidoro freschi e maturi tipo Roma o Sanmarzano, lavati, sbollentati, pelati e tagliati a grossi pezzi, 1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente, 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v., 1 etto di pecorino grattugiato, sale grosso un pugno, sale fino e pepe nero q.s. procedimento. Riducete a piccoli pezzi le falde di peperoni ed affettate accuratamente i funghi; ponete tutto l’olio in un’ ampia padella e fate soffriggere la cipolla con i cubetti di pancetta; versate dapprima i pezzi di peperoni e fateli intenerire con mezza ramaiolata d’acqua bollente; unite poi i funghi a fettine e le olive e fate sobbollire per circa 10’; aggiungete infine i pezzi di pomidoro schiacciandoli con una forchetta, salate e lasciate cuocere per altri 10’; rimestate delicatamente ed a fine cottura tenete in caldo mentre lessate in abbondante acqua (8 litri) salata (sale grosso) le mezzemaniche; scolatele al dente e versatele nella padella col sugo zingaresco; fuori del fuoco spolverizzate con il prezzemolo tritato a fresco rimestate ed impiattate cospargendo le portate di pecorino ed abbondante pepe nero. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo raffaele bracale.

FRITTATA DI MACCHERONI.

FRITTATA DI MACCHERONI. Questo gustosissimo piatto inizialmente nacque per recuperare la pasta (non ancóra condíta e di qualsiasi formato: doppio o sottile, che fósse eccedente il bisogno del desinare quotidiano). In origine (ma di ciò è a conoscenza solo qualcuno piú addentro alle tradizioni storico-culinarie partenopee)anche la famosissima pastiera (dolce sovrano della pasticceria napoletana) si preparò con la pasta (donde il nome pastiera) scondita eccedente il bisogno del desinare quotidiano, pasta che venne via via addizionata di latte, uova, ricotta,zucchero, canditi etc.per dar vita al dolce menzionato; ma torniamo alla frittata vera e propria per dire che solo successivamente si cominciò a recuperare la pasta già condita e segnatamente quella doppia (zite, maltagliati, rigatoni) avanzata dal pranzo della domenica, quella pasta condíta, per intenderci, con il mitico ragú napoletano, e bisogna riconoscere che la frittata di maccheroni preparata con la pasta domenicale intrisa del sapore del sugo di ragú, è semplicemente eccezionale. Tuttavia oggi, dismesso – purtroppo! – il rito del ragú napoletano – si è quasi costretti a frittate di maccheroni, direi piú francescane e si lessa la pasta (vermicelli, bucatini) a bella posta per preparare questa frittata, che è comunque buona sia nella versione bianca, ma ancóra di piú nella versione bianca farcita e sue variazioni che di sèguito illustrerò; e non di meno tali frittate ugualmente gustosissime soddisfano i palati piú esigenti. In genere la frittata di maccheroni si presta ad essere una pietanza da pic nic o da portare in ispiaggia, ma vi assicuro che consumata come piatto unico al desco casalingo innaffiata da generosi rossi campani (per la versione rossa) o da birra bionda e fredda o profumati vini bianchi freddi di frigo (per le versioni bianca o bianca farcita e varianti) non farà rimpiangere alcun diverso manicaretto! Il segreto principe di una buona frittata di pasta consiste nel fatto che va approntata quando la pasta lessata o avanzata sia raffreddata benissimo. Cominciamo con la Versione Rossa (pasta al sugo avanzata) Ingredienti: x 2 persone 400 gr. pasta doppia avanzata condita con il ragú, 4 uova sale fino e pepe nero q.s. pecorino grattugiato due cucchiai ½ bicchiere di olio d'oliva e.v. p. s. a f. Esecuzione: Sbattere in una terrina a spuma le uova con una presa di sale, un pizzico di pepe nero e due cucchiai di pecorino, intridervi il piatto o i piatti di pasta avanzata conservata in frigorifero; lasciar riposare 15’ poi mettere un po’ d'olio in una padella di ferro nero, una volta che l’olio sia ben caldo farvi scivolar dentro la pasta intrisa d’uovo pressandola con una forchetta per formare uno strato uniforme, rosolare per bene (3’ circa) da un lato e poi fare lo stesso per l'altro lato (altri 3’): per girare la frittata, aiutarsi con un ampio piatto da portata. Servire indifferentemente calda o fredda. E passiamo alla Versione Bianca ed a quella (Versione) Bianca Farcita. Versione Bianca Ingredienti: x 2 persone 400 gr. pasta doppia (zite, rigatoni, maltagliati) o di vermicelli o bucatini lessati in acqua salata, sgrondati e passati in frigorifero almeno per mezz’ora, 4 uova, sale doppio un pugnetto, sale fino e pepe bianco q.s. pecorino grattugiato due cucchiai 1 bicchiere di olio d'oliva e.v. p. s. a f. Procedimento. Sbattere a spuma le uova in una terrina con una presa di sale, di pepe e con un paio di cucchiai di pecorino, Lessare la pasta in acqua bollente salata, scolarla e condirla con un filo d'olio e mandarla in frigo almeno per mezz’ora; súbito dopo mescolarla con le uova battute, coprire e lasciar insaporire almeno 15’ rimescolando di tanto in tanto; questa operazione è fondamentale per la buona riuscita di questo piatto. Mettere un po’ d'olio in una padella di ferro nero, una volta che l’olio sia ben caldo mettere la pasta condita formando con la pressione d’una forchetta uno strato uniforme, rosolare per bene da un lato (3’) e poi fare lo stesso per l'altro lato(altri 3’) ): per girare la frittata, aiutarsi con un ampio piatto da portata. Servire calda o anche fredda. Versione Bianca Farcita dosi per 2 persone: 400 gr. di vermicelli/vermicelloni o bucatini lessati in acqua salata, sgrondati, conditi con un filo d’olio e mandati per mezz’ora in frigo, 4 uova, sale doppio un pugnetto sale fino e pepe bianco q.s. pecorino grattugiato due cucchiai, 1 etto di ricotta pecorina, Una fetta, del peso di un etto, di prosciutto cotto tagliata in listelli di cm. 5 x 1 x 1, 1 bicchiere di olio d'oliva e.v. p. s. a f. Procedimento. Sbattere a spuma le uova in una terrina con una presa di sale, di pepe e con un paio di cucchiai di pecorino, Lessare la pasta in acqua bollente salata, scolarla e metterla in una zuppiera per condirla con un filo d'olio e mandarla in frigo almeno per mezz’ora; súbito dopo mescolarla con le uova battute, coprire e lasciar insaporire almeno 15’ rimescolando di tanto in tanto prima di aggiungere la ricotta già stemperata con due cucchiai di acqua di cottura della pasta, (tenuta da parte alla bisogna) ed il prosciutto; amalgamare e rimestare il tutto accuratamente. Mettere un po’ d'olio in una padella di ferro nero, una volta che l’olio sia ben caldo mettere la pasta condita formando, con la pressione d’una forchetta, uno strato uniforme, rosolare per bene da un lato (3’) e poi fare lo stesso per l'altro lato(altri 3’). per girare la frittata, aiutarsi con un ampio piatto da portata. Servire quando sia raffreddata. La frittata di maccheroni, come ò detto è uno squisito piatto unico, ma è chiaro che la versione farcita è adatta a soddisfare i palati piú golosi ed esigenti. VARIANTE BIANCA CON PROVOLA E ZUCCHINE Ingredienti: x 2 persone 400 gr. di vermicelli o bucatini lessati in acqua salata, sgrondati e passati in frigorifero almeno per mezz’ora, 4 uova, 2 zucchine verdi napoletane, lavate, asciugate, spuntate ed affettate in rondelle da ½ cm. di spessore, 4 grossi fiori di zucca lavati, asciugati privati di gambo e pistillo e spezzettati grossolanamente, 2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente, 1 dado vegetale, 2 bustine di zafferano, 2 etti di provola affumicata tagliati a dadi di ½ m. di spigolo, sale doppio un pugnetto, sale fino e pepe bianco q.s. pecorino grattugiato due cucchiai 1 bicchiere e mezzo di olio d'oliva e.v. p. s. a f. Procedimento. In una proporzionata teglia antiaderente versare mezzo bicchiere d’olio ed a fuoco vivace far imbiondire l’aglio tritato, unire le zucchine e i pezzi di fiori di zucca, bagnare con mezza tazza da tè d’acqua bollente in cui sia disciolto il dado e le bustine di zafferano e trifolare il tutto per dieci minuti; alla fine regolare di sale fino e pepe e tenere in caldo. A seguire battere a spuma le uova in una terrina con una presa di sale fino ,due di pepe e con un paio di cucchiai di pecorino. Lessare la pasta in acqua bollente salata, scolarla e condirla con un filo d'olio e mandarla in frigo almeno per mezz’ora; súbito dopo mescolarla con le uova battute,aggiungere la trifola e la dadolata di provola coprire e lasciar insaporire almeno 15’ rimescolando di tanto in tanto; questa operazione è fondamentale per la buona riuscita di questo piatto. Mettere un po’ d'olio in una padella di ferro nero, una volta che l’olio sia ben caldo mettervi la pasta condita formando con la pressione d’una forchetta uno strato uniforme, rosolare per bene da un lato (4’) e poi fare lo stesso per l'altro lato(altri 4’) ): per girare la frittata, aiutarsi con un ampio piatto da portata. Servire calda o anche fredda. raffaele bracale

TUBETTI RIGATI CACIO ED UOVA

TUBETTI RIGATI CACIO ED UOVA Ingredienti e dosi per 6 persone: 6 etti di tubetti rigati, 3 uova, Un etto di sugna, Un etto e mezzo di cacio pecorino grattugiato finemente, un ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e titato finemente, un pugno di sale grosso, sale fino due pizzichi, pepe decorticato macinato di fresco q.s. Preparazione Lessare la pasta in otto litri d’ acqua bollente salata(pugno di sale grosso);nel frattempo aprire le uova in una ciotola e sbatterle a ffondo con una forchetta addizionalte del sale fino e del decorticato macinato di fresco; fare scioglierea fuoco dolce in una padella di ferro nero la sugna, unirvi i tebetti lessati al dente e rimestare per un paio di minuti sempre a fuoco dolce;súbito dopo aggiungere le uova sbattute ed il cacio pecorino grattugiato finemente e continuare a rimestare fino a che le uova non risultino addensate; fuori del fuoco cospargere con il prezzemolo lavato, asciugato e titato finemente; impiattare e servire súbito in tavola. Vini: secchi e profumati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, buona salute! Raffaele Bracale

venerdì 29 giugno 2012

VERMECIELLE AMMULLECATE

VERMECIELLE AMMULLECATE ingredienti e dosi per 6 persone: 6 etti di vermicelli ( non spaghetti!) 1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p.s. a f., 2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente, 1 etto di filetti d’acciuga sott’olio , 1 etto di olive nere denocciolate, sale grosso un pugno, 3 etti di mollica di pane casareccio, bruscata al forno e poi tritata, 1 etto di pecorino grattugiato, ½ etto di pinoli tostati ½ etto di uvetta ammollata e strizzata, 1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e finemente tritato, sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s. procedimento Affettare 350 gr di pane casareccio, eliminare la crosta delle fette e metterle a bruscare per 5’ in forno preriscaldato (240°), indi frantumare con un mixer con lame da aridi o con un pestello da mortaio o da carne le fette bruscate fino a recuperare un sottile trito di mollica che va raccolto in un piatto ed addizionato con il pecorino grattugiato; indi versare il tutto in una padella con metà dell’olio portato a temperatura e far riscaldare. Tenere da parte.Tostare al forno i pinoli ed ammollare in poca acqua bollente l’uvetta che va poi strizzata. Versare l’olio residuo in un’ampia padella e farvi imbiondire il trito d’aglio, aggiungere i filetti d’acciga e farli scioglieri rimestando con la punta d’un cucchiaio di legno; unire le olive denocciolate, i pinoli tostati e l’uvetta ammollata e strizzata,lasciare amalgamare i sapori, aggiustare di sale e tenere in caldo; frattanto lessare al dente i vermicelli in circa 8 litri di acqua salata (un pugno di sale grosso). Scolarli e grondanti d’acqua trasferirli nella padella con il sughetto con le acciughe; rimestare ed aggiungervi tutta la mollica con il pecorino; amalgamare ed impiattare spruzzando ogni porzione con il trito di prezzemolo e parecchio profumato pepe nero macinato a fresco. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente. mangia Napoli, bbona salute!E sciàlateve! Raffaele Bracale

VERMICELLI CAPPERI ED OLIVE

VERMICELLI CAPPERI ED OLIVE Dosi per 6 persone 6 etti di vermicelli n° 9 1 bicchiere di olio d’oliva e.v. 3 bicchieri di passata di pomidoro 1 barattolino da 2 etti di concentrato di pomidoro 1 cipolla di Tropea affettata a velo ½ etto di piccoli capperi di Pantelleria dissalati e lavati 1 etto di olive nere di Gaeta denocciolate 1 grosso ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato (possibilmente in centrifuga o in alternativa facendolo ruotare velocemente avvolto in un telo pulitissimo) e tritato finissimamente. sale q.s. abbondante pepe nero macinato a fresco. Procedimento Preparate il sugo versando tutto l’olio in un’ampia padella; aggiungere la cipolla affettata a velo; far soffriggere a fuoco vivace,; quando la cipolla è ben dorata, ma non bruciata versare la passata di pomidoro e subito dopo tutto il concentrato di pomidoro con mezza ramaiolata di acqua bollente; salare e far cuocere per circa 15’; alla fine aggiungere i capperi lavati e dissalati, le olive nere denocciolate; far sobbollire, abbassando la fiamma, per altri 5 minuti, correggere eventualmente di sale ed aggiungere abbondante pepe nero macinato a fresco e fuori dal fuoco il trito di prezzemolo. Frattanto lessare al dente i vermicelli in abbondante acqua salata (circa 7 litri). Colarli, sgrondando accuratamente e versarli nella padella con il sugo, rimestare accuratamente, impiattare mandando sùbito in tavola, senza che i vermicelli perdano di calore. Su di ogni porzione si può spruzzare altro prezzemolo tritato e pepe nero. Vini consigliati: secchi e profumati bianchi campani: Falanghina, Ischia, Capri, Fiano d’Avellino freddi di frigo. Brak

PENNE SAPORITE

PENNE SAPORITE Dosi per 6 persone: 6 etti di penne rigate, 1 bicchiere d’olio e.v., 5 etti di pomodori rossi e maturi, sbollentati, pelati e passati in un passaverdure a buchi fitti, 1 cipolla di tropea grossa affettata grossolanamente, 3 etti di gorgonzola o provolone del monaco piccante, ridotti in cubetti, 1 cucchiaio di origano, ½ bicchiere di latte, sale e pepe nero q.b. Procedimento Tagliare la cipolla grossolanamente, farla un poco appassire nell'olio (senza che bruci! ), aggiungere il pomodoro, l'origano, e poco sale. Quando il pomodoro prende il bollore, aggiungere il gorgonzola o il provolone del monaco a pezzetti, abbassare il fuoco e coprire il tegame. Mettere a lessare la pasta in abbondante acqua salata; poco prima di scolare la pasta, scoprire il tegame ( il formaggio si sarà sciolto), mescolare il sugo, aggiungere un poco di latte, e ricoprire. Scolare la pasta, unirla al sugo, rimettere il tegame al fuoco e ripassare per pochi secondi. Cospargere di pepe macinato al momento e servire subito. Brak

VERMICELLI ROSSI AL TONNO

Vermicelli rossi al tonno Per 4 persone Ingredienti: gr. 400 vermicelli; gr. 200 tonno sott’olio; gr. 400 pomidoro ramati maturi; uno spicchio d’aglio mondato e tritato finememte, un ciuffo di prezzemolo tritato, 6 filetti d’acciuga sott’olio, 1 bicchiere di olio d’oliva e.v.; sale fino alle erbette* e pepe nero q.s.. Procedimento: fate rosolare in padella l’aglio tritato con i filetti d’acciuga insieme al bicchiere d’olio; aggiungete i pomidoro privi di semi sbucciati e spezzettati e, dopo aver aggiunto un po’ di sale all’erbette ed abbondante pepe, lasciate cuocere la salsa per circa 15 minuti. Dopo questo tempo di cottura sgocciolate il tonno, frantumatelo e unitelo alla salsa. Intanto lessate al dente i vermicelli e poi versateli nella padella con la salsa di tonno. Rimestate spolverizzate di prezzemolo tritato ed impiattate . Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo *TRITO DI ERBE ed odori un trito finissimo di erbette aromatiche secche: timo, salvia,rosmarino, aglio in camicia, erba cipollina, chiodi di garofano, origano, semi di finocchio, noce moscata, cannella etc. (in commercio si trovano già pronti dei piccoli contenitori con misti di tali erbette , ma è preferibile comporre il trito con le proprie mani, variando ad libitum il numero delle erbette; * sale grosso o fino alle erbe Unire al trito precedente del sale grosso o fino per avere in un’unica presa il giusto aroma e la giusta sapidità. nota: il sale grosso alle erbe è adatto a preparazioni di pesce o vegetali, mentre quello fino alle erbe va bene per salse e carni. raffaele bracale

STANGULAPRIEVETE A LLIMONE CU VVONGOLE, CALAMARIELLE E ZZUMPAGLIATA ‘E PRUTUSINO.

STANGULAPRIEVETE A LLIMONE CU VVONGOLE, CALAMARIELLE E ZZUMPAGLIATA ‘E PRUTUSINO. Per la realizzazione di questa squisita ricetta, dopo di averne indicato in generale ingredienti e dosi, mi soffermerò sulle singole preparazioni necessarie al conseguimento della ricetta. Ingredienti e dosi per 6 persone 1 kg. di strangulaprievete casarecci, 1,5 kg. di vongole veraci (doppio sifone e valve nere tigrate), 1 kg. di calamaretti eviscerati puliti lavati e sgrondati (peso al netto degli scarti), 3 spicchi d’aglio di cui due mondati e tritati finemente, uno mondato e schiacciato, 2 bicchieri e mezzo d’olio d’oliva e.v.p.s. a f. 2 bicchieri di vino bianco secco, il succo filtrato di due limoni non trattati, sale fino q.s. pepe decorticato q.s. 1) per gli strangulaprievete 1 kg. piú tre pugni di farina di grano duro Acqua bollente ¾ di litro, due cucchiaini di sale fino. 1 pugno di sale doppio, ½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f. procedimento Approntare un capace, ampio polsonetto ad un solo manico, riempirlo d’acqua (3/4 di litro per un kg. di farina di grano duro) e portarla ad ebollizione; fuori dal fuoco, ma quando la temperatura dell’acqua sia ancóra elevata, versare nell’acqua, a pioggia il chilo di farina ed il sale, rimestare velocissimamente, indi rovesciare d’un sol colpo su di un tagliere cosparso di due pugni farina asciutta l’impasto e cominciarlo a lavorare a mani nude molto velocemente(la cosa sarà favorita dal fatto che l’impasto risulterà bollente…) fino a che non abbia incorporato tutta la restante farina e non si sia ottenuto una palla di pasta soda ed elestica che si farà riposare per circa mezz’ora; indi si lavorerà ancóra un po’ la pasta ed aggiungendo un pugno di farina si ricaveranno dalla pasta dei bastoncelli cilindrici, lunghi una ventina di centimetri e dello spessor d’un indice dai quali si taglieranno tanti cilindretti di circa 2 cm. d’altezza che verranno pigiati con i polpastrelli dell’indice e del medio ed incavati strusciandoli sul tagliere; alla fine si disporranno tutti questi strangulaprievete (gnocchi napoletani) distesi, ad asciugare, su di un canevaccio pulitissimo cosparso con pochissima farina. Dopo mezz’ora si porta ad ebollizione una pentola d’acqua fredda salata (circa 8 litri con un pugno di sale grosso) ed appena l’acqua bolle vi si versano, pochi per volta, gli strangulaprievete che vanno prelevati dalla pentola con un mestolo forato appena riaffiorino tornando a galla, e messi in una zuppiera calda dove verrano rapidamente conditi dapprima con mezzo bicchiere d’olio d’oliva e.v. p. s. a f., il succo filtrato dei due limoni ed a seguire con i due sughi approntati.Quando saranno adeguatamente, ma delicatamente rimestati verranno impiattati, abbondantemente cosparsi di pepe decorticato macinato a fresco, nelle singole fondine calde sul cui fondo a specchio saranno spalmati tre cucchiaiate di zumpagliata di prezzemolo NOTA Riporto qui di sèguito un mio vecchio, ma ancòra valido scritto che mi pare interessante porre a corollario di questa ricetta: Strangulapriévete & Co. Con il sostantivo strangulapriévete, nell’idioma napoletano, si designano gli gnocchi semplici, fatti in casa con acqua, farina e sale. È vero che sia nell’uso quotidiano che in certa letteratura deteriore ò trovato pure — per indicare la medesima pasta — il termine strangulamuónece, ma si tratta chiaramente di un vocabolo pretestuoso, teso a prendersi gioco dei monaci, oltre che dei sacerdoti richiamati a torto nel primo lemma. Nella storia della parola, in realtà, il clero non c’entra affatto, se non per una gustosa omofonia che vi risuona o, se si vuole prendere per buona una notizia suggestiva del Vottiero, il quale riferisce che strangulapriévete chiamavano nel Settecento gli gnocchi i monaci e strangulamuónece a rimbrotto i preti. Disdicevole è peraltro che, partendo da strangulapriévete, l’italiano mediatico abbia tratto fuori uno ‘strozzapreti’ da far venire i brividi all’ascolto o sobbalzar dalla poltrona. Vuoi vedere che aumme aumme e tenendomene all’oscuro son tornati tra di noi i lanzichenecchi?! È ben vero che tra gli studiosi della parlata napoletana non è mancato, non so se per distrazione o per un eccesso di laicismo malinteso, chi accredita una semantica da serracollo, come per esempio fanno il D’Ascoli e il Santella, ma mi sto ancora chiedendo chi sia stato il primitivo ignorante che, non conoscendo l’etimologia né della prima parte né della seconda del termine strangulapriévete, à creduto di fare cosa intelligente (lasciandosi fuorviare dallo strangula d’avvio sostituendolo con ‘strozza’, (dal verbo strozzare, sinonimo in toscano di ‘strangolare’) e dimostrando, invece, d’essere un asino integrale. Cerchiamo d’esser seri. Il termine strangulapriévete, unico originale vocabolo che possa arrogarsi il diritto di significare gli gnocchi napoletani, viene da secoli lontani e nasce dalla lingua greca.Ripeto: dall’impasto di acqua, farina e sale si ricavano, arrotolandoli sul tagliere cosparso di farina asciutta, dei bastoncelli a sezione cilindrica, spessi un centimetro,o come un indice, bastoncelli che vengono tagliati in piccoli cilindretti di un paio di centimetri ognuno. I cilindretti vengon poi incavati, facendoli strusciare sul tagliere e tenendoli premuti contro il medesimo col polpastrello o dell’indice o del medio. Questa doppia operazione dell’arrotolamento e della incavatura ci fa comprendere perché il verbo greco straggalào, con i significati di arrotolare, attorcere, curvare, ed il verbo prepto con quelli di comprimere, incavare, siano all’origine della voce composta con cui designiamo i nostri gnocchi. Come si vede i sacerdoti non c’entrano nulla e di conseguenza men che meno i monaci chiamati in causa da qualche buontempone che non aveva di meglio cui pensare... Quanto allo stravolgimento di strangulaprievete in strozzapreti non posso che ribadire l’ignoranza e l’imbecillità di chi à fatto un simile strazio, ed à trovato sedicenti studiosi della lingua italiana pronti ad accoglierlo nei dizionarî in uso, diventati oramai il secchio della spazzatura in cui vien recepito di tutto, asinerie e capocchierie comprese. Si consideri la voce strangolapreti come appare in uno dei piú diffusi dizionari: «Gnocchetto duro e compatto, che, essendo di difficile masticazione, rischia di far morire soffocati». Ben tre stupidaggini infilate in una sola frase e che rischiano di farci soffocare dal ridere. Una cosa di cui ci si può solo vergognare. A proposito. Buona salute e..., mi raccomando non vi canzate (permettete) di fare ‘e strangulaprievete con le patate(gli gnocchi fatti con le patate è una faccenda della cucina romana: io glieli lascio volentieri, e spero pure voi! 2)Per il sugo di calamaretti Ingredienti e dosi per 6 persone 1 kg. di calamaretti freschi e piccoli, puliti lavati e tagliati a rondelle (il corpo) a pezzetti i tentacoli, 1 bicchiere di olio d’oliva e.v. p.s. a f., 3 cucchiai di spicchi d’aglio mondati e tritati finemente, 2 peperoncini piccanti privati di picciolo e corona, lavati, asciugati e tritati, 1 cipolla dorata mondata e tritata finemente, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 tazzina di aceto bianco, sale fino q. s. procedimento Pulire i calamaretti eliminando bocca, occhi,eventuale sacca del nero ed ossicino centrale, lavare accuratamente e prepararli tagliandoli a rondelle (come per la frittura) e tritando a parte i tentacoli; In una casseruola versare tutto l’olio, mandarlo a temperatura e farvi soffriggere due cucchiai d'agli tritati finemente ed i peperoncini spezzettati; Unire i calamaretti dapprima le rondelle ed a seguire i tentacoli ed a fiamma viva iniziate la cottura; quando i calamaretti saranno ben imbianchiti (5 min. circa) aggiungere la cipolla tritata finemente e súbito dopo il vino bianco; Fare evaporare sempre con fiamma viva, salare e lasciare consumare la salsa su fiamma bassa (10-15 min.) Aggiungere una tazzina d'aceto bianco , ancora 1 minuto ed il giuoco è fatto! Rammento di non esagerare con l'aceto ed è inutile dire che migliori sono gli ingredienti (calamaretti piccoli e freschi, olio d’oliva e.v.p.s.a f.) migliore risulterà la preparazione. 3)Per il sugo di vongole 1 kg. e mezzo di vongole veraci (quelle con il doppio sifone e valve tigrate), 3 spicchi d’aglio mondati e schiacciati, 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f., ½ bicchiere di vino bianco secco, 1 rametto di piperna lavato ed asciugato e sbriciolato, sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s., sale doppio un pugno . procedimento Lavare le vongole in acqua corrente fredda e metterle a fuoco sostenuto in un gran tegame provvisto di coperchio; aggiungere gli spicchio d’agli mondati e schiacciati tritato e mezzo bicchiere di vino, incoperchiare e lasciare aprire le vongole; indi sgusciarle e tenerle da parte in caldo in una ciotolina coperte con il liquida d’apertura filtrato con un setaccio a trama strettissima ed addizionate della piperna sbriciolata. 4)Per la zumpagliata di prezzemolo Un gran fascio di prezzemolo lavato ed asciugato, 12 filetti di acciuga sott’olio, 1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v.p.s. a f., 2 spicchi d’aglio mondati e tritati grossolanamente 1 rametto di piperna lavata, asciugata e sbriciolata. Una presa di sale doppio, pepe decorticato q.s. procedimento Lavare il gran fascio di prezzemolo ed asciugarlo; spezzettarlo grossolanamente e metterlo in un mixer con lame da umido, assime ai filetti d’acciuga, i due spicchi d’aglio mondati e tritati grossolanamente, la piperna sbriciolata, la presa di sale doppio, il pepe decorticato macinato a fresco ed avviare le lame; aumentare la velocità ed aggiungere a filo l’olio sino ad ottenere una zumpagliata soffice e spumosa. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve! Raffaele Bracale

giovedì 28 giugno 2012

CREMA DI CARCIOFI

CREMA DI CARCIOFI ingredienti e dosi per 6 persone: 12 carciofi giovani e teneri, 1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v. p. s. a f., 1 spicchio d’aglio mondato e schiacciato, 1 cipolla dorata mondata e tritata, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 etto di pancetta affumicata a cubetti da ½ cm. di spigolo, 6 fascetti di rucola, il succo filtrato di un limone non trattato, sale fino alle erbette q.s., pepe decorticato macinato a fresco q.s. procedimento Mondare i carciofi delle brattee esterne piú dure, spuntarli ed aprirli longitudinalmente in due parti eliminando il fieno centrale, indi sempre longitudinalmente affettarli allo spessore di ½ cm.; lavarli velocemente in acqua acidulata con il succo d’un limone e sgrondarli. Nel frattempo in un ampio tegame provvisto di coperchio, a fuoco vivace fare imbiondire nell’olio lo spicchio d’aglio schiacciato ed il trito di cipolla;eliminare lo spicchio d’aglio aggiungere la pancetta e farla rosolare per cinque minuti, indi aggiungere i carciofi sgrondati, bagnare con il bicchiere di vino bianco secco, farlo evaporare ed aggiungete una mezza ramaiolata d’acqua calda, incoperchiare, abbassare i fuochi e far cuocere per circa 30’ fino a che i carciofi diventino quasi una purea; solo a fine cottura salare e pepare ad libitum e trasferire i carciofi assieme al fondo di cottura in un mixer con lame da umido;unire i mazzetti di rucola lavati ed asciugati ed a bassa velocità ottenere una crema spumosa e sottile. Ottima per condire pasta incaciata,o come contorno di carni in umido o formaggi stagionati. Brak

CANNELLONI AL BACCALÀ

CANNELLONI AL BACCALÀ Oggi vi propongo una ricetta per un primo davvero sfizioso a base di pesce; è notorio che io non ami il pesce, ma per il baccalà e segnatamente il mussillo di baccalà faccio un’eccezione convinta. L’ingrediente principale di questa semplice, ma gustosa ricetta è proprio il mussillo di baccalà, che richiede alcuni accorgimenti prima della cottura. Preciso súbito che il filetto o parte dorsale e di mezzo o di baccalà o di stocco è quella parte (la migliore del pesce) ricavata appunto dalla parte centrale del merluzzo e precisamente dalla parte piú alta della sua groppa; a Napoli il filetto di baccalà à il nome di mussillo ( dico súbito che non è tranquillissima l’etimologia della voce mussillo; una scuola di pensiero propende per una derivazione per adattamento dal francese mousse(=spuma morbida e soffice come una crema ; ma la cosa non mi convince nè semanticamente né morfologicamente; pur essendo infatti il filetto di baccalà( détto mussillo) tenero e quasi soffice,semanticamente è lontanissimo dalla consistenza di una crema a base di bianco d’uovo e panna montata a freddo, quale può essere una mousse dolce ed anche molto lontano dalla consistenza di una mousse salata risultante da un passato di prosciutto, di tonno, di fegato od altro;morfologicamente poi non si capisce perché una voce femminile: mousse debba avere un diminutivo con suffisso maschile (illo) dando il maschile m(o)uss-illo e non un suffisso femminile (ella) che darebbero piú giustamente (un nome femminile esige un diminutivo femminile, non maschile!...) m(o)uss-ella; ugualmente mi pare semanticamente e morfologicamente poco convincente una derivazione di mussillo da un adattamento di murzillo diminutivo di muorzo: semanticamente il filetto/mussillo non m’appare riconducibile alla voce muorzo, atteso che d’esso è impossibile farne un morsicino e neppure un morso!, d’altro canto morfologicamente non è spiegabile il passaggio di murzillo a mussillo; linguisticamente non è possibile che il gruppo rz (che al piú può addivenire a zz) evolva in ss ed infatti non esistono(ch’io sappia) altre voci dove il gruppo rz sia diventato ss. A questo punto non mi resta che aderire alla scuola di pensiero che fu già del D’Ambra, scuola che vede in mussillo un diminutivo di musso= labbra dal tardo lat. musu(m)con raddoppiamento espressivo della sibilante) cosa esattissima dal punto di vista sia morfologico (mussillo è l’esatto diminutivo maschile di musso) sia semanticamente risultando essere il filetto, di cui discorriamo, polposo e morbido quasi come le labbra di una giovane donna; il filetto del baccalà (mussillo ‘e baccalà ) che si presta ad essere fritto o a preparazioni alternative come ‘e zeppulelle o questa della ricetta che segue, si distingue dal filetto di stocco per essere quello di baccalà piú compatto e bianco oltre che piú polputo mentre il filetto di stoccafisso ( che in napoletano viene precisamente indicato come cureniello/córiniello ‘e stocco ) è di color ambra ed è meno polputo, si apre a fogli e si presta solo tutt’ al piú ad esser lessato e condito in bianco all’agro con olio, limone, aglio, sale doppio e prezzemolo, oppure per esser preparato alla vicentina in quella ricetta che i veneti impropriamente usano chiamare baccalà alla vicentina, laddove è noto che essi per la ricetta usano lo stocco, non il baccalà! Passiamo alla ricetta dosi per 6 persone 12 cannelloni di pasta secca, 1500 gr. di mussillo di baccalà ammollato, ½ litro di latte scremato, 5 patate medie; 1 spicchio d’aglio mondato e tritato, 1 etto di filetti d’acciuga sott’olio, 1 cucchiaio di farina; 1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p.s. a f., sale fino e pepe decorticato q.s. sale doppio due pugni. un gran ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente. procedimento Mettere a lessare le patate in acqua salata (un pugno di sale grosso), dopo averle pelate, lavate e tagliate a pezzi abbastanza piccoli. Tagliare il baccalà a pezzi e metterlo a cuocere in una casseruola, con il latte e due cucchiai d’olio. Cuocere per circa 15 minuti badando che il latte non s’asciughi; se succede rabboccarlo con un po’ d’acqua bollente; a questo punto aggiungere le patate e la farina aggiustando di sale e pepe e tenere al fuoco moderato per ulteriori 15 minuti. Nel frattempo in un padellino far dorare nell’olio residuo l’aglio tritato e farvi sciogliere le acciughe Intanto cuocete i cannelloni. A questo punto, con una forchetta, schiacciate le patate e il baccalà, finchè non sarano ridotti in poltiglia. Riempite i cannelloni con il composto ottenuto e serviteli semplicemente con olio e pepe e cosparsi di prezzemolo tritato finemente. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, buona salute! Raffaele Bracale

CANNARUNCIELLE D’’O PECUOZZO

CANNARUNCIELLE D’’O PECUOZZO tubettoni del frate converso. Cominciamo col dire che la voce partenopea pecuozzo di per sé à un ambito piú ristretto delle voci della lingua nazionale:bigotto/a,bacchettone/a, baciapile, collotorto, pinzochero/a che designano tutte all’incirca una persona che badi alle pratiche esterne della religione piú che allo spirito di essa, ed estensivamente quindi una persona ipocrita attenta piú all’apparire che all’essere; la voce partenopea identifica infatti in primis il frate converso, il frate laico di convento e solo estensivamente tutte le voci dell’italiano che si traducon tutte con la voce bizzuoco che al femm. è bizzoca; quanto all’etimologia di bizzuoco accanto ad un basso lat. *bigiòcius= dal saio bigio, ben si è supposto un *bicòtiu(m) donde un *picotiu(m) base del surriportato nap. picuozzo da cui per alternanza p/b e successiva metatesi si giunge a bizzuoco. Se ne deduce, per tornare all’àmbito della ricetta, che essa con ogni probabilità fu approntata per la prima volta da un frate laico di convento addetto alla cucina (sembra) del Monastero napoletano dei Cappuccini di sant’Eframo vecchio ( la piazza sant’Eframo vecchio sita in Napoli in una zona popolare ricca di orti in origine fu intitolata ad un tal Efebo che fu un santo vescovo napoletano del IV sec. e di piú non è dato sapere; il nome Eframo è una strana corruzione popolare del nome Efebo); il fatto che il convento dei Cappuccini fosse situato in zona ricca di orti comportò che spesso i frati conversi addetti alla cucina del monastero, chiedessero ed ottenessero, nella loro cerca (questua) quotidiana, prodotti vegetali che usavano poi nelle preparazione di ricette per il sostentamento quoditiano dei monaci. Tradizione vuole che una delle ricette piú gradita alla comunità monastica fosse appunto quella che qui di sèguito illustro. Ingredienti e dosi per 6 persone: 6 etti di cannaruncielle (tubettoni), 1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v. p-s. a f., ½ bicchiere di vino bianco secco, 6- 8 carciofi teneri, 2 foglie d’alloro, 1 grosso ciuffo di menta fresca tritato finemente, 1 cipolla dorata affettata grossolanamente, 3 spicchi d’aglio mondati e schiacciati, 1 peperoncino piccante lavato, asciugato, privato del picciolo ed inciso longitudinalmente, 6 -8 cucchiai di panna vegetale da cucina,o 1 bicchiere di latte intero, 1 etto di olive nere di Gaeta, ½ etto di capperini di Pantelleria, dissalati, lavati ed asciugati, 1 etto di pecorino grattugiato, sale fino alle erbe e pepe bianco q.s. sale doppio alle erbe- un pugno. Preparazione Pulire dalle brattee piú dure, spuntare e tagliare verticalmente a fettine sottili i carciofi, avendo cura di togliere la barba interna. Versare tutto l'olio in un’ampia padella e farvi appassire la cipolla insieme al peperoncino ed a gli agli mondati e schiacciati (che verranno tolti appena imbionditi), poi aggiungere i carciofi, la menta,le foglie d’alloro ed il pepe; sfumare con del vino bianco.Fare andare a mezza fiamma fino a cottura, incoperchiando e, se necessario, aggiungendo un po' d'acqua calda.Regolare di sale fino ed aggiungere i capperi e le olive denocciolate tritate; fare insaporire per circa 10’ e trasferire poi i carciofi stufati in un mortaio o (piú praticamente) in un mixer a lame da umido con circa la metà dell’olio di cottura; frullare a velocità sostenuta fino ad ottenere una soffice purea di carciofi; lessare i cannaruncielli in abbondante (circa 8 litri) acqua salata (un pugno di sale doppio alle erbe). Dopo aver scolato la pasta farla saltare a fuoco vivo in padella per alcuni minuti con il fondo residuo, aggiungendo poi la panna o il latte e la purea di carciofi; rimestare accuratamente aggiungendo la metà del pecorino ed impiattare cospargendo generosamente le porzioni con il residuo pecorino grattugiato ed ancora un po' di pepe. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! raffaele bracale

CANNARUNCIELLE INCACIATI CON SALSA RUSTICA DORATA

CANNARUNCIELLE INCACIATI CON SALSA RUSTICA DORATA Nota Per la preparazione di questa ricetta ci serviremo di una gustosissima salsa rustica dorata e come pasta useremo i cannaruncielle détti pure don ciccille ‘ncruvattate ossia dei grossi tubettoni rigati noti anche come pasta militare Tale pasta avendo la forma d’un grosso tubetto cilindrico viene appaiato, nella concezione popolare a quegli alti colletti rigidi delle camicie d’antan corredati per solito da grossi cravattoni, donde il nome di don ciccille ‘ncruvattate dove il don ciccillo (che è il sig. di don ciccille, è il nome dell’ipotetico individuo che indossava quei tronfi colletti rigidi; il nome cannaruncielle deriva invece dal fatto che quei tronfi colletti insistono sul collo o gola che in napoletano è canna((che deriva dal latino/greco kanna e questo dal semitico qaneh) dove ovviamente con canna si intende il canale della gola) o cannarone donde cannaruncielle. E veniamo alla ricetta: per i cannaruncielli incaciati 6 etti dicannaruncielle (tubettoni rigati), 3 etti di pecorino (laticauda) grattugiato finemente, abbondante pepe decorticato macinato a fresco, 2 etti di prosciutto cotto in bastoncini di cm. 5x 2x 1, 1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p. s. a f. , una tazzina di cognac, 4 etti di gherigli di noci tritati. sale doppio mezzo pugno. per la salsa rustica 1 bicchiere di olio d’oliva e.v.p.s. a f., 3 grosse patate vecchie, 3 grosse carote, 1 cipolla dorata mondata e tritata, 1 etto di pancetta tesa in cubetti da 1 cm. di spigolo, una tazzina di cognac, sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s., sale grosso 1 pugno 1 bicchiere di latte intero caldo, 2 bustine di zafferano, 1 etto di pecorino grattugiato. procedimento Si comincia approntando la salsa rustica nel modo che segue: Lavare, lessare in acqua salata (un pugno di sale grosso),sbucciare e passare allo schiacciapatate le tre grosse patate vecchie a pasta gialla ed a seguire lavare, grattare, dividere in tocchi, lessare nella medesima acqua salata usata per le patate e passare allo schiacciapatate anche le tre carote grattate,raccogliendo ambedue i triti di patate e carote irrorati con un filo d’olio, in una ciotolina; nel frattempo in un tegame antiaderente versare tutto l’olio residuo ed a temperatura sostenuta farvi dorare il trito di cipolla; abbassare i fuochi, aggiungere i cubetti di pancetta affumicata, e farli rosolare;bagnare con il cognac e farlo evaporare; indi aggiungere le patate e le carote schiacciate, regolare di sale e pepe e lasciare amalgamare i sapori mantecando per qualche minuto aggiungendo il formaggio pecorino e bagnando il tutto con un bicchiere di latte caldo in cui sia disciolto lo zafferano.A seguire si versa un bicchiere d’olio in una padella ed a fuoco sostenuto si fanno dorare i bastoncini di prosciutto cotto bagnandoli con il cognac; tenere il tutto in caldo. A questo punto occorre mettere a lessare la pasta in abbondante acqua leggermente (mezzo pugno di sale doppio) salata.Nel frattempo mandare a temperatura un bicchiere d'olio in un tegame unendovi una generosa quantità di pepe decorticato macinato a fresco; a seguire porre in un’ insalatiera 3 etti di pecorino laticauda grattugiato finemente ed un po' d' acqua di cottura della pasta; amalgamare il tutto con un cucchiaio di legno fino ad ottenere una crema liscia. Si scolano i tubettoni lessati al dente, trasferendoli nell’insalatiera con il formaggio; si aggiunge la metà della salsa rustica dorata e si rimestano accuratamente.Si aggiunge infine il prosciutto dorato ed, a seguire, si spalmano a specchio sul fondo di sei fondine calde alcune cucchiaiate della residua salsa rustica dorata e vi si porzionano i rigatoni; si completano i piatti distribuendo su ogni porzione abbondanti gherigli di noce tritati. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve! raffaele bracale

CALAMARATA

CALAMARATA Ingredienti per 6 persone: Calamarata ( particolare formato di pasta corta ad anelli da Gragnano di recente produzione ) 600 gr; 4 calamari freschi di media grandezza per complessivi 6 etti; 5 etti di gamberetti freschi o surgelati, 6 acciughe dissalate e spinate o ugual peso di filetti d’acciuga sott’olio ; 3 pomodori rossi tondi maturi di media grandezza; 2 foglie d’alloro, 1 grosso ciuffo di menta fresca tritato finemente, 3 spicchi d’aglio mondati e schiacciati, 1 peperoncino piccante lavato, asciugato, privato del picciolo ed inciso longitudinalmente, 5 chiodi di garofano 1 grosso ciuffo di aneto lavato, asciugato e tritato finemente con uno spicchio d’aglio mondato; 1 bicchiere di olio d’oliva e.v. p. s. a f.; mezzo bicchiere di vino bianco; sale doppio alle erbette – un pugno sale fino alle erbette e pepe nero macinato a fresco q.s. Procedimento: Pulire bene i calamari sotto acqua corrente fredda. Eviscerarli, separando i tentacoli e le aluzze dal corpo, avendo cura di eliminare anche la pellicina chiara, oltre che becco, occhi. Tagliuzzare le aluzze ed i tentacoli e tenerli in una ciotola irrorati da un filo di olio d’ oliva e.v. p. s. a f. In una piccola padella mettere due cucchiai d’olio e le acciughe e tenerle sul fuoco a fiamma lentissima.Sminuzzare le acciughe con un cucchiaio di legno, quindi versare il contenuto della ciotola contenente i tentacoli e tenere al fuoco mescolando dolcemente per circa 5 minuti. Spegnere la fiamma. In una padella grande mettere a soffriggere gli spicchi d'aglio con l'olio residuo e quando sono imbionditi,tirarli via dalla padella ed aggiungere a seguire le 2 foglie d’alloro, il grosso ciuffo di menta fresca tritato finemente, i 3 spicchi d’aglio mondati e schiacciati, 1 peperoncino piccante lavato, asciugato, privato del picciolo ed inciso longitudinalmente, ed i 5 chiodi di garofano ed infine i pomodori fatti a tocchetti precedentemente sbollentati e privati della pelle e dei semi. Aggiungere i calamari tagliati a striscie sottili e larghe come un indice, nonché i gamberetti sgusciati, privati del budellino nero e lavati. Regolare di sale e pepe e lasciar cuocere a fiamma moderata per circa 15 minuti, avendo cura di controllare che i calamari cuociano senza bruciacchiare,quindi versare il mezzo bicchiere di vino alzando la fiamma al massimo. Dopo 5 minuti portare la fiamma al minimo ed incoperchiare la padella. Dopo altri due minuti aggiungere il contenuto della padellina nella quale ci sono le acciughe ed i tentacoli e, dopo ancora tre minuti circa, spegnere e spruzzare con parte del trito di aneto ed aglio. Nella pentola con l'acqua bollente salata (sale doppio), immergere la calamarata e lessarla al dente: (in genere 10 minuti sono sufficienti), ma è preferibile controllare procedendo ad uno o piú assaggi. Scolare la pasta e versarla nella padella grande, mescolare ed aggiungere il residuo del trito di aneto ed aglio; pepare generosamente ed impiattar caldo di fornello. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute e scialàteve! raffaele bracale

mercoledì 27 giugno 2012

BUCATINI SALSICCIA E RICOTTA

BUCATINI SALSICCIA E RICOTTA Ingredienti e dosi per 6 persone: 6 etti di bucatini troncati in pezzi di 4 – 5 cm., 6 rocchi di salsiccia (possibilmente con il finocchietto), 250 g. di ricotta di pecora, 1 cucchiaio di sugna, 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v., 3 grossi cucchiai di concentrato di pomodoro, 1 bicchiere di vino bianco secco, 1 cucchiaio di semi di finocchio, 1 etto di pecorino grattugiato, sale doppio un pugno, sale fino un pizzico, abbondantissimo pepe nero macinato a fresco. Nota linguistica Il rocchio (con etimo dal lat. rotulu(m)) è in generale un pezzo cilindrico di qualcosa; nella fattispecie un rocchio di salsiccia,è ogni porzione compresa fra due nodi; un rocchio di carne, un pezzo di carne magra, senza osso. Il rocchio in napoletano è detto capo/a (‘nu capo/’na capa ‘e saciccia) e ciò perché la salsiccia è un insaccato di carne di suino in un budello lungo tra i 40 ed i 50 cm.; tale lunga salsiccia viene poi divisa in porzioni mediante successive legature; poiché quando dalla salsiccia cosí suddivisa ne viene staccato un pezzo (rocchio) il successivo si troverà comunque sempre in testa, in capo alla salsiccia residua, ecco che in napoletano il rocchio italiano si dice capo o capa. Procedimento In un’ ampia padella, a fuoco vivace, versare mezzo bicchiere d’olio ed aggiungere il cucchiaio di sugna; quando la sugna si sarà sciolta ed avrà preso calore, aggiungere le salsicce precedentemente private della pelle e sbriciolate, bagnarle con il vino, alzare il fuoco e fare evaporare tutto il vino, indi aggiungere una ramaiolata d’acqua bollente con il concentrato di pomodoro e portare a cottura in circa 30’. Nel frattempo lessare al dente i bucatini in circa 8 litri d’acqua salata (sale grosso); scolarli e metterli nella padella con il sugo di salsiccia, rimestando con cura affinché si insaporiscano bene; approntare una zuppiera dove, pepandola generosamente, stemperare la ricotta con il residuo olio; aggiungere il cucchiaio di semi di finocchio, un pizzico di sale rimestare ed unire i bucatini con il sugo e la salsiccia, rimestare ancóra con cura, impiattare cospargendo le porzioni con il pecorino grattugiato ed altro pepe nero macinato a fresco. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente Mangia Napoli, bbona salute! e dicíteme: Grazie! raffaele bracale

BUCATINI E BROCCOLETTI

BUCATINI E BROCCOLETTI dosi per 6 persone 600g. di Pasta Tipo Bucatini spezzettati in pezzi di 4 cm, 1 kg di Broccoletti o in alternativa e meglio 1 kg. di Frijarielli, 3 Spicchi d’aglio, 50g. di Pinoli, 50g. Uvetta Sultanina – 6 acciughe dissalate, lavate e spinate o equivalenti filetti d’acciuga sott’olio – 2 peperoncini piccanti, privati del picciolo ed aperti longitudinalmente, 1 gran ciuffo di menta lavato, asciugato e tritato finemente, 100g di Formaggio Pecorino, - 1 bicchiere e mezzo d’Olio D'oliva e.v.p.s. a f., sale doppio due pugni Sale fino alle erbette e Pepe bianco q.s. Mondare i broccoletti conservando solo le cime; lessarle rapidamente in acqua salata(un pugno di sale grosso) e scolarle al dente. Sbucciare l'aglio, tritarlo finemente e farlo rosolare in una padella con un bicchiere d’ olio ed i peperoncini; unirvi i broccoletti o i frijarielli lessati molto al dente e farli insaporire. Aggiungere le acciughe, i pinoli e l'uvetta ammorbidita nell'acqua calda e strizzata. Unire una presa di sale e un pizzico di pepe. Cuocere i bucatini al dente (in molta acqua salata con un pugno di sale grosso), scolarli, condirli con 1 filo di olio e il formaggio grattugiato, unire i broccoletti, cospargere con il trito di menta, mescolare e servire. Nota I broccoletti fanno parte della famiglia delle Crucifere, la specie a cui appartengono è la Brassica Oeracea, divisa in molte varietà. Quella che a noi interessa, di origine mediterranea, è quella appunto dei broccoletti, ma in particolare ci interessa la varietà napoletana detta frijarielle (da friggere) varietà che si distingue dalle altre per il tipico sapore leggermente amarognolo (gradevolmente amaro). Di solito i frijarielle napoletani vengono cotti direttamente a crudo (senza preventiva lessatura) in olio, aglio e peperoncino piccante e vengono fritti usando un tegame di ferro nero provvisto di coperchio; per la preparazione di cui dico i broccoletti o i frijarielli vengono invece dapprima inteneriti lessandoli brevemente in poca acqua salata e poi son ripassati in padella come ò detto. Il nome di broccoletto deriva dal latino Broccus che significa germoglio. Sono caratterizzati da fusto corto, foglie ondulate di colore verde intenso. Nel centro si trovano dei piccoli fiori immaturi che costituiscono le cime; qui e là, quando la verdura è ben matura si trovano dei piccoli fiori gialli che a malgrado siano edibili, è meglio eliminare. Il nome frijariello= da soffriggere che è inutile, scorretto maldestro tentar di rendere in italiano con un inconferente friggiarello (come pure talvolta mi è occorso d’udire in taluni programmi televisivi) è un deverbale di frijere ( dal lat. frigere di origine onomatopeica) = friggere Le Varietà piú diffuse di broccoletti sono: • il Bianco; • il Precoce di Verona; • il Grosso romanesco; • il Violetto siciliano; • il Bronzino di Albenga; • il Calabrese • il Napoletano (frijariello) • Per la preparazione si potranno scegliere il Bianco;il Precoce di Verona;il Grosso romanesco;il Violetto siciliano,il Bronzino di Albenga o il Calabrese, ma il risultato migliore si otterrà con il napoletano (frijarielle). Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! raffaele bracale

BUCATINI ALLA ENRICO CARUSO

BUCATINI ALLA ENRICO CARUSO Eccovi qui di sèguito la ricetta di un gustosissimo primo piatto, ricetta che la tradizione vuole fosse stata ideata da Enrico Caruso(Napoli, 25 febbraio 1873 † Napoli, 2 agosto 1921) che è stato, fuor di ogni dubbio, il piú grande tenore mondiale di tutti i tempi . È considerato infatti il tenore per eccellenza, per l’affascinante colore del suo timbro vocale e per la padronanza espressiva ed inconfondibile del porgere. Ancóra oggi le sue incisioni sia di brani lirici, che di canzoni napoletane e/o italiane (a malgrado delle inevitabili manchevolezza degli strumenti tecnici usati per produrle) lasciano l’ascoltatore stupefatto ed ammirato. Torniamo alla ricetta che la tradizione vuole fosse suggerita dal tenore partenopeo sia allo chef dell’ Hotel Vittoria di Sorrento che a quello dell’ Hotel Vesuvio di Napoli; il Vittoria di Sorrento ed il Vesuvio di Napoli erano gli alberghi che ospitavano il tenore quando reduce dai suoi successi trionfali e soggiorni all’estero tornava nella sua città per ritemprare le forze. Cosa che tuttavia non gli riuscí nell’agosto del 1921 (aveva solo 48 anni!), quando proveniente da Sorrento, era sceso all’ hotel Vesuvio nella speranza – purtroppo – vana di affidarsi alle mani dei famosissimi professori partenopei quali Cardarelli, Chiarolanza e Moscati che lo visitarono,sí ma nulla poterono contro il male devastante che in poche ore lo condusse alla morte. Torniamo alla ricetta: Ingredienti e dosi per 4 persone: 400g bucatini. 5 zucchine napoletane piccole verdi e sode, 2 polputi peperoni quadrilobati: 1 rosso ed 1 giallo, pomidoro pachino (ciliegini) 1/2kg, sale doppio un pugno, sale fino q.s., pepe nero q.s., basilico fresco alcune foglie, 1 etto di pecorino grattugiato, 1 spicchio d’aglio mondato e tritato finemente, 2 bicchieri di olio di semi per frittura, 1 bicchiere d’ olio extra vergine d'oliva Procedimento. Tagliare a rondelle (allo spessore di ½ cm.) le zucchine, distenderle per mezz’ora al sole su di un canevaccio, indi friggerle in una padella di ferro nero con olio di semi bollente e profondo e tenerle da parte in caldo; passare in forno caldo (200°) i peperoni, spellarli sotto un getto d’acqua fredda, eliminando torsoli, semi interni e costoline bianche, indi sfilettarli (in falde della grandezza d’un pollice); in un’ampio tegame soffriggere l'olio e.v. con l'aglio tritato.aggiungere le falde di peperoni cotti, i pomidoro pachino tagliati in quattro parti , pepe nero, sale e mezza tazza da latte d'acqua bollente e fare cuocere per 30 min.circa. A parte portare ad ebollizione abbondante (otto litri)acqua salata (pugno di sale doppio) e lessarvi al dente i bucatini; a pronta cottura scolarli accuratamente e metterli nella padella con il sugo già pronto, rimestandoli per tre minuti; indi versarvi le zucchine fritte, il basilico fresco spezzettato a mano ed il formaggio grattugiato e servire in tavola caldi di fornello. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente. Mangia Napoli, bbona salute! e dicimmo tutte assieme: Grazie! a don Enrico Caruso! raffaele bracale

BUCATINE â CARRETTIERE

BUCATINE â CARRETTIERE bucatini alla carrettiere. ingredienti e dosi per 6 persone: 600 g di bucatini, 1 kg di pomidoro freschi,sbollentati pelati e tritati in piccoli pezzi, 1 trito abbondante di basilico con 3 spicchi d'aglio mondato, peperoncino piccante a pezzetti, ½ etto di ricotta salata di pecora stemperata con un cucchiaio d’acqua di cottura della pasta , 100 g di pecorino piccante grattugiato, 1 bicchiere e mezzo d'olio d'oliva e.v., sale grosso alle erbette un pugno, sale fino alle erbette ed una presa. procedimento Pelare e tagliare a pezzetti i pomidoro nettati e metterli in infusione per due ore in un’ampia terrina col trito d'aglio e basilico, con una presa di sale fino alle erbette e con pezzetti di peperoncino; lessare al dente in moltissima (8 litri) acqua salata( un pugno di sale grosso alle erbette) i bucatini spezzati in pezzi di circa 4 cm. A fime cottura scolarli ed amalgamarli velocemente (per non far perdere di calore) con la salsetta preparata prima, aggiungendo la ricotta salata stemperata ed il pecorino, impiattare e servire súbito. * sale fino o doppio alle erbe sale fino o doppio alle erbe cioè mescolato con un trito finissimo di salvia, aglio, maggiorana, pepe, chiodi di garofano, sedano, cipolla, erba cipollina, prezzemolo, timo tritati e miscelati nella giusta proporzione al sale per avere in un solo gesto gli aromi e la giusta sapidità Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente. mangia Napoli, bbona salute! raffaele bracale

VERMICELLI ALLA MARINARA ARRICCHITA

VERMICELLI ALLA MARINARA ARRICCHITA (MARENARA RECARCATA) Dosi per sei persone 6 etti di vermicelli, 6 piccoli polpi per complessivi 8 etti, 9 etti di cozze, 12 gamberoni rossi, 1 bicchiere e mezzo di olio di oliva e.v.p.s.a f., ½ bicchiere di vino bianco secco, 3 spicchi di aglio, 1 grosso ciuffo di prezzemolo, sale e pepe decorticato q.b., per una variante: 2 pomidori lavati, sbollentati e pelati Preparazione Lavare accuratamente le cozze strofinandole vigorosamente con una spazzola dura e porle in un tegame con due cucchiai di olio, un aglio schiacciato ed il mezzo bicchiere di vino; incoperchiare, alzare la fiamma e lasciare che si aprano del tutto; prelevare i frutti dalle valve e conservarli in una scodellina coperti con il loro sugo, passato attraverso un setaccio a trama fitta. Pulire accuratamente i gamberi sgusciandoli ed eliminando il budellino nero; lavare e pulire i polpi togliendo becco, occhi ed eviscerandoli rivoltando la tasca; troncare a giusta misura i tentacoli e ridurre ad anelli la sacca. Porre in un’ampia padella tutto l’olio residuo con uno spicchio d’aglio mondato e schiacciato; a fiamma sostenuta farlo imbiondire e poi tirarlo via, aggiungere i tentacoli e gli anelli dei polpi; aggiungere 1 bicchiere d’acqua calda, ed a mezza fiamma lasciar cuocere; aggiungere poi i gamberi sgusciati e, volendo, i due pomidori spezzettati; portare a cottura ed aggiustare di sale unendo solo alla fine per breve tempo le cozze con il loro sughetto. Lessare al dente i vermicelli in abbondante (circa 8 litri) acqua salata; colarli accuratamente e versarli nella padella con l’intingolo, rimestando attentamente e correggendo – se necessario – di sale. Nel frattempo lavare il prezzemolo, asciugarlo in centrifuga (ve ne sono sul mercato di economicissime, azionate a mano) o facendolo roteare a mo’ di fionda avvolto in un canevaccio pulitissimo, e tritarlo finissimamente insieme al terzo aglio mondato. Versare i vermicelli in una zuppiera calda, spruzzarli con il trito di aglio e prezzemolo ed impiattarli cospargendoli di odoroso pepe decorticato macinato a fresco. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! e diciteme: Grazie! raffaele bracale

martedì 26 giugno 2012

BUCATINE ‘MBRIACATE *

BUCATINE ‘MBRIACATE * dosi per 6 persone 6 etti di bucatini; 1 bicchiere di olio d’oliva e.v.p. s. a f. 1 cipolla dorata affettata grossolanamente; 250 gr. di pancetta tesa tagliata in bastoncini di cm. 5 x 1 x 1; ½ bicchiere di vino bianco secco, ½ bicchiere di aceto di vino bianco, 1 etto di pecorino (laticauda) grattugiato, un ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente, sale grosso un pugno sale fino e pepe bianco q.s. procedimento In un’ampia padella antiaderente, si versa l’olio ed a fiamma abbastanza alta si fa rosolare la cipolla con tutta la pancetta; quando cipolla e pancetta sono ben dorate si versa il mezzo bicchiere di vino, si alza la fiamma e si lascia evaporare, indi si regola di pochissimo sale e tantissimo pepe, si abbassa la fiamma e si versa l’aceto; frattanto si lessano al dente i bucatini in molta acqua salata con il pugno di sale grosso; si scolano tenendoli piuttosto asciutti e si versano in padella badando che il sugo sia piuttosto umido, si cospargono di pecorino e si mantecano accuratamente, indi si impiattano aggiungendo il trito di prezzemolo. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo *bucatini ubriachi gustosissimo primo piatto, atto a palati amanti dei sapori decisi e pungenti. Raffaele Bracale

BARCHETTE DI MELANZANE FARCITE.

BARCHETTE DI MELANZANE FARCITE. ingredienti e dosi per 6 persone Sei melanzane lunghe violette napoletane, 3 etti di mezze penne rigate, 3 etti di macinato misto di manzo e maiale, 2 cucchiaiate di doppio concentrato di pomidoro, 2 bicchieri di olio d’oliva e.v.p.s.a f., 1 cipolla dorata mondata e tritata, 1 ciuffo di basilico lavato ed asciugato, 1 spicchio d’aglio mondato e tritato, 1 etto di pecorino grattugiato finemente, sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s., 1 pugno di sale grosso. procedimento Mandare a bollore otto litri di acqua salata (pugno di sale grosso) e lessarvi al dente le mezze penne; sgrondarle e lasciarle intiepidire in una zuppiera irrorate con un filo d’olio; a seguire eliminare picciolo e corona delle melanzane,lavarle sciugarle e dividere in due con taglio longitudinale e scottarle per cinque minuti nella medesima acqua in cui si è lessata la pasta.Sgrondarle e porle ad asciugare poggiate con il lato liscio su di un canevaccio; a seguire servendosi di uno scavino affilato prelevare la polpa delle melanzane lasciando un margine di parete di circa mezzo centimetro in modo da ottenere delle barchette di melanzane; porre la polpa in una ciotolaed irrorarla con un filo d’olio. In un’ampia padella di ferro nero a fiamma moderata far rosolare la cipolla tritata in un bicchiere d’olio, aggiungere il macinato, bagnarlo con mezzo bicchiere d’acqua bollente e portarlo quasi a cottura aggiungendo il doppio concentrato sciolto in un altro mezzo bicchiere d’acqua bollente; salare e pepare solo a cottura ultimata. Porre in un bicchiere di mixer con lame da umido la polpa di melanzane, l’aglio tritato, mezzo bicchiere d’olio, il ciuffo di basilico ed a bassa velocità ottenere una crema odorosa da unire al sugo di macinato; rimestare e condirvi le mezze penne; servendosi di un cucchiaio appuntito farcire le barchette di melanzane con questa pasta condita; allineare le melanzane farcite in una placca di forno verniciata con un po’ d’olio, spolverizzarle con il pangrattato ed irrorarle con l’olio residuo. Mandare in forno preriscaldato a 200° per trenta minuti e mandare súbito in tavola. Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), stappati un’ora prima di usarli, possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve! raffaele bracale

AVEMMARIE CASO E OVA

AVEMMARIE CASO E OVA Chello ca serve pe sseje perzone 600 gramme ‘e avemmarie (tubbettielle ricate), 3 ova 100 gramme ‘e ‘nzogna, 150 gramme ‘e pecurino rattato finu fino, ‘nu tupputo ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato finu fino sale duppio ‘na vrancata, sale fino, dduje pizzeche, pepe janco macenato a ffrisco quanto ne piace. Priparazzione Àrvere(lessare) ‘a pasta ‘int’ a otto litre d’ acqua vullente salata(vrancata ‘e sale duppio); fraditanto (nel frattempo) arapí ll’ova dint’ a ‘na ciotola e sbatterle a ffunno cu ‘na furchetta, ‘nzieme ô ppepe e ô ssale fino;fà sciogliere a ffuoco doce dint’ a ‘na tiella ‘e fierro niro ‘a ‘nzogna, aunirve ll’avemmarie arvate verde verde (al dente) e ammiscà pe ‘nu paro ‘e minute sempe a ffuoco doce;súbbeto doppo auní ll’ova sbattute e ‘o pecurino rattato finu fino e continuà a ammiscà fino a che ll’ova nun risultano addenzate; ‘mpiattà , e serví sott’ô colpo a ttavula cuspargenno ògni purzione ‘e prutusino ntretato finu fino. Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja. Mangia Napoli, bbona salute! Scialàteve e aggarbbatéve ‘o vernecale!! Raffaele Bracale

ANTICHI SAPORI

ANTICHI SAPORI Ingredienti e dosi per 6 persone Mezze maniche rigate 500 g 100 g olive nere snocciolate 200 g provola affumicata 100 g di pecorino grattugiato 200 g pancetta dolce tagliati in pezzetti di cm. 5 per 1 cm. 500 g pomidoro rossi tipo Roma o San Marzano 2 foglie d’alloro, 1 grosso ciuffo di aneto fresco tritato finemente, 1 cipolla dorata affettata grossolanamente, 1 peperoncino piccante lavato, asciugato, privato del picciolo ed inciso longitudinalmente, 5 chiodi di garofano, 1 bicchiere di olio d’oliva e.v. p. s. a f. 2 fascetti d’aglio fresco 300 g di rucola aromatica Sale doppio un pugno Sale fino e pepe decorticato q.s. Preparazione Lavate la rucola e tritatela o frullatela in un mixer con lame da umido,assieme ad un paio di cucchiai d’olio insieme alle olive ed all’ aglio, all’aneto ed al peperoncino. Mettete il trito in una padella con il restante olio, con la cipolla tritata ed i chiodi di garofano e lasciate insaporire a fuoco moderato, aggiungete la pancetta tagliata a striscioline; lasciate tostare un po’ la pancetta e poi unite i pomidoro lavati, sbollentati, pelati e tagliati a cubetti. Salate e lasciate cuocere per 15 minuti circa. In una pentola alta con abbondante (8 litri) acqua salata bollente, cuocete la pasta, scolatela al dente e fatela saltare nella padella con la salsa. Aggiungete la provola tagliata a cubetti, mescolate e servite, spolverando con il pecorino grattugiato ed abbondante pepe decorticato. Vini secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! r.bracale

LA SMORFIA NAPOLETANA parte 3ª

LA SMORFIA NAPOLETANA parte 3ª E veniamo alla parte conclusiva dell’elencazione dei piú comuni soggetti, oggetti o situazioni considerati nella smorfia partenopea; in questa parte elencherò i numeri dal 61 al 90. 61 – ‘O CACCIATORE = il cacciatore e segnatamente chi si dedichi allo sport venatorio, armato di fucile o doppietta , accompagnato da uno o piú cani da caccia ed agghindato con carniere, tascapane, cartucciera etc., personaggio cosí noto e presente nell’àmbito campagnolo e provinciale del vivere quotidiano da meritarsi un ben identificato ricordo nella smorfia dei sogni oltre ad essere presente, quantunque con evidente forzatura storico-temporale, nei tradizionali presepî partenopei della fine settecento, princípi ottocento; sono esclusi dalla voce a margine (che etimologicamente è un deverbale del basso latino captiare frequentativo del classico capere= prendere) ogni altro tipo di predatore che vada a caccia con altro tipo di arma che non sia il fucile ( che è da un lat. volg. (petram) focile(m) '(pietra) da fuoco, acciarino', deriv. di focus 'fuoco') o la doppietta che è un tipico fucile da caccia con doppia (da cui il nome) canna affiancata o sovrapposta. 62 – ‘O MUORTO ACCISO vale a dire il morto ammazzato; qui la smorfia prende in considerazione non il morto semplice, quello cioè defunto per cause naturali, del quale nel parlato comune s’usa dire che è morto nel proprio letto (anche quando tecnicamente ciò non sia vero) e cioè sia morto per malattia, vecchiaia , morto che come tale è già ricordato con il num. 47, ma colui che sia defunto di morte violenta e segnatamente con spargimento di sangue per mano di inveterati o occasionali nemici ed estensivamente anche il morto vittima del proprio dovere, sul lavoro, in guerra etc.; come già vedemmo al num. 47 etimologicamente muorto è il part. pass. del verbo murí dal latino morire collaterale del classico mori, memtre acciso risulta essere il part. passato del verbo latino accidere da un lat. volgare ad – caèdere→accedere→accidere collaterale di ob- caèdere→occedere→occidere→uccidere. 63 – ‘A SPOSA la sposa, colei che convola a nozze, ma non a quelle… riparatrici; rammenterò che nelle tombole familiari d’antan usava divertirsi ponendo a colui che estraeva i numeri, al momento dell’estrazione del num. 63 addizionato del sacramentale ‘a sposa!, la repentina domanda: Quant’anne teneva? E ‘o sposo? tenendo per buoni e soddisfacenti i due numeri che venivano estratti súbito dopo quello a margine e l’ilarità era tanto maggiore quanto piú fosse alta la differenza tra il numero che nel giochino indicava la presunta età della sposa e quello che indicava la presunta età dello sposo; spesso per un curioso gioco del destino capitava che l’età ipotetica della sposa fosse compresa tra i numm. 70 e 90 e quella dello sposo tra i numm. 20 e 30, per cui immancabilmente s’udiva il salace commento: Se ll’era saputo piglià, eh?! Etimologicamente ‘a sposa risultando essere il part. pass. femminile del basso lat. sponsare 'fidanzarsi', deriv. di sponsus, part. pass. di spondíre 'promettere', dovrebbe significare fidanzata, promessa, ma poi finí per essere attrubuito a colei che giungeva alle nozze, dopo un periodo piú o meno lungo di fidanzamento (deverbale di un fr. ant. fiancer 'impegnarsi, garantire', poi 'promettere in matrimonio'. 64 – ‘A SCIAMMERIA letteralmente si tratta di un’ampia giacca da cerimonia che a Napoli è appunto détta, con voce intraducibile, sciammeria: giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese chambre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo chamberga sempre che non derivi direttamente dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, è resa in italiano col termine giamberga ; personalmente trovo piú convincente l’ipotesi ispanica che morfologicamente meglio si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (cha) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona; come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo e con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria onirica, è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, avendo probabilmento acceso nella loro fantasia notturna la scena d’una unione sessuale, piuttosto che d’una giacca da cerimonia. 65 – ‘O CHIANTO cioè il pianto come manifestazione consistente nella reiterata e copiosa emissione di lacrime che arrossano gli occhi e rigano il volto a sèguito o a causa di un dolore, di un lutto, di un grave dispiacere; in napoletano tuttavia con la parola a margine si indica pure, con linguaggio familiare e scherzoso, una cosa mal fatta, mal riuscita ed ancóra una persona noiosa, fastidiosa: ‘stu vestito è ‘nu chianto; (questo vestito è un pianto!) oppure frateto è ‘nu chianto; (tuo fratello è un pianto!) È chiaro che l’accezione della voce a margine è quella che si riferisce ad un dolore, un lutto, un dispiacere che inducono le lacrime, non quella che riguarda l’estensione scherzosa. Detto che etimologicamente ‘o chianto è da un lat. planctu(m) 'colpo di chi si batte il petto', deriv. di plangere 'battere', poi 'piangere'; normale ed usuale il passaggio di pl→chj→chi (cfr. ad es.: chino ←plenum, cchiú←plus, chiaja←plaga, chiummo←plumbeum etc.) rammenterò che a Napoli l'elemento di fondazione, che segna l'inizio della infrastrutturazione cimiteriale della zona di Poggioreale, è il Cimitero di Santa Maria del popolo, detto "delle 366 fosse", dovuto a Ferdinando Fuga, ed edificato nel 1762. Il cimitero rappresenta un monumento di straordinaria importanza rappresentando l'unico esempio conosciuto di "macchina illuminista" cimiteriale. Si tratta di una attrezzatura civica che anticipa, di almeno cinquant'anni, gli editti napoleonici riguardanti l'igiene delle sepolture e il conseguente obbligo di edificare i cimiteri lontano dall'abitato: si pensi che, all'epoca, a Napoli l'inumazione degli indigenti avveniva in una cavità dell'ospedale degli Incurabili, in piena città, in zona Sanità (ossario delle Fontanelle). L'impianto è basato su di una corte quadrata, di 80 metri di lato, recintata da un muro che si duplica, all'ingresso, a formare un basso edificio con il pronao d'ingresso, una semplice cappella e l'alloggio del custode. Altro elemento fondativo del complesso cimiteriale è il Cimitero di Santa Maria del Pianto (detto comunemente dal popolo ‘O CHIANTO) con l'omonima chiesa a pianta centrale, di impianto seicentesco, intorno alla quale sin dalla peste del 1656 avveniva l'inumazione dei cadaveri. L'attuale cimitero che consta di una amplissima superficie di oltre 20.000mq ed è dovuto ad una sistemazione ottocentesca e ad espansioni successive, si presenta su di un ripido versante, terrazzato sia nella parte della recente espansione che in quella ottocentesca, e con articolati percorsi a tornante e scale. Il cimitero oggi appare densamente edificato, in prevalenza con cappelle private ed edifici per congreghe di media dimensione. Della ricca vegetazione originale restano alcuni imponenti esemplari di cygas ed un cedro secolare posto all'ingresso, mentre nella espansione recente sono stato impiantati numerosi cipressi. Da rammentare che nel rigoglioso giardino all’inglese del Chianto è ricavato il c.d. recinto degli uomini illustri, dove ànno trovato sepoltura, meta della visita commossa del popolo napoletano, gli uomini illustri partenopei per nascita o morte, o per adozione : letterati, poeti, musicisti, drammaturghi, ma anche cantanti lirici ed attori famosi; tra questi uomini illustri son da rammentare E. Caruso, G. Donizetti, S. Di Giacomo, Libero Bovio, E. Murolo, il principe A. de Curtis in arte Totò e tanti altri. 66 – ‘E DDOJE ZETELLE o anche ‘e ddoje sarcenelle letteralmente: le due nubili o anche le due piccole fascine; ci troviamo di fronte, come ognuno può intendere, ad una indicazione di sapore furbesco; in effetti la voce originaria ricordata con il numero a margine, fu dapprima ‘e ddoje sarcenelle che qualcuno storpiava in ‘e ddoje sarchielle di carattere marcatamente furbesco atteso che con il termine sarcenella, ma anche con sarchiella(quantunque quest’ultima voce non trovava riscontro alcuno e fosse solo una patente corruzione della precedente sarcenella), si intendeva riferirsi all’organo sessuale femminile, e segnatamente a quello di una donna che per essere ancora nubile, sebbene abbastanza anziana l’avesse ispido e ben serrato a guisa di una piccola fascina di sterpi (buona solo per essere arsa…) e che si tratti di due vulve lo si può agevolmente ricavare dal fatto che il numero a margine è formato dall’accostamento di due 6 (quel 6 che come vedemmo nella 1° parte indica chella ca guarda ‘nterra id est la vulva;) in prosieguo di tempo poiché non tutti all’annuncio: 66 ‘e ddoje sarcenelle, si rendevano conto di cosa si stesse parlando, si abbandonò l’annuncio figurato per dire molto piú praticamente: 66 ‘e ddoje zetelle. Etimologicamente sarcenella di cui sarcenelle è il plurale, è il diminutivo di sàrcena da un acc. latino sarcina(m)=fascina di sterpi da ardere mentre la voce zetella, il cui plurale è zetelle è il diminutivo di zita che è voce di orig. dial., variante di citta = fanciulla. Con il numero 66, tra altri soggetti/oggetti o figurazioni che non mette conto ricordare, nella smorfia napoletana si considera altresí ‘A BBELLA MBRIANA = donna bella, buona ed affascinante,ma soprattutto fata benefica, spirito augurale. Rammento infatti che nell’inteso comune popolare partenopeo gli spiriti, spiritelli ed affini (cfr. alibi munaciello (37) e fantasemo(26)) sono tenuti in gran considerazione atteso che i napoletani, per superare i momenti contingenti o tirare innanzi la vita quotidiana, fanno molto spesso ricorso al soprannaturale; non poteva quindi mancare nel libro dei sogni, accanto al munaciello ed al fantasma (forma visibile dello spirito amico di un defunto) ; spettro, ombra sia pure anonimo ed ignoto, non poteva mancare la BBELLA MBRIANA Nella parlata napoletana con la voce mbriana si indica la fata, e piú genericamente una donna bella, buona ed affascinante; la medesima voce mbriana addizionata di un non pleonastico aggettivo bella è usata per indicare una fata benefica,ed augurale, un essere soprannaturale, ma inteso donna, che protegge la casa che piú meno stabilmente frequenta e che fa il paio con il cosiddetto munaciello altro essere soprannaturale, ma inteso uomo che pur dovrebbe proteggere la casa, ma che a differenza della mbriana sempre benefica ed augurale, spesso è dispettoso e malefico. La benefica bella mbriana è uno spirito sempre positivo e benigno che apporta (nelle case vaste ed antiche in cui si trattiene) ordine, assetto, sistemazione, pace, tranquillità. À solo due negatività: è uno spiritello nato stanco ed esige di trovare, nelle case che frequenta, sempre una sedia libera su cui accomodarsi per riposare le stanche membra; à poi in uggia disordine (quale che sia), confusione, scompiglio, caos, subbuglio, baraonda ( di adulti o piú spesso di bambini), babele per cui guai a non farle trovare almeno una sedia libera o a farle trovare fuori posto abiti, biancheria, suppellettili e/o masserizie o ancóra farle trovare bambini chiassosi o vocianti! Adirata, in tali casi la bella mbriana abbandona la casa ed è difficile che vi ritorni, portando seco ciò che è di sua spettanza: pace, armonia, intesa, accordo, tranquillità, serenità, quiete , benessere. Fu questo il motivo per cui, temporibus illis, nelle vecchie case napoletane le donne di casa,le mamme di famiglia, convinte che la loro abitazione fosse frequentata stabilmente dalla bella mbriana, cercavano di tener sempre pulita ed in ordine la dimora(specialmente se vasta ed antica; era impossibile infatti che la bella mbriana dimorasse in una casa angusta e nuova…), attente a non lasciar nulla fuori posto, curando che le sedie fossero sempre libere, sgombre di ogni cosa, compreso i panni in attesa di stiratura…,e zittivano continuamente i bambini che spesso erano mandati a fare i loro rumorosi giuochi in cortile, per le scale di casa o per la strada, piuttosto che in casa con il rischio di infastidire la mbriana! La voce mbriana si può trovare anche, (ma quasi esclusivamente nel linguaggio del tardo ‘500 e del ‘600, mai piú ripreso ) nelle forme di mmeriana, moreana e dritto per dritto dal lat. medievale meridiana ed in tutte queste forme valgon sempre fata,talvolta ombra e piú genericamente donna bella, buona, ed affascinante. Rammenterò a chiosa che talvolta (specie nel parlato popolare la voce bella mbriana è usata in senso furbesco ed antifrastico per indicare una donna lasciva e procace che si lasci facilmente conquistare e addirittura possedere. E veniamo all’etimo del termine mbriana etimo che tutti i lessicografi, sulla scia del Du Cange, fanno risalire ad un acc.vo latino meridiana(m) (horam)= ora del mezzodí quella che produce l’innocua e non spaventosa ombra del corpo , quell’ora benefica di piena luce che come tale non è, né può esser foriera di pericoli che al contrario si manifesterebbero o potrebbero manifestarsi con il buio… Indichiamo il percorso morfologico per giungere a mbriana partendo da meridiana; abbiano: *meridiana, donde con epentesi eufonica di una b si à mberidiana→ mb(e)ri(di)ana→mbriana e non vedo necessità di aggiungere alcun segno diacritico d’aferesi atteso che in mbriana non si è verificata alcuna caduta di sillaba o lettera iniziale da doversi indicare con il segno (‘); dunque semplicemente mbriana e non ‘mbriana !, come pure mi è occorso inopinatamente, di trovare talvolta scritto…addirittura in taluni compilatori di dizionari etimologici del napoletano. A completamento di tutto quanto qui scritto ora segnalo una divertente chicca che ò còlto spulciando il Dizionario etimologico dei dialetti d’Italia di Cortelazzo/Marcato. Nei significati di fata benefica,ed augurale, donna bella, buona ed affascinante, gli autori non cosiderano l’espressione bella mbriana,ma accolgono una inesatta ed inconferente bella ‘ndriana pescata su di un antico (1887) dizionario napoletano –italiano compilato da Raffaele Andreoli che con una fantasiosa sicumera senza pari, per far passare l’espressione, s’inventò una ipotizzata benefica fata Adriana. Mio sommesso, ma deciso avviso è che l’Andreoli (unico del resto fra i compilatori di calepini della parlata napoletana ad accogliere tale scorretta bella ‘ndriana e come tale responsabile di aver portato fuori strada un attento ricercatore come fu il ch.mo prof. Manlio Cortelazzo e la sua collaboratrice dr.sa Marcato) abbia preso un colossale abbaglio o (per dirla in pretto napoletano) ‘nu ddio ‘e zzarro (un sesquipedale inciampo), operando una corruzione dell’originaria bella mbriana (espressione che d’altra parte egli stesso accoglie nel consueto significato, nel suo vocabolario) e facendola diventare una scorretta, improbabile,improponibile ed inutile(esistendo già la soddisfacente bella mbriana!...) bella ‘ndriana per la quale non mi riesce per nulla di capire quale possa esser la strada da seguire per giungere da Adriana a ‘ndriana che tuttalpiú presupporrebbe un Indriana/Andriana (abitante di Andria??) e non l’ipotizzata Adriana . Talvolta anche Omero sonnecchia… figurarsi un Andreoli! 67 – ‘O TOTARO DINT’ Â CHITARRA letteralmente: il totano nella chitarra,ma anche in questo caso ci troviamo davanti ad una figurazione dal sapore marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figura riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire 'andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra con il foro della rosa; quanto all’etimologia abbiamo: totaro deriv. del gr. teuthís o têutòs con lo stesso significato di mollusco simile al calamaro; la voce pur partendo dal greco è giunta nel napoletano attraverso un basso latino tutanu(m) con metaplasmo e cambio di suffisso nu→ro. chitarra dall'ar. qîtâra, che è dal gr. kithára. 68 – ‘A ZUPPA ‘E CARNACOTTA letteralmente la zuppa di carne cotta o zuppa di frattaglie (interiora del vitello affettate sottilmente e cotte in un brodo privo di grassi aggiunti, ma ricco di verdure e spezie; questa zuppa viene servita caldissima, a mestolate, su pochefreselle (dal latino frendere= spezzettare)fette di pane biscottato in un’ampia ciotola, accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso e rappresentò, per anni, specie nei mesi invernali il gustoso asciolvere della povera gente o dei salariati. rammenterò che tale zuppa è nota a Napoli anche con il termine ‘a mariscialla; a Napoli una volta esistevano ed in qualche vicolo della vecchia città se ne può incontrare ancora qualcuno, i cajunzare (ventraiuoli) cioè i venditori ambulanti che su attrezzati carrettini trainati a mano servivano le trippe cioè il quinto quarto della bestia macellata e tali trippe erano servite ben affettate e ridotte in piccoli pezzi, disposti su fogli di carta oleata ed erano da portare alla bocca con le dita senza l’ausilio di alcuna posata o attrezzo cosparsi di parecchio sale ed irrorati con il succo di limone; spesso affettavano la trippa lessata (specialmente la parte detta cientopelle) in strisce larghe e lunghe come i galloni dei marescialli dell’epoca murattiana quando si indossavano divise fantasmagoriche , per cui i ventraiuoli battezzarono mariscialla la zuppa ricavata da frattaglie di vitello bollite con aggiunta come ò detto solo di poche erbe aromatiche; etimologicamente zuppa dal got. suppa 'fetta di pane inzuppata' mentre carnacotta è l’adattamento dialettale per fusione del toscano carne cotta, e mariscialla è un giocoso femminile ricostruito di maresciallo che è dal fr. marécàl, a sua volta dal lat. mediev. mariscalcus; cfr. maniscalco. 69 – SOTTO E ‘NCOPPA letteralmente sotto e sopra , ma piú esattamente posti di fronte in posizione inversa; anche in questo caso, pur partendo dall’ovvia osservazione che il numero 69 è formato con due cifre di cui l’una, il 6 posto in posizione classicamente verticale, mentre il 9 pare quasi un 6 posto in posizione inversa tale da determinare un numero formato da cifre poste di fronte in posizione inversa, ci troviamo a parlare di una situazione furbesca riproducente il cosiddetto coito orale; quanto all’etimologia, sotto è da un basso latino subtus derivato di sub, mentre ‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo piú coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra. 70 – ‘O PALAZZO o piú esattamente ‘O PALAZZO ‘E CASA e cioè il palazzo oppure con tipica tautologia partenopea il palazzo di casa che – a prima vista – potrebbe sembrare un’inutile precisazione ed invece non lo è, poi che con la parola palazzo che etimologicamente è dal latino palatiu(m) 'colle Palatino', poi 'palazzo imperiale', (che nella Roma imperiale sorgeva su quel colle) si intende genericamente qualsiasi edificio di grandi proporzioni e di pregio architettonico, adibito soprattutto un tempo ad abitazione di re, principi o famiglie nobili, e oggi per lo piú a sede di organi di governo, di uffici pubblici, di istituzioni culturali e sim., mentre con l’espressione palazzo ‘e casa ci si riferisce ad un piú contenuto edificio anche non di grandi proporzioni e pregio architettonico dove però si abbia la propria stabile dimora in appartamenti di un numero variabile di stanze dette - con tipica iperbole napoletana – case ( dal latino casa propriamente casa rustica opposta alla domus abitazione del dominus formata di molti piú vasti ambienti ed annesse pertinenze: giardini etc. Tra le specificazioni del palazzo ‘e casa rammenterò il cosiddetto palazzo ‘e casa a spuntatora e cioè il palazzo con due entrate situate o su strade adiacenti o parallele, palazzo che come la cosiddetta casa cu ddoje porte risultò molto inviso ai mariti gelosi che temettero la possibilità da parte d’un probabile amante della fedifraga consorte, di attingere le grazie di détta infedele moglie entrando in casa o nel palazzo attraverso l’uscio non usato abitualmente dal marito tradito. Mi piace rammentare ora un’amenità che si poteva udire, nelle tombole familiari d’antan, all’annuncio dell’estrazione del numero 70; quanto con voce stentorea chi estraeva i numeri, annunciava in sostanzioso napoletano: sittanta! invariabilmente tutti i giocatori in coro, giocando sull’omofonia tra sittanta ( settanta) e ssî ttanto ( sei grosso o alto cosí e non di piú…) gli rispondevano: E nun crisce cchiú ( e non crescerai di piú). 71 – LL’OMMO ‘E MMERDA letteralmente l’uomo di merda ossia l’uomo dappoco, persona infida, riprovevole,disonesta, o solo d’animo ignobile, cosí definito in quanto si appaleserebbe tal quale fosse per iperbole formato di escrementi; l’espressione a margine sostanzia una corposa offesa rivolta appunto nei confronti di chi venga considerato mancante di ogni decoro e/o dignità ed al contrario mostri cattiveria e protervia d’animo; costui a volte viene apostrofato con la voce mmerdajuolo, usata come sinonimo di quella a margine, quantunque di per sé ( con derivazione dal latino merda(m) con i suff. arius ed olo) indicherebbe colui che – per lavoro – raccattava gli escrementi animali per igiene pubblica e li rivendeva per concimare i campi; a tal proposito rammenterò l’espressione Essere ‘a tina ‘e miezo. Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco, lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di un carro atto allo scopo, tino nel quale, originariamente in quel di Torre del Greco, e poi in ogni altro paese rurale, veniva posto tutto il letame che, raccolto in giro e convogliato nel tino centrale mediante due altri tini piú piccoli collocati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime naturale.In chiusura ricorderò le etimologie: ommo = uomo da un nomin. latino (h)òmo con tipico raddoppiamento espressivo della labiale m, mentre la consonante diacritica d’avvio (h) un tempo aspirata, non viene presa in considerazione, né lascia traccia; ‘e mmerda = di merda (id est: composto di escrementi) mmerda = merda, come già visto da un acc. latino merda(m) con raddoppiamento sintattico della consonante d’avvio. 72 – ‘A MARAVIGLIA – la meraviglia con particolare riguardo a tutti quegli accadimenti che dèstino stupore,sbalordimento, stordimento, sbigottimento, emozione, soprattutto quando queste cose provengano dal verificarsi di fatti dai connotati negativi che mai si sospettava potessero accadere; ad es. desta meraviglia oltre che orrore una madre che uccida un figlio o un figlio che diventi matricida e cosí via; quanto all’etimo ‘a maraviglia è da un latino mirabilia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl. sost.e inteso femminile dell'agg. mirabilis meraviglioso. 73 – ‘O SPITALE – l’ospedale e cioè l’ istituto pubblico nel quale si ricoverano e si curano gli ammalati inteso come luogo di sofferenze e miseria, atteso che è luogo dove vengono accolti per esser curati i cittadini meno abbienti; i piú facoltosi infatti fanno ricorso alle c.d. cliniche private ed un tempo si congetturò che anche il personale medico e/o paramedico che prestava la propria opera nell’ospedale fosse meno capace, in quanto peggio retribuito, del personale delle c.d. cliniche private; quanto all’etimo la voce ‘o spitale è da un lat. volg. òspitale, neutro sost. e inteso maschile dell'agg. òspitalis 'ospitale, che accoglie, con sincope della h iniziale e deglutinazione della o intesa come articolo. 74 – ‘A ‘ROTTA e cioè la grotta con riferimento ovviamente non ad un qualsiasi anfratto naturale, ma, sulla scorta della gran tradizione cristiana partenopea, ovviamente la grotta per antonomasia : quella che ospitò il Bambino Gesú riscaldato dal fiato del bue e dell’asinello; prima di rammentare che in napoletano, con un diminutivo della voce a margine, e cioè con ‘a ‘rutticella estensivamente e con raffronto semiblasfemo si intese la vulva muliebre, ricorderò la locuzione che richiamando il bue e l’asinello or ora détti, parla di ‘o scarfalietto 'e Giesú Cristo Ad litteram: Lo scaldino di Gesú Cristo. Non si direbbe, ma la locuzione ricordata è una dura, sia pure sorridente offesa che si rivolge agli uomini ritenuti ignoranti o anche becchi. Non v'è chi non sappia infatti che Gesú Cristo fu riscaldato nella greppia di Betlemme da un bue e da un asinello; di talché affibbiare ad uno il titolo di scaldino di Gesú Cristo significa dargli dell' asino e del bue id est: ignorante e cornuto e perciò significa accusare sua moglie di infedeltà continuata. 75 – PULICENELLA e cioè Pulcinella la maschera per antonomasia della tradizione popolare partenopea che come tale non poteva non esser presente nella smorfia rappresentandovi l’uomo piú semplice, quello piú debole, quello che nella scala sociale occupa l’ultimo posto; è però dotato per compensazione di una furbizia eccezionale, capace perciò di risolvere i piú disparati problemi. Chiamato a rappresentare l’anima del popolo, i suoi istinti primitivi, appare quasi sempre in contraddizione, tanto da non avere dei tratti fissi: è ricco o povero, è prepotente o codardo, e talvolta presenta l’uno e l’altro tratto contemporaneamente. La verità sta nel fatto che a questa maschera il popolo à riservato la funzione di riassumere e di esprimere tutta la sua realtà quale che sia: brutta o bella, meschina o eroica. La maschera di Pulcinella à una storia che viene di lontano; già non c’è uniformità di vedute sull’origine del nome Pulcinella; secondo alcuni esso si vuole che debba discendere da Pulcinello cioè piccolo pulcino per via del suo naso adunco e per la voce chioccia che in origine usarono gli attori , c’è chi invece propende per Puccio d'Aniello un villano di Acerra del '600 che dopo aver preso in giro una compagnia di commedianti girovaghi si uní a loro come buffone e pare s’inventasse quel mascheramento del volto, mezzo bianco e mezzo nero, palandrana bianca e candido cappello a pan di zucchero; una scuola di pensiero propende per un tal Silvio Fiorillo attore girovago nato all'incirca nel 1560 (Viviani V.), che pare fosse il primo a portare ufficialmente in scena la figura di Pulcinella, anche se l'alternava con la casacca e la spada del capitano Matamoro spagnolo. Fiorillo viene anche ricordato come il primo commediografo pulcinellesco, essendoci giunta una sua commedia intitolata: " La Lucilla costante, con le ridicole disfide e prodezze di Pulcinella " In realtà dove e da chi sia nato Pulcinella non é dato di sapere e molti eminenti studiosi e letterati come Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo e Anton Giulio Bragaglia si siano impegnati in queste ricerche, senza mai poterlo stabilire con certezza; a mio avviso, pur accogliendo in parte qualcosa d’ogni singola ipotesi, penso che non sia tuttavia lontano dalla verità chi, (almeno per ciò che riguarda i caratteri generali), collega Pulcinella al Maccus della commedia atellana latina; la maschera di Pulcinella à una sua variante francese in Polichinelle' ( un fanfarone gradasso con doppia gobba e un vestito giallo-rossiccio detto crocòta) ed una inglese con Punch maschera dall' umore malinconico e brutale, molto diverso dal Pulcinella napoletano brioso e faceto; i medesimi caratteri della maschera napoletana si riscontrano invece nel russo Petruska, nel don Cristobal spagnolo e nel tedesco Kaspar, segno che la maschera napoletana fu esportata in lungo e largo.Esiste un momento centrale ed illuminante, nella storia dei rapporti fra Pulcinella e Napoli, fra Pulcinella ed il teatro ed, in particolare, fra Pulcinella e l'attore : esso coincide con la fine del '600 e l'inizio del '700, allorché la storia dello spettacolo a Napoli si fa suggestiva misura della storia stessa della città e della sua vita culturale. Vi fiorisce un teatro di prosa dialettale, espressione di una straordinaria attenzione alla lingua ed al costume; vi nasce una ricca e fertile generazione di teatranti: teorici, drammaturghi e commediografi, librettisti, musicisti, attori e cantanti, impresari; vi si rinnovano le strutture cittadine di spettacolo: si apre il San Carlo e, all'estremo opposto del consumo sociale del teatro, il non meno nobile San Carlino; si afferma la commedia in musica, detta opera buffa, capace di espandersi ed affermarsi per l'intera Europa con caratteri che ànno fatto pensare addirittura ad una scuola musicale napoletana '; sopratutto, il teatro rinasce, dopo esaltanti esperienze della commedia dell'arte praticata trionfalmente in Europa per tutto il '600 ed in questa prima metà del '700. La maschera à rappresentato e rappresenta tuttora la plebe napoletana' da sempre oppressa dai vari potenti che si sono succeduti, affamata e volgare, smargiassa, codarda e dissacrante. Molti attori ànno impersonato sulla scena il personaggio di Pulcinella ma il piú famoso di tutti è stato Antonio Petito (1822 -†1876) trionfatore sul palcoscenico del San Carlino; questo Petito nonostante fosse quasi analfabeta, à lasciato numerose commedie di grande successo che avevano come protagonista lo stesso Pulcinella. Dopo di lui, per tanti aspetti, storici, culturali e tecnici nonostante sulle scene fossero attivi altri grandi interpreti (come Salvatore De Muto(1876 † 1970) ad esempio e Gianni Crosio (di cui, purtroppo non sono stato in grado di reperire notizie biografiche) inizia la decadenza. Pulcinella in teatro diventa un personaggio, e deve attenersi ormai ad una parte scritta, ad un copione. Privata del vivificante contatto diretto con il pubblico, la maschera assume sempre piú caratteristiche stereotipate, di genere. Solo nella strada, con le guarattelle (forma metatica di guattarelle= acquattate, nascoste), il teatro napoletano dei burattini, Pulcinella mantiene la sua forza, conservando intatta nel tempo, incredibilmente, la struttura di spettacolo originaria della Commedia all’Improvviso, e in tal forma giungendo fino ai nostri giorni. Ribadito che per quel che riguarda l’etimologia del nome Pulicenella o anche Pullicenella con tipico raddoppiamento espressivo della l della sillaba tonica, occorre risalire ad un accusativo latino pullicinu(m)= pulcino variante del tardo latino pullicénu(m), con riferimento – come già detto – al naso adunco ed alla primitiva voce chioccia e pigolante usata dagli attori per dar vita alla maschera, ricorderò che il personaggio eternato sotto il num. 75 della smorfia napoletana non è esattamente la maschera fin qui menzionata, ma il generico buffone, il pagliaccio o l’ uomo di nessuna personalità, quel medesimo che per traslato è detto appunto Pulicenella. 76 –‘A FUNTANA e cioè la fontana figurazione della vita, rappresentata dal fluire tipico dell’acqua, emblema quasi sacrale che come tale non poteva mancare nel libro dei sogni dei napoletani, da sempre attenti a tutto ciò che abbia un valore sacro; etimologicamente è da un accusativo latino fontana(m) aqua(m)= acqua di fonte. 77 – ‘E RIÀVULE e cioè i diavoli; e non faccia meraviglia se i napoletani abbiano accolto nel loro libro dei sogni, una figura (il demonio) cosí tanto all’opposto della visione sacrale che dell’esistenza ànno i partenopei; se lo ànno fatto, la cosa è avvenuto a puro scopo apotropaico nella convinzione che il considerarlo ed anzi considerarli nella loro numerosità (abbiamo infatti il plurale ‘e riavule e non il singolare ‘o riavulo) li tenesse superstiziosamente a bada e ne allontanasse i malefici influssi; a Napoli purtroppo spesso la superstizione e la religione vanno a braccetto dandosi di gomito; etimologicamente ‘e riavule che è plurale di ‘o riavulo = diavulo con tipica rotacizzazione osco-mediterranea della d→r viene da un tardo latino diabolu(m), dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di diabállein 'disunire, mettere male, calunniare', che nel gr. cristiano traduce l'ebr. satan 'contraddittore'. 78 – ‘A BBELLA FIGLIOLA che ad litteram starebbe per la bella ragazza, ma per eufemistico traslato vale la prostituta e piú chiaramente ‘a zoccola; trattandosi di chi esercita il mestiere piú antico e noto, fu quasi ovvio che entrasse a far parte del libro dei sogni partenopeo, quantunque si eufemizzassero i piú usati termini come prostituta o il piú corposo zoccola; ò già abbondantemente trattato alibi sub Meretricio e voci collegate, le voci prostituta e zoccola e a quell’articolo rimando, limitandomi qui a dire della voce figlióla che etimologicamente è da un accusativo latino volgare filiòla(m) per il classico filíola(m) e ricordando che il naspoletano à però la vocale tonica del dittongo chiusa. 79 –‘ ‘O MARIUOLO e cioè il mariolo, il ladro ed estensivamente la persona disonesta in genere anche quando non sia dedita al furto continuato; nel libro napoletano dei sogni che fotografa tutta la vita nelle sue manifestazioni ed accezioni non poteva mancare la figura del mariolo che segnatamente (prima di comprendere il disonesto in genere, il furbo e truffatore) fu quel ladro di basso profilo che a far tempo dalla fine del ‘700 ed i princípî dell’’800 operava piccoli furti di destrezza in istrada sottraendo a disattenti pedoni orologi da tasca , fazzoletti di seta e portamonete; esistettero negli anni che ò detto addirittura delle scuole dove i mariuoli alle prime armi prendevano scuola e si allenavano sottraendo a dei fantocci preparati all’uopo le mercanzie ricordate, facendo attenzione durante gli… allenamenti a non far titinnare i numerosi campanelli di cui erano forniti i pupazzi, campanelli che se avessero titinnato avrebbero dimostrato che il mariuolo non stesse agendo con la dovuta rapidità e destrezza e pertanto avrebbe dovuto continuare ad imparare, magari sferzato dolorosamente dalla verga o dallo staffile del maestro mariuolo. Per ciò che attiene all’etimologia del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un etimo incerto, qualche altro prpende per un antico aggettivo francese mariol = furbacchione, qualche altro ancora lo legherebbe allo spagnolo marraio e marrullero = imbroglione, monello; trovo invece molto interessante la scuola di pensiero che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→ marevuolo con sincope definitiva della v donde mareuólo e mariuólo. 80 – ‘A VOCCA si tratta ovviamente della bocca, la cavità nella parte anteriore del viso dell'uomo, delimitata dalle labbra, che è organo della respirazione, della nutrizione e della fonazione; ed è con particolare riferimento a quest’ultima funzione che la bocca è presa in considerazione nella smorfia partenopea in quanto emblema di coloro che erano adusi a parlare d’ogni cosa anche se spesso a sproposito,in quanto non avevano argomenti da esporre o pensieri da sostenere, al segno che, per dileggio ,di costoro s’usava dire che aprissero la bocca pe ffà piglià aria â lengua: per arieggiare la lingua; a tal proposito nelle tombole familiari d’antan all’annuncio: Uttanta, ‘a vocca!, tutti i giocatori commentavano in coro: È ‘nu bbellu strumiento, volendo appunto ricordare che spesso la bocca era usata a mo’ di strumento (dal lat. instrumentu(m), deriv. di instruere disporre, costruire) per emetter suoni senza significati. L’etimo di vocca è pacificamente dal latinobucca(m) 'guancia', poi 'bocca' con la tipica alternanza partenopea b/v. 81 – ‘E SCIURE e cioè i fiori figurazione, per la loro bellezza, fragranza e rigogliosità, come la pregressa fontana, della vita, ed in quanto tale non potevano non esser presenti nella smorfia dei partenopei, gente dallo spirito pratico, non disgiunto (a malgrado delle apparenze) da una gentilezza di fondo che fa apprezzar loro i fiori, gioiosa e gentile manifestazione di madre natura. Quanto all’etimologia di sciore (di cui sciure è il plurale) essa è dall’accusativo latino flore(m) con la tipica mutazione del gruppo latino fl che in napoletano diventa sci , come ad es. alibi sciummo che è da flumen, sciamma da flamma(m) etc. 82 – ‘A TAVULA APPARICCHIATA= il desco imbandito, la tavola colma di vettovaglie; quasi ovvio che l’atavica fame del popolo napoletano lo spingesse a considerare nel proprio libro dei sogni un gran tavolo imbandito al quale accostarsi per satollarsi ed ( almeno in sogno!) sconfiggere l’antica fame, figlia della miseria quotidiana; rammenterò che – purtroppo! – qualche napoletano piú giovane in luogo d’usare classicamente: ‘a tavula apparicchiata, si è lasciato frastornare dal toscano ed à preso a dire scioccamente ‘a tavula ‘mbandita o addirittura a tavula ‘mbannita ( dove ‘mbandita/’mbannita è l’evidente corruzione di imbandita vocabolo assolutamente estraneo all’ idioma napoletano); ‘a tavula non è un generico tavolo, ma il grande (si noti che la parola è stata resa femminile: tavula e non tavulo; e come vedemmo altrove un oggetto femminile è inteso piú vasto del corrispondente maschile) desco su cui si prendono i pasti e deriva dal latino tabula(m); apparicchiata= allestita, approntata, ed anche imbandita è etimologicamente p.p. femm. del verbo basso latino ad-pariculare(donde apparic(u)lare→apparichiare/apparicchià); pariculare è un iterativo di parare= preparare mentre ‘mbannita è part. passato femminile del verbo ‘mbandí inutile sistemazione dialettale dell’imbandire toscano ( che è da un in + bandire= convitare). 83 – ‘O MALETIEMPO – il cattivo tempo, quello che oscura il cielo e mal dispone gli animi degli uomini e non solo dei metereopatici (specie in una città come Napoli che nell’immaginario collettivo è città di luce ed aria, ‘o paese d’’o sole!,) uomini che mal si adattano alle cupi nubi, alle piogge noiose ed ai venti turbinosi. nubi, pioggia e vento che connotano il maltempo al margine entrato nella smorfia partenopea come paventato pericolo e come tale quasi sopportato quale simbolo di cattivo presagio; a Napoli chi aprendo la finestra al mattino, vedesse il cielo offuscato da cupe nubi, prodromiche di procellose piogge,il tutto prefigurando cattive nuove, opererebbe súbito manovre apotropaiche con annessi inconfessabili scongiuri e – potendolo – rientrerebbe tra le coltri, temendo di affrontare una giornata sotto l’egida d’’o maletiempo che risulta etimologicamente derivato da malu ( dal latino malum=cattivo) + tiempo (lat. tempus con dittongazione popolare). 84 – ‘A CHIESIA – la chiesa intesa però non come comunità di fedeli che professano una delle confessioni cristiane: chiesa cattolica, ortodossa, anglicana, luterana, calvinista ma piú semplicemente come l’edificio sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni cristiane, quell’edificio detto casa del Signore accostato di solito da un campanile dal quale squillanti campane chiamano a raccolta i fedeli; un popolo profondamente religioso come è il napoletano non poteva non considerare nel suo libro dei sogni la c.d. casa del Signore, quella chiesa che è centro e fulcro della vita d’ogni quartiere partenopeo. Etimologicamente la parola chiesia/chiesa è dal lat. ecclesia(m),che è dal gr. ekklísía 'assemblea', deriv. di ekkalêin 'chiamare'. 85 – LL’ ANEME D’’O PRIATORIO – e cioè le anime del purgatorio; ritorna il vasto sostrato religioso-fideistico del popolo napoletano, in forza del quale non si poteva non dare un posto nella smorfia, alle anime dei defunti che - giusta l’insegnamento della religione cattolica, non abbiano ancora ricevuto il premio o il castigo definitivo e siano ancóra confinate in un luogo di purificazione dove si emendano dei residui delle colpe trascorse per essere poi chiamate, mondate e purificate, al premio finale; tali anime, benché non si possa evocarle o chiamarle, talvolta, per permesso e volere di Dio si manifestano sia pure in sogno, spesso per chiedere preghiere e suffraggi per sé o loro simili, e talvolta per soccorrere, moralmente, ma pure praticamente, chi le invochi con speranzoso rispetto e trasporto; il popolo napoletano à un vero e proprio culto sacro delle anime purganti al segno che – specialmente dal popolino minuto -è d’uso avere in casa delle piú o meno contenute statuine di terracotta dipinta raffiguranti i nudi corpi di appunto queste anime del purgatorio avvolti in raccapriccianti lingue di rosso fuoco, quel fuoco simbolo e mezzo della purificazione; dinnanzi a dette statuine vengono accesi lumini votivi o posti piccoli fasci di fiori; in taluni antichi quartieri popolari della città vecchia, è ancóra possibile passim imbattersi in edicole sacre dedicate alle anime purganti la cui iconografia è fornita da statuette cosí come descritte, con l’aggiunta altresí di macabri teschi ed incroci di ossa tibiali. Quanto all’etimologia, pacifica per anema quella latina anima(m), connesso col gr. ánemos, mentre per priatorio pur risalendo al lat. tardo purgatoriu(m), neutro sost. dell'agg. purgatorius, deriv. di purgare 'purgare, purificare' oltre l’evidente esito metatico non bisogna scordare un incrocio d’avio con il verbo prià = pregare da un lat. volg. precare, per il class. precari, deriv. di prex/ precis 'prece'. 86 – ‘A PUTECA o ‘A PUTECHELLA – la bottega o la botteguccia, simboli della (contrariamente al vieto luogo comune che vuole il napoletano sfaticato, fannullone,ozioso e scioperato) solerte anima partenopea, quei partenopei che spesso, non avendo piú certa e remunerativa attività da svolgere, per poter vivere, si dedicavano e dedicano ad improvvisati commerci piccoli o grandi che svolgevano e svolgono in negozi talvolta di fortuna: ‘a puteca e se molto piccola putechella; e tale simbolo di solerzia non poteva non esser presente nella smorfia; ricorderò anzi che spessissimo i napoletani per tener dietro solertemente e senza soluzione di continuità a tali loro commercio usarono ed usano prender dimora in, sia pure, pochi vani di pertinenza del medesimo negozio dove svolgono l’attività per modo che non sprecano tempo per portarsi di casa al luogo del lavoro e viceversa; da ciò nacque il detto: metterse ‘e casa e puteca che significò: occupare proficuamente tutto il tempo dedicandosi ad un’attività lavorativa e/o di studio.Quanto all’etimologia la voce puteca deriva dal lat. apothéca(m), dal gr. apothékí ; in latino indicò il locale che nella domus faceva da dispensa ; mentre in greco fu in primis la farmacia e poi estensivamente il magazzino, il ripostiglio, il negozio cosí come nel napoletano. 87 – ‘E PERUCCHIE – letteralmente i pidocchi e cioè i piccoli insetti dal corpo piatto, con zampe corte e robuste, che succhiano il sangue dell'uomo vivendo da parassiti sulla testa, sul corpo o nei vestiti, ma va da sé che in quanto tali, non è pensabile che potessero esser presi in considerazione e ricordati nella smorfia sebbene fossero segno di miseria e sporcizia; rammentato allora che, in quanto insetto, la voce perocchio di cui perucchie è il plurale deriva da un tardo latinopeduc’lu(m), dim. di pídis 'pidocchio, dirò che il termine plurale ‘e perucchie è stato accolto nel libro dei sogni come uno dei circa sessanta sinonimi del danaro in uso nella parlata napoletana, ed in tale accezione ‘e perucchie (segnatamente il danaro quando sia poco e pertanto con limitatissima capacità di acquisizione di beni) sono una corruzione di purchie ambedue coniati su di un antico porchia nel significato di gemma, pollone, richiamante quel rigoglio della vita facilmente assimilabile alla rigogliosità che può dare il danaro. 88 – ‘E CASECAVALLE o ‘AMMUSCIATORE – i cacicavalli o l’annoiatore; il caciocavallo è un famosissimo formaggio tipico dell'Italia merid., a pasta dura, dolce o piccante, in forme simili a grosse pere allungate, fatto con latte intero di vacca o di bufala, prodotto in altura dai casari e poi trasportato a valle legato in coppia a dorso di cavallo, donde il nome, famosissimo ed usatissimo formaggio tale da rappresentare l’emblema del buon nutrirsi (il latte è alimento principe) e perciò del ben vivere(siamo ciò che mangiamo!) ed in quanto emblema di qualcosa d’importante, entrato nella smorfia; la tipica forma a pera ed il fatto che i cacicavalli siano legati a coppia offrirono poi il destro furbesco di farli ritenere simili ai testicoli e poiché nell’immaginario partenopeo chi infastidisca o annoi qualcuno gli abboffa o ll’ammoscia ‘e ppalle e cioè gli gonfia metaforicamente o alternativamente gli rende molli i testicoli, ecco che i cacicavalli/testicoli finirono per richiamare la figura dell’ ammusciatore id est: annoiatore figura ricordata con il medesimo numero ed accanto ai casecavalli di sua pertinenza. ;ricordiamo alcune etimologie delle voci meno note contenute in questa illustrazione; avendo già detto di caciocavallo, abbiamo: abboffa voce verbale di abbuffà= gonfiare voce che quantunque recepita nel toscano è di di orig. merid.; deriv. di buffa nel sign. dial. di 'rospo; ammoscia voce verbale di ammuscià= infastidire, annoiare, render molle che è un denominale di muscio (lat. musteus→mustum=mosto, vino giovane e dolce e di poca forza o consistenza; ammusciatore (vedi ammuscià) = chi infastidisce, annoia o rende molle. 89 – ‘A VICCHIARELLA – la vecchina; per ciò che concerne questa penultima voce a margine, non posso che ripetere – vòlto al femminile - ciò che, al mascile, dissi per ‘o viecchio sotto il num. 53; il vecchietto; la vecchia o vecchina è un’ altra figura emblematica che non poteva mancare nella smorfia dei napoletani da sempre adusi a tenere in alta considerazione chi si porti il carico di molti anni, sia che si tratti di familiari (genitori, nonni, zii) sia che ci si riferisca ad estranei con i quali si abbia un sia pure fugace contatto di vita, piú o meno quotidiano; il soggetto femminile ‘a vicchiarella (num. 89) nella smorfia non è indicato con una doppia voce: ‘a vecchia (la persona anziana che si trovi negli ultimi anni di vita) voce che volta al femminile deriva da un basso latinovec’lu(m),collaterale del class. vetulu(m), dim. di vetus 'vecchio' voce che è però molto fredda e quasi anodina,ma solo con il piú affettuoso diminutivo ‘a vicchiarella ( diminutivo, vezzeggiativo della rammentata e non usata nella smorfia vecchia) usata piú affettuosamente per indicare l’anziano di famiglia, voce che per sottolinearne l’uso piú partecipativo viene quasi sempre accompagnata dal possessivo mio: della propria anziana genitrice s’usa dire infatti: ‘a vicchiariella mia! 90 – ‘A PAURA e anche ‘A PUPULAZZIONA la paura e anche la popolazione, il popolo; siamo giunti al termine dei novanti numeri con i principali significati usati nel libro napoletano dei sogni: il novanta con il quale si indica la angosciosa sensazione che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo vero o immaginato; sensazione che va sotto il nome di paura e che, essendo uno delle piú ricorrenti percezioni del vivere umano occupò un preciso posto nella smorfia e le fu assegnato il numero piú grande possibile, per modo che potesse quasi indicare la grande scossa che quella senzazione fastidiosa provoca nell’animo umano; accanto alla paura, sotto il medesimo numero altissimo trova posto la figurazione della pupulazzione cioè a dire la popolazione intesa però non come il complesso degli abitanti di un luogo, quanto piú circoscrittamente ‘o popolo e cioè il complesso degli abitanti di un quartiere o di un rione soprattutto quando partecipanti insieme alla vita sociale in manifestazioni ludiche, religiose ed affini; trattandosi di una moltitudine apparve corretto assegnare ad essa un numero grandissimo: il novanta appunto sebbene esso fosse già di pertinenza della paura. Concludiamo con illustrare l’origine delle parole in esame: paura= paura, timore; lemma rifatto sull’acc. latino pavóre(m) attraverso un tardo pavura(m) voce che in talune zone della città vecchia è ancora usata senza sincope della v: pavura e non paura ritenuta troppo toscana; pupulazzione = popolazione, popolo che è da un accusativo tardo latino populatione(m) derivato di populu(m). Raffaele Bracale