lunedì 31 marzo 2014

NTANTARIÀ

NTANTARIÀ Questa volta è stato il caro amico A. M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di chiarirgli significato e portata del verbo partenopeo in epigrafe. Gli ò così testualmente risposto: ; il verbo ntantarià (da scriversi, come ò fatto, senza alcun segno d’aferesi in quanto la N d’avvio è una semplice eufonica e non il residuo di un in→’n illativo che richiederebbe l’aferesi) è un’antica e desueta voce popolare, difficilmente riscontrabile nei repertorii, d’etimo onomatopeico riferito al clangore della fanfara, con cui si indicò 1 in primis il rumoreggiare assordante di chi, soprattutto ragazzi, facesse chiasso e poi 2 per ampliamento semantico furbesco il comportamento malevolo di chi diffondesse voci e notizie confuse, spargesse dicerie con il medesimo rumore, la stessa eco, risonanza di una fanfara. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A.M. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in questa paginetta.Satis est. Raffaele Bracale

BRUSCHETTE SAPORITE AL DOPPIO GUSTO

BRUSCHETTE SAPORITE AL DOPPIO GUSTO ingredienti e dosi per 6 persone 12 fettine di pane casareccio bruscate al forno, 2 spicchi d’aglio mondati, ½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f., 1 etto di filetti d’acciuga sott’olio, pepe decorticato macinato a fresco q.s. crema di mozzarella macchiata q.s. per la crema di mozzarella ingredienti e dosi per 6 persone 3 cucchiai di doppio concentrato di pomidoro, 1 bicchiere di olio d’ oliva e.v.p.s. a f. ½ cipolla dorata mondata e tritata, 6 etti di (autentica!) mozzarella di bufala, un gran ciuffo di basilico fresco lavato, asciugato e spezzettato a mano, sale fino e pepe decorticato macinato a fresco q.s. procedimento Si comincia approntando la crema di mozzarella nel modo che segue: versare in una padella antiaderente tutto l’olio, aggiungere il trito di cipolla ed a fuoco sostenuto farlo dorare, indi unire il concentrato di pomidoro, scioglierlo con un bicchiere d’acqua bollente, salare e pepare ad libitum e portare a cottura in circa 15 minuti sempre a fuoco sostenuto; mantenere in caldo e nel frattempo cubettare grossolanamente la mozzarella e porre i cubetti ottenuti in un mixer a lame da umido, aggiungere il sugo caldo, il basilico fresco lavato, asciugato e spezzettato a mano e frullare il tutto a mezza velocità sino ad ottenere una spumosa crema. A seguire si bruscano in forno caldissimo (220°) le fettine di pane casareccio e si dispongono su di un piatto di portata, verniciandole velocemente di olio; sempre velocemente si dividono idealmente in due parti tracciando un’ipotetica linea lungo l’asse minore delle fette e su di una metà si dispongono due filetti d’acciuga arrotolati, mentre sull’altra metà si spalma una cucchiaiata di crema di mozzarella servendole poi in tavola calde di forno, cospargendo il tutto di pepe decorticato macimnato a fresco. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute! E scialàteve! raffaele bracale

BRODI VARÎ & BOLLITI ASSORTITI

BRODI VARÎ & BOLLITI ASSORTITI A - BOLLITO & BRODO DI MANZO Eccovi alcuni ottimi modi di preparare e servire del bollito o lesso di manzo. Cominciamo con il ricordare che il miglior lesso si ottiene ponendo a cuocere per circa 2 ore ed a fuoco sostenuto la carne di manzo (pancettone e gamboncello corrispondenti a geretto posteriore (muscolo) e scalfo) in acqua già bollente, addizionata di una grossa cipolla dorata mondata e divisa in quattro parti , una grossa carota grattata e divisa longitudinalmente in quattro parti , una costa di sedano mondata e tagliata a tocchetti di 4 cm. cadauno,alcuni chiodi di garofano infissi per comodità nella cipolla, due foglie d’alloro, un mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, , porro,aneto,piperna,basilico ),tre pomidoro (roma o san marzano) sbollentati e pelati o ,se si preferisce, due cucchiaioni di doppio concentrato di pomidoro, un pugnetto di sale grosso alle erbette e pepe nero in grani, mentre se con i medesimi ingredienti si vuole ottenere un buon brodo, bisogna che il tutto sia messo in acqua fredda e prolungare la cottura per circa 3 ore a fuoco dolcissimo per modo che la carne ceda tutti i suoi succhi al brodo, rendendolo gustoso. Nella fattispecie a noi interessa il lesso, non il brodo e dunque acqua bollente! Chi volesse il brodo, rammenti d’usare acqua fredda! Eccovi la prima ricetta: 1 - BOLLITO DI MANZO e VITELLA IN INSALATA dosi per 6-8 persone: 1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo 6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella, 2 cipolle bianche di cui una intera l’altra affettata ad anelli, 1 carota, 1 gambo di sedano, 2 foglie d’alloro, , 1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna) alcuni chiodi di garofano, sale grosso un pugno pepe nero in grani q.s. 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p. s. a f. 1 tazzina d’aceto bianco, il succo d’un limone non trattato, 1 cucchiaino di senape forte, sale fino e pepe nero macinato q.s. 2 etti di olive nere di Gaeta denocciolate, 1 etto di olive bianche di Spagna denocciolate, 1 cucchiaio di capperi di Pantelleria, dissalati e lavati. Nota propedeutica: Il modo di preparare il lesso di manzo o di manzo e vitello è identico per tutte le preparazioni che qui di sèguito indicherò. procedimento Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamenti e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro, un mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna) sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare a temperatura ambiente (tempo occorrente circa 1 ora); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello spinto verso l’esterno, con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in una capace zuppiera, lasciate che la carne intiepidisca al massimo e frattanto in una ciotola, versate l’olio, l’aceto, il succo di limone, il cucchiaino di senape un pizzico di sale e due di pepe e sbattete il tutto velocemente con una forchetta fino ad ottenere una salsetta fredda con la quale irrorerete la carne sulla quale avrete distribuito gli anelli di cipolla, i capperi ed i due tipi di olive; rimestate accuratamente e servite o come pietanza o come ottimo antipasto. E eccovi la seconda ricetta: 2 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO. dosi per 6-8 persone: 1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo 6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella, 3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 foglia d’alloro, 1 ciuffo di prezzemolo, alcuni chiodi di garofano, sale grosso e pepe nero in grani q.s. 4 uova, ½ etto di pecorino grattugiato, 1 ciuffo di prezzemolo tritato, farina q.s., sale fino e pepe nero macinato q.s. olio di semi q.s. procedimento Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, due foglie d’alloro,un mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna) , sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; frattanto aprite in una ciotola le uova, aggiungete un pizzico di sale e due di pepe, il pecorino ed il prezzemolo tritato e sbattete lungamente a spuma; infarinate accuratamente i pezzi di carne e tuffateli nell’uovo sbattuto, sgrondateli ed in una padella di ferro nero friggeteli fino a che siano croccanti, in olio di semi profondo e bollente; prelevate i pezzi fritti con una schiumarola, adagiateli su carta paglia a perdere l’eccesso d’unto, regolate eventualmente di sale e servite caldo con antipasto o secondo piatto. Per ambedue le ricette precedenti, come per le seguenti: corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente. 3 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO IN PADELLA dosi per 6-8 persone: 1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo 6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella, 3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli 1 carota, 1 gambo di sedano, 1 foglia d’alloro, 1 ciuffo di prezzemolo, alcuni chiodi di garofano, sale grosso e pepe nero in grani q.s. 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p. s. a f., 1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna) sale fino e pepe nero macinato q.s. 1 tazzina di cognac o brandy. procedimento Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro, 1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, aneto , porro,basilico 3 rametti di piperna) , sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; versate in un’ampia padella di ferro nero l’olio e mandatelo a temperatura, unite gli anelli di cipolla ed a temperatura sostenuta fateli dorare se non arsicciare; regolate di sale e pepe, unite i pezzetti carne bollita e ripassateli accuratamente per circa 10 minuti, infine versate il cognac o brandy, alzate il fuoco, fate evaporare, rimestate e cospargete con il trito di prezzemolo; impiattate e servite questo gustosissimo bollito, caldo di fornello, o come antipasto o come pietanza. A questo punto vi suggerisco altri due modi: quarto e quinto modo di preparare e servire un ottimo lesso; 4 – BOLLITO IN SALSA VERDE Per preparare il lesso si procede come ò indicato nelle due prime ricette; indi (per il terzo modo) si serve il bollito che sia ancóra tiepido diviso in grossi pezzi di cm. 5x4x3 accompagnati dalla seguente, gustosa SALSA VERDE ingredienti: Prezzemolo gr.100, rucola 100 gr. 1 spicchio d'aglio mondato, 6 filetti di acciughe sott’olio, la mollica di una fetta di pane casareccio bagnata in aceto di vino bianco e poi strizzata, 50 gr di piccoli capperi di Pantelleria, 2 cucchiai di cetriolini sott'aceto, 1 piccola carota lavata, grattata e lessata al dente, 1 bicchiere d’olio d'oliva e.v. p. s. a f., 1 uovo sodo sgusciato. sale grosso alle erbe q.s. procedimento: Mondare, lavare accuratamente ed asciugare la rucola ed il prezzemolo eliminando i gambi troppo duri; lessare la carotina; rassodare l’uovo in acqua bollente (sette minuti) e sgusciarlo sotto un getto d’acqua fredda. Porre nel frullatore con lame da umido il prezzemolo e la rucola trinciati grossolanamente,i filetti di acciughe, la carota troncata in piú pezzi, i cetriolini, l’aglio mondato, i capperi, l’uovo sodo diviso in quattro parti ed un pizzico di sale grosso alle erbette e tritare con cura tutti gli ingredienti a velocità bassa aggiungendo a mano a mano tutto l’olio. 5 – BOLLITO CON SOTTACETI Per l’ultimo modo (il quarto) di servire il bollito preparato come indicato nelle prime due ricette, lo si divide ancòra tiepido in grossi pezzi di cm. 5x4x3 e lo si accompagna con verdurine ed ortaggi (carote,sedano, sedano-rapa) sott’aceto tagliati a julienne, sgrondati del liquido di conservazione (aceto) leggermente salati, pepati ed irrorati con un filo d’olio e.v. In qualsiasi modo lo si gusti il bollito è sempre comunque buonissimo, se buonissima è la carne con cui lo si prepara ! Ovviamente vini rossi corposi serviti a temperatura ambiente. raffaele bracale B- BRODO VEGETALE ingredienti e dosi per 6 persone 5 litri d’acqua 3 patate vecchie 3 cipolle dorate divise a metà con infissi 10 chiodi di garofano, 1 mazzetto per il brodo (sedano in foglie,ciuffo abbondante di prezzemolo, foglie di alloro, porro, 3 rametti di piperna) , 3 carote, 3 coste di sedano, una presa di sale grosso alle erbette, un cucchiaio di pepe nero in grani, 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v. preparazione In una capace pentola portate ad ebollizione l’acqua. Nel frattempo, lavate e pelate le patate, sbucciate le cipolle dividetele a metà infiggendovi i chiodi di garofano, grattate e lavate le carote e toglietene le estremità, lavate e pulite il sedano. Quando l’acqua bolle unite un’abbondante presa di sale alle erbette, quindi immergetevi le verdure ed il mazzetto di erbe aromatiche lavato. Lasciate riprendere il bollore, quindi abbassate il fuoco al minimo, unite l’olio ed i grani di pepe e lasciate sobbollire lentamente per circa 60 minuti tenendo la pentola coperta. Trascorso il tempo di cottura spegnete il fuoco, Scolate il brodo per recuperare le verdure (che si possono mangiare,come contorno di carni o pesci, condite a freddo con olio d’oliva e.v. p. s. a f. ). Il brodo sarebbe bello e pronto,ma se lo si volesse usare per preparare altre minestre sarà conveniente filtrarlo piú volte per modo che sia trasparente e lucido; una volta scolate le verdure e filtrato il brodo lasciatelo raffreddare. Se non dovete usarlo súbito, riponetelo in frigorifero in un vaso chiuso ermeticamente ed usate le verdure(patate,cipolle, carote e sedano) come, ò détto, quale contorno di carni o pesci,formaggi freschi o stagionati, condite a freddo con olio d’oliva e.v. p. s. a f. poco sale ed aceto bianco. Questo brodo può venire utile sia nella successiva preparazione di risotti o altre minestre, sciorbe etc. sia per lessare in maniera piú gustosa la pasta da condire poi secondo ricetta oppure nella preparazione di semplicissime minestrine di pastine in brodo da servirsi a cena nei rigidi mesi invernali, minestrine da accompagnare con un buon bicchiere di corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente. raffaele bracale

‘A FRITTATA D’ ‘A PARULANA

‘A FRITTATA D’ ‘A PARULANA Nota parulana s.vo f.le ortolana, venditrice di erbaggi ed ortaggi; etimologicamente è voce denominale di parula= campo d’ortaggi (dall’acc.vo lat. palude(m) con metatesi e metaplasmo d→r per cui palude(m)→padule(m)→ parula(m) donde con l’aggiunta del suff. di attinenza ana f.le di aneus→ano si giunge a parulana Do qui di sèguito le dosi e gli ingredienti per quattro persone, ma va da sé che possono variarsi a seconda del numero dei commensali. Dosi ed ingredienti per sei persone ½ kg. di patate vecchie a pasta gialla, 3 grosse cipolle dorate affettate grossolanamente, 2 zucchine verdi piccole e sode, lavate, spuntate e tagliate in tocchetti da 2 cm., 3 grossi peperoni quadrilobati gialli e rossi, lavati, asciugati ed arrostiti in forno (220°) o fiamma viva, spellati scapitozzati del picciolo, liberati dei semi e delle costine bianche interni, e ridotti in falde di circa 6 cm., 1 grossa costa di sedano, lavata,asciugata liberata dei filamenti e tagliata in tocchetti da 3 cm.,e lessati brevemente in acqua bollente salata, 1 ciuffo di basilico spezzettato, 1 cucchiaio di strutto, 1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva e.v.p. s. a f., 1 peperoncino forte spezzettato a mano sale doppio un pugno, sale fino alle erbe e pepe bianco q.s. 1 dado vegetale da brodo, .4 zucchine piccole verdi e sode,4 cipolle dorate, 6 uova, 5 etti di caciocavallo piccante mondati e ridotti in cubetti da 1 cm. di spigolo, 1 ciuffo d’aneto tritato, 4 cucchiai di farina addizionati a 4 cucchiai di pecorino grattugiato, noce moscata q.s. procedimento Si comincia col mondare e tagliare tutti gli ortaggi: le patate vanno sbucciate e tagliate a cubetti da 1 cm. di spigolo; le cipolle vanno mondate e tritate grossolanamente; le zucchine lavate, spuntate e tagliate a rondelle di ½ cm. di spessore; i peperoni vanno lavati, asciugati,arrostiti come détto, spellati, scapitozzati del picciolo, aperti longitudinalmente, privati di semi e costoline bianche interne e poi ridotti in falde grosse come un pollice; infine tutti gli ortaggi escluso i peperoni, vanno separatamente messi in uno scolapasta e sciacquati sotto un getto d’acqua fredda. Porre su fiamma sostenuta una padella di ferro nero, provvista di coperchio, versarvi mezzo bicchiere d’olio e in circa 10 minuti farvi rosolare le cipolle tritate con il trito di aneto; a fine rosolatura salare con parsimonia e trasferire le cipolle in una terrina di coccio calda; rabboccare un po’ d’olio, aggiungere l’aglio schiacciato, farlo colorire, toglierlo e far stufare, bagnandole con molto meno di mezza tazza (da tè) d’acqua bollente, le zucchine in circa 10 minuti ; stufate che siano, salare con gran parsimonia e trasferire le zucchine nella medesima terrina di coccio calda assieme alle cipolle; trasferire le falde di peperone arrostiti nella medesima terrina di coccio calda assieme alle cipolle ed alle zucchine; a questo punto versare nell’olio caldissimo i cubetti di patate e farli friggere a fiamma vivacissima; alla fine salare con estrema parsimonia, pepare ad libitum e trasferire le patate nella medesima terrina di coccio calda assieme alle cipolle e alle zucchine ed alle falde di peperone;aprire in una capace ciotola le uova, addizzionarle della farina con il pecorino e con una grattugiata di noce moscata,di un’idea di sale e di due pizzichi di pepe e sbattere a fondo con una piccola frusta; rabboccare per l’ultima volta l’olio, portarlo a temperatura e versarvi le uova avendo l’accortenza di tenere il fondo della padella ben parallelo ai fuochi per modo che le uova si allarghino uniformemente occupando tutto il fondo della padella; far dorare per circa 5 minuti, indi versare sulla frittata tutto il contenuto della terrina con gli ortaggi,aggiungere i tocchetti di sedano brevemente lessati ed i cubetti di caciocavallo, ripiegare un lembo della frittata (in cottura) sugli ortaggi, incoperchiare la padella, abbassare i fuochi e portare a termine la cottura della frittata che dovrà risultare dorata uniformemente, ma soffice e spugnosa. Spegnere i fuochi, far raffreddare la frittata e farla scivolare in un ampio piatto di portata dove va affettata in ispicchi triangolari da servire o come antipasto in accompagnamento di affettati misti e formaggi piccanti, o come gustosissimo secondo piatto. Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo. Mangia Napoli, bbona salute!E scialàteve! raffaele bracale

NAPOLI- JUVENTUS (30.03.14) 2 A 0

NAPOLI- JUVENTUS (30.03.14) 2 A 0 ‘A VEDETTE ACCUSSÍ Mo pozzo pure murí cuntento, guagliú e ccu ‘o zzuccaro ‘mpont’ô musso... Tutto arriva a cchi sape aspettà e i’ ‘a jurnata d’ajere ‘a stevo aspettanno ‘a nuvembre passato, ‘a stevo aspettanno p’avé ‘a suddisfazziona ‘e vedé ascí dô san Paolo ‘a scuatra ‘e marotta e parrucchino conte scunfitta e mmazziata a dduvere. E ajeressera ll’avette ‘sta suddisfazziona quanno ‘e cuane cunzignajeno ddoje sfugliatelle a ggianluigi bbuffonno ca s’’e ppurtaje â casa senza manco ‘ncartarle... Mo pozzo pure murí cuntento cu ddint’a ll’uocchie ‘a faccia ‘e cestunia d’’o purtiere lloro primma rammaricato d’essere stato futtuto ‘a Cagliecònno e ppo ncazzato cu ‘e suĵe p’’a rredda ‘ncassata ‘a Mertenso, mentre parrucchino-conte se grattava ‘e perucchie d’’a zella soja e nun se faceva capace! So’ ccose ca nun se scordano... comme nun se scorda ca ajeressera ‘a scuatra ‘e don Rafele facette n’atalossa (prestazione) quase cratista (perfetta), pe ccuje si mo v’avesse ‘a dicere chi fove ‘o meglio proprio nun sapesse scegliere... Tutte, tutte detteno ‘na bbona mana pe stennere ‘a vecchia zoccola janca e nnera... accumincianno ‘a don Rafele ca dètte ‘na lezziona a cconte e ‘o ‘mparaje a ffà ll’ommo e si ‘o parrucchino s’’a cavaje sultanto cu ddoje sfugliatelle, êtt’’a ringrazzià a ssantu bbuffònno (ca facette allimmeno tre miracule) e a ll’arbitro Orsato (ca annullaje ‘na rredda a mMarekiaro pe nn’urzo’ecóse (fuorigioco) ca vedette isso e quacche pennarulo juventino, addó ca i’ vedette a cChiellini ca, nchiummato ‘ncopp’â linia ‘e porta..., ‘o teneva ‘nghiuoco) e ca nun vulette vedé ‘nu sbuttulone ê spalle dato ô Pipita, dint’â camma ‘e ricore juventina, sempe ‘a chillu zimmaro ‘e Chiellini. Ma nun fa niente! Chi à avuto, à avuto e cchi à dato, à dato!’A cosa bbella e ‘mpurtante fove ca vincettemo â faccia ‘e chi nun ce stima e cce vo’ male! Ànn’’a schiattà quante cchiú ne songo! Passanno ê ppaggelle i’ ll’avesse miso nove a ttutte quante, ma pe nun esaggerà, vaco cchiú ccuoncio e ddico: REINA 6,5 Serata tranquilla ‘e Pepe ca nun êtt’’a fà ‘e straurdinarie; ‘ncopp’a quacche cunchiusione juventina senza pretese fove sempe sicuro e priciso e se dimustraje campione ascenno ‘e pere fora d’’a camma soja. HENRIQUE 7 Soprattutto ô primmo ajone quanno ‘a juve se mantenette chiusa e ‘o Napule jucaje dê pparte soje, ‘o brasiliano fove prutacunista ‘e ‘na granna atalossa(prestazione) e ppo nsi’ ô prazzo ( fino alla fine) nun perdette maje ‘a carma e ttruvaje sempe ‘a chesema (il varco) p’’a jucata adatta. FERNANDEZ 7 Mettette ‘a musarola a cchi capitaje dê pparte soje senza nisciuno sfregazzo (sbavatura) e ascette sempe bbuono palla ô pere pe sustàtere (impostare) quanno gGiorgigno nun putette ricevere palla! ALBIOL 7 Cummannaje a mmestiere ‘a linia d’’a tràsera (difesa), accurcianno ‘a scuatra ô finale ‘e fullé.Ce mettette ‘o mestiere e ‘o fisico pe bbluccà a n’accunto tuosto comme a Llorente e ffove priciso dint’a ttutte ‘e cchiusure. GHOULAM 6,5 Prubbabbilmente pecché accussí vulette don Rafele, isso nun appressuraje (spinse) comme ô ssolito,accuntentannose ‘e difennere cu attenziona ‘a curzia soja; iuperocia (fantastica) ‘na chiusura ô finale ‘ncopp’a Vuciniccio. Sfresaje (sfiorò) ‘a rredda cu ‘na bbella puniziona. INLER 6,5 Tutto summata bbona atalossa d’’o turco-napulitano, soprattutto ‘nfase ‘e prutezziona d’’a tràsera (difesa); peccato pe quacche prano (svarione) ‘nfase ‘e plantamiento (impostazione). Bluccaje a pPogbà e vincette tutte ‘e bbriche (duelli). JORGINHO 6,5 Sciso ‘ncampo p’’o terzo fullé cunzecutivo, rispunnette cu n’atalossa (prestazione ) cunvincente e de qualità, dànno raggione a ddon Rafele! INSIGNE 7 Finalmente ‘nu bbellu fullé ‘e Lorenzigno: lle mancaje sulo ‘a rredda pecché p’’o riesto nun fove maje a ccurto ‘e forze appressuranno e difennenno ‘ncopp’â curzia ‘e mancina senza maje scennersene ‘e pressione; quanno partette palla ô pere ll’avverzarie jetteno dint’ê cchiavette senza riuscirlo a ttené. ‘Na pennellata d’artista ‘o bbassurero suĵo a uocchie chiuse pe mmettere ‘a palla lla addó sapeva ca arrivava Caglecònno! HAMSIK 6,5 Pigliaje finalmente pe mmano ‘o Napule cu bbuonu passo, senza fermarse maje ‘nfase difenziva, e ‘nfase uffenziva alternaje cagne ‘e juoco (ca disturbajeno ‘a juve) a urtizzamiente (verticalizzazioni) ‘mpurtante. (dô 79° MERTENS 7,5 N’arillo! Cercajeno d’’o fermà cu ‘e ttriste, ma isso se jucaje meza difesa d’’a juve e mettette ‘o pallone ê spalle ‘e buffònno ‘ncopp’ô palo luntano nchiudenno ‘a prattica!) CALLEJÒN 7,5 Signaje ‘na rredda pesante, chella ca sbluccaje ‘o fullé, sbucanno ê spalle d’ Asamoàh, dimustrannose jucatore frubbo e ‘nteliggente e p’’o riesto dètte isurrupío (equilibrio) â scuatra currenno pe nuvanta minute. (da ll’88° DZEMAILI sv) HIGUAIN 6,5 Nun avette pallune ‘a sfruttà sotto porta, ma s’avasciaje assaje pe ffavurí ‘o sviluppo d’’a manovra lanzanno ll’esterne; spennette assaje e ascette stracquato e spisso fove mazzuliato ‘a chillu cammurristo ‘e Chiellini ca ‘o stennette pure dint’â camma ‘e ricore juventina senza ca chillu bbello mobbile d’Orsato facesse ‘na chieja.(dô 74° PANDEV 7 Trasette e se facette súbbeto valé: apprimma lanzaje a mMarekiaro ca se magnaje ‘o doje a zzero e ppo, cu ‘nu colpo ‘nsotto, facette ‘o capolavoro cunzignanno a Mertenso ‘a palla d’’a rredda ca nchiudette ‘a prattica e ‘ntussecaje a ttutte ‘e janche e nnire ‘ncampo e ffora). BENITEZ 9 ‘O Napule se mettette sott’ê tacche ‘a juve cu n’atalossa ‘a ‘ncurnicià, probbabbilmente ‘a cchiú bbella e cunvincente d’’a tempurata (stagione). Cu ttutto ca ‘e cuane sbaglieno cchiú ‘e ‘na vota sotto porta e ca buffònno facette quacche miraculo,’e cuane riuscetteno a vvencere ‘a mamma ‘e tutt’’e fullé sfruttanno ‘a tecnica ‘e Pandèvvo ca sfurnaje ajude a rripetizziona, mentre, pe pparta soja, ‘ncopp’â curzia ‘e dritta Henrique assicuraje â tràsera (difesa)fermezza (solidità) e cqualità; Giorgigno, po è oramaje ‘na pedina funnamentale pe ‘sta scuatra; certo ce sta ‘a magnarse ‘e mmane p’’e troppi punte perdute cu ‘e piccerelle o rijalate cca e lla, ma ‘a lezziona ‘e don Rafele è sservuta e sta servenno e ‘o Napule sta maturanno strata facenno mettenno ‘na pezza pure ê tanti ‘mpicce (infortuni), e l’atalossa d’ajere fove ‘a dimustrazziona ‘e chello ch’aggiu ditto e servette a ddà cunfianza (fiducia) p’’o futuro; manca poco p’arrivà a ll’arriba (al top), e ppure ll’avverzarie ànnu capito ca ‘a differenza ‘nfra ‘e ddoje scuatre nun è cchella d’’a crassifica. ll’arbitro ORSATO 5 E ll’aggiu trattato! Chesta meza cazetta teneva cchiú ‘e ‘nu debbeto cu ‘o Napule e ajeressera, mmece ‘e se ne levà quaccuno, aumentaje ‘a ddosa facennose ‘nzurfà pe tutt’ ‘o fullé ‘a chillu nnacchennello ‘e Pirlo ca nun ‘o mullaje ‘nu mumento e lle cammenaje a ffianco pe tutt’ ‘o campo dicennole chello ca êv’ ‘a fà. E isso ‘o stette a ssèntere siscanno sí e nno tre punizzione p’ ‘o Napule e allimmeno sette vote tante a ffavore d’ ‘a juve cu tutto ca ‘e piamuntise, ‘mprimmese Pogbà, Vidàllo e cChiellini, foveno tanti chianchiere ca mazzulajeno sistematicamente ‘e nuoste senza ca ll’arbitro vedesse niente e infatti nun vedette pe tutt’ ‘o fullé ca Chiellini ‘o steva facenno martire ô Pipita ca se fósse mmeretato ‘o ricure a ffavore p’essere stato stiso ‘nterra dint’â camma juventina cu ‘nu sbuttulone ê spalle e p’ ‘e tante fute subbíte e mmece Orsato nun ce ddétte niente! Pe nun dicere po d’’a rredda annullata a mMarekiaro pe nn’urzo’ecóse (fuorigioco) ca vedette sul’isso e quacche pennarulo o telecrunista juventino, addó ca se vedette chiaramente ca Chiellini nchiummato ‘ncopp’â linia ‘e porta..., ‘o teneva ‘nghiuoco a mMarekiaro! E menu male ca nun stette a ssentere a cchi ‘o vuleva cunvincere a annullà pure ‘a rredda ‘e Cagiècònno pe nn’urzo’ecóse (fuorigioco) ‘e quacche centimetro ca ‘mmece nun ce steva comme dimustrajeno ‘e fotocrafie dicenno ca quanno Insigne ‘o lanzaje Cagliecònno steva arreto a Asamoàh e ppo ‘o futtette ‘nvelocità. P’o riesto che ne parlammo a ffà? Carta canusciuta [‘stu vicentino parente lasco d’’e verunese ‘e chella zoccola ‘e Giulietta...] cuncedette ê cammurriste, delinquente juventine ‘e vattere sistematicamente ê cuane senza mettere lengua e pprima ‘e tirà fora ‘nu cartellino jalizzo ce penzaje mez’ora e ppo... nun ‘o tiraje! E nchiudimmola cca ringrazzianno ô Cielo d’esserce levate ‘e pacchere ‘a faccia e , vvisto ca stammo ancóra ‘e casa ê piane avete e ca ‘a cuncurrenza nun s’ è fatta ancòra cchiú sotto, cuntinuammo pe cchesta strata e sperammo ca ‘nfuturo pe nnuje jesse ancòra meglio e nun ce êssem’’a magnà cchiú ‘e mmane p’’e punte perze cu ‘e ppiccerelle o rijalate cca e lla! Bbona salute e - si dDi’ vo’ - ce sentimmo n’ata vota! Staveti be’! R.Bracale Brak

domenica 30 marzo 2014

CCA riveduto

CCA ( e non ca)avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (e)cc(um) (h)a(c); da notare che nell’idioma napoletano (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; nel napoletano esistono , per vero,anche una congiunzione ca = (giacché, poiché, perché) ed un pronome ca = (che); la congiunzione ca è derivato del francese car→ca(r)→ca di uguale significato mentre il pronome ca = (che) è dal lat. quia→q(ui)a→qa→ca; ora sia la congiunzione che il pronome si rendono con la c iniziale scempia (ca), laddove l’avverbio a margine(cca) è scritto sempre con la c iniziale geminata e basta ciò ad evitar confusione tra i tre monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’(con un inutile segno d’apocope…, inutile giacché non è caduta alcuna sillaba!) e talora addirittura ccà’ addizionando errore ad errore, aggiungendo (nel caso di ccà’) cioè al già inutile accento un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che, ripeto, non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico! In coda a quanto fin qui détto, mi occorre però aggiungere un’ultima osservazione: è vero che gli antichi vocabolaristi (P.P. Volpi, R. Andreoli) registrarono l’avverbio a margine come cà per distinguerlo dagliomofoni ca (che) pronome e congiunzione. Si trattava d’una grafia erronea, giustificata forse dal fatto che temporibus illis lo studio della linguistica era ancóra gli albori e quei vocabolaristi, meritorî peraltro per il corposo tentativo operato nel registrare puntigliosamente i lemmi della parlata napoletana, non erano né informati, né precisi. Ancóra tra gli antichi vocabolaristi devo segnalare il caso del peraltro preziosissimo Raffaele D’Ambra che, diligentemente riprendendo l’autentica parlata popolare registrò sí l’avverbio a margine con la c iniziale geminata (cca) ma lo forní d’un inutile accento (ccà) forse lasciandosi fuorviare dal cà registrato dai suoi omologhi. Dal tempo però dei varî P.P. Volpi, R. Andreoli e Raffaele D’Ambra la linguistica e lo studio delle etimologie à fatto enormi passi per cui se mi sento di perdonare a Raffaele D’Ambra,P.P. Volpi, R. Andreoli e ad altri talune imprecisioni o strafalcioni, non mi sento di perdonarli a taluni spocchiosi sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura cattedratico d’ateneo , colpevolmente a digiuno di regole linguistiche, (quando non sai una cosa, insegnala!) che si abbandonano a fantasiose, erronee soluzioni grafiche! Raffaele Bracale

VARIE 2977

1. ‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata o ballonzolante. Pi ú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando. Pacifica la etimologia della voce strummolo che indica lo strumento di un gioco addirittura greco se non antecedente e greca è l’etimologia della parola che viene dritta dritta dal greco strómbos trasmigrato nel latino strumbus con consueta assimilazione progressiva strummus addizionato poi del suffisso diminutivo olus→olo (per cui strummus+olus→strummolus→strummolo) con il suo esatto significato di trottola. la voce tiriteppeto, talvolta usata, ma erroneamente, anche come tiriteppola è voce onomatopeica riproducente appunto il rumore prodotto dalla trottolina nel suo incerto movimento inclinato e ballonzolante. Rammento che la voce strummolo s.vo m.le à due plurali: l’uno maschile: ‘e strummole = le trottoline e l’altro f.le: ‘e strommole dove il termine, con evidente traslato, le cui ragioni illustrerò a seguire, indica le fandonie, le sesquipedali sciocchezze,le panzane,le frottole gratuite; semanticamente la faccenda si spiega con il fatto che di per sé lo strummolo = trottolina è un semplice giocattolino con cui trastullarsi; alla stessa maniera le frottole, panzane, fandonie altro non sono che una sorta di innocente mezzo dilettovole con cui prendersi giuoco di qualcuno; ugualmente semplice da spiegarsi la differenza di morfologia tra il maschile strummole ed il f.le strommole, rammentando il fatto che nel napoletano un oggetto (o cosa che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; va da sé che essendo la fandonia certamente piú grossa della trottolina necessitasse d’un genere femminile (per cui ‘e strommole = le sciocchezze, fandonie, frottole etc. da non confondersi con il maschile ‘e strummole= le trottoline). 2. AIZARSE ‘NU CUMMÒ ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente ed, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da ponderose lastre di marmo. cummò s.vo m.le = canterano,cassettone dal fr. commo(de) 3. Ê CANE DICENNO letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani ciò che stiamo dicendo! 4. A MMORTE ‘E SUBBETO. Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto di ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina. 5. AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE. Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare. brak

VARIE 2976

1.QUANNO SIENTE 'O LLATINO DÊ FESSE, È SSIGNO 'E MAL' ANNATA. Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti... 2.PARE 'O SORICE 'NFUSO 'A LL'UOGLIO. Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleipàr=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante. 3.'A CARNE SE JETTA E 'E CANE S'ARRAGGIANO. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 4.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di coloro che si atteggino a giovani, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo, l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. 5.JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi) ed in basso (i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. 6.PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine nulla di ciò che intraprende. 7.'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. 8.JÍ CASCIA E TURNÀ BBAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BBACCALÀ. Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi (per parlar figuratamente) inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzoche diventa stoccafisso se eviscerato, essiccato ed affumicato o baccalà se eviscerato e conservato in barile sotto sale Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. 9.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 10.'E DENARE SO' COMM'A 'E CHIATTILLE: S'ATTACCANO Ê CUGLIUNE. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. Brak

VARIE 2975

1 PARE PASCALE PASSAGUAJE. Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il Pasquale richiamato nella locuzione fu un tal Pasquale Barilotto lamentoso personaggio di farse pulcinelleche del teatro di A. Petito. 2 PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA. Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt. 2bis PARÉ 'O VOCCAPIERTO ‘E SAN GIUVANNE Letteralmente: sembrare il bocca-spalancata di San Giovanni. Id est: avere l'aria attonita stupita, allibita, meravigliata,tal quale i mascheroni apotropaici (con occhi spiritati e bocca spalancata) che ornavano una villa fatta edeficare nel 1535 da Bernardino Martirano, segretario del regno ( Cosenza 1490,† Portici (NA) 1548) in contrada Leucopreta adiacente il quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio; l’espressione viene altresí, sebbene impropriamente, riferita a tutti coloro che siano pettegoli e linguacciuti al segno di tener sempre la bocca aperta per riferire fatti ed avvenimenti che, per altro, non li riguardano e non sarebbero perciò tenuti a propalare. Qualcuno erroneamente (come si evince da ciò che ò già detto) pensa che la locuzione si riferisca agli abitanti di san Giovanni a Teduccio, zona periferica di Napoli, abitanti ritenuti ( però gratuitamente ), linguacciuti e pettegoli 3 MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô MUOLO. Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. 4 FUTTATENNE! Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre, non porvi attenzione. E' il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i dettami di Roma. 5 FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA. Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. 6 FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO. Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno non v'è che un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, per mera liberalità (non essendovene reale necessità) un trentunesimo non previsto in origine. 6 ESSERE CARTA CANUSCIUTA. Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve. 7 ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE. Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato. 8 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LE DETTE 'NA NOCE. Letteralmente : il regalo che fece Berta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res. 9 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche 10.TRE CCALLE E MMESCÀMMECE. Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, senza verun sacrificio di mezzi o di azioni, si intromette nelle faccende altrui,volendo sempre, da saccente e supponente, dire la sua. Il tre calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di callo. La locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui. 11.CHI SE FA MASTO, CADE DINT'Ô MASTRILLO. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. Il mastrillo, dal lat. mustricula, è la piccola trappola per topi. 12.TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MARIA! Letteralmente: Tutto a Gesú e niente a Maria! Ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú ed a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni, distribuzione di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. Le parole in epigrafe ripetono quelle pronunciate da un anziano pievano che redarguí il proprio sacrestano che, delegato ad addobbare gli altari laterali della pieve, aveva riservato gli addobbi al solo altare del Cuore di Gesú, lesinando sugli addobbi all’altare della Vergine. 13.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! Perché meravigliarsi se gli amministratori della cosa pubblica son usi a rimpiunguire i propri conti correnti? È un fatto ineluttabile a cui bisogna abituarsi! 14.PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce,pagliaccio inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860,ad esibirsi in un circo equestre; fu uomo molto piccolo e ridicolo e per questo fu preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo come maniglia del coperchio delle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. 15.FÀ COMME A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATO CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti sacrileghi a danno della antica chiesa partenopea. 16.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO. Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta cosí massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto. Rammento che con il vocabolo tina (dal t. lat tina(m)←tinu(m)) si è creato il femminile di tino per indicare un oggetto piú grande del corrispondente maschile In napoletano infatti un oggetto che sia o sia inteso di volume o ampiezza piú grande e/o grosso di un corrispettivo oggetto maschile, viene inteso femminile (cfr. cucchiaro piú piccolo e cucchiara piú grande, carretto piú piccolo e carretta piú grande, tammurro piú piccolo e tammorra piú grande,tino piú piccolo e tina piú grande etc.; uniche eccezioni caccavella piú piccola, ma femminile e caccavo piú grande, ma maschile e tiana piú piccola, ma femminile e tiano piú grande, ma maschile). 17.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA. Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. È il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla. 18.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO. Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à né l'autorità, né la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla. 19.TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A DO' 'E CCACCE? Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali affari. È da ricordare anche che il termine gliuommero (dal lat. glomeru(m)(gomitolo))indicava, temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati d'argento. 20.MENARSE DINT' Ê VRACHE... Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (b. lat. *braca(m)(imbracature)) proprio perché imbracano la bestia. Brak

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1.FA’ COMME T’ È FFATTO, CA NUN È PPECCATO. Ad litteram: Rendi ciò che ti è fatto, ché non è peccato Id est: render pan per focaccia non è peccato, per cui si è autorizzati anche a vendicarsi dei torti subìti, usando i medesimi sistemi; locuzione che, stranamente per la morale popolare napoletana, adusa ad attenersi, quasi sempre, ai dettami evangelici si pone agli antipodi dell’evangelico: porgi l’altra guancia, ma in linea con l’antico principio romano: vim, vi repellere licet (è giusto respingere la forza con la forza). ________________________________________ 2.‘E SCIABBULE STANNO APPESE E ‘E FODERE CUMBATTONO. Ad litteram: le sciabole stanno inoperosamente al chiodo ed i foderi combattono Id est: chi dovrebbe combattere o - fuor di metafora - operare fattivamente, nicchia e si defila, lasciando che altri prendano il suo posto; locuzione usata nei confronti di tutti coloro che per inettitudine o negligenza non compiono il proprio dovere, delegandolo pretestuosamente ad altri. ________________________________________ 3.FOSSE ANGIULO ‘A VOCCA TOJA! Ad litteram: sia (di) angelo la tua bocca Locuzione che viene usata con un sostrato scaramantico ottativo, quando - fatti segno di un augurio - ci si augura altresí che quanto profferito si realizzi certamente e a breve tenendo la bocca di colui che ci à fatto l’augurio come bocca di veritiero messaggero ( ciò etimologicamente significa il termine angiolo) per cui - ritenuto proveniente da bocca di autentico messaggero - ciò che ci viene augurato si è certi che si realizzerà concretamente o - almeno - lo si spera . ________________________________________ 4.FRIJERE ‘O PESCE CU LL’ACQUA. Ad litteram: friggere il pesce con l’acqua; locuzione usata per significare situazioni di così marcata indigenza da non potersi permettere l’uso dell’olio per friggere il pesce e doversi accontentare dell’acqua per compiere l’operazione con risultati evidentemente miseri, non essendo chiaramente l’acqua l’elemento adatto alla frittura; per traslato la locuzione è usata per significare qualsiasi situazione in cui predomini l’indigenza se non l’inopia più marcata. ________________________________________ 5.FÀ ‘NA BBOTTA, DDOJE FUCETOLE*. Ad litteram: centrare con un sol colpo due beccafichi. Id est: conseguire un grosso risultato con il minimo impegno; locuzione un po’ più cruenta, ma decisamente più plausibile della corrispondente italiana: prender due piccioni con una fava: una sola cartuccia, specie se caricata di un congruo numero di pallini di piombo, può realmente e contemporaneamente colpire ed abbattere due beccafichi; non si comprende invece come si possano catturare due piccioni con l’utilizzo di una sola fava, atteso che quando questa abbia fatto da esca per un piccione risulterà poi inutilizzabile per un altro... *fucetola= beccafico dal lat.ficedula(m) ________________________________________ 6.ESSERE ‘NU BBABBÀ A RRUMMA. Ad litteram: essere un babà irrorato di rum Locuzione dalla doppia valenza, positiva o negativa. In senso positivo la frase in epigrafe è usata per fare un sentito complimento all’avvenenza di una bella donna assimilata alla soffice appetitosa preparazione dolciaria partenopea; in senso negativo la locuzione è usata per dileggio nei confronti di ragazzi o adulti ritenuti piuttosto creduloni e bietoloni, eccessivamente cedevoli sul piano caratteriale al pari del dolce menzionato che è morbido ed elastico. ________________________________________ 7.ESSERE ‘E TENTA CARMUSINA. Ad litteram: essere di tinta cremisi (rossiccia) id est: essere inaffidabile come il colore cremisi che anticamente, prodotto con metodi artigianali ed empirici, era di scarsa consistenza e poco sopportava le ingiurie del tempo; con altra valenza la locuzione sta ad indicare sia le persone di malaffare di cui diffidare e da cui tenersi alla larga, sia le persone ad esse equiparate e si ricollega al fatto che al tempo dei romani le prostitute erano aduse a vestirsi di rosso, a truccarsi con il carminio e ad indossare vistose parrucche fulve. ________________________________________ 8.ESSERE ‘NU VOCCAPIERTO ‘E SAN GIUANNE. Ad litteram: essere un bocca aperta di san Giovanni. Espressione riferita a tutti coloro che sono pettegoli e linguacciuti al segno di tener sempre la bocca aperta per riferire fatti ed avvenimenti che, per altro, non li riguardano e non sarebbero perciò tenuti a propalare. Qualcuno erroneamente pensa che la locuzione si riferisca agli abitanti di san Giovanni a Teduccio, zona periferica di Napoli, abitanti ritenuti ( però gratuitamente ), linguacciuti e pettegoli; la località invece è da considerarsi solo perché in contrada Leucapetra adiacente la detta zona esistette un tempo una sontuosa villa fatta edeficare nel 1535 da Bernardino Martirano, segretario del regno ( Cosenza 1490,† Portici (NA) 1548) villa sulle cui pareti esterne erano collocati grandissimi mascheroni apotropaici rappresentanti dei volti con occhi spiritati ed a bocca spalancata. ________________________________________ 9.ESSERE MASTO A UNU FUOGLIO. Ad litteram: esser maestro ad un solo foglio. Locuzione che si usa a mo’ di dileggio nei confronti di coloro che son ritenuti o si autoritengono maestri, ma siano di limitatissime conoscenze e di competenze molto ristrette, ai quali è inutile chiedere che vadano al di là di ciò che essi stessi propongano o facciano, come si diceva di un tal violinista, bravissimo esecutore, quasi virtuoso, ma di un unico pezzo, violinista che si scherniva davanti alla richiesta di eseguire altri brani musicali. ________________________________________ 10.ESSERE CCHIÙ FFESSO ‘E LL’ACQUA CAURA. Ad litteram: essere più sciocco dell’acqua calda. Così si dice di chi sia, per innata insipienza o acclarata stupidità, talmente sciocco e vuoto ed insignificante al punto di non aver alcun gusto e/o sapore al pari di una pentola d’caqua riscaldata cui difettino ogni aggiunta di aromi e/o condimenti e pertanto sia incolore ed insapore. Brak

VARIE 2973

1 CCA SSOTTO NUN CE CHIOVE Ad litteram: Qui sotto non ci piove L’espressione che viene pronunciata puntando il dito indice della mano destra ben teso contro il palmo rovesciato della mano sinistra, viene usata, a mo’ di risentito avvertimento , nei confronti di chi - dopo di aver promesso un aiuto o una liberalità - sia venuto meno clamorosamente a quanto promesso; e ciò nell’intento di fargli capire che non si è piú disposti a sopportare una simile mancanza di parola data e, per converso, si è pronti secondo un noto principio partenopeo che statuisce: fa’ comme t’è ffatto ca nun è peccato (comportati con gli altri come gli altri si sono comportati con te, ché non peccherai…) a restituire pan per focaccia; 2.CE MANCANO DICIANNOVE SORDE P’APPARÀ ‘A LIRA. Ad litteram:ci mancano (ben) diciannove soldi per raggranellare una lira. Poiché la lira de quo contava venti soldi il fatto che, come affermato in epigrafe, mancassero diciannove soldi, significava genericamente che ci si trovava in gran carenza di mezzi, in conclamata inopia e la locuzione, riferita ad una azione principiata con tal carenza voleva significare che, con ogni probabilità, non si sarebbe riusciti a portare a compimento il principiato e che, forse, sarebbe stato piú opportuno il desistere. 3. CE MANCANO ‘E QUATTE LASTE E ‘O LAMPARULO. Ad litteram: mancano i quattro vetri e il reggimoccolo Locuzione di portata simile alla precedente; in questa, in luogo della lira, il riferimento è fatto ad una ipotetica lanterna costruita in maniera raffazzonata di talché non sia adatta allo scopo per cui è stata costruita e non potrà produrre vantaggi a chi se ne dovesse servire, posto che essa lanterna manca dei quattro vetri che ne costituiscono le pareti e manca addirittura del reggimoccolo centrale: un simile oggetto non potrà mai servire ad illuminare. 4.CHESTA È ‘A RICETTA E CA DDIO T’’A MANNA BBONA! Ad litteram: Questa è la ricetta e che Dio ti assista favorevolmente. Locuzione che viene usata ogni volta che si voglia avvertire qualcuno che, nei suoi confronti, si è fatto quanto era nelle nostre possibilità o capacità. A colui a cui viene rivolta la locuzione non resta che prender per buono quanto gli sia stato prescritto o suggerito e mettersi poi nelle mani di Dio, augurandosi che l’Onnipotente voglia tutelarlo ed adeguatamente soccorrerlo. 5.CHI À AVUTO, À AVUTO E CHI À DATO, À DATO Locuzione che non à bisogno di traduzione, essendo di facile intellezione e che viene usata tutte le volte che, intendendo por fine a piccole querelle o questioncelle, ci si accontenta di fare piccole reciproche concessioni, pur di pacificarsi e di non procrastinare oltre il diverbio, accontendandosi saggiamente dell’avuto e del dato, senza stare a rifare lunghi e pretestuosi calcoli. 6.CARO TE/ME COSTA! Ad litteram:ti/mi costerà caro; id est: il prezzo o lo scotto che dovrai/dovrò sborsare, per ciò che vuoi/voglio o per quel che stai/sto facendo, sarà molto rilevante; è meglio che ti/mi assuefaccia all’idea di dovere incorrere in simili gravose spese. La locuzione, per traslato, nella morfologia Caro te costa! è usata a mo’ di avvertimento o minaccia per chiunque si imbarchi in un’impresa a cuor leggero Da notare che la locuzione in epigrafe che usa l’indicativo presente, è stata da me tradotta con il futuro, perché nella parlata napoletana che pure possiede (nella sua grammatica) il tempo futuro, esso non viene usato e l’idea della cosa di là da venire è resa spesso con l’indicativo o con costruzioni verbali particolari del tipo: ò da cioè devo fare, in luogo di farò: es.: domani taglierò i capelli viene reso con dimane me taglio ‘e capille o piú spesso con dimane m’aggi’’a taglià ‘e capille. 7.CASALE SACCHIATO specialmente nell’espressione fà ‘nu casale sacchiato Ad litteram: casale saccheggiato specialmente nell’espressione fare un casale saccheggiato; letteralmente l’espressione si riferirebbe ad un villaggio messo a ferro e fuoco, ma con la locuzione in epigrafe si suole per iperbole indicare qualsiasi ambiente in cui contrariamente a quanto ci si attenda, regni il massimo disordine e la confusione piú grande e dalle mamme napoletane la locuzione viene usata nei confronti dei propri figli accusati normalmente di fare delle stanze loro assegnate luoghi cosí disordinati e pieni di confusione al punto di apparire come villaggi appena saccheggiati.Per esprimere il medesimo concetto alibi si usa una icastica espressione che suona: 7.bis 'STA CASA ME PARE RESÍNA: CIRCHE 'NA MALLARDA E TRUOVE 'NA MAPPINA... Ad litteram: Questa casa sembra Resína: cerchi un cappello e trovi uno straccio! Divertente espressione partenopea usata per descrivere icasticamente la insopportabile situazione di una casa dove - per ignavia di coloro che vi vivono - regni il piú grosso disordine e /o caos al segno da poter far paragonare detta casa al corso Resína della città di ERCOLANO dove si tiene quotidianamente mercato di abiti usati e dismessi nonché di altri capi di abbigliamento usato, mercato caotico e variopinto, dove per trovare il voluto, occorre cercare tra la piú varia mercanzia affastellata sui banchetti di vendita senza ordine o sistematicità. RESINA fu l'antico nome della cittadina sorta sull'area della città di Ercolano all'indomani dell'eruzione del Vesuvio del 79 d.c. che seppellí le città di Pompei, Stabia ed Ercolano. nel 1969 la città di Resína riprese il primitivo nome di Ercolano assegnando la Corso principale il nome di Resína; è su questo corso che aprono bottega i commercianti di abiti usati. Mallarda s.vo f.le è voce dal dal franc. malart ed è in primis il nome con cui in napoletano si indica una grossa anitra; per traslato poi si indica un vasto ed ingombrante cappello da donna.Da ricordare che il poeta- giornalista napoletano Ugo Ricci (détto: Triplepatte) usava, nei suoi componimenti indicare con il nome di "mallardine " le signorine della media borghesia aduse ad indossare le cosiddette mallarde. mappina s.vo f.le è voce in napoletano adattamento metaplasmatico al diminutivo del lat. Mappa[un tempo vergate su carta-pecora]= cencio, straccio: è parola che anche con la primitiva desinenza del diminutivo latino la ( mappila), con identico significato si trova in altri dialetti centro-meridionali. 8.CHESTA È ‘A ZITA E SE CHIAMMA SABBELLA Ad litteram: Questa è la ragazza e si chiama Isabella. Id est: Questi sono e cosí vanno i fatti; non puoi pretenderli di mutare o aggiustarli a tuo piacimento; ti devi accontentare ed accettare il mondo per quel che è; qualsiasi cosa tu faccia non potrai o potresti né mutarlo, né migliorarlo. La locuzione riporta la risposta risentita data da una vecchia mezzana ad un giovanotto che faceva le viste di non gradire appieno la ragazza che la mezzana gli stava proponendo in isposa. Per traslato la locuzione è usata in ogni affare da colui che si vede costretto a contrattare con un eterno scontento che voglia condurre in altro modo le trattative che invece non sono suscettbili di mutamento. 9.CHE CE AZZECCA?! Ad litteram: cosa lega(questi argomenti)? Locuzione che spesso in maniera risentita viene usata in una discussione da chi voglia far capire al proprio interlocutore che le ragioni addotte, i discorsi tenuti ed i ragionamenti fatti non ànno niente a che vedere con l’assunto da cui si è partiti e che pertanto vanno cambiati in quanto, per comune logica, non legano con quanto si è detto fino a quel momento ed il mantenerli peggiorerebbe solo la discussione azzecca voce verbale (3ª p. sg. ind. pres. dell’infinito azzeccà=colpire nel segno, indovinare, legare,attaccare,appiccicare, collegare; voce dall’alto tedesco med. ad+zechen ). 10. CHIJARSELA A LIBBRETTO Ad litteram: piegarsela a mo’ di libriccino id est:accettare, sia pure obtorto collo, che le cose vadano in un certo modo ed uniformarvisi atteso che non ci sia altro da fare per migliorare la situazione. La locuzione in origine si riferisce al modo piú opportuno di consumare una pizza allorché non ci si possa accomodare ad un tavolo e servirsi di adeguate posate; in tal caso la pizza viene consumata addentandola stando all’impiedi o addirittura passeggiando e la maniera piú acconcia di tenere fra le mani la pietanza è quella di piegare la pizza in quattro parti fino a farle assumere quasi la foggia di un piccolo libro di quattro fogli, affinché, cosí piegata trattenga e non lasci cadere i condimenti di cui è coperta , che se cadessero imbratterebbero gli abiti di colui che mangia la suddetta pizza da asporto. 11. CHESTO PASSA ‘O CUNVENTO oppure ‘O GUVERNO Letteralmente: questo elargisce il convento oppure il governo id est: questo ci viene dato e di questo occorre contentarsi; bisogna far buon viso a cattivo gioco essendo inutile ribellarsi o adontarsi, tanto la situazione non potrebbe migliorare, né migliorerà! 12. CHI VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA ad litteram: chi va per questi mari, questo pesce pesca; id est: chi si imbarca in certe avventure, non può che conseguire questo tipo di scadenti risultati e se ne deve contentare, specie se si è imbarcato volontariamente e non spinto da necessità. 13. CHI M’À CECATO!? Ad litteram: chi mi à accecato!? Id est: chi mi à indotto a regolarmi nella maniera in cui mi sono regolato, accecandomi quasi al punto di non farmi rendere conto o del pericolo a cui andavo incontro o degli errori che mi accingevo a compiere. Va da sé che la locuzione non è una vera e propria domanda, quanto una sorta di pubblica confessione del proprio errore a causa del quale ci si trova in situazioni fastidiose; ci si chiede cioé da chi/cosa dipenda ciò che capiti o ci sia capitato, ma lo si fa quasi surrettiziamente, ben sapendo, ma tacendolo di essere i soli responsabili degli accadimenti cui ci si riferisce. 14. COMME ‘AVUOTE E CCOMME ‘O GGIRE, SEMPE SISSANTANOVE È. Ad litteram: come lo volti o come lo giri sempre sessantanove è Detto di cose o avvenimenti che non prestano il fianco ad interpretazioni non univoche essendo, per loro natura o apparire di semplice e diretta intellizione di talchè è inutile arzigogolare intorno alla loro essenza o sostanza. La locuzione nasce dall’osservazione dei piccoli cilindretti di legno su cui sono incisi i novanta numeri del giuoco della tombola; orbene, detti numeri una volta estratti dal bussolotto che li contiene sono tutti facilmente riconoscibili ed individuabili o perché scritti in maniera tale da non ingenerare confusione (come ad es. il caso del numero 1 che sia che venga guardato e letto da ds. o da sn. , dal basso in alto o viceversa rimane sempre 1 e non può esser confuso con altro numero) o perché si è ricorsi allo strataggemma di segnalare con un piccolo tratto la base del numero che se letto in maniera capovolta potrebbe risultare un numero diverso ( ad es. il numero sei è vergato 6 con una congrua sottolineatura, che se mancasse, potrebbe far leggere il sei - visto in maniera capovolta - come nove). Il numero 69 invece non à bisogno di sottolineatura, perché da qualsiasi parte lo si guardi permane 69, atteso che il numero 96 nella tombola non esiste. 15. COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VENE PE MMO. Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli e con il ricavato celebrare solennemente la pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono e da questo stabilire la congruità delle offerte raccolte, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí il ladruncolo. 16. COMME PAGAZIO, ACCUSSÍ PITTAZIO Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata su di un’antica albarella detta di san Brunone. da F.sco Antonio Saverio Grue (Castelli (Teramo).1686 -†1746), famosissimo artista noto per i suoi vasi di maiolica (usati quali contenitori nelle antiche farmacie conventuali) artista che seppe dare nuovi colori alle decorazioni delle sue ceramiche con storie sacre e profane derivate da modelli dell'arte bolognese e della scuola napoletana contemporanea. 17. CAPURÀ È MUORTO ‘ALIFANTE! Ad litteram: caporale, è morto l’elefante! Id est: è morto l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere laute mance , torna con i piedi a terra!Piú genericamente, con la frase in epigrafe a Napoli si vuol significare che non è piú né tempo, né caso di gloriarsi e la locuzione viene rivolta contro chi, pur in mancanza di acclarati e cogenti motivi, continui a darsi delle arie o si attenda onori immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700, allorché il re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un elefante che fu affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia per il compito ricevuto al quale annetté grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone mance da tutti coloro che andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il pachiderma. Di lí a poco però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era possibile vederne la carcassa conservata nel museo archeologico della Università di Napoli ed il povero caporale vide venir meno con le mance anche le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva le viste di dimenticarsi che non era piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che non era piú il caso di montare in superbia era solito gridargli la frase in epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti coloro che senza motivo si mostrino boriosi e supponenti. 18.FÀ 'E BBÒTTE CU 'E PIERE L’espressione in esame da rendere con fare i bòtti, le deflagrazioni con i piedi significa Essere povero ed indigente al segno che non potendo spendere soldi per acquistare fuochi d'artificio ('e bbòtte) ci si contenta di far rumore con i piedi battendoli violentemente a terra. bbòtta s.vo f.le 1 percossa, colpo violento dato con le mani, con un bastone o altro: dà, avé ‘na bbòtta( dare, ricevere una bòtta) 2 colpo che si riceve cadendo o urtando contro qualcosa: dà, piglià ‘na bbòtta ‘nfaccia a ‘nu pizzo ‘e porta (dare, prendere una bòtta contro uno spigolo di porta) | (estens.) il segno che resta dopo una caduta o un urto:tengo ancòra ‘a bbòtta ‘ncopp’ô vraccio( ò ancóra la bòtta sul braccio |sott’â bbòtta (a botta calda), (fig.) a caldo, sotto la forte impressione di un fatto recente 3 (fig.) guaio, danno improvviso: ‘o licenziamento è stato ‘na bbella bbòtta pe isso (il licenziamento è stato una bella botta per lui) 4 (estens.come nel caso che ci occupa) rumore provocato da un corpo che cade o da un'esplosione; botto | (estens.) tiro, colpo di arma da fuoco, rumore di fuoco artificiale 5 nella scherma, colpo: tirà, parà ‘na bbòtta; bbòtta deritta (tirare, parare una botta; botta dritta), stoccata semplice e diretta, vibrata con l'affondo 6 (fig. fam.) motto pungente, espressione provocatoria e allusiva: chella bbòtta era pe tte (quella bòtta era per te); bbòtta e risposta, motto o fatto cui segue prontissima la risposta o la reazione. brak

sabato 29 marzo 2014

VARIE 2972

1'A VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO. Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perí di veleno;sarcastica locuzione usata per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e alla perversione di una donna molto piú pericolosa di essa vipera. 2 E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA... Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagasse con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose. 3 TRE CCOSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO 'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO. Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini, di loro natura esuberanti, sono, sia pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad una giovane donna che egli possedesse. 4 UOVO 'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GUAGLIONA 'E VINT'ANNE. Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza à avuto tempo di rilasciare per intera tutta l'umidità dovuta alla cottura divenendo croccante al meglio, vino giovane che è il piú dolce ed il meno alcoolico, ed una ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie ancora intatte. 5 A CCHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA. Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine "spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada del proverbio). 6 ADDÓ NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA. Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare cosí grande da lasciar passare il capo, cosí un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito, prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili. 7 ZITTO CHI SAPE 'O JUOCO! Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.La locuzione fu in origine sulla bocca dei saltimbanchi che si esibivano a nelle strade adiacenti la piazza Mercato e/o Ferrovia, nel bel mezzo di una cerchia di monelli e/o adulti perdigiorno che non potendosi permettere il pur esiguo costo di un biglietto per accedere ai teatrini zonali ed assistervi a gli spettacoli, si accontentavano di quelli fatti in istrada da girovaghi saltimbanchi che si esibivano su palcoscenici di fortuna ottenuti poggiando delle assi di legno su quattro o piú botti vuote. Spesso tali spettatori abituali, per il fatto stesso di aver visto e rivisto i giochi fatti da quei saltimbanchi/ prestigitatori di strada avevano capito o carpito il trucco che sottostava ai giochi ed allora i saltimbanchi/ prestigitatori che si esibivano con la locuzione zitto chi sape 'o juoco! invitavano ad una sorta di omertà gli astanti affinché non svelassero ciò che sapevano o avevano carpito facendo perdere l’interesse per il gioco in esecuzione, vanificando la rappresentazione e compromettendo la chétta, la raccolta di monete operata tra gli spettatori, raccolta che costituiva la magra ricompensa per lo spettacolo dato. Per traslato cosí, con la medesima espressione son soliti raccomandarsi tutti coloro che temendo che qualcuno possa svelare imprudentemente taciti accordi, quando non occultati trucchi, chiedono a tutti un generale, complice silenzio.Rammento infine a completamento dell’illustrazione della locuzione un’altra espressione che accompagnava quella in esame: ‘a fora ‘o singo! e cioè: Fuori dal segno! Che era quello che tracciato con un pezzo di gesso rappresentava il limite invalicabile che gli spettatori non dovevano oltrepassare accostandosi troppo al palcoscenico, cosa che se fosse avvenuta poteva consentire ai contravventori di osservare piú da presso le manovre dei saltimbanchi/ prestigitatori, scoprendo trucchi e manovre sottesi ai giochi, con tutte le conseguenze già détte. 8 VUÓ CAMPÀ LIBBERO E BBIATO: MEGLIO SULO CA MALE ACCUMPAGNATO. Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino: beata solitudo, oh sola beatitudo., ma precisa che se proprio si debba andare in compagnia, che questa sia buona e non foriera di danno. 9. QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO. Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di amante che soddisfi le sue voglie sessuali. 10 QUANNO QUACCHE AMICO TE VENE A TRUVÀ, QUACCHE CAZZO LE MANCARRÀ. Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare, qualcosa gli manca (e la vuole da te)Id est: non bisogna mai attendersi gesti di liberalità o affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono - in fondo - degli sfruttatori, che ti frequentano solo per carpirti qualcosa. brak

VARIE 2971

1 - PURE ‘E CUFFIATE VANNO ‘MPARAVISO Anche i gabbati vanno in Paradiso Locuzione proverbiale usata a mo’ di conforto dei corbellati per indurli ad esser pazienti e sopportare chi gratuitamente li affanna , atteso che anche per essi derisi ci sarà un gran premio: il Paradiso. Cuffiate plurale di cuffiato =deriso, corbellato; etimol.: part.pass. di cuffià che è un denominale dell’arabo còffa=corbello. 2-PURE ‘E MMURE TENONO ‘E RRECCHIE Anche i muri ànno orecchi Fa d’uopo, quindi, se non si vuole far conoscere in giro le proprie idee o considerazioni usare, anche in casa un eloquio misurato e di basso volume evitando altresí di spettegolare o di dire cose pericolosamente compromettenti per sé o altri. 3 - PURE LL’ONORE SO’ CCASTIGHE ‘E DDIO. Anche gli onori sono castighi di Dio Atteso che comportano comunque aggravio di lavoro ed aumento delle responsabilità. 4 - PURE ‘NU CAUCIO ‘NCULO FA FÀ ‘NU PASSO ANNANTE Anche un calcio in culo fa compiere un passo in avanti Id est: per progredire nella vita, come nel lavoro, occorrono forti spinte, magari violente che vanno comunque accettate considerato i vantaggi che ne possono derivare. 5 -PUR’IO TENGO ‘A MANO CU CINCHE DÉTE. Anche io ò la mano con cinque dita. Proverbio dalla duplice valenza; nella prima si adombra quasi un avvertimento minaccioso che significa: anche io sono dotato delle vostre medesime capacità operative,[comprese quelle di rubare] per cui fate attenzione a non misurarvi con me pensando di prevalere: potreste avere una brutta sorpresa! La seconda valenza sottindende una garbata protesta volendo significare: ò soltanto le vostre stesse capacità e/o possibilità; miracoli non ne posso fare: non chiedetemeli! 6 - QUANNO ‘A CAPA PERDE ‘E SENZE SE NE STRAFOTTE PURE ‘E SUA ECCELLENZA! Quando la testa perde il raziocinio se ne impipa anche di Sua Eccellenza Id est: Quando, nella vita, si è in preda all’ira o alla follia non si à rispetto per nessuno, nemmeno per l’autorità. 7 - QUANNO ‘A CARNA È CCOTTA È CCHIÚ FFACILE A SCEPPÀ LL’OSSA. Quando la carne è cotta è piú facile spolparla Id est: per ottenere il miglior risultato è necessario attendere il momento piú adatto che è il piú propizio o favorevole, armarsi di pazienza ed attenderlo. 8 - QUANNO ‘A CAURARA VOLLE MENA SÚBBETO ‘E MACCARUNE Quando la pentola bolle, cala súbito i maccheroni Id est:nella vita bisogna esser sempre solleciti e profittare del momento adatto per fare ciò che è da farsi, evitando,per non correre l’alea di un insuccesso, di rimandare o procrastinare la propria azione.Il proverbio à anche un significato furbesco ed in tale connotazione significa: quando una donna avverte i primi bollori, occorre darle súbito marito che la soddisfi e la calmi. 9 -QUANNO ‘A CUMETA ‘O VVO’, DALLE CUTTONE Quando l’aquilone lo chiede, dagli spago Al di là del suo concreto chiaro ed esatto significato, il proverbio vale:nella vita spesso è opportuno, se non necessario, assecondare le vanterie di chi si vanta ed è vanitoso, per tenerselo amico ed al fine di riceverne possibili futuri vantaggi. 10 - QUANNO Â FEMMENA ‘O CULO LL’ABBALLA, SI NUN È PPUTTANA, DIAVULO FALLA! Quando una donna ancheggia, se non è una meretrice ritienila tentatrice. Le donne che sculettano o lo fanno di mestiere o provocatoriamente per trovar partito. 11 - QUANNO ‘A FEMMENA VO’ FILÀ LL’ABBASTA PURE ‘NU SPRUOCCOLO. Quando una donna vuol filare le è sufficiente un piccolo bastoncino. Id est: Quando la donna intende raggiungere un determinato scopo usa, per farlo, ogni mezzo anche quelli apparentemente meno adeguati. Brak

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1 -VENÍ A MMENTE Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato. 2 -VENIMMO A NNUJE Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere! 3 -VÉNNERE 'A SCAFAREA PE SICCHIETIELLO Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini. Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso) Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio) 4 - VOCA FORA CA 'O MARE È MARETTA Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza. Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi. maretta s. f.le 1 il movimento del mare quando il vento lo frange in onde piccole e brevi 2 (fig.) situazione di nervosismo, di tensione, di malcontento; voce derivata dal lat. mare addizionato del suffisso f.le etta suffisso che al m.le è etto e che altera in senso diminutivo, e spesso vezzeggiativo, sostantivi o aggettivi;si tratta d’un suffisso di origine gallica. 5 -VIDE ADDO hê ‘A Jí Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire. 6- VA' FELICITA QUACCUN'ATO Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire. 7 -VOLLE 'A CAURARA! Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione. È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore. 8 - VÉNNERLO PE DINT' Â SENGA D''A PORTA Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta. 9 -VIDE 'O CIELO CHE TE MENA! Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo. 10 -VRENNA E SCIUSCELLE nell'espressione: FERNÍ A VVRENNA E SCIUSCELLE Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: FERNÍ A TARALLUCCE E VVINO (finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube. 11-ESSERE RICCO ‘E VOCCA. Ad litteram: essere ricco di bocca Id est: : essere un vuoto parolaio che parla a sproposito, a vanvera, e si autocelebra vantando doti fisiche e/o morali che in realtà non possiede, nè possiederà mai; essere un millantatore a cui fanno difetto i fatti, ma non le chiacchiere, essere insomma un miserabile la cui unica ricchezza è rappresentata dalla bocca. 12- 'A TAVERNA D''O TRENTUNO. Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco oggi 16, all’insegna : TAVERNA DEL TRENTA E TRENTUNO che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte. taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B - V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse la voce puteca. trentuno = agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a trenta unità piú uno; nella numerazione araba è rappresentato da 31, in quella romana da XXXI; l’etimo è dal lat. triginta + unum. raffaele bracale brak

VARIE 2699

1 -TURNÀ 'A STIMA A QUACCUNO Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est: riconfermare la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore o transeunti, futili motivi erano stati tolti. 2 -UNA NE FA E CCIENTO NE PENZA Ad litteram: una ne fa e cento ne progetta Locuzione che fotografa il comportamento iperattivo di chi si dedichi , ma non si sa con quanto successo, a troppe iniziative di varia portata; la locuzione è usata altresí per stigmatizzare,anche se bonariamente, la ipercinecità di un ragazzo attivamente impegnato a fare innumerevoli marachelle. 3 - UOCCHIE CHINE E MMANE VACANTE Ad litteram: occhi pieni e mani vuote; cosí si suole dire di chi, o per suo demerito o per sopravvenute contrarietà insormontabili, non riesce a raggiungere il risultato sperato e resti a bocca asciutta o mani vuote e si debba contentare di veder prossimo il risultato sperato, senza però avere la capacità o possibilità di toccarlo con le mani ossia realizzarlo; in chiave piú becera, ma simpatica la locuzione fu usata per stigmatizzare la situazione di chi, attratto da procaci, provocatorie rotondità femminili si doveva contentare di guardare, senza poter toccar con mano e quindi senza potersi regolare nel modo ricordato altrove. 4 -UOCCHIE 'NFRONTE NUN NE TIENE? Ad litteram: occhi sulla fonte non ne ài? Icastica ed ironica domanda retorica che si suole rivolgere, per redarguirlo, a chi colpevolmente distratto o disattento sia incorso in errori che si ritenga siano stati provocati dal fatto che egli non abbia esattamente guardato o badato a ciò che faceva, quasi non fosse munito di occhi. 5 -UH, ANEMA D''E PIERE 'E PUORCHE! Locuzione esclamativa intraducibile ad litteram atteso che è impossibile che le zampe di un maiale abbiano quell'anima che iperbolicamente, ma erroneamente, nella locuzione viene chiamata in causa; il senso celato della locuzione è: che esagerazione!, cosa mi vai raccontando?, è incredibile ciò che mi dici!, come incredibile sarebbe un maiale provvisto nelle zampe o altrove di anima. 6 -UOCCHIE SICCHE Ad litteram:occhi seccati, o - meglio - seccanti,cioè: occhi capaci di seccar, prosciugare(ossia arrecar danno) coloro contro cui vengon rivolti. Cosí, come in epigrafe, vengono chiamati i menagramo, gli jettatori, tutti coloro che con i loro sguardi sono ritenuti capaci di grandemente danneggiare qualcuno, non con azioni proditorie, ma semplicemente guardandolo. 7 -USO NUN METTERE E USO NUN LEVÀ Ad litteram: non creare (nuove) abitudini e non toglierne; id est: lascia stare il mondo cosí com'è; non impegnarti a tentare di cambiarlo introducendo nuove abitudini che specialmente se si concretano in liberalità, omaggi e donativi nei confronti di terzi, diventano con il trascorrere del tempo eccessivamente onerosi e difficili se non impossibile toglier via; la cosa vale anche quando si trattasse di togliere inveterate abitudini; il tentativo di estirparle potrebbe ingenerare malumori nei terzi che vedendo eliminati o lesi alcuni pregressi privilegi potrebbero ribellarsi anche violentemente. 8 -UH, SSEVERE 'E PAZZE ! Esclamazione impossibile da tradurre ad litteram che viene pronunciata nell'osservare situazioni o accadimenti ritenuti cosí strani ed improbabili da destare gran meraviglia, stupore e/o rabbia, nell'intento di sottolineare che quelle situazioni o accadimenti son cose da matti, quasi incredibili. Strana locuzione quella in esame dove con ogni probabilità il termine ssevere è corruzione dell'espressione francese: c'est vrai ( de foux) (è veramente da folli); la stranezza della espressione napoletana consiste nel fatto che ci si è limitati nella sua formulazione, alla sola corruzione della prima parte di quella francese: c'est vrai, completandola con il termine pazze = pazzi esatta traduzione del francese foux. 9 - VA' A FFÀ 'E PPEZZE! Ad litteram: va’ a raccattare cenci! Eufemistica espressione usata in luogo di altra piú corposa anche se becera, che qui di seguito illustrerò, per invitare un importuno, fastidioso individuo a liberarci della sua sgradita presenza, ed andare a raccattare cenci. 10 -VA' A FFÀ 'NCULO! ma meglio VALLO A PIGLIÀ 'NCULO! Superfluo tradurre questi conosciutissimi modi di rendere l'italiano: va' a quel paese!La variante è sí piú becera, ma quanto piú corposa, esplicita e dura, atteso che colui cui è rivolta la locuzione è invitato a tenere nell'ipotetico rapporto sodomitico la posizione soccombente, non quella attiva prevista dalla prima locuzione; ambedue però, come quella del num. precedente, si rivolgono ad un importuno, fastidioso soggetto, invitato qui a dedicare il suo tempo ad altre attività che non quella di infastidirci. Rammento che nel fiorito linguaggio espressivo popolare talora la prima espressione in esame, (nello sciocco intento di evitar di pronunciare la parola culo ingiustamente intesa volgare o becera) viene imbarocchita in VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E MAZZO che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di sedere dove con il termine piega di sedere si intende il solco anatomico di separazione delle natiche solco che icasticamente rappresenta una piegatura di quelle. Nel pronunciare tuttavia quest’ultima espressione accade che in luogo di pronunciare il termine culo, becero e volgare, se ne pronuncia uno analogo: mazzo di talché per ovviare a tutto ciò qualcuno trasforma eufemisticamente l’espressione in un’altra di analogo significato, ma che suona VA’ A FFÀ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E VESTA! che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di veste e con essa espressione si dà luogo ad una precisazione utilissima , con cui si chiarisce che la piega di sedere da prendere in considerazione è esattamente una piega femminile, cosa che si evince dal fatto che la veste è un indumento femminile! chieja sv.vo f.le =piega, piegatura, ma anche incavo, solco; voce dal lat. plica-m con consueta risoluzione del digramma latino pl seguito da vocale nel napoletano chi (cfr. chiummo←plumbeu(m) - chiazza←platea – pluere→chiovere etc.). mazzo sv.vo m.le di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. ultra) non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione ‘a gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo si preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare de ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo nell’accezione indicata è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone. A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom. lat. med. macĭus. 11 -VA' TE COCCA! Ad litteram: va' a coricarti Altro modo di invitare qualcuno a togliersi di torno, ad andar via, a sparire per non importunarci o tediarci. Qui con modi piú contenuti e gentili rispetto a quelli dei numeri precedenti, lo si vuol convincere di liberarci della sua presenza, andandosene a dormire. Talvolta però, atteso che per coricarsi occorre stendersi su di un letto, con la locuzione in epigrafe si adombra il recondito, cattivo, se non pessimo desiderio che il soggetto contro cui è rivolta debba giacere definitivamente disteso cioè debba mancare, andarsene, scomparire, passare nel numero dei piú, liberandoci per sempre della sua sgradita presenza! 12 -VATTE A FFÀ FOTTERE! Ad litteram: va' a farti possedere Ma è il medesimo perentorio invito a farsi sodomizzare - sia pure metaforicamente - contenuto nella variante di cui precedentemente al n°10. 13 -VEDÉ 'A MORTE CU LL'UOCCHIE Ad litteram: vedere la morte con gli occhi ; e sarebbe sciocco ed inopportuno chiedere: e con che altro si può vedere?, atteso che il napoletano è ricchissimo di simili tautologie, come appunto:'a vista 'e ll'uocchie, puorto 'e mare, palazzo 'e case, etc. tutte però necessarie a quel tipico barocchismo dell'eloquio partenopeo.La locuzione si usa per riferire di essersi trovati in situazioni di vita di relazione o di salute cosí gravi e/o pericolose da vedere la morte in viso e di esserne fortunatamente venuti fuori tanto da raccontarne. 14 -VEDÉ COMME SE METTONO 'E CCOSE Ad litteram: vedere come evolvono le cose; id est: mettersi in prudente attesa, vagliare e soppesare le situazioni e decidersi all'azione solo quando ci si sia resi ben conto di quali pieghe posson prendere o stanno prendendo le faccende che ci occupano 15 -VEDERSENE BBENE Locuzione, impossibile da tradurre alla lettera, dalla doppia valenza: in primis: profittare di ciò che ci venga messo a nostra disposizione, godendone ampiamente, senza remore o misura; con altra valenza la locuzione è usata per indicare il franco, disinibito comportamento di chi apertamente affronti qualcuno e gli dica a muso duro tutto il fatto suo, senza scrupoli e/o timori reverenziali. 16 -VEDERSE PIGLIATO DÊ TURCHE Ad litteram: vedersi preso dai Turchi Id est: Essere assalito da grande timore e disperazione , trovandosi in situazioni pericolose o cosí ingarbugliate e contorte da non poterne venire fuori, come temporibus illis dovevano trovarsi i rivieraschi assaliti continuamente da quei pirati saraceni, tutti ritenuti e detti Turchi adusi alle piú efferate violenze. 17 -VENÍ FRISCO FRISCO Ad litteram: giungere fresco fresco; detto di chi con tranquilla faccia tosta si presenti ed entri nel merito di un accadimento già da gran tempo avviato ed in corso e senza dimostrare di essersi impegnato per parteciparvi o di avere conclamate capacità organizzative o risolutive, voglia imporre il proprio punto di vista a dispetto di quanti stiano da gran tempo e con grande impegno lavorando al progetto de quo. 18 -VENÍ FRISCO E D''A GROTTA. Ad litteram: giunger fresco e dalla grotta; locuzione simile alla precedente con l'aggravante qui che il soggetto cui si riferisce avrebbe dovuto concorrere all'accadimento in questione ed invece se ne è a lungo disinteressato, per presentarsi a reclamare il proprio utile a giuochi fatti, quando le asperità sono state affrontate e livellate da altri. L'immagine della locuzione ripete quella del cocomero che arriva in tavola solo a fine pasto dopo essere stato tenuto al fresco artificiale del ghiaccio o a quello naturale d'una cantina. 19 -VENCERE 'O PUNTO Ad litteram: vincere il punto; id est: riuscire, in un contrasto, a far prevalere il proprio punto di vista, affermandolo e mantenendolo quasi che esso fosse un premio da conseguire. 20 -VENÍ O SCENNERE DÂ MUNTAGNA Ad litteram: venire o scendere dalla montagna; Detto di chi sia ritenuto sciocco, stupido e credulone, nella erronea convinzione che coloro che vivono in luoghi impervii ed appartati siano, nel confronto con i cittadini cosí corrivi, sempliciotti e creduloni da poterli facilmente circuire ed imbrogliare.Per converso, ma con medesimo intento di dileggio, sulla bocca dei montanari si posson cogliere le espressioni vení dô mare oppure vení dâ riviera. 21 – FORA MARIA DÊ CRESTIANE! Ad litteram: Fuori Maria dai cristiani! ; id est:la vergine Maria venga estromessa dal culto dei cristiani! Espressione usata quando si voglia imporre a chicchessia di tenersi fuori da ogni coinvolgimento in quale che sia azione o situazione (atteso che non si à fiducia nelle sue capacità operative o nella sua intelligenza.) La Maria coinvolta nell’espressione è proprio la Vergine Maria, madre del Cristo; l’espressione antichissima risale al tardo settecento quando i protestanti, che notoriamente negano la dulia mariana, vennero in contatto con i partenopei e fecero qualche proselito. A proposito dell’avverbio fora= fuori rammento come sia interessante e meritevole di sottolineatura la differenza di evoluzione della voce napoletana fora (fuori)derivato dal lat. fŏras e della evoluzione della voce italiana fuori derivato dal lat. fŏris. Nel caso di fŏri(s)→fuori in sillaba libera la vocale tonica “ŏ” subí la normale dittongazione “uó”; nel caso invece di fora che derivò dal collaterale “fŏra(s)”, data la vocale terminale “-a”, non si incorse nel fenomeno della dittongazione dovuta alla metafonia dialettale, onde la forma definitiva di “fora”, con conservazione della tonica e con la solita vocale finale atona di tipo evanescente. Brak