martedì 31 gennaio 2017

VARIE 17/125

1.'E SURDATE ‘E GIACCHINO: PEZZIENTE E FANTASIUSE Ad litteram essa sta per I soldati di Gioacchino (Murat): poveri, ma altezzosi ed è espressione usata con riferimento sarcastico a tutte quelle persone che confidando sulle sole apparenze si mostrino nei rapporti interpersonali altere, arroganti, boriose, presuntuose, sprezzanti, spocchiose pur in mancanza di ricchezze materiali e/o ancór piú di risorse morali o capacità operative. ; per venire a capo del perché di tale riferimento ironico che pervade l’espressione occorre rammentare che Gioacchino Murat nato Joachim (Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – †Pizzo Calabro , 13 ottobre 1815),cognato di Napoleone Bonaparte fu un generale francese,poi dal 1808 re di Napoli; in tale veste nel riordinare l’esercito pur decurtando il soldo dei militari,rendendoli perciò quasi poveri, provvide a fornire la truppa (non soltanto gli ufficiali, ma anche i militi semplici) di sfarzose, rutilanti divise di cui essi militari si gloriavano pavoneggiandosi soprattutto con le donne ed ostentando con gli uomini albagia, boria, superbia, vanità, vanagloria, tracotanza fondate sul nulla.Cosí ad un dipresso si comportano quegli individui cui vien riferita l’espressione usi come sono, nei rapporti interpersonali a pavoneggiarsi, ad andar tronfi compiacendosi di se stessi, relazionandosi con il prossimo da una posizione arrogante e/o boriosa, boria che poggia però sul nulla, non avendo la persona che inalberi quel tal comportamento arrogante veri motivi o conclamate ragioni su cui poggiarlo. 2. Ê TIEMPE 'E PAPPAGONE Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Cosí vengono commentate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo; ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che à lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane. 3.E TTE PAREVA!? Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!?”,ma che va addizionata di un sottinteso che cosí non fósse per darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e viene usata con un senso di risentito rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai da tale pessima linea di condotta. 4.È UNO CA NUN FA CARTE È uno che (non intende) fare le carte; È uno che (non intende) distribuire le carte; Espressione che prendendo il la dai giochi fatti con le carte in cui per regola è previsto che ciscun giocatore distribuisca le carte cominciando la distribuzione secondo i tipi di giochi o dalla sua dritta o dalla mancina e finendo per essere l’ultimo a calare in tavolo le sue carte. Nel caso dell’espressione ci si riferisce a chi per arroganza, prepotenza e/o – ma meno spesso – per semplice indolenza non intende in alcun modo distribuire le carte e cioè non vuole assumersi le proprie responsabilità tentando in ogni modo di sfruttare le situazioni traendone i benefici senza aver conferito la propria fattiva partecipazione all’azione comune. 5.'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’ Ô LIETTO. Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono, tanto da esser ricordati come "mangiafoglie"(prima di abdicare a questo nome – ceduto ai villici – per assumere quello di “mangiamaccheroni”), sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specialmente nell'intimità, moine che semanticamente sono per traslato appaiate ai broccoli perché come questi ultimi son fatte di tenerezza; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati. Analoga alla locuzione in esame è quella che recita: ‘E MMULIGNANE SO’ BBONE SOTT’A LL’UOCCHIE che letteralmente è: Le melanzane sono buone sotto a gli occhi ed in questo caso bisogna rammentare che a Napoli con la parola mulignane si intende sia il tipico gustosissimo ortaggio che la fa da padrone nella cucina partenopea, sia le occhiaie bluastre tendenti al viola, tipiche di occhi stanchi di colui/colei che non à riposato durante la notte impegnato/a com’era in tenzoni amorose; anche questa locuzione sembra ripudiare ormai l’ortaggio per apprezzare solo le occhiaie conseguenti degli incontri amorosi. Rammento che mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi petro(primo elemento di parole composte della terminologia scientifica, formate modernamente, dal gr. pétra 'pietra') o con il prefisso peto adattamento locale del precedente e s’ebbe petronciano o petonciano. la voce melanzana fu anche ritenuta, ma impropriamente, derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia. BRAK

VARIE 17/124

1.'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. 2.È PPROPETO ‘NA SCOLA CAVAJOLA È proprio una scuola cavajola! Con tale icastica espressione esclamativa, della medesima portata di quella precedente che chiamava in causa la bottega di donna Peppa ormai non ci si riferisce ad una vera e propria scuola, ma a tutte quelle situazioni caotiche dove regnino chiasso,insubordinazione,disordine, frastuono, fracasso, baccano addizionati di negligenza, svogliatezza, menefreghismo, sciatteria, indolenza, noncuranza L’espressione molto datata nacque prendendo spunto e modello da alcune particolari opere teatrali, détte Farse cavaiole: farse nate nel Napoletano sulla fine del sec. XV e fiorite nel XVI; erano scritte in versi, in una lingua piena di espressioni dialettali, e rappresentava scene di vita popolare; fu insomma un genere drammatico popolare, caratterizzato dal ricorso a frottole o gliuommeri di endecasillabi, per lo piú con rima al mezzo.Furono denominate farse cavaiole per il loro prendere ad oggetto di beffa l’ingenuità e/o la rozzezza degli abitanti di Cava dei Tirreni.; scaturirono dalla penna d’ un tal prolifico Vincenzo Braca (Salerno 1566 - †Cava dei Tirreni, dopo il 1614), autore teatrale che raccolse e redasse per iscritto, sceneggiandole e aggiungendone di proprie, le satire che tradizionalmente erano diffuse, fra i salernitani, contro i vicini abitanti di Cava; cosa che rese ancor piú sentiti e profondi i vecchi rancori fra le due città, esponendo personalmente il Braca, per questo feroce accanimento denigratorio, all’odio dei cavesi. E pare che proprio da cavesi, o per loro istigazione, il Braca venne assassinato. La sua opera, comunque, ci pervenne in due manoscritti, di cui il piú interessante è, senza dubbio quello dal titolo“La farsa cavajola de la scola” o “de lo mastro de scola”. E, facendo riferimento a questa farsa, Benedetto Croce ebbe a scrivere: «Anche ora, si chiama a Napoli “scola cavajola” una scuola in cui tutto va alla peggio, con maestri inetti e scolari asini e indisciplinati».Dunque in origine con il termine “scola cavajola” ci si intese riferire ad un’autentica scuola come nell’opera del Braca; successivamente il termine “scola cavajola” fu inteso in senso estensivo con riferimento, come ò detto, ad ogni ambiente e situazione non solo caotici, ma improntati al peggior funzionamento per demerito di persone incapaci, incompetenti, inesperte nonché svogliate pigre, negligenti, sfaticate, e scansafatiche. gliuommere/i s.vom.le plurale metafonetico di gliommero che di per sé è il gomitolo con etimo dall’acc. latino glomere(m) con probabile metaplasmo nel passaggio da un originario neutro glomus al maschile glomere(m); il significato originario di gomitolo si è poi esteso ed è traslato a quello di peculio, come di ricchezze accumulate; in chiave letteraria come nel caso che ci occupa la voce gliommero fu usata per indicare alcuni endecasillabi non particolarmente fluidi e/o scorrevoli con complesse rime al mezzo; sempre in chiave letteraria, la voce venne pure usata per intitolare alcuni suoi componimenti poetici, non aulici, ma popolareschi da Jacopo Sannazaro ( nacque a Napoli nel 1456 e, tranne una breve parentesi in cui seguì nell'esilio l'amico Federico III d'Aragona, lì visse fino alla morte, avvenuta nei 1530. Discendente da una nobile famiglia oriunda della Lomellina, trascorse la fanciullezza e l’adolescenza a San Cipriano Piacentino, portando poi a lungo in sé la suggestione bucolica ed agreste di quell’ambiente. Entrato nell’Accademia pontaniana, dove assunse lo pseudonimo diActius Syncerus, si legò d’amicizia col Pontano (Cerreto di Spoleto [Perugia] 1429 † Napoli 1503), che a lui intitolò il dialogo Actius, sulla poesia. Il Sannazaro fu colto umanista e poeta raffinato. Ci à lasciato numerose opere in lingua latina ed in volgare. Fra le prime ricorderò le "Bucoliche", di ispirazione virgiliana, le "Eclogae piscatoriae" (5 composizioni che descrivono il golfo di Napoli), le "Elegie" in tre libri, il poema sacro "De partu Virginis"; fra quelle in volgare ricordo, appunto, gli "Gliommeri" (= "gomitoli",componimenti poetici di origine popolare in napoletano e destinato alla recitazione in forma di monologo; costituito di endecasillabi a rima interna, intrecciava motti, frizzi e argomenti vari tra cui filastrocche di proverbi napoletani ed altri varî argomenti popolari), le "Farse" e le "Rime" (ad imitazione del Petrarca)); 3.È RRUMMASO ‘O ZUCO D’ ’E VÀLLENE È avanzato (solo) la broda delle castagne lesse. Icastica espressione usata figuratamente a rammaricato commento di situazioni in cui regni la massima penuria di mezzi e/o miseria. Fu espressione esclamativa rivolta dai genitori ai loro figlioli perché recedessero da esose, continue richieste di beni e/o danaro e si rendessero conto che era inutile insistere con petizioni di provvidenze in quanto con i mezzi familiarî ridotti al lumicino non era possibile aderire alle loro pretese. Il concreto zuco d’ ‘e vallene (broda delle castagne lesse) (qui figuratamente usato per indicare le ultime sostanze nella disponibilità d’ una famiglia) è l’acqua di bollitura (addizionata di foglie d’alloro, semi di finocchi e sale) delle castagne che private del riccio e della prima corteccia vengon lessate in un grosso paiolo, portato in giro su di un trespolo (montato su di un piccolo pianale di legno provvisto di ruote), trespolo che insiste su di un fornello a carbone che tiene a lento continuo bollore la broda; le castagne lesse vengon poi vendute al minuto in numero contato raccolte in cartoccetti conici (cuoppe) sino ad un primo esaurimento (infatti spesso il/venditore/trice di queste castagne lesse, esaurita la prima quantità di castagne provvede illico et immediate alla bollitura di altre castagne versandole nel medesimo brodo residuo riutilizzato per non eleminare con l’acqua anche gli odori); queste castagne bollite che una volta private della pellicina vengon consumate addizionate di zucchero o poco sale, vengon détte in napoletano alternativamente allesse o vallene: allesse s.vo f.le pl.. di allessa= castagna privata del riccio e della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio ; voce derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità in quanto nulla osta al passaggio che riporto elixare→alissare→allissare→allessare e da quest’ultimo il part. pass allessato/a→allessa(to/a)→allessa; vàllene/vàllane s.vo f.le pl. del m.le vàlleno/vàllano= marrone, varietà di castagna piú grossa e pregiata della normale castagna ; come questa privata del riccio e della dura scorza esterna e lessata in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio ; voce derivata dall’acc.vo lat. bàlanu(m), con tipica alternanza partenopea b/v e raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare (l), tipico nel tipo di parole sdrucciole (cfr. còllera←cholera(m); quando le castagne siano bollite private del riccio, ma non della buccia dura vengon piú acconciamente détte bballuotte (voce derivata con gran probabilità dall'ar. ballut 'ghianda');a margine della voce in esame rammento una gustosa, antica espressione popolare usata sarcasticamente quando ci si voglia riferire alla pochezza di mezzi economici conferiti per il raggiungimento di uno scopo; quando quei mezzi siano molto esigui s’usa dire: AEH, CE ACCATTE ‘O SSALE P’’E VALLANE! (Eh,ci copri il sale per le castagne bollite); cuoppo s.vo m.le questa voce napoletana cuoppo non può esser resa con un solo vocabolo nella lingua nazionale e ciò per il motivo che nell’idioma napoletano la voce cuoppo indica piú cose e queste nell’italiano ànno volta a volta nomi del tutto differenti tra di loro. In primis nel napoletano con la voce cuoppo s.vo m.le si indica una particolare piccola rete da pesca a forma di cono, legata a un cerchio di legno o di ferro sostenuto da una lunga asta con cui viene manovrata; tale rete è detta in italiano, quale adattamento della voce napoletana, coppo; con la medesima voce cuoppo s.vo m.le si indica una piccola tegola curva, leggermente conica, usata, in disposizione a file parallele, per coperture di tetti; anche tale tegola è detta in italiano, ancóra per adattamento della voce napoletana, coppo; con la medesima voce cuoppo s.vo m.le in napoletano si indica uno dei due piatti della bilancia, segnatamente quello di forma concava, in cui di solito vien messa la merce da pesare; in questo caso però l’italiano non accoglie il suggerimento napoletano e preferisce usare il s,vo piattello; ugualmente la voce napoletana non viene piú accolta per adattamento nell’italiano allorché si tratti di indicare, come nel caso che ci occupa, un involucro, un cartoccio, piú o meno grosso di forma conica atto a contenere alcunché; in effetti quello che nel napoletano è pur sempre ‘o cuoppo e – se piccolo - cuppetiello in italiano diventa volta a volta: involucro, cartoccio, involto, pacco, pacchetto, fagotto tutte voci che non fanno alcun riferimento, come sarebbe giusto che fosse, alla forma dell’involucro (cosa che invece è espressa dal napoletano cuoppo= involto di forma conica ), ma si riferisce spesso al materiale dell’involto: cartoccio←carta , pacco←olandese pak(balla di lana) etc. Giunti a questo punto conviene fare un piccolo riepilogo e dire che il s.vo m.le napoletano cuoppo può indicare: una rete da pesca, un embrice semicilindrico, un piatto di bilancia ed un cartoccio conico; quanto all’etimo cuoppo è da un lat. *cŏppu(m)→cuoppo forma resa maschile e dittongata del tardo lat. f.le *cŏppa(m)→cupa(m) per il class. cupa(m)= botte,semanticamente raccostati per la comunanza funzionale, sebbene non di forma, del concetto di capienza e ricezione;al proposito rammento che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. Nella fattispecie la cuppa(m) è certamente piú grande d’un cartoccio per cui cŏppa(m)f.le deve divenire *cŏppu(m)→cuoppo maschile. A margine di tutto quanto fin qui détto mi piace rammentare alcune icastiche espressioni del napoletano dove la fa da protagonista il s.vo cuoppo; e comincio con l’epiteto cuoppo ‘allesse! (cartoccio di castagne lesse!); inteso tale cartoccio bagnato e macchiato (la buccia interna delle castagne lesse tinge di scuro la carta con cui si confeziona il cartoccio!) lo si pensa quindi lercio, sporco e tali sono ritenute le donnaccole cui è riferito l’epiteto; allesse plur. di allessa= castagna privata della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di foglie d’alloro e semi di finocchio derivata dal part. pass. femm. del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità; e rammentiamo l’espressione cuoppo d’acene ‘e pepe anzi piú precisamente cuppetiello d’acene ‘e pepe (cartoccetto di pepe) espressione usata in riferimento ad uomini di statura eccessivamente minuta e di corporatura esile, come piccoli e contenuti erano i cartoccetti usati dai droghieri per vendere al minuto le piccole bacche sferiche, nere, di forte aroma,della pianta del pepe, bacche usate intere o macinate come condimento; trattandosi di una spezie d’importazione ed abbastanza costosa, non erano ipotizzabili – per la sua vendita al minuto – cartocci grossi, cuoppi voluminosi (come quelli usati per vendere castagne lesse o altre merci commestibili quali frutta, pesce fresco etc.), ma solo cartoccetti piccoli; per cui non cuoppi, ma cuppetielle! Rammento adesso un significativo proverbio/scioglilingua che è: A cuoppo cupo pocu ppepe cape.che tradotto è: Nel cartoccetto conico stretto entra poco pepe. in realtà piú che di un proverbio si tratta di uno scioglilingua giocato sulle assonanze delle varie parole, ma che nasconde un’osservazione disincantata della realtà e cioè che chi è stretto perché pieno, sazio non può riempirsi di piú(e ciò sia in senso positivo che negativo posto che chi sia già tanto pieno, saziato di doti positive morali e/o di cultura, difficilmente potrà migliorarsi, come per converso chi sia cosí tanto sprovvisto di moralità e/o cultura difficilmente potrà aver modo di evolversi in meglio stante le ristrettezze morali del suo io che non gli consentiranno l’aggiunta d’alcunché); l’agg.vo m.le napoletano cupo non corrisponde all’italiano cupo che vale 1 profondo, molto incassato: pozzo cupo; valle cupa ' (region.) fondo, concavo: piatto cupo 2 (fig.) riferito a stati d'animo o sentimenti negativi, profondo, radicato: odio, rancore cupo; un cupo dolore | impenetrabile, tetro, malinconico: carattere, volto cupo | sinistramente ambiguo, misterioso: cupe minacce; ma in napoletano vale in primis: stretto, angusto, limitato e solo estensivamente buio, tenebroso, e detto di suono: cupo, basso, sordo. Ed in chiusura rammento un’altra icastica locuzione partenopea che suona: Piglià ‘o cuoppo ‘aulive p’’o campanaro ‘o Carmene (confondere il cartoccio conico contenente le olive con il campanile del Carmine Maggiore),locuzione usata per prendersi sarcasticamente beffe di qualcuno incorso in un madornale quiproquò, la medesima d’un non meglio identificato individuo macchiatosi della confusione iperbolica ed impensabile di scambiare un contenuto cartoccio con un campanile, non potendosi mai paragonare un piccolo cartocetto, sia pure conico con lo svettante e massiccio campanile del Carmine Maggiore campanile adiacente l’omonima basilica napoletana fatta erigere a partire dal 1301 con le elargizioni di Elisabetta di Baviera (Landshut, 1227 –† Greifenburg, 9 ottobre 1273), madre di Corradino di Svevia e con le sovvenzioni di Margherita di Borgogna (Eudes di Borgogna 1250 - †Tonnere 4 settembre 1308) , seconda moglie di Carlo I d’Angiò (21 marzo 1226 –† Foggia, 7 gennaio 1285); il campanile tirato su dall’architetto Giovan Giacomo di Conforto (Napoli, 1569 – †Napoli, 1630) e dal frate domenicano fra’Vincenzo Nuvolo(al secolo Giuseppe Nuvolo: Napoli, 70– †Napoli,43) che lo coronò con la cella ottagonale e la cuspide a pera carmosina, è uno dei monumenti piú famosi e riconoscibili della città partenopea. 4.'E SÀBBATO, 'E S ÚBBETO E SSENZA PREVETE! Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno cui si augura di morire in un giorno prefestivo, cosa che impedisce la sepoltura il giorno successivo, di morire di colpo senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno del conforto religioso 5. E SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA... Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina d'Austria, che - però, si dice - lo ripagava con la medesima moneta; per traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per evidente scocciatura di far sempre le medesime cose. BRAK

VARIE 17/123

1.È MMEGLIO A FFÀ 'MMIDIA CA PIETÀ. Ad litteram: è meglio essere invidiati che essere oggetto di commiserazione; ed il perché è intuitivo, comportando l'invidia uno status di opulenza,tale da meritarsi l'invidia del prossimo, mentre il commiserato versa - per solito - in pessime condizioni. 2.È MMEGLIO NASCERE SENZA NASO CA SENZA SCIORTA È preferibile nascere senza naso piuttosto che senza buona fortuna! In effetti ad una menomazione fisica ci si fa l’abitudine ed in qualche modo si sopperisce, ma non si può fare a meno della buona fortuna molla propulsiva d’ogni accadimento umano. Nel proverbio in esame la mancanza del naso è emblematica di una grave menomazione perché il naso non è solo una via deputata alla basilare funzione della respirazione, ma è pure l’organo dell’olfatto , inteso sia in senso fisico che in senso figurato riferito cioé a l’aver sentore [a naso] di accadimenti da cui non ci si voglia far sorprendere. 3.È MMUORTO 'ALIFANTE! Letteralmente: E' morto l'elefante! Id est: Scendi dal tuo cavallo bianco, è venuto meno il motivo del tuo sussieguo, della tua importanza, non conti pi ú nulla. La locuzione, usata nei confronti di chi continua a darsi arie ed importanza pur essendo venute meno le ragioni di un suo inutile atteggiamento di comando e/o sussieguo , si ricollega ad un fatto accaduto sotto il Re Carlo di Borbone al quale, nel 1742, il Sultano della Turchia regalò un elefante che venne esposto nei giardini reali e gli venne dato come guardiano un vecchio caporale che annetté al compito una grande importanza mantenendo un atteggiamento spocchioso per questo suo semplice compito. Morto l'elefante, il caporale continuò nel suo spocchioso atteggiamento e venne beffato dal popolo che, con il grido in epigrafe, gli voleva rammentare che non era pi ú tempo di darsi arie... 4.È 'NA BBELLA JURNATA E NISCIUNO SE 'MPENNE. Ad litteram: E' una bella giornata e nessuno viene impiccato.Con la frase in epigrafe, un tempo erano soliti lamentarsi i commercianti che aprivano bottega a Napoli nei pressi di piazza Mercato dove erano innalzate le forche per le esecuzioni capitali; i commercianti si dolevano che in presenza di una bella giornata non ci fossero esecuzioni cosa che, richiamando gran pubblico, poteva far aumentare il numero dei possibili clienti. Oggi la locuzione viene usata quando si voglia significare che ci si trova in una situazione a cui mancano purtroppo le necessarie premesse per il conseguimento di un risultato positivo. 5.'E PEJE JUORNE SO' CCHILLE D''A VICCHIAIA. Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si ànno pi ú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che in vecchiaia nonmancano mai. BRAK

VARIE 17/122

1.E GGIÀ, MO MORE CHILLO D’ ‘E PPISCIATORE... NUN PISCIAMMO CCHIÚ! Ad litteram: E già, ora muore colui (che fabbrica)gli orinatoi... non mingiamo piú! Sarcastica espressione esclamatoria usata irridentemente in riferimento si ritenga o sia ritenuto tanto essenziale ed importante da far pensare che se venisse meno la sua operatività si produrrebbero nei terzi molto danno quasi che con il rifiuto da parte del soggetto messo alla berlina, di volere adempiere al proprio ufficio ai terzi fósse precLluso di portare a compimento addirittura delle funzioni fisiologiche imprescindibili. Nella fattispecie dell’espressione si ipotizza sarcasticamente che con il decesso del fabbricante degli orinatoi, addirittura non sia dia piú corso alla minzione! Cosa ovviamente assurda ed impensabile donde l’accezione ironica, il senso caustico dell’espressione. pisciatóre pl. f.le del s.vo m.le sg. pisciaturo 1 in primis e come nel caso che ci occupa orinatoio pubblico, 2 per traslato caustico e furbesco uomo dappoco, cattivo soggetto,vile, inetto, incapace, incompetente, inesperto, buono a nulla. Voce dal lat. pisciatoriu(m); faccio notare che si è usato un plurale femminile di un s.vo maschile per indicare che ci si intende riferire non ai vasi da notte,a gli orinali domestici(che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. m.le pisciaturi), ma ci si intende riferire a gli orinatoi pubblici (che pur avendo il medesimo sg.pisciaturo ànno il pl. f.le metafonetico pisciatore e ciò in ottemperanza del fatto che in napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie è ovvio che gli orinatoi pubblici siano piú grandi dei contenuti vasi da notte, degli orinali domestici; per cui per indicare al plurale gli orinatoi pubblici si fa ricorso al pl. f.le metafonetico pisciatóre, mantenento per i contenuti vasi da notte, e gli orinali domestici il pl. m.le pisciaturi). In coda a tutte le esapressioni trattate ne aggiungo una dodicesima che ancorché non marcata sul verbo in epigrafe, alla minzionr fa riferimento: 2.'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIENTE TENIENTE Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser concLLUsi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo. Teniente è il participio presente aggettivato del verbo tené (che è dal lat. teníre); nella fattispecie il verbo sta per mantenere (la cottura) e (poi che il participio è reiterato vale quase superlativo come quasi sempre nel napoletano) significa molto al dente; altrove l’espressione è riportata come 'E maccarune se magnano vierde vierde dove l’aggettivo reiterato vierde vierde = verdi verdi à la medesima valenza del teniente teniente: molto al dente e ciò perché qualunque cosa sia détta verde vale immatura perciò non ammorbidita, ancóra duretta, quasi acerba. 3.'E MARIUOLE CU 'A SCIAMMERIA 'NCUOLLO, SO' PPEJE 'E LL' ATE. Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità. mariuole s.vo m.le pl. di mariuolo = ladro, il mariolo, ed estensivamente la persona in genere disonesta anche quando non sia dedita al furto continuato; per ciò che attiene all’etimologia del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un etimo incerto, qualche altro (D.E.I.) propende per un antico aggettivo francese mariol = furbacchione,forse da collegare ad un’origine orientale (turca) donde forse anche il greco mod. margiólos= astuto, furbo etc. qualche altro ancóra lo legherebbe allo spagnolo marraio e marrullero = imbroglione, monello;la proposta del D.E.I.sarebbe interessante se si fermasse al francese mariol e non chiamasse in causa (senza specificarla!) un’origine turca, ma Carlo Battisti che si prese la responsabilità della lettera M evita di chiarire o precisare e con la sua proposta non mi convince per cui non mi sento di accoglierla, come non posso accogliere l’idea dello spagnolo marraio o marrullero morfologicamente troppo lontana da mariuolo e non chiarita nel percorso morfologico da seguire per pervenirvi; trovo invece molto interessante la scuola di pensiero (C. Iandolo) che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→marevuolo con sincope definitiva della v donde mareólo→ mareuólo e mariuólo quantunque nel napoletano siano rintracciabili piú frequentemente delle epentesi consonantiche eufoniche ( n, v) infisse a mezzo dittonghi o iati, che delle sincopi. sciammeria s.vo f.le = giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) in senso traslato e giocoso vale coito.Etimologicamente la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese chambre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo chamberga sempre che non derivi dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, fu resa in italiano col termine giamberga da cui non è lontana sciammeria; personalmente trovo però piú convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona; come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che, ripeto, per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo ed al proposito rammento che con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria onirica (nella smorfia napoletana è codificata al numero 64), è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, giacché probabilmente la loro fantasia notturna fu accesa dalla scena d’una unione sessuale, piuttosto che dalla visione d’una giacca da cerimonia! 4.'E MEGLIO AFFARE SO' CCHILLE CA NUN SE FANNO. Ad litteram: i migliori affari sono quelli che non vengono portati a compimento; siccome gli affari - in ispecie quelli grossi - comportano una aleatorietà, spesso pericolosa, è piú conveniente non principiarne o non portarne a compimento alcuno. 5.È MMEGLIO A ESSERE PARENTE Ô FAZZULETTO CA Â COPPOLA. Conviene esser parente della donna piuttosto che dell' uomo. In effetti, formandosi una nuova famiglia, è tenuta maggiormente in considerazione la famiglia d'origine della sposa che quella dello sposo.BRAK

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1.'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PPARTE E NNUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO. Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun Luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio. 2.Ė GGHIUTA ‘A FESSA 'MMANO Ê CCRIATURE, 'A CARTA 'E MUSICA 'MMANO Ê BBARBIERE, 'A LANTERNA 'MMANO Ê CECATE... La vulva è finita nelle mani dei/delle bambini/e, lo spartito musicale in mano ai barbieri, la lanterna nelle mani dei ciechi.La colorita espressione viene usata con senso di disappunto, quando qualcosa di importante finisca in mani inesperte od inadeguate che pertanto non possono apprezzarla ed usare al meglio, come accadrebbe nel caso del sesso finito nelle mani dei/delle fanciulli/e od ancóra come l'incolto barbiere alle prese con uno spartito musicale o un cieco cui fosse affidata una lanterna che di per sé dovrebbe rischiarare l'oscurità. 3.È GGHIUTA 'A MOSCA DINT' Ô VISCUVATO... Letteralmente: E' finita la mosca nella Cattedrale. E' l'icastico commento profferito da chi si lamenta d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli ha tolto la fameIn effetti un boccone nello stomaco, si sperde, quasi come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione è usata ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese... 4.È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO I 'E MACCARUNE 'A COPPA. Letteralmente: è finito il cacio sotto ed i maccheroni sopra. La locuzione la si usa per commentare con disappunto una situazione che non si sia evoluta secondo i principi logici ed esatti e codificati. In effetti, secondo logica si vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di sopra un piatto di maccheroni, non che facesse loro da strame. Id est: maledizione! Il mondo va alla rovescia! 5.È GGHIUTO 'O CCASO 'NCOPP' Ê MACCARUNE. Letteralmente: È finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda à avuto la sua logica, giusta e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. È da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piccolo piatto (in istagno) di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di poco formaggio ed un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i medesimi maccheroni conditi con del sugo di pomidoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo. BRAK

lunedì 30 gennaio 2017

NAPOLI – PALERMO(29.01.2017) 1 A 1 ‘A VEDETTE ACCUSSÍ Che nervatura e cche ccollera, guagliú! I’ nun ce pozzo credere! Pussibbile ca ‘o Napule nun riesce maje a sfruttà ‘na bbona accasione ca lle càpita? Possibbile ca dint’ô mmeglio vene sempe meno dint’ê mmecce e ffa comme ô cane d’’o cacciatore ca quanno à dda jí a stanà ‘a bbestia, tanno s’accova pe ccacà?Propeto chesto cca succedette ajere ca nun riuscettemo a sfruttà ‘accasiona ca ce capitaje ‘e vedé perdere ‘mparanza a cchilli pecurare d’’a Roma i ê profuche ‘e Montella i a cchille d’Inzaghi. E cquanno ce ricapita n’ata accasiona accussí, quanno? Capite ca allora, ajeressera nuje êssem’avut’’a sutterrà sotto a dduje metre d’addaffe (reti) ‘e frate cucine siciliane, ‘mmecce addó! Chi t’’o ddà?! Ajeressera ô san Paolo, ‘nnante a cchiú o meno quarantamila perzone, ‘o Napule upposto ô Palermo addizziunaje ‘nu scartellato pareggio pe uno a uno e cce jette pure bbona pecché stevemo abbuscanno avenno ‘ncassato ô 6’ n’addaffa (rete)pe bbia ‘e ‘na fessaria dô terzino ‘e dritta nuosto fattose surpassà da ‘nu cruzzo (cross) ca permettette a nNestorovski [ca nun signava da otto mubbare(partite)] ‘e ce casticà e avettemo aspettà bbuono n’ora ‘e juoco pe vvedé ô 66’ ‘na papera e mmeza d’’o purtiere Posaveccio ca nn’avette pietà ‘e nuje e se facette scappà ‘a mano, facennoselo passà pe ‘mmiez’ê ccosce ‘nu tiro ‘a luntano ‘e Ciruzzo, cunzentennoce ‘e pariggià. Però da chillu mumento nsi’ ô mustalà (termine)sbattettemo ‘nfacci’ô muro ‘e ll’isulane e cchiú ‘e tanto nun fovemo cacchie ‘e cacciarne; ‘nzomma acqua ca nun leva itassa (sete) chillu punto ‘ncrassifica rusecato â Roma! Passammo ê ppaggelle. REINA 6 Nun ce putette fa niente ‘ncopp’â cabbesera (colpo di testa) ‘e Nestorovcki ca ‘o futtette; p’’o riesto nun êtte ‘a fa niente o quase. HYSAJ 4 Facette ‘a solita fessaria ca ‘e chisti tiempe fa a ògne mubbara (partita); ajere trasette a vvacante ‘ncopp’a ‘nu cruzzo (cross) e llassaje via libbera ‘e capa a nNestorovski ca nun se facette prijà! Sta stanco e nnun ggià ‘a mo. I’ ll’êsse fatto arrepusà e avesse fatto jucà a mMaggio! Raul ALBIOL 5,5 Miezu zifo (voto) mancante pecché si cumannaje bbuono ‘a sezziona (reparto), sbagliaje quanno lassaje ‘a muntaca (ll’area ‘e rigore) ‘mmano a Hysaj cosa ce ce custaje caro, visto ca pure Maksimoviccio ll’êva lassata ‘a muntaca jenno cercanno accunte fora. MAKSIMOVIC 5,5 Miezu zifo (voto) mancante pure a isso pecché si fove alicante quanno ‘nchiusura fermaje a tTrajkovski, comme ô cumpagno ‘e sezziona (reparto) facette ‘a sciucchezza, isso ca è auto e ccapace ‘e capa, ‘e lassà scuperta ‘a muntaca(ll’area ‘e rigore) ascenno fora. GHOULAM 5,5 Catimmo (reduce) dâ coppa affricana dètte ‘a ‘mpressione d’essere troppo a ccurto ‘e ràseca e ttàlaca (agilità e scioltezza) tant’è vvero ca tutt’’e iabbre (cross) suoje fóveno spisso itarraddate (intercettati) e nnun servetteno a nniente! ALLAN 5 N’atalossa majulla (prestazione anonima). Nun fove nè ccarne, nè ppesce e ppe cchiú ‘e cinquanta minute aizaje porvera; po finalmente Sarri capette ca nun era cosa e ffacette trasí a zZielinski e fósse stato meglio ca ‘o guaglione êsse jucato ggià dô primmo minuto senza rijalà quase n’ora â bbanda siciliana! [dô 54’ ZIELINSKI 6,5 Quanno- finalmente! – trasette cagnaje ‘a ggiostra i ‘o Napule dètte ‘a ‘mpressione ‘e cagnà màsira (marcia).Isso allimmeno ce pruvaje dô lemmeto e dô père suojo nascette ll’azziona d’’o pareggio!] JORGINHO 4 Serata no, anze serata ‘a pigliarlo a ppacchere: n’êsse ‘ncarrato una! Troppi pasiglie (passaggi) sbagliate e cquanti llanze fora mesura! [dô 63’ PAVOLETTI 5 Arfadanatto (ingolfato) e ttrasuto a ffacenna cumprumessa nun fove crestiano d’agghiuntà niente a ll’attacco cuano (azzurro). Chi sa’ si avesse jucato dô primmo minuto che succedeva! Forze êsse pigliato ‘e mmesure adatte e avesse fatto coccosa! Chi ‘o ppo’ ddicere?] HAMSIK 6 Tutto summato ‘o capitano fove ll’unico ‘e ll’armidanno cuano (centrocampo azzurro)a ddà ‘na mana â munàvara (manovra) uffenziva pure si ‘e bbassurere (suggerimenti) suoje foveno sempe lanze luonghe pe Peppe ‘a ‘nguenta e pp’’o riesto nun cercaje o nun riuscette maje a ttruvà ‘a porta!. CALLEJON [Peppe ‘a ‘nguenta] 5 ‘nu zifo (voto) mancante pecché sotto porta cchiú ‘e ‘na vota sbagliaje a scegliere o dimustrannose troppo ananío (egoista) o nun truvanno ‘a squina (l’angolo); súbbeto doppo ll’uno a zzero lle capitaje ‘nu pallone d’oro e isso ‘o mannaje nun se sapette addó! MERTENS [Ciruzzo] 7 Dètte ll’anema, pruvanno d’ògne mmanera a sfravecà 'o muro ‘e ll’isulane, ma ce riuscette sulamente doppo cchiú ‘e n’ora ‘ncullabburazziona cu ‘na papera e mmeza ‘e Posaveccio doppo d’averelo ‘mpignato cchiú ‘e ‘na vota. INSIGNE 5 ‘Nu zifo (voto) mancante pure a isso ca ajeressera nun me piacette p’’e bbia d’’e troppi prane (errori) fatte nun sulo ‘int’â tammía (sviluppo) d’’a munàvara (manovra), ma pure p’’e curtate (tagli) da mancina a ddritta senza pricisione e soprattutto p’esserse magnato ll’addaffa (rete) durante ‘o scarzo aintisso (recupero) da ‘nu pizzo addó è ‘mpussibbile sbaglià! E cche saciccio! All. Sarri 3 Me dispiace, ma quanno ce vo, ce vo e ‘sta vota ‘o mutarribbo (allenatore) cuano (azzurro) nun s’ammereta cchiú ‘e tanto… i è ppure assaje; chella d’ajere ggià se sapeva ca fósse stata ‘na mubbara addó cuntava ‘a forza e ll’armaddia (fisico) e isso ‘a liggette malamente sbaglianno cumpletamente furmazziona; ‘ncampo, dô primmo minuto nce fosse vuluto ggente comme a dDiawarà, Zelinski e ppure Pavoletti, pe ppo spaccà ‘a mubbara (partita) facenno trasí a cCiruzzo e ssenza sciupà ll’intero primmo ajone (tempo) cu gGiorggigno ca, comme v’aggiu ditto, nun ne ‘ncarraje una! Arreto po ô posto d’ Hysai ca, comme se vedette, sta stanco e ffa allimmeno ‘na fessaria a mmubbara (partita) nce fósse vuluto Maggio. Senza scurdarce po ca tocca a isso e nno a mme spiecà e ffà capí ê madàffie (difensori) ca, quanno attacca ‘a scuatra avverzaria, dint’â muntaca (ll’area ‘e rigore) ce à dda rummané allimmeno uno ‘e lloro, uno ca fósse auto pe ccuntrastà a cchi trase ‘e capa! È overo ca ‘sta cosa ll’êssen’’a capí a ppe lloro, ma si nun ‘o ccapisceno è ‘o mutarribbo (allenatore) ca ce ll’à dda fa capí,nun aggi’’a essere i’! arb. CELI 4 Tanto s’ammereta ‘o frate scemo ‘e Schettino pe nnunn’ avé nutizziato (ammonito) e forze pure jettato fora a cchiú ‘e ‘nu delinquente cu ‘a maglia siciliana e soprattutto p’avé cunzentito troppi pperdite ‘e tiempo e troppi sceneggiate fatte pe ffarese curà ‘a malatia ‘e ndindò [a tte ssí i a mme nno!]stise ‘nterra a ccentro campo recuperanno sí e nno cinche minute addó pure ddurice minute nun êsseno apparato ‘o tiempo perzo! E fermammoce cca. Jette comme jette; dàmmoce n’atu pizzeco ‘ncopp’â panza e gghiammo ‘nnanze. Pacienza! Ve saluto e, ssi dDi’ vo’, ce sentimmo dummeneca ca vene doppo d’’a nacchèlla (traferta) a bBulogna ‘e sapato a ssera. Staveti bbe’! R.Bracale Brak

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1.'E FATTE D' 'A TIANA 'E SSAPE 'A CUCCHIARA. Letteralmente: i fatti della pentola li conosce il mestolo. La locuzione sta a significare che solo gli intimi possono essere a conoscenza dell'esatto svolgimento di una faccenda intercorsa tra due o piú persone e solo agli intimi di costoro ci si deve rivolgere se si vogliono notizie certe e circostanziate. La locuzione è anche usata da chi non voglia riferire ad altri notizie di cui sia a conoscenza. 2.È FERNUTA 'A ZEZZENELLA! Ad litteram: È finita (id est: si è svuotata) la piccola mammella. Sorta di ammonimento che vuol significare: è terminata la pacchia,si appresano tempi difficili, oppure - con diversa valenza -(ragazzo!,) la mammella è ormai vuota, è tempo di crescere! Zezzenella s.f. = piccola mammella il sostantivo a margine è quale diminutivo (con doppio suffisso (ina + ella→nella)) , una forma collaterelale di zezzella e cioè di piccola zizza=mammella dal lat.: titta(m); rammento che in napoletano esiste anche la voce zezzeniello che è un s. m.le ed è una sorta di maschilizzazione della voce a margine, ma indica cosa assolutamente diversa e cioè la parte alta del collo, quella che, nei maschi, insiste sul pomo di adamo e che proprio per la sua forma blandamente pizzuta può richiamare alla mente la forma di una piccola tetta, una zezzella appunto di cui maschilizzato riprende il nome. 3.'E FESSE SO' SSEMPE 'E PRIMME A SSE FÀ SÈNTERE... I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi, quelli che non ànno argomenti seri, profondi, autorevoli, affidabili, posati, contegnosi, ponderati da proporre, son sempre i primi ad esprimere un parere... 4.'E FFÉMMENE ‘E CASANOVA PISCIANO ‘NTERRA E DDÍCENO CA CHIOVE Le meretrici orinano in terra e dicono che piove. Icastica antica espressione che fotografa una realtà incontrovertibile quale quella delle meretrici che ànno l’abitudine (dettata da necessità) di mingere per istrada (sul ... posto di lavoro) e di scusarsi (con chi dovesse redarguirle di questa pratica invetereta) accampando scuse e dicendo che esse non ànno colpa in quanto il bagnato della strada lo si deve alla pioggia e non al loro orinare. L’espressione è usata in senso esteso per sarcasticamente commentare il vigliacco comportamento di chi codardo , ignobile, abietto, sistematicamente evita di assumersi le responsabilità delle proprie azioni e la scarica su altri o sulla fatalità dell’esistenza umana. ‘e ffémmene ‘e Casanova =ad litteram le donne di Casanova ma da leggersi come: le sacerdotesse d’amore è locuzione nominale usata in Luogo di uno dei tanti sinonimi napoletani di prostitute, meretrici, etc. (cfr. alibi sub Meretricio): fémmene s.vo f.le pl. di fémmena s.vo. f.le1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova; 2 essere umano di sesso femminile; donna, bambina ( vocedall’acc. latino foemina(m) = femmina, donna)con tipico raddoppiamento espressivo popolare della postonica m in parole sdrucciole). Casanova Giovanni Giacomo. – Dissoluto avventuriero, donnaiolo, gran tombeur de femmes (Venezia 1725 -† Dux, Boemia, 1798); figlio di attori, presto orfano di padre ed affidato dalla madre (Giovanna Maria C., detta Zanetta) alla nonna materna, fu studente a Padova, chierico a Venezia e in Calabria, segretario del cardinale P. Acquaviva a Roma, soldato dell'armata veneta in Oriente, violinista dal 1746 nel teatro S. Samuele a Venezia. Accolto come figlio dal senatore M. G. Bragadin, nel 1750 riprese la sua vita randagia attraverso la Francia, Dresda, Praga e Vienna, finché, tornato a Venezia nel luglio 1755, fu rinchiuso nei Piombi sotto l'accusa d'aver tentato di diffondere la massoneria. Evaso, tornò in Francia, ove introdusse il gioco del lotto nel 1757, e, sotto il nome di cavaliere di Seingalt, fu in Olanda, Germania, Svizzera, Italia, Polonia, Russia, seducendo donne, giocando, battendosi a duello, esercitando la magia, speculando sui valori pubblici e facendo perfino il confidente degli inquisitori di stato di Venezia. Finí la sua vita come segretario e bibliotecario del conte C. G. di Waldstein. Attivo, energico, intraprendente, il C. fu un avventuriero anche della penna e scrisse, tra l'altro, la Confutazione della storia del governo veneto di A. de la Houssaie (1769), la Storia delle turbolenze della Polonia (1774), una traduzione, incompleta, in ottava rima dell'Iliade (1775), l'opuscolo Scrutinio del libro: Eloges de M. de Voltaire par differens auteurs (1779), il romanzo Icosameron (1788); ma la sua notorietà è dovuta soprattutto alla drammatica narrazione dell'evasione dai Piombi (Histoire de ma fuite, 1788) e ai fantasiosi e licenziosi Mémoires, sostanzialmente veridici quanto alla rappresentazione della società di gaudenti e intriganti del Settecento. Stucchevole, ma forse veritiera, invece, la rappresentazione di sé stesso quale genio della seduzione. pisciano = mingono, orinano voce verbale (3ª pers.pl. ind. pres.)dell’infinito piscià = orinare, mingere (dal latino pitissare→pi(ti)ssare→pissare→pisciare→piscia(re)→piscià. 5.'E FODERE CUMBATTONO I 'E SCIABBOLE STANNO APPESE. Letteralmente: I foderi combattono e le sciabole stanno appese. La locuzione viene usata per commentare l'inettitudine di taluni che demandano, per indolenza o incapacità, il loro compito ad altri, cercando di esimersi dal lavoro. BRAK

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1.'E CIUCCE S'APPICCECANO I 'E VARRILE SE SCASSANO. Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Cosí va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana à tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo pagano gli Achei...). 2.'E CUNTE A LLUONGHE ADDIVENTANO SIERPE. Letteralmente: i conti che si protaggono diventano serpenti. Id est: i debiti a LLUnga scadenza diventano velenosi come i serpenti. La locuzione stigmatizza in modo conciso la piaga dell'usura. Chi ricorre a gli usurai per prestiti a lunga scadenza si rovinano ineluttabilmente. 3.'E CURALLE – oppure alibi ‘O CURALLARO - LL'À DDA FÀ 'O TURRESE. Letteralmente: i coralli[oppure altrove il corallaro (deve essere)] li deve lavorare il torrese. Id est: ognuno deve fare il proprio mestiere, che però deve esser fatto secondo i crismi previsti; non ci si può improvvissare competenti; nella fattispecie la lavorazione del corallo è appannaggio esclusivo del nativo di Torre del Greco, centro campano famoso nel mondo appunto per la produzione di oggetti lavorati in corallo. 4.'E DENARE SO' COMM'Ê CHIATTILLE: S'ATTACCANO Ê CUGLIUNE. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune è pl. di cuglione(dal t. lat. coljone(m) per il class. coleone(m)) viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. Chiattille s.vo. m.le pl. di chiattillo= blatta, piattola (dal lat. blatta +suff. dim. illo: blattillo→chiattillo. Cugliune s.vo m.le pl. Di cuglione = testicolo (dal lat. pop. coleome-m). 5.'E DITTE ANTICHE NUN FALLESCENO MAJE. Narcisistica espressione con la quale si vuole intendere che la saggezza popolare espressa per il tramite dei proverbi antichi trova sempre il suo riscontro nella realtà dalla osservazione della quale i proverbi(id est: pro-bata verba =parole provate)prendono il via. BRAK

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1.DOPPO MAGNATO E VÍPPETO "Â SALUTA VOSTA". Letteralmente: Dopo d'aver mangiato e bevuto: "alla vostra salute". L'espressione in epigrafe si usa a Napoli, per commentare sarcasticamente il comportamento di chi approfitta di una situazione proficua e posticipa gli atteggiamenti augurali, dopo di aver goduto di benefici per i quali la buona norma vorrebbe che gli auguri venissero fatti antecedentemente prima cioè di godere dei frutti di azioni comuni; a mo' d'es.: un brindisi va fatto prima, non dopo una bevuta corale. 2.DOPPO MUORTO, BBUZZARATO. Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo aver subito la morte, sopportare anche il vilipendio. La locuzione corrisponde, anche se in maniera un po' piú dura al toscano: il danno e la beffa. Essa fu usata nel corposo linguaggio partenopeo da un anonimo prelato napoletano che assistette al consueto percuotimento del capo del defunto papa PIO XII, con il previsto martelletto d'argento operato dal cardinale camerlengo, per accertarsi che il pontefice non reagisse dimostrando cosí d'essere effettivamente morto. 3.È ACQUA CA NUN LEVA SETE! È acqua che non disseta! Lo si dice in senso di malcelato rammarico quando si ricevano provvidenze sia materiali (paga, salario, compenso, rimunerazione,... eredità) che morali ( dimostrazioni di affetto,bene, attaccamento, affezione, amore) notevolmente inferiori a quelle attese e/o sperate. 4.E BBRAVO Ô FESSO! Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe la si usa sempre quando si voglia ironicamente plaudire all'operato di chi pretende da saccente e supponente, con la propria azione di dimostrare la propria valentia nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla medesima stregua. Piú chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o ovvie ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un esempio. Poniamo vi sia un uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà ad ascendere una scala a pioli. Si presenta uno sciocco che, essendo pienamente integro nella sua salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta con aria saccente: "Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: Sei cosí stupido da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che ài fatto tu! 5.Ê CANE DICENNO letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani ciò che stiamo dicendo! BRAK

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1.DICETTE PULICENELLA: NCE SO' CCHIÚ GGHIUORNE CA SACICCE. Disse Pulcinella: ci sono piú giorni che salcicce. È l'amara considerazione fatta dal popolo, ma messa sulla bocca di Pulcinella, della cronica mancanza di sostentamento e per contro della necessità quotidiana della difficile ricerca dei mezzi di sussistenza. 2.DICETTE PULICENELLA: PE MMARE NUN CE STANNO TAVERNE. Disse Pulcinella: In mare non vi sono ripari. 3.DICETTE PULICENELLA: 'A MEGLIA MMEDICINA? VINO 'E CANTINA E PPURPETTE 'E CUCINA... Disse Pulcinella: La miglior medicina? Vino vecchio e stagionato e polpette fatte in casa... Imiglior rimedi per la salute son quelli genuini forniti dal desco. 4.DIMMÉNNE N'ATA, CA CHESTA GGIÀ 'A SAPEVO. Ad litteram: raccóntamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se (come pare) ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi, vanificando il tuo operato. 5.DDIO PERDONA, SANGIUANNE NO! Letteralmente: Dio perdona, il compare/padrino no! Ammonimento/avvertimento usato nei confronti soprattutto di minori, ma talora anche di adulti per tenerli avvisati a non comportarsi mai male con alcuno, ma in primis con il proprio compare/padrino di battesimo o cresima perché – nell’inteso popolare – il compare/padrino (sangiuanne) per solito è molto piú severo del Padreterno che, grandemente misericordioso, è aduso al perdono cosa estranea invece al compare/padrino (sangiuanne) con il quale bisogna sempre comportarsi bene. Come si evince da quanto détto, con il termine sangiuanne non si fa riferimento al san Giovanni apostolo, ma al san Giovanni Battista precursore del Cristo sia pure solo per mutuarne il nome proprio che agglutinato con l’apposizione “san” vien degradato semanticamente sino a farne un s.vo comune per indicare il compare/padrino di battesimo e/o cresima in memoria del fatto che san Giovanni Battista precursore del Cristo Lo battezzò sulle rive del Giordano.Il fatto poi che il compare/padrino (sangiuanne) venga inteso severissimo trova il suo fondamento nel reale comportamento di san Giovanni Battista precursore del Cristo che fu rigido, inclemente, duro, aspro, inflessibile, intransigente già con se stesso predicando la penitenza e vivendo in un deserto dove si cibava di locuste e miele selvatico. BRAK

domenica 29 gennaio 2017

VARIE 17/116

1.DICETTE 'O PAPPICE VICINO Â NOCE: DAMME 'O TIEMPO CA TE SPERTOSO! L'insetto punteruolo disse alla noce: Dammi tempo e ti perforerò - Cioè: chi la dura la vince! 2.DICETTE 'O PUORCO 'NFACCI' Ô CIUCCIO: MANTENIMMOCE PULITE! Letteralmente: Disse il porco all' asino: Manteniamoci puliti. È l'icastico commento che si suole fare allorché ci si imbatta in un individuo che con protervia continui a criticare la pagliuzza nell'occhio altrui e faccia le viste di dimenticarsi della trave che occupa il proprio occhio.A simile individuo si suole rammentare: Cumparié nun facimmo comme 'o puorco...(Amico non comportiamoci come il porco che disse all'asino etc. etc.) 3.DICETTE 'O SCARRAFONE: PO’ CCHIOVERE 'GNOSTIA COMME VO’ ISSO, MAJE CCHIÚ NNIRO POZZO ADDEVENTÀ... Disse lo scarafaggio: (il cielo) può far cadere tutto l'inchiostro che vuole, io non potrò mai diventare piú nero di quel che sono. La locuzione è usata da chi vuole far capire che à già ricevuto e sopportato tutto il danno possibile dall'esterno, per cui altri sopravvenienti fastidi non gli potranno procurar maggior danno. 4.DICETTE 'O SI' NUTARO: SULO 'O MUORTO À FATTO 'O MALO GUADAGNO. Disse il signor notaio: Solo il morto à fatto un cattivo guadagno (avendoci rimesso la vita)... tutti gli altri, diventandone eredi, ànno lucrato qualcosa! 5.DICETTE PULICENELLA: I' NUN SO' FESSO, MA AGGI' 'A FÀ 'O FESSO, PECCHÉ FACENNO 'O FESSO, VE POZZO FÀ FESSE! Letteralmente: Disse Pulcinella: Io non sono stupido, ma devo fare lo stupido, perché facendo lo stupido, vi posso gabbare (e posso ottenere ciò che voglio, cosa che se non mi comportassi da stupido non potrei ottenere). La locuzione in epigrafe è uno dei cardini comportamentali della filosofia popolare napoletana che parte da un principio assiomatico che afferma: Cca nisciuno è ffesso! Id est: Qui (fra i napoletani) non v'è alcuno stupido! BRAK

VARIE 17/115

1.DICETTE FRATE EVARISTO: "PE MMO, PIGLIATE CHISTO!" Ad litteram: disse frate Evaristo: Per adesso, prénditi questo!"Il proverbio viene usato a mo' di monito, quando si voglia rammentare a qualcuno, che si stia eccessivamente gloriando di una sua piccola vittoria, che per raggiungerla à dovuto comunque sopportare qualche infamante danno. Il frate del proverbio fu tentato dal demonio, che per indurlo al peccato assunse l'aspetto di una procace ragazza discinta; il frate si lasciò tentare e partì all'assalto delle grazie della ragazza che - nel momento culminante della tenzone amorosa riprese le sembianze del demonio e principiò a prendersi giuoco del frate, che invece portando a compimento l'operazione sodomitica iniziata pronunciò la frase in epigrafe. 2.DICETTE MUNZIGNORE Ô CUCCHIERE: "VA' CHIANO , CA VACO 'E PRESSA!" Disse il monsignore al suo cocchiere: "Va' piano, ché ò premura!" Ossia: la fretta è una cattiva consigliera da cui guardarsi evitando di servirsene anche quando occorra far presto; chi si affretta spesso sbaglia per precipitazione ed è costretto a cominciare da capo l’intrapreso con ulteriore perdita di tempo. Il proverbio in esame non fa che rappresentare icasticamente il concetto espresso nell’antico motto latino: Festina lente (Affrettati lentamente!). 3.DICETTE NUNZIATA: NCE PONNO CCHIÚ LL'UOCCHIE CA 'E SCUPPETTATE! Letteralmente: Disse Nunziata: Ànno piú potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, piú difficile sfuggire alla jettatura. 4.DICETTE 'O MIEDECO 'E NOLA: CHESTA È 'A RICETTA E CA DDIO T''A MANNA BBONA... Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi. 5.DICETTE 'O PAGLIETTA: A TTUORTO O A RRAGGIONE, 'A CCA À DDA ASCÍ 'A ZUPPA E 'O PESONE. Ad litteram: disse l'avvocatucolo: si abbia torto o ragione, di qui devon scaturire il pasto e la pigione; id est: non importa se la causa sarà vinta o persa, è giusto assumerne il patrocinio che procurerà il danaro utile al sostentamento e al pagamento del fitto di casa. Oggi il proverbio è usato quando ci si imbarchi in un'operazione qualsiasi senza attendersene esiti positivi, purché sia ben remunerata. BRAK

VARIE 17/114

1.DICETTE ‘O PAPPICE VICINO Â NOCE: "DAMME ‘O TIEMPO CA TE SPERTOSO!" Disse il tonchio alla noce "dammi il tempo che ti foro".Anche chi non sia dotato di molta prestanza fisica può ottenere – con il tempo e l’applicazione – i risultati sperati. 2.DICETTE 'A SIÉ CHICHIERCHIA: 'A PRURENZIA NUNN’ È MMAJE SUPERCHIA! Disse la signora Chichierchia: la prudenza non è mai eccessiva Id est: è buona norma usare sempre molta prudenza. Con il termine chichierchia , normalmente,nell’idioma napoletano (con etimo da un acc.vo latino cicercula(m) dim.vo di cicer) si identifica la cicerchia, povero, ma gustoso legume cosí povero da essere usato spesso quale mangime del bestiame; qui se ne è fatto, per rimare con la parola superchia, un nome proprio e lo si è assegnato ad una fantomatica signora sulla cui bocca è posto il wellerismo. prudenzia s.vo f.le astr. = prudenza Dal lat. prudentia(m), deriv. di prudens -entis 'prudente'; del latino la voce napoletana conserva piú acconciamente rispetto alla corrispondente voce italiana, la i etimologica della sillaba finale; superchia agg. femm. metafonetico del masch. supierchio = eccessivo, eccedente con etimo dal lat. *superculum; rammenterò che il masch. supierchio diventa neutro nella forma ‘o ssupierchio usato per indicare tutto ciò che eccede o sopravanza. sié = signora forma apocopata, (ma accentata per indicare l’esatta pronuncia) di una ricostruita voce francese femminilizzata e metatetica da seigneur→ sei-gneuse→sie(gneuse). 3.DICETTE CHILLO: ‘E CUNTE A LLUONGO ADDEVENTANO SIERPE Disse un tale i conti protratti nel tempo, cioè non saldati rapidamente diventano (pericolosi )come serpenti Id est: sono da evitare debiti a lunga scadenza. 4.DICETTE CHILLO: NUNN’ È ‘A MERCE CA NUN CE AGGÚSTA , MA È ‘A MUNETA CA NUN CE ABBASTA Disse un tale: non è la merce che non ci piace, è il danaro che è insufficiente Id est: il vero problema non è il gusto, ma la penuria di mezzi. 5.DICETTE DON CRISPINO Â SIÉ CUMMARA: CHI PRATTECA SE ‘MPARA La pratica val piú della grammatica… BRAK

VARIE 17/113

1.DICETTE ‘A VECCHIA: SI NUN TE PONNO ARRUBBÀ ‘A CARNE ‘A COPP’ Ô FFUOCO, T’’A FANNO ABBRUSCIÀ Disse la vecchia: Se non possono rubarti la carne dal fuoco, te la faranno bruciare Id est: Gli invidiosi, non riuscendo a sottrarti ciò che ài, possono talvolta rovinartene il godimento. 2.DICETTE ‘A VIPERA ‘NFACCI’ Ô VOJO : PURE SI M'ACCIRE SEMPE CURNUTO RUMMANE! Ad litteram: disse la vipera al bue: anche se mi uccidi comunque rimani provvisto di corna. Id est: Tu bue potrai anche uccidermi, ma resterai comunque macchiato dal fatto d’esser cornuto, cioè tradito (da quella vacca della tua compagna!). Antica, desueta espressione a carattere proverbiale che in maniera icastica fotografa una deplorevole situazione nella quale si vedono messi l’un contro l’altro un soggetto piccolo, inferiore sia fisicamente che socialmente inutile e pericoloso (rappresentato dalla vipera) opposto ad un soggetto piú grosso, piú valente, piú utile, superiore sia fisicamente che socialmente (rappresentato dal bue), situazione nella quale il soggetto inferiore presso ad essere travolto da quello superiore se ne vendica rammentandogli che in ogni caso il fatto che esso sia piú grosso e piú valente non lo salva dal fatto di esser provvisto di corna, ovverosia di essere stato tradito. Magra vendetta atteso che finire tra le zampe d’un bue ed esserne schiacciato è ben peggiore che l’essere tradito dalla propria compagna! Solo alla morte non v’è rimedio! 3.DICETTE ‘NU SAPUTO: NUN C’È PPEJO ‘E ‘NU CAFONE RESAGLIUTO. Disse un uomo di vaste conoscenze,cioè pratico della vita : Non c’è peggior cosa di un villano arricchito. 4.DICETTE ‘O CAFONE: ‘NA VOTA SOLA ME PUÓ FÀ FESSO Disse il villano: Una sola volta potrai imbrogliarmi Poi mi farò furbo e non ci riuscirai piú. 5.DICETTE ‘O CANZIRRO Ô CAVALLO: CUMPAGNÓ T’ASPETTO ‘NFACCI’ Â SAGLIUTA. Disse il mulo al cavallo (che nel piano, faceva il gradasso): Compagno ti attendo (cioè: voglio vedere cosa saprai fare) al momento della salita(di solito agevole per un mulo, ma non per un cavallo). I gradassi ed i supponenti perdono la loro sicumera nei momenti difficili. BRAK

VARIE 17/112

1.DICERE 'A MESSA CU 'O TEZZONE. Celebrare la messa con un tizzone ardente(in mancanza di ceri...)Id est: quando c'è un dovere da compiere, bisogna farlo quale che siano le condizioni in cui ci si trovi, adattandosi alle circostanze. La locuzione è usata altresí a sapido e divertito commento di situazioni in cui regni l’inopia piú grande come quella di un mitico don Paolino, povero curato costretto a celebrar messa illuminando l’altare con un economico tizzone ardente e non con i previsti costosi ceri che non poteva acquistare. 2.DICERE VONGOLE variante DICERE SCAROLE. Profferire sciocchezze, parlare commettendo strafalcioni logici e/o grammaticali; oggi piú semplicemente s'usa dire: dicere fessarie (dire stupidate)ma tutte le espressioni, sia quelle in epigrafe, che quella or ora richiamata ànno tutte la medesima origine atteso che sia il richiamo ittico (vongole voce napoletana trasmigrata nel toscano, etimologicamente è dal latino conchula diminutivo di concha=conchiglia) che quello ortofrutticolo (scarole: altra voce napoletana trasmigrata nel toscano con derivazione dal latino scarìola da escarius= commestibile) si riallacciano all'organo sessuale femminile (oggi pi ú comunemente detto.fessa( part. pass. del verbo latino findere) da cui fessaria= sciocchezza, stupidata) ma che un tempo fu chiamato alternativamente vongola o scarola ed altro come dirò alibi. 3.DICETTE ‘A FIGLIOLA QUANN’’O VEDETTE : “’AZZÓ, E CCHE BBELLU CAPITONE SENZA RECCHIE!” La ragazza che lo vide (la prima volta)disse: “Accidenti che bel capitone privo d’orecchie!” Espressione icastica e furbesca che però non à alcuno intento né proverbiale, né didascalico come invece molte delle locuzioni popolari napoletane. Questa si limita a riportare un salace accostamento messo sulla bocca di un’ignota ragazza che vedendo la prima volta un membro maschile in erezione lo paragonò ad un capitone, cioè alla famosa anguilla femmina di grosse dimensioni, pregiata per le sue carni, che è cibo tradizionale delle feste di Natale, ma precisò che si trattava di un capitone privo d’orecchie; in effetti il capitone e cioè la grossa anguilla femmina, regina delle napoletane tavole di magro della vigilia di Natale, allorché viene ammannito arrostito alla brace, in carpione, in umido, all’agro o fritto à una morfologia particolare e la sua grossa testa appare fornita di due minuscole appendici laterali traslucide, volgarmente détte orecchie ; rammento che la voce capitone etimologicamente è dall’accusativo latino capitone(m) da capito/onis collaterale di caput/tis in quanto oltre il corpo à una testa molto pronunciata; rammenterò che nelle tombole familiari quando si estraesse il num. 32 chi lo estraeva annunciava trionfante: trentaroje ‘o capitone!,ma súbito chiosava: cu ‘e rrecchie volendo significare che si intendeva riferire proprio alla grossa anguilla provvista ai lati del capo di due piccole, trasparenti appendici ritenute orecchie, e non intendeva, col dire capitone, riferirsi ad altro furbesco richiamo non ittico, di appendice maschile spesso ricordata con la voce: ‘o capitone senza recchie (il capitone privo d’orecchie). ‘Azzó! esclamazione costituita attraverso l’uso aferizzato e con spostamento d’accento sulla seconda sillaba(per marcarne il tono esclamativo) del s.vo cazzo→’azzo→’azzó ; come ò già ricordato (cfr. alibi) il s.vo cazzo è usato come inter., come in questo caso, per esprimere stupore, ira, dispetto e sim. Talora ed alibi sempre come esclamazione si usa la morfologia ‘azze!, ma trovo piú corposo e forse eufemistico l’uso di ‘azzó! Etimologicamente da una voce gergale marinaresca greca akatiòn→(a)katiòn→cazzo= albero della nave. 4.DICETTE ‘A GOLPA: QUANNO GALLINE E CQUANNO SCARRAFUNE Disse la volpe: talvolta (mangerò) galline, talvolta scarafaggi. Id est: non sempre si può ottenere il meglio, spesso occorre accontentarsi di ciò che càpita. 5.DICETTE ‘A SIÉ NUNZIATA: CE PONNO CCHIÚ LL'UOCCHIE CA 'E SCUPPETTATE! Letteralmente: Disse la signora Nunziata: Ànno piú potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, piú difficile sfuggire alla iettatura ed ai suoi deleterei effetti! BRAK

sabato 28 gennaio 2017

VARIE 17/111

1.DDIO NCE LIBBERA DÊ SIGNALATE. Letteralmente: Dio ci liberi dai segnati. Id est: Il Cielo ci liberi dalle persone segnate da un difetto fisico ché son coloro che, magari per acrimonia o per un senso di rivalsa verso il mondo, son pronti a commettere, in danno del prossimo, azioni riprovevoli. La locuzione partenopea ripiglia ad un dipresso l'antico motto latino: Cave a signatis!(attenti ai segnati). 2.DDIO NE VO’ ‘O CORE. Letteralmente Dio ne vuole il cuore; id est: Dio ne desidera l’anima; détto di cosa o persona cosí malmessa, malridotta, consunta o acciaccata da preconizzarsene l’approssimarsi della fine cioè del momento di rendere [non solo figuratamente, ma anche realmente] l’anima al Creatore. 3.DDOJE FEMMENE E 'NA PAPERA ARREVUTAJENO NAPULE. alibi anche ‘NA FEMMENA E 'NA PAPERA ARREVUTAJENO NAPULE. Ad litteram: Due donne ed un'oca misero a soqquadro Napoli. Alibi anche: Una donna ed un’oca misero a soqquadro Napoli Uno dei consueti motti antimuliebri (presentato in duplice versione di cui la seconda molto piú sarcastica) dell' antica cultura partenopea, motto nel quale si pogono in ridicolo le donne ritenute cosí eccessivamente rumorose e/o ciarliere al segno che bastano due donne o addirittura una sola donna ed una starnazzante oca per scatenare un putiferio che può giungere addirittura a coinvolgere un'intera città.Non dimentichiamo che le starnazzanti oche (qui papere) del Campidoglio difesero la città di Roma quando nel 390 a.C. [ o per alcuni, nel 387 a.C.] con il loro starnazzare destarono il valoroso Marco Manlio che lanciò l’allarme come rammentato nell’episodio dell’assedio della città da parte dei Galli comandati da Brenno; nè è dato sapere con certezza, anche se è ipotizzabile, se le oche sacre a Giunone fossero governate da donne che gridando si unirono alle oche. 4.DENARO 'E STOLA, SCIOSCIA CA VOLA. Ad litteram: denaro di stola, soffia che vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso e ciò perché nel malevolo inteso comune un sacerdote che faccia un dono o lasci beni in eredità, lo fa sempre accompagnandoli da maledizioni... 5.DICE BBUONO 'O DITTO 'E VASCIO QUANNO PARLA DELLA DONNA: UNA BBONA CE NE STEVA E 'A FACETTENO MADONNA... Ben dice il detto terrestre allorché parla della donna: ce n'era una sola che era buona ma la fecero Madonna... Id est: La donna è un essere inaffidabile - La quartina, violentemente misogina è tratta dal poemetto 'MPARAVISO del grande poeta Ferdinando Russo. BRAK

VARIE 17/110

1.DÀ 'NCOPP' Ê RECCHIE. Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, anche solo metaforicamente sulle orecchie per fargliele abbassare. 2.DÀ ZIZZA ('E VACCA) PE TARANTIELLO. Letteralmente: dar mammella (di mucca) per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantello è un pezzo di carne dato come aggiunta a della carne piú pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia invece indicare il pregiato salume ricavato dalla pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno.In ogni caso si tratta di un imbroglio reale o figurato. La voce zizza, tetta, mammella d’essere umano o bestia, viene per adattamento dall’ accusativo tardo latino *titta(m)= capezzolo attraverso una forma aggettivale tittja(m) dove il ttj intervocalico diede zz che influenzò anche la sillaba d’avvio ti→zi. La voce tarantiello in ambedue le accezioni è un denominale (diminutivo) di Taranto la città pugliese dove si produce il pregiato salume ricavato dalla pancetta di tonno. 3.DÀ ZIZZA PE GGHIONTA. Letteralmente: dar carne di mammella per aggiunta di derrata, un di piú generosamente concesso, ma trattandosi di vile mammella la concessione non è poi veramente positiva e tutta l'espressione è da intendere in senso ironico ed antifrastico equivalente ad accrescere un danno, conciar male qualcuno, cagionandogli ulteriori danni. 4.DALLE E DALLE ‘O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO. Letteralmente: Dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male come a cogliere zucchine continuamente, della pianta non ne restano che le foglie. Il tallo è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata della zucchina che già di suo non è molto saporita. cucuzziello s.vo m.le tallo s.vo m.le in generale complesso dellefoglie degli ortaggi, corpo delle piante inferiori, non differenziato in radice, fusto e foglie, germoglio,talea qui segnatamente della pianta di zucchine; voce dal lat. thallu(m), dal gr. thallós 'germoglio', deriv. di thállein 'fiorire'. 5.DARSE 'E PIZZECHE 'NCOPP' Â PANZA. Letteralmente: darsi pizzichi sulla pancia. Id est: sopportare, rassegnarsi, far buon viso a cattivo gioco. E' il consiglio che si dà a chi ad una contrarietà sarebbe pronto a render la pariglia ed invece gli si consiglia di sopportare assestandosi dei pizzichi sulla pancia quasi che il dolore fisico che ne deriva servisse a lenire quello morale, in nome del quale ci si sentirebbe pronto a scatenare una guerra! BRAK

VARIE 17/109

1.CURAGGIO NE TÈNE, MA È ‘A PAURA CA ‘O FOTTE. Ad litteram: à coraggio, ma la paura lo sconfigge. Ironica locuzione usata per deridere chi, a parole, si dichiari coraggioso, ma poi all’atto pratico si dimostri codardo, pauroso, pavido, timoroso, vigliacco, vile. 2.CURNUTO E MMAZZIATO Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú icastica e cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse. curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta 1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni 2 (lett.) che à forma di corno o di corna. 3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge; quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno' mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastonr, randello; sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto) etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo; piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora etimologicamente da un lat. volg. *pĕcoru(m)→piecoro; nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci; murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola; voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva. Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la piú cruda curnuto e scannato. 3.CURONA LÒNGA, CUSCIENZIA SPORCA. Corona lunga, coscienza sporca Id est: chi prega molto ed a lungo à molti peccati da farsi perdonare. 4.CUSCIENZIA E DDENARE VA SAPENNO CHI ‘E TTÈNE. Coscienza e danaro non si sa bene chi ne abbia è quasi impossibile venire a sapere le reali disponibilità morali e finanziarie di una persona; in genere infatti si è restii a far conoscere la propria buona situazione economica, ma anche la propria buona disposizione d’animo a far del bene.E ciò per non essere importunati con richieste di aiuti materiali o morali.Per ciò che riguarda la coscienza il proverbio poi ammonisce a non dar credito alle apparenze; chi è veramente e non apparentemente buono deve mostrarlo con le opere, non con le chiacchiere! 5.D’ ’E DENARE D’ ’O CARUCCHIARO SE NE VEDE BBENE ‘O SCIAMPAGNONE Del danaro (messo da parte e lasciato in eredità) dall’avaro, ne gode(l’erede) scialacquatore. Icastica espressione che fotografa una realtà incontrovertibile quella cioé che un soggetto parsimonioso, risparmiatore, economo, parco, misurato,semplice, sobrio, frugale per non dire avaro, il piú delle volte à come erede e beneficiario delle fortune accantonate uno sciupone, sprecone, spendaccione, dissipatore che provvederà a dilapidare i beni accumulati dal suo dante causa. Estensivamente l’espressione si attaglia a tutte quelle situazioni in cui esista un soggetto prudente, lungimirante, avveduto, cauto, accorto, sagace, preveggente che veda le sue fatiche rese vane dal comportamento imprevidente, imprudente, avventato, sconsiderato, incauto, malaccorto d’un suo collaboratore, sodale, amico, figlio o parente. carucchiaro/a agg.vo e s.vo m.le o f.le = tirchio/a, spilorcio/a, taccagno/a,avaro/a, pitocco/a; voce etimologicamente deverbale di un lat. parlato carrucchiare<*conrotulare = avvolgere in rotolo monete aure; all’ agg.vo/s.vo esaminato è estranea, in quanto semanticamente incollegabile [checché ne dica qualche supponente addetto ai lavori] la voce carocchia s.vo f.le che di per sé è il nocchino,un piccolo colpo secco, ma doloroso assestato al capo e portato con movimento veloce dall’alto verso il basso con le nocche maggiori delle dita della mano serrata a pugno, cosa inconferente con l’avaro; la voce carocchia etimologicamente non è dal lat. crotalum che indica la nacchera, strumento musicale e non tipo di percossa…,ma dal greco karà=testa attraverso un lat. regionale *caròclu(m) ed il plurale reso femm. caròcla (tipica la mutazione cl in ch come in clausu(m) che diventa chiuso). sciampagnone/a agg.vo e s.vo m.le o f.le generoso/a, prodigo/a, munifico/a; spendaccione/a sciupone/a, sprecone/a, spendaccione/a, dissipatore/trice. BRAK

VARIE 17/108

1.CUMMÒGLIAME ‘STU PIETTO CA ‘STU CULO ME STA SCUPIERTO Coprimi il petto poiché ò il sedere scoperto.... Espressione sarcastica messa sulla bocca di una donna svampita ed irrazionale che benché iperbolicamente inceda con il fondoschiena scoperto chiede che le si copra il seno. Con la medesima espressione si commenta ironicamente il comportamento irragionevole di chiunque sciocco , presuntuoso e sprovveduto invece di occuparsi in maniera corretta conseguente e logica di un bisogno (non rendendosi conto delle reali necessità derivanti da una situazione in corso d’opera) attende a problemi succedanei o incongruenti con il bisogno de quo. pietto s.vo m.le = petto, le mammelle della donna, il seno, la parte anteriore del tronco umano, compresa tra il collo e l'addome; voce dal lat. pectŭ(s) con dittongazione della e intesa breve ed assimilazione regressiva ct→tt; scupierto part. pass. aggettivato dell’infinito scuprí = scoprire, denudare, mostrare, esporre ( dal lat.s (distrattiva) +cooperire, comp. di cum 'con' e operire 'coprire, occultare'. 2.CUNSIGLIO 'E VORPE, RAMMAGGIO 'E GALLINE. Lett.: consiglio di volpi, danno di galline. Id est: Quando confabulano furbi o maleintenzionati, ne deriva certamente un danno per i piú sciocchi o piú buoni. Per traslato: se parlottano tra di loro i superiori, gli inferiori ne subiranno le conseguenze. Il termine rammaggio, rotacizzazione del pi ú classico dammaggio, indica nell’idioma partenopeo il danno patito ed arrecato sia in senso materiale che morale. Per ciò che attiene la sua etimologia, una superficiale ipotesi fa risalire il termine al francese dommage di identico significato E sarebbe ipotesi accettabile se il vocabolo appartenesse alla schiera di vocaboli mutuati dal francese durante la dominazione murattiana..., ma poiché la parola dammaggio esiste già nel Cortese, nello Sgruttendio e nel Basile - scrittori operanti alcuni secoli prima della dominazione indicata, ecco che l’ipotesi è da scartare e bisogna accettare quella che pi ú verosimilmente fa risalire il vocabolo ad un termine del latino parlato e cioè a damnajjum a sua volta derivante da damnum con il suffisso ajjo di carattere rustico di contro al classico aeus come avvenuto anche per scarafaggio - scarabeo. Nel termine damnajjum si è poi verificata la consueta assimilazione regressiva della enne con la antecedente emme e si è avuto dammaggio.Ed è questa l’ipotesi che storicamente è da ritenersi pi ú vicina alla realtà, salvo prova contraria... 3.CÚNTATE SEMPE ‘E SORDE, PURE QUANNO ‘E TTRUOVE. Cóntati sempre il danaro, anche quando lo dovessi trovare Id est: l’attenzione e la precisione son sempre opportune anche quando parrebbero non necessitare. 4.CUORPO DESIDERUSO NUN SE SAZZIA MAJE. Corpo aduso a desiderare sempre non si sazierà mai. Chi desidera sempre qualcosa, anche se l’ottiene non ne resta soddisfatto ed avidamente ed ingordamente vuole altro ancóra. 5.CUORPO SAZZIO NUN DESIDERA NIENTE. Chi à tutto non desidera niente. E ciò accade, perché chi à già ottenuto tutto non à altro da chiedere o sperare. BRAK

VARIE 17/107

1.CU ‘O TIEMPO E CU ‘A PAGLIA (S’AMMATURANO ‘E NESPOLE)! Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole fuori parentesi vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o nespole coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e saporiti. 2.CU CCHESTU LIGNAMMO SE FANNO ‘E STRUMMOLE id est: con questo legno si fanno le trottoline; questo modo di dire à una doppia significazione: A – È con questo legno, non con altro, che si fanno le trottoline...ovvero : ciò che volevate io facessi,andava fatta nel modo con cui la ò eseguita... B – Con il legno che mi state conferendo si fanno trottoline, non chiedetemi altri manufatti; cioè: se non avrete ciò che vi aspettavate da me , sarà perché mi avrete dato materiali inadatti allo scopo, , non per mia inettitudine o incapacità. Prima di accennare all’etimologia, ricordiamo ancora che uno strúmmolo costruito male per cui gira per poco tempo e crolla in terra risultante perditore era detto per dileggio: strúmmolo scacato. Nel giuoco dello strúmmolo il maggior rischio che correva il perdente tra due contendenti era quello di vedersi scugnare (e per incidens, rammenterò che da tale verbo deriva la parola scugnizzo) il proprio strúmmolo da quello del vincitore che lanciava il proprio strúmmolo violentemente contro quello dell’avversario tentando di sbreccarlo con la punta acuminata del proprio strúmmolo , se non addirittura di spaccare la trottolina del perditore. Pacifica la etimologia dello strúmmolo protagonista di un gioco addirittura greco se non antecedente e greca è l’etimologia della parola che viene dritto per dritto dal greco strómbos che in primis indicò la grossa conchiglia di un mollusco gasteropodo dei mari caldi con conchiglia a spira ripetuta nel disegno delle scanalature della trottolina; lo strómbos greco trasmigrato nel latino fu stròmbus da cui con consueta assimilazione progressiva mb→mm si arrivò a strummus donde con il suffisso diminutivo olus,si ottiene strúmmolo con il suo esatto significato di trottolina.Rammento che il s.vo sg. strummolo è maschile, ma à un doppio plurale: l’uno m.le strummoli (usato ovviamente per indicare piú trottoline) l’altro f.le metafonetico strommole (usato sia per indicare piú trottoline e segnatamente nella locuzione a spaccastrommole sia per indicare per traslato divertito delle sesquipedali fandonie, delle sciocchezze madornali quali sono delle insulse parole o affermazioni appaiabili ad un giuoco come giuoco è lo strummolo. 3.CU LL'EVERA MOLLA, OGNUNO S'ANNETTA 'O CULO. Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione , anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati 4.CU MMUONECE,FEMMENE, PRIEVETE E CCANE, HÊ 'A STÀ SEMPE CU 'A MAZZA 'MMANO. Con monaci,donne, preti e cani devi tener sempre un bastone fra le mani. Id est: ti devi sempre difendere: da monaci e preti per le richieste di oboli,dalle donne per non essere oppressi con analoghe richieste di danaro,o con pretese comportamentali, dai cani per non essere morsicati. Non mette conto soffermarsi sul tipico comportasmente aggressivo mulibre, ma è giusto rammentare che un tempo abbondavano i monaci cercanti ed i preti petenti, né mancavano torme di cani randagi che spesso li accompagnavano e dai quali, armati di bastoni occorreva difendersi ricorrendo alle maniere sbrigative. 5.CU 'NU SÍ TE 'MPICCE E CU 'NU NO TE SPICCE. Letteralmente: dicendo di sí ti impicci, dicendo no ti sbrighi. La locuzione contiene il consiglio, desunto dalla esperienza, di non acconsentire sempre, perché chi acconsente, spesso poi si trova nei pasticci... molto meglio, dunque, è il rifiutare, che può evitare fastidi prossimi o remoti. BRAK

venerdì 27 gennaio 2017

varie 17/106

1.COPPOLA Ê DENOCCHIE! Ad litteram: coppola alle ginocchia È questo il modo piú cogente per suggerire il saluto piú deferente possibile, consistente nel cavarsi di testa il berretto e portarlo con ampio gesto ossequioso all’altezza delle ginocchia, da rivolgere ad un’autorità o un uomo o donna da rispettare. Preciso qui che taluno erroneamente non lègge l’ ê della locuzione come contrazione di a + ‘e cioè alle, bensí la lègge - errando- come congiunzione E e stravolge il significato della locuzione facendola diventare in Luogo del corretto coppola alle ginocchia, lo scorretto coppola e ginocchia, quasi che il saluto dovesse consistere in un cavarsi il berretto e piegare le ginocchia, cosa invero assurda, essendo il napoletano aduso ad inginocchiarsi solo innanzi ad oggetti di culto. 2.COPPOLA PE CCAPPIELLO E CCASA A SSANT'ANIELLO. Ad litteram: Berretto per cappello, ma casa a sant'Aniello (a Caponapoli). Id est: vestirsi anche miseramente, ma prendere alloggio in una zona salubre ed ariosa, poiché la salute viene prima dell'eleganza, ed il danaro va speso per star bene in salute, non per agghindarsi. 3.CORE CUNTENTO Â LOGGIA. Ad litteram: Cuor contento alla Loggia. Cosí a Napoli si suole appellare chi si dimostri sempre allegro, spensierato, buontempone al segno d’apparire di non aver mai pensieri di sorta che possano preoccuparlo , ma di vivere piuttosto sempre pacioso e beato fino a meritarsi l’appellativo in epigrafe, il medesimo che temporibus illis si meritò lo scrittore nolano Michele Somma (Nola1776-†ivi1835), che pubblicò agli inizi del 1800 una raccolta amena e faceta di cento racconti; lo scrittore tenne studio in Napoli in piazza Larga agli Orefici, nei pressi della Loggia de’ Genovesi dove la colonia degli abitanti di Genova, residenti in Napoli si autoamministrava . 4.CU ‘O CAVALLO ‘O SPRONE, CU ‘A MUGLIERA ‘O BASTONE. Con il cavallo (occorre) lo sperone, con la moglie il bastone Id est: sia con la bestia che con la moglie, per ottenere qualcosa, occorre usare le maniere forti. 5.CU ‘O FURASTIERO ‘A FRUSTA E CU ‘O PAISANO ARRUSTO Ad litteram: con il forestiero occorre usare la frusta (per scacciarlo)mentre con il compaesano bisogna servirlo di adeguato sostentamento, proverbio che viene di lontano ed è attualissimo, quantunque proverbio un po’ strano per la filosofia comportamentale del popolo napoletano,abituato da sempre ad accogliere chicchessia e per solito ligio ai precetti divini del soccorso e dell’aiuto fraterno anche verso gli stranieri. Furastiero s.vo ed agg.vo m.le= che, chi proviene da un altro paese; voce che è dal fr. ant. forestier, deriv. del lat. foris 'fuori'; paisano s.vo ed agg.vo m.le =1 abitante di paese (talora con sfumatura spreg.) 2 e qui compaesano; voce derivata del sost. paese (che a sua volta è dal lat. *pagensis agg.vo, der. di pagus «villaggio») con l’aggiunta del suff. di appartenenza aneus→ano. BRAK

varie 17/105

1.CHISTO È N'ATO D''A PASTA FINA. Letteralmente: Costui è un altro della pasta fine. Id est: anche questo fa parte di un gruppo di brutti ceffi, di cui diffidare. La locuzione nacque allorché, alla fine del '800, in Napoli alcuni comorristi erano soliti riunirsi in una bettola tenuta da un tal Pastafina. Lètta tenendo presente questa annotazione, la locuzione assume una sua valenza di grande offesa. 2.COMME ‘A VIDE ACCUSSÍ ‘A SCRIVE Ad litteram: come la vedi cosí l’annoti. Id est: (Della persona o cosa di cui stiamo trattando non v’è altro da annotare oltre il modo con cui si presenta).Originariamente la locuzione si riferiva alla promessa sposa di cui al momento di scrivere i capitoli del contratto di matrimonio, non si poteva annotare alcuna dote pecuniaria, ma solo l’avvenente illibatezza di cui era palesemente fornita; in seguito la locuzione passò a significare che di qualsiasi cosa si trattasse non bisognava andare oltre ciò che apparisse ad un primo esame. 3.COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VENE PE MMO. Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, Pasqua è ancóra lontana. Id est: : se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli e con il ricavato celebrare solennemente la pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí il ladruncolo. Cucozza sv.vo f.le = zucca,pianta erbacea annua con larghe foglie pelose, fiori campanulati gialli, frutti commestibili di forma e dimensioni diverse secondo le varietà (fam. Cucurbitacee) | zucca barucca, varietà di zucca bitorzoluta che si cuoce al forno e si mangia a fette | semi di zucca, brustolini | fiori di zucca, vivanda costituita dai fiori della zucca,meglio della zucchina, fritti dopo essere stati immersi in una pastella di uova e farina. DIM. zucchina, zucchino (m.), zucchetto (m.), zucchettino (m.) 2 (estens.) il frutto commestibile della zucca: zucca fritta; minestrone con la zucca 3 (fig. scherz.) la testa: ( etimologicamentela voce napoletana cucozza nonché il suo diminutivo cucuzziello/pl. cucuzzielle è una diretta derivazione dall’acc. tardo latino cucutia(m), mentre la voce italiana zucca è derivata dal medesimo tardo lat. cucutia(m), con metatesi e aferesi della sillaba iniziale; con raddoppiamento espressivo della c cucutia(m)→(cu)cutiaca(m)→ziacca→zucca. 4.COMME PAGAZZIO, ACCUSSÍ PITTAZZIO Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata da F.A.S. GRUE: Francesco Antonio Saverio (1686-†1746), figlio di Carlantonio, che preferí la pittura di figure, famosissimo artista appartenente alla famiglia Grue, famiglia di ceramisti di Castelli (Teramo). Il caposcuola fu Carlantonio (1655-†1723), figlio di Francesco Antonio, che seppe dare nuovi colori alle decorazioni delle sue ceramiche con storie sacre e profane derivate da modelli dell'arte bolognese e della scuola napoletana contemporanea. Francesco Antonio Saverio fu noto per i suoi vasi di maiolica, e come détto riportò la frase in epigrafe su di un’antica albarella détta di san Brunone. 5.COMME SÎ BBONA, COMME SÎ BBELLA, I 'A SPICULA S'AMMUCCAJE Â SARDELLA Letteralmente Come sei buona, come sei bella e la sigola divorò la sardina. Icastica, antica espressione ancóra in uso, di tipo proverbiale se non addirittura didascalico. In effetti l’espressione viene pronunciata ad ammonimento dei piú giovani che da sprovveduti si fidano troppo delle apparenze e prendono per sincere le blandizie dei furbi che invece con i loro comportamenti falsi, finti, ipocriti, inattendibili, infidi, ingannevoli, illusori ànno mire ben diverse da quelle che mettono in mostra; nella fattispecie la grossa vorace spigola tenendo un atteggiamento ricco di allettamento, smanceria, adulazione mira a conquistare la fiducia della piccola sardina per poi divorarla; è buona norma dunque, trasportando l’esempio nella vita quotidiana, che i piú giovani, meno esperti e piú sprovveduti, per non restare vittime della loro stessa inesperienza, credulità, ingenuità, semplicità non facciano affidamento sulle carezze, lusinghe, moine dei piú vecchi che ànno maggiore esperienza della vita e son pronti egoisticamente a ricavarne il maggior utile possibile! BRAK

varie 17/104

1.CHIJARSELA A LIBBRETTA. Letteralmente: piegarsela a libretto. E' il modo piú comodo dper consumare una pizza, quando non si può farlo comodamente seduti al tavolo e si è costretti a farlo in piedi. Si procede alla piegatura in quattro parti della pietanza circolare che assume quasi la forma di un piccolo libro e si può mangiarla riducendo al minimo il pericolo di imbrattarsi di condimento. Id est: obtorto collo, per necessità far buon viso a cattivo gioco. 2.CHILLO SE METTE 'E DDETE 'NCULO E NNE CACCIA 'ANIELLE. Ad litteram: Quello si mette le dita nel culo e ne tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili. 3.CHILLO T’À FATTO ‘NCAPO! Ad litteram. Colui ti à defecato in testa! Antica icastica locuzione usata a dileggio di chi mostri di avere predilezioni o preferenze, spesso immotivate, nei riguardi di qualcuno e lo si accusa di ciò quasi attribuendogli la capacità di sopportare da parte del prediletto qualsiasi oltraggio, vilipendio, ingiuria, offesa, al segno di tollerare perdonandogli persino l’oltraggio gravissimo d’esser defecato in testa! 4.CHISTO È ‘NA GALLETTA CA NUN SE SPOGNA! Ad litteram: Costui è una galletta che non si (riesce a) spugnare. Icastica espressione partenopea usata sarcasticamente nei confronti di qualcuno che sia cosí tanto avaro o cosí tanto restio a conferire la propria opera da poter esser messo a paragone ad una galletta (dal francese galette, deriv. di galet, ant. gal 'ciottolo', per la forma e/o durezza) quel tipico pane biscottato, a forma di focaccia, conservabile per lunghissimo tempo, pane impastato con pochissimo lievito e perciò durissimo; tali gallette un tempo entrarono a far parte delle razioni alimentari dei soldati (fanti o marinai) ma pure delle delle riserve alimentari dei pescatori che le preferirono al pane giacché non ammuffivano e si conservavano per un tempo quasi indeterminato. Per potersene nutrire militari e pescatori usavano mettere a mollo in acqua di fonte o addirittura di mare...) le gallette fino a che, non se ne fossero ben bene imbibite, diventando morbidi ed edibili; tale operazione fu detta in napoletano spugnatura che come significato non corrisponde alla omofona ed omografa spugnatura della lingua italiana dove significa, quale deverbale di spugnare: (che è un denominale di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía) il bagnarsi, lo strofinarsi per mezzo di una spugna; in partic., lo spremere spugne imbevute di acqua o di liquidi medicamentosi su parti del corpo a scopo terapeutico; la spugnatura napoletana invece, quantunque pur essa derivata di spugna dal lat. spongia(m), dal gr. sponghía indica esattamente l’operazione di mettere a mollo in acqua o altro liquido (brodo) le gallette spezzettate per modo che si imbibiscano d’acqua, brodo etc. a mo’ di una spugna, ammorbidendosi; cosa che non si può dire del protagonista della locuzione in epigrafe, protagonista che è cosí duro di cuore e/o volontà che mai lo si riuscirebbe ad ammorbidire convincendolo ad allargare i cordoni della propria borsa o convincendolo a prestar la propria opera a pro di terzi. chisto = questo, costui ( dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo') agg.vo e qui pronome dimostrativo; come agg. dimostr. [precede sempre il sostantivo] indica persona o cosa vicina, nel tempo o nello spazio, a chi parla o indica persona o cosa di cui si sta parlando o anche vale simile, siffatto, di questo genere ( ad es. nun ascí cu chistu tiempo! = non sortire con un tempo simile!); come pron. dimostr. indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando; o ciò, la cosa di cui si parla; 5.CHISTO È CCHILLO CA TAGLIAIE 'A RECCHIA A MMARCO. Letteralmente: Questo è quello che recise l'orecchio a Marco. La locuzione è usata per indicare un attrezzo che abbia perduto le proprie precipue capacità di destinazione; segnatamente p. es. un coltello che abbia perduto il filo e non sia piú adatto a tagliare, come la tradizione vuole sia accaduto con il coltello con il quale Simon Pietro, nell'orto degli ulivi recise l'orecchio a Malco (corrotto in napoletano in Marco), servo del sommo sacerdote. BRAK

varie 17/103

1.CHIACCHIERE E TABBACCHERE 'E LIGNAMMO, Ô BBANCO NUN NE 'MPIGNAMMO. Letteralmente: chiacchiere e tabacchiere di legno non sono prese in pegno dal banco. Il banco in questione era il Monte dei Pegni sorto a Napoli nel 1539 per combattere la piaga dell'usura. Da esso prese vita il Banco di Napoli, fiore all'occhiello di tutta l'economia meridionale, Banco che è durato sino all'anno 2000 quando, a completamento dell'opera iniziata nel 1860 da Cavour e Garibaldi e da casa Savoia, non è stato fagocitato dal piemontese Istituto bancario San Paolo di Torino. La locuzione proclama la necessaria concretezza dei beni offerti in pegno, beni che non possono essere evanescenti come le parole o oggetti non preziosi. Per traslato l'espressione si usa nei confronti di chi vorrebbe offrirci in luogo di serie e conclamate azioni, improbabili e vacue promesse. 2.CHIAGNERE CU 'A ZIZZA 'MMOCCA... Piangere con la tetta in bocca - Cioè: piangere ingiustificatamente o a sproposito; détto di chi si lamenti sempre ingiustificatamente al solo fine di turlupinare il prossimo ottenendo aiuti o vantaggi immeritati. In tal senso s’usa anche affermare: ‘O PICCIO RENNE il est: il pianto rende, è produttivo! 3.CHIAITARSE QUACCOSA Ad litteram: Reclamare, richiedere (con insistenza) qualcosa,piatirla quasi lamentosamente, esigerla, pretenderla, ridomandarla, rivendicarla con accanimento, con petulanza, con pressione e sollecitazione quasi ricorrendo (per ottenerla) alla questione o al litigio.Il verbo chiaità[=rivendicare, richiedere] donde il riflessivo chiaitarse trova il suo etimo nel lat. placitàre attraverso un plagitare con caduta della “g” intervocaliva e sviluppo di una “j” di transito poi assorbita nella “i” donde plagitare→pla(g)itare→plajitare→plaitare→chiaità; normale nel napoletano e tipico l’ esito del digramma pl in chi (cfr. platea→chiazza - plumbeum→chiummo - pluere→chiovere – plattu-m→chiatto etc.);a sua volta plagitare è un denominale di plagitu-m←placitu-m= lite, litigio, vertenza che diede il napoletano chiajeto di pari significato. 4.CHIAMMÀ A SAN PAOLO PRIMMA ‘E VEDÉ ‘A SERPE Ad litteram: Invocare (la protezione di) san Paolo prima di scorgere un serpente (che possa nuocere). Con riferimento a chi, vigliacco o eccessivamente pauroso, prima dell’appalesarsi d’un pericolo si ponga in posizione difensiva chiamando addirittura in soccorso la protezione dei santi. Nella fattispecie l’apostolo Paolo è invocato quale protettore nel caso di incresciosi incontri con serpenti; e ciò perché pare che il suddetto apostolo durante il viaggio che lo condusse da Gerusalemme a Roma (dove essendo civis romanus subí il martirio della decapitazione e non quella della crocefissione riservata a gli schiavi ed a chi non avesse cittadinanza romana) subisse il morso d’una vipera ma ne restasse miracolosamente illeso. 5.CHIANU CHIANO 'E CCÒGLIO E SSENZA PRESSA, 'E VVENGO. Letteralmente: piano piano li raccolgo e senza affrettarmi li vendo. La locuzione sottolinea l'indolenza operativa di certuni, che non si affrettano mai nè nel loro incedere né nel portare a compimento alcunché. BRAK