martedì 30 giugno 2009

‘A STAGGIONA (l’estate)

‘A STAGGIONA (l’estate)
A prima vista potrebbe sembrare strano il fatto che la parlata napoletana renda il toscano estate con il termine staggione anzi staggiona (correttamente scritto con la doppia G, come del resto tutte le parole del napoletano che terminano in zione,gione parole che invece il toscano rende con la consonante scempia) riferendo cioè alla sola estate il generico termine stagione usato in toscano per indicare uno qualsiasi dei quattro periodi di tempo in cui si è soliti suddivider l’anno e cioè ciascuno dei quattro periodi, di tre mesi ognuno, in cui i solstizi e gli equinozi suddividono l'anno solare; se si esamina però un po’ piú attentamente dal punto di vista etimologico, la parola stagione (staggiona/e in napoletano) ci si renderà conto che il fatto non è affatto strano, anzi il napoletano nel definire staggiona la sola estate, si dimostra alquanto piú preciso della lingua toscana; vediamo infatti che la parola stagione è dal lat. statione(m), propr. 'luogo e/o tempo di sosta', con riferimento alle apparenti soste del sole agli equinozi e ai solstizi; dalla medesima statione(m) latina il napoletano trae la sua staggiona intesa come tempo di sosta e riposo e quale periodo piú adatto dell’estate per prendersi una sosta o un riposo della fatica?
Di per sé infatti la parola estate dal lat. aestate(m), che in origine significava calore bruciante, come aestus da collegarsi al greco aíthos= calore, non richiama alla mente che il solo caldo fastidioso, non la piacevole sosta del napoletano staggiona. A margine rammenterò i nomi napoletani delle quattro stagioni che sono
vierno s.vo m.le la stagione piú fredda dell'anno; nell'emisfero boreale inizia intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo; etimologicamente la voce napoletana è dal tardo lat. (hi)bernu(m) (tempus) 'stagione invernale', dall'agg. hibernus 'invernale';nel napoletano si è avuta la consueta dittongazione della ĕ con alternanza della b→v (cfr. barca→varca – bucca→vocca etc.);
primmavera s.vo f.le stagione intermedia fra l'inverno e l'estate; nell'emisfero boreale inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno, nell'emisfero australe inizia il 23 settembre e termina intorno al 21 dicembre ' etimologicamente la voce napoletana è dal lat. volg. *primavera(m), per il class. primo víre 'sul principio del verdeggiare (riferito alla prima fioritura di alberi e fiori); tipico nel napoletano il raddoppiamento espressivo della labiale;
autunno s.vo m.le stagione dell'anno compresa fra l'estate e l'inverno; nell'emisfero boreale inizia il 23 settembre e termina intorno al 21 dicembre; nell'emisfero australe inizia intorno al 21 marzo e termina intorno al 21 giugno: etimologicamente la voce napoletana è dal lat. autumnu(m) con assimilazione regressiva n→m.
staggiona/e s.vo f.le = estate: la stagione piú calda dell'anno; nell'emisfero boreale ha inizio intorno al 21 giugno e termina il 23 settembre; nell'emisfero australe ha inizio invece intorno al 21 dicembre e termina intorno al 21 marzo e ne ò già détto ad abundatiam.
Raffaele Bracale

CURNUTO E MAZZIATO

CURNUTO E MAZZIATO
Letteralmente: becco e percosso È il modo partenopeo molto piú icastico, di rendere l’italiano: il danno e la beffa prendendo a termine di paragone il povero ovino assurto a modello ed emblema del marito tradito, ma qui simbolo di chi, avuto un torto debba subire anche il dileggio. Altrove in maniera molto piú rappresentativa, ma cruda, piú estesamente si suole affermare ‘a sciorta d’’o piecoro: nascette curnuto e murette scannato id est: (è veramente amara) la sorte del becco che nacque cornuto e morí sgozzato; la medesima sorte cioè del marito tradito che oltre a sopportar il peso delle corna, spesso deve subire l’onta delle percosse.
curnuto/a agg.vo m.le o meno spesso f.le; talvolta è usato anche come sostantivo (volg.) persona cornuta
1 provvisto di corna: animale cornuto ' argomento cornuto, (fig.) il dilemma in quanto consiste di due proposizioni contrapposte, dette corni
2 (lett.) che à forma di corno o di corna.
3 (volg.) si dice di persona tradita dal proprio coniuge;
quanto all’etimo è dal lat. cornutu(m), deriv. di cornu 'corno'
mazziato/a agg.vo m.le o talvolta f.le : percosso, colpito, bastonato; viene maggiormente usato l’agg.vo maschile in quanto il femminile è usato come sostantivo per indicare una variata ed estesa serie di percosse; quanto all’etimo è un derivato de l lat. mattea = bastonr, randello;
sciorta s.vo f.le = sorte, destino anche, specialmente nell’esclamazioni buona fortuna o cattiva fortuna (cfr. ‘í che sciorta! = guarda che fortuna!(buona o cattiva a seconda del contesto) etimologicamente dal lat. sorte(m) con il solito passaggio della esse seguita da vocale a sci come in semum→scemo, simia→scigna, ex-aqueo→sciacquo;
piecoro s.vo m.le = becco, montone, maschio della pecora
etimologicamente da un lat. volg. *pēcoru(m)→piecoro;
nascette = nacque; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito nascere dal lat. volg. *nascere, per il lat. class. nasci;

murette = morí; voce verbale (3° pers. sg. pass. rem. dell’infinito murí dal lat. volg. *morire, per il lat. class. mori
scannato = sgozzato, ucciso mediante recisione della gola;
voce verbale: part. pass. aggettivato dell’infinito scannà denominale di canna= gola (dal greco kànna) con protesi di una esse detrattiva.
ccorna = corna, sost. femm. plur. del maschile sg. cuorno
prominenza cornea o ossea, di varia forma ma per lo piú approssimativamente cilindro-conica e incurvata, presente generalmente in numero pari sul capo di molti mammiferi ungulati; anche, ognuna delle due analoghe protuberanze sulla fronte di esseri mitologici o, nell'immaginazione popolare, del diavolo con etimo dal lat. cornu(m) con tipica dittongazione della ŏ (o intesa tale)ŏ→uo nella sillaba d’avvio della voce singolare, dittongazione che viene meno, per far ritorno alla sola vocale etimologica o, nel plurale reso femminile (‘e ccorne) laddove nel plurale maschile è mantenuta (‘e cuorne) ; rammenterò che in napoletano il plurale femm. ‘e ccorne è usato per indicare le protuberanze cornee reali della testa degli animali, o quelle figurate dell’uomo o della donna traditi rispettivamente dalla propria compagna, o dal proprio compagno, mentre con il plurale maschile ‘e cuorne si indicano alcuni tipici strumenti musicali a fiato o i piccoli o grossi amuleti di corallo rosso usati come portafortuna;ugualmente con valore di portafortuna vengono usati i corni dei bovini macellati, corni che vengon staccati dalla testa, messi a seccare, opportunamete vuotati e talvolta tinti di rosso tali cuorne, non piú ccorna devono rispondere – nella tradizione partenopea a precisi requisiti, dovendo necessariamente essere russo, tuosto, stuorto e vacante pena la sua inutilità come porte-bonheur.
russo= rosso (da non confondere con ruosso che è grosso)di colore rosso derivato del latino volgare russu(m) per il class. ruber;
tuosto= duro, sodo, tosto derivato del lat. tostu(m), part. pass. di torríre 'disseccare, tostare'con la tipica dittongazione partenopea della o→uo;
stuorto = storto, ritorto,non dritto, scentrato derivato del lat. tortu(m), part. pass. del lat. volg. *torquere, per il class. torquìre con prostesi di una s intensiva e tipica dittongazione partenopea della o→uo;
vacante= cavo, vuoto ed altrove insulso, insipiente part. pres. aggettivato del lat. volg. vacare = esser vuoto, mancante, libero di; a margine rammenterò che esiste un altro tipico cuorno quello de ‘o carnacuttaro (il girovago venditore di trippe bovine che lavate, sbiancate e lessate vengon vendute al minuto opportunamente ridotte in piccoli pezzi serviti su minuscoli fogli di carta oleata, irrorate di succo di limone e cosparse di sale contenuto in un corno bovino, seccato, vuotato, forato in punta, per consentire la fuoriuscita del sale con cui viene riempito, e tappato alla base con un grosso turacciolo di sughero; tale cuorno viene portato pendulo sul davanti del corpo, legato in vita con un lungo spago, in modo che nel suo pendere insista su di una bene identificata zona anatomica; ciò è rammentato nell’espressione: Mo t’’o ppiglio ‘a faccia ô cuorno d’’a carnacotta! (Adesso te lo procuro, prendendolo dal corno della trippa) nella quale ‘o cuorno è usato eufemisticamente in luogo d’altro termine becero, facilmente intuibile se si tiene presente la zona su cui insiste il pendulo corno del sale… l’espressione è usata con una sorta di risentimento da chi venga richiesto di azioni o cose che sia impossibilitato a portare a compimento o a procurare, non essendo le une o le altre nelle sue capacità e/o possibilità.
Concludendo si può dire che l’espressione curnuto e mazziato fu adoperata per addolcire quasi la piú cruda curnuto e scannato.
Raffaele Bracale

FÀ SCENNERE 'NA COSA DA 'E CCOGLIE 'ABRAMO.

FÀ SCENNERE 'NA COSA DA 'E CCOGLIE 'ABRAMO.
Letteralmente: far discendere una cosa dai testicoli d'Abramo. Ruvida locuzione partenopea che a Napoli si usa a sapido commento delle azioni di chi si fa eccessivamente pregare prima di concedere al richiedente un quid sia esso un'opera o una cosa lasciando intendere che il quid richiesto sia di difficile ottenimento stantene la augusta (che in realtà è falsa) provenienza.
coglie s.vo fem.le pl. di coglia = testicolo derivato dal lat. volg. *colea(m); la voce coglia con il suo plurale coglie è attestata nel parlato popolare della città bassa come alternativo di coglione e del pl. metafonetico cugliune usati piú spesso come voci offensive
AbramoAvraham, "Padre di molti popoli";è il primo patriarca dell'Ebraismo, del Cristianesimo e dell'Islam. La sua storia è narrata nel Libro della Genesi ed è ripresa nel Corano. Secondo Gen17,5 il suo nome originale Avram, poi cambiato da Dio in Avraham; è considerato dall’Islam antenato del popolo arabo, attraverso Ismaele. L'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam (détte religioni abramitiche) proclamano tutte una loro presunta discendenza comune da Abramo.
Non esistono tuttavia altre testimonianze storiche della sua esistenza indipendenti dalla Genesi, quindi non è possibile sapere se fu una reale figura storica. Se lo fu, visse tra il ventesimo ed il XIX secolo a.C. L’episodio piú significativo riguardante la vita di Abramo si riferisce alla richiesta fattagli da Dio di sacrificargli l’unico figlio Isacco generato ad Abramo in vecchiaia da sua moglie Sara. Abramo, seppur a malincuore, accettò. Mentre legava Isacco per il sacrificio, però, apparve un angelo che gli disse di non far male a suo figlio e che Dio aveva apprezzato la sua ubbidienza, benedicendolo "con ogni benedizione".
brak

SPRUCETO

SPRUCETO
La voce napoletana in epigrafe, che nel parlato è piú facilmente riscontrabile declinata al femminile: spruceta, traduce gli aggettivi dell’italiano : aspro, arcigno, scontroso che è il tipico atteggiamento repulsivo usato nei rapporti interpersonali, soprattutto dalle donne, ma talvolta anche da gli uomini, che senza un ben determinato motivo, preferiscono mostrarsi ritrosi/e ed intrattabili, piuttosto che comunicativi/e e partecipativi/e.
Non di facilissima lettura l’etimologia; si può pensare ad un latino volgare *(a)sprucidu(m)→*sprucetu(m) per il classico asperu(m)→aspru(m)= aspro, ma si può anche far risalire (sia pure con un piú articolato cammino morfologico) la voce in epigrafe ad un basso latino *asprugo per asperugo= sorta di cicoria selvatica dalle foglie ruvide, aspre e piccanti; personalmente propendo per la prima ipotesi.
raffaele bracale

RICUTTARO.

RICUTTARO.

Da sempre il lenocinio è stato praticato da piccoli furfantelli e/o camorristi; temporibus illis (fine ‘800) i piccoli furfanti e/o camorristi erano arrestati e spesso finivano sotto processo con minaccia di pena certa; durante tali processi furfanti e camorristi erano difesi da avvocati che (se non appartenenti alla camorra) esigevano congrue parcelle. All’uopo provvedevano i compagni (piccoli furfanti e/o camorristi) dei detenuti che procedevano ad una questua piú o meno vessatoria tra i piccoli commercianti e bottegai che aprivano i loro esercizî o nel rione in cui operavano i furfanti/camorristi finiti sotto processo o anche nelle strade adiacenti il tribunale o le carceri. Tale questua finalizzata fu detta ‘a recoveta (la raccolta); da recoveta a recotta il passo è breve ed ancora di piú lo è da recotta a recuttaro/ricuttaro di modo che con l’espressione fa ‘a recotta (fare la ricotta) non si significò produrre il tipico gustoso latticinoricavato dal latte vaccino o piú opportunamente di pecora, ma si indicò l’azione di coloro che facessero quella vessatoria raccolta rammentata , e giacché poi quei medesimi raccoglitori spesso si dedicavano al lenocinio e sfruttamento della prostituzione, furono indicati con la voce ricuttaro/recuttaro voci che estensivamente furono ed ancora sono in uso nel napoletano per indicare chiunque sfrutti qualcuno in qualsiasi campo.
raffaele bracale

lunedì 29 giugno 2009

ARRASSUSIA

ARRASSUSIA
Tipica, usatissima locuzione avverbiale esclamativa partenopea che vale lontano sia!, non sia mai! formata dall’aggettivo arrasso e dal congiuntivo ottativo sia; etimologicamente,a mio avviso l’espressione parte – come ò detto – da un aggettivo: arrasso derivato dall’arabo arah/arasa = lontano, aggettivo cui è agglutinato il congiuntivo ottativo sia←dal lat sit.
Per amor di completezza ricorderò che l’amico prof. Carlo Iandolo nel suo Dizionario Etimologico Napoletano ipotizza per arrassusia una derivazione dal lat. abrasum-sit= sia cancellato! Tuttavia l’ipotesi non mi convince e mi dispiace non esser d’accordo con l’amico Iandolo,ma me lo impongono due considerazioni: 1) semanticamente è pressoché impossibile (o almeno io non ci riesco!) stabilire o cogliere un punto di contatto tra il “sia cancellato!”del latino ed i “lontano sia!, non sia mai!” del napoletano; 2) morfologicamente poi trovo un po’ troppo macchinoso il passaggio da abrasum ad arrasso: nulla da eccepire sulla probabile assimilazione regressiva br→rr ma mi lascia molto perplesso quella geminazione della iniziale sibilante (s) scempia che normalmente in napoletano mi pare evolva nella palatalizzazione ( s+vocale → sci cfr. simia→scigna – semum→scemo) e non nel raddoppiamento.
Raffaele Bracale

ALLERTA, ALLERTA

ALLERTA, ALLERTA
Ad litteram: all’impiedi, all’impiedi id est: sbrigativamente e celermente; detto di cose portate a termine con grandissima rapidità, rinunciando ad ogni comodità - quale ad es. quella di sedere - pur di concludere l’intrapreso il piú presto possibile; va da sé che una cosa fatta allerta allerta può comportare il rischio che non venga fatta secondo i canoni previsti e dovuti, ma - al contrario - in modo rabberciato.La locuzione è usata spessissimo in riferimento ad un veloce, inatteso e disimpegnato rapporto sessuale evenienza che altrove è indicata con l'espressione: farse 'na basulella. (vedi oltre).
.Farse ‘na basulella.
Espressione intraducibile ad litteram con la quale si indica il portare a compimento un veloce, clandestino, disimpegnato e forse inatteso rapporto sessuale, condotto a termine alla meno peggio, magari per istrada, all’impiedi o piú precisamente allerta allerta.
la voce basulella nata come linguaggio gergale è certamente derivata dal sost. base con riferimento alla clandestinità dell’inatteso rapporto sessuale, quella medesima clandestinità presente nell’operato del cosiddetto basista ( ecco che ritorna la voce base!) che fu il delinquente che approntava il lavoro dei ladri tracciando il piano (la base...) del furto da perpetrarsi; ma oltre al sostantivo base come fonte di basulella si può tranquillamente ipotizzare un incrocio di base col sostantivo vasulo = basolo, pietra di selce o basalto, pietra squadrata in forma di parallelepipedo ed usata per lastricare le strade; quanto all’etimo la voce napoletana ripete(sia pure con la tipica alternanza b→v quella italiana e come quella è forgiata su base che è dal lat. base(m), dal gr. básis, deriv. di báinein 'essere istallato, fondato. Nel caso di vasulo/basolo come cofonte con base della nostra basulella, non ci si riferirebbe alla clandestinità dell’inatteso rapporto sessuale, bensí ci si riferisce all’ inatteso rapporto sessuale, condotto a termine alla meno peggio, magari per istrada, all’impiedi o piú precisamente allerta allerta, poggiando i piedi sui vasoli.
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A STRACCE E PETACCE

A STRACCE E PETACCE
Ad litteram: A stracci e brandelli; locuzione usata per indicare sarcasticamente tutte le azioni fatte in modo discontinuo, con scarsa applicazione, a morsi e bocconi, azioni che lasciano presagire risultati pessimi.
stracce s. m. plurale di straccio= pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi domestici per pulire e spolverare (in quest'ultimo caso, anche come prodotto commerciale specificamente fabbricato a tale scopo); nella loc. ‘nu straccio ‘e, (fam.) per indicare cosa o persona qualsiasi, di poco conto: nun tène ‘nu straccio ‘e vestito ‘a metterse ‘ncuollo=addosso; ‘nu straccio ‘e marito, ‘e mugliera; nun tene neppure ‘nu straccio ‘e amico pe se cunfidà; spec. pl. indumento logoro e dimesso: jí in giro vestuto ‘e stracce.
quanto all’etimo, straccio è un deverbale di stracci-are/-à che è dal lat. volg. *extractiare, deriv. di tractus, part. pass. di trahere 'trarre';
petacce s.f. plurale di petaccia = cencio, brandello, straccio ed estensivamente abito di tessuto logoro; piú in generale con tutte le accezioni del precedente straccio, ma con valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia!
quanto all’etimo, petaccia appare a taluno un derivato dello spagnolo pedazo= pezzo ma a mio avviso non è errato vedervi un derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) + il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia qualcuno à anche ipotizzato un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia= cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m).
raffaele bracale

‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO

‘A FUNICELLA CORTA E ‘O STRUMMOLO TIRITEPPETO
ad litteram: la cordicella corta e la trottolina scentrata e ballonzolante. Piú esattamente a Napoli s’usa dire: s’è aunita ‘a funicella corta e ‘o strummolo tiriteppeto, ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere con forza la necessaria spinta al movimento rotatorio dello strummolo a sua volta scentrato o con la punta malamente inclinata tale da conferire un movimento non esatto per cui la trottolina s’inclina e si muove ballonzolando e producendo un suono del tipo tirití-tirité donde per onomatopea il napoletano tiriteppeto;
strummolo s.m. trottolina lignea in forma di piccola pigna, con scanalature incise lungo tutta la superficie, disposte parallelamente dal fondo alla punta nella quale è infissa una punta metallica; per azionare la trottolina e farla prillare vorticosamente si arrotola strettamente una cordicella facendole seguire il percorso delle scanalature dalla base al vertice; si lancia verso terra la trottolina e si dà un deciso strappo alla cordicella che se è sufficientemente lunga riesce ad imprimere un duraturo moto rotatorio alla trottolina che se à la punta ben centrata e non inclinita rispetto all’asse della trottolina, regge il moto adeguatamente.
la voce strummolo à un’etimologia greca derivando dritto per dritto dal greco strómbos trasmigrato nel latino strumbus con consueta assimilazione progressiva strummus da cui con il suffisso diminutivo olus, strummolo con il suo esatto significato di trottolina.
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VARIE 299

1Aumme aumme
Ad litteram: celatamente oppure alla chetichella; modo di dire di sapore vagamente onomatopeico riproducente il gesto della masticazione beneducata fatta cioé a bocca chiusa, per modo che solo chi già sia al corrente, capisca di che si tratta : infatti le azioni fatte nel modo riportato in epigrafe comportano una qualche segretezza e silenziosità di modi.
2. Avutà fuoglio
Ad litteram: girare il foglio ovverossia: mutare argomento, cambiare discorso, soprattutto quando lo si faccia repentinamente acclarata la impossibilità di sostenere piú oltre proprie argomentazioni chiaramente prive di forza e vuote di corposo sostrato dialettico.
3. ‘A Madonna v’accumpagna
Ad litteram: La Madonna vi accompagni Locuzione augurale che si suole rivolgere a chi, dopo d’averci fatto visita, ci stia lasciando per fare ritorno al proprio domicilio , perché nell’affrontare la strada non incorra in pericoli inattesi, ma sia protetto nel suo andare dalla vigile compagnia della Vergine.Talvolta però quando la compagnia del visitatore sia stata noiosa ed importuna e la visita si sia protratta eccessivamente è facile che colui che congeda il visitatore all’accomiato augurale riportato in epigrafe aggiunga tra i denti un molto meno augurale: e ‘o diavulo ve porta (e il diavoli vi porti via).
4. ‘A malora ‘e Chiaia
Ad litteram: la cattiva ora di Chiaia. Detto, ancóra oggi, quale caustica apposizione di ogni momento in cui si devono svolgere incombenze che non si possono delegare ad altri e che, obtorto collo, occorre portare a compimento. Storicamente la locuzione nacque a significare quel cattivo orario (tardo pomeridiano ) durante il quale le donne abitanti nei pressi della zona di Chiaia, si recavano insieme sulla vicina spiaggia ( in latino: plaga, da cui Chiaia) per sversare in mare il contenuto dei graveolenti vasi di comodo detti in napoletano canteri in cui le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici.
5. A mmorte ‘e subbeto
Ad litteram: subitaneamente, repentinamente Locuzione avverbiale che viene usata soprattuto quando si voglia significare ad un proprio sottoposto che l’ordine ricevuto deve esser eseguito in maniera subitanea, repentina, senza por tempo in mezzo tra l’ordine e la sua esecuzione che deve avvenire con la stessa celerità con cui avviene una morte repentina.
6. Appujà ‘a libbarda
Ad litteram: appoggiare l’alabarda id est: scroccare, profittare a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che viene tuttora usata quando si voglia commentare il violento atteggiamento di chi vuole scroccare qualcosa o, piú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis i soldati spagnoli erano usi aggirarsi all’ora dei pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate, lí poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti.
7. ‘A sotto p’’e chiancarelle!
Ad litteram: Di sotto, a causa dei panconcelli! o meglio Attenti, voi che state di sotto, ai panconcelli È l’avvertimento che usano gridare dall’alto ai passanti gli operai che provvedono alla demolizione di edifici, affinchè i passanti stiano attenti ad eventuali cadute di materiali; nella fattispecie stiano attenti alla caduta dei panconcelli, strette doghe , per solito, di stagionato legno di castagno che poggiate trasversalmente sulle travi portanti facevano da sostrato e sostegno ai solai delle abitazioni; l’improvviso cedimento di detti panconcelli avrebbe potuto comportare grossi danni.
Oggi, per traslato, la locuzione viene usata quando si voglia avvertire che ci si trova davanti ad una situazione grave o foriera di pericolo, o quando ci si vuole dolere di non aver fatto a tempo ad avvertire gli altri dell’approssimarsi d’un danno e il danno stesso si sia già manifestato.
8. Allerta, allerta
Ad litteram: all’impiedi, all’impiedi id est: sbrigativamente e celermente; detto di cose portate a termine con grandissima rapidità, rinunciando ad ogni comodità - quale ad es. quella di sedere - pur di concludere l’intrapreso il piú presto possibile; va da sé che una cosa fatta allerta allerta può comportare il rischio che non venga fatta secondo i canoni previsti e dovuti, ma - al contrario - in modo rabberciato.La locuzione è usata spessissimo in riferimento ad un veloce, inatteso e disimpegnato rapporto sessuale che altrove è indicato con l'espressione: farse 'na basulella. Che è espressione intraducibile ad litteram con la quale si indica il portare a compimento un veloce, disimpegnato e forse inatteso rapporto sessuale, condotto a termine alla meno peggio, magari per istrada, all’impiedi o piú precisamente allerta allerta
9. ‘A Messa d’’e disperate.
Ad litteram: la Messa dei disperati; va da sé che non si tratta di una tipica funzione religiosa celebrata ad hoc a pro di non meglio identificati disperati; si tratta piú semplicemente di un modo di dire usato nei confronti di coloro che son usi a tardare agli appuntamenti, presentandosi con notevole ritardo là dove sono attesi ed adducono a loro scusante il fatto di esser stati trattenuti altrove. Piú chiaramente dirò che un tempo - quando non esistevano le Messe Vespertine, a Napoli l’ultima messa celebrata era quella delle ore 14.30 nella Chiesa della Pietà dei Turchini in via Medina; a codesta messa che, principiando tardi si protraeva ben oltre le ore 15, partecipavano i piú inguaribili disperati tiratardi che normalmente perdevano il canonico appuntamento delle ore 15 con il sacramentale ragú domenicale, tirandosi sulla testa i rimbrotti dei familiari che vedevano andare in malora il piatto di zite al ragú che si freddava nell’attesa dell’ultimo commensale.
Quando poi, finalmente costui giungeva quasi in coro gli si chiedeva: “Ma che sî stato â messa d’’e disperate?” anche quando chiaramente il ritardo non fosse dipeso dalla partecipazione a detta funzione.
10. Arrostere ‘o ccaso cu ‘a cannela
Ad litteram: arrostire il cacio con la candela piú consonamente affumicare il cacio con la candela id est: cercare di ottenere qualcosa con mezzi inadeguati come sarebbe tentare di ottenere l’affumicatura di un formaggio con l’ausilio di una candela in luogo di legna aromatica o di fumo chimico; impresa impossibile stante la scarsità dei mezzi usati.
11. Asseccà ‘o mare cu ‘a cucciulella
Ad litteram: prosciugare il mare servendosi della minuscola valva di una arsella
Locuzione che, come la precedente significa: tentare un’impresa disperata, qui con l’aggravante di voler conseguire una cosa inutile oltreché impossibile: nessuno riuscirebbe, anche avendo a disposizione grandissimi mezzi, a vuotare il mare.
12. Accattarse ‘o ccaso.
Ad litteram: portarsi via il formaggio. Per la verità in lingua napoletana il verbo accattà significa innanzitutto: comprare, ma nella locuzione in epigrafe bisogna intenderlo nel suo significato etimologico di portar via dal latino: adcaptare iterativo di capere (prendere).
La locuzione non à legame alcuno con il fatto di acquistare in salumeria o altrove del formaggio; essa si riferisce piuttosto al fatto che i topi che vengono attirati nelle trappole da un minuscolo pezzo di formaggio, messo come esca, talvolta riescono a portar via l’esca senza restar catturati; in tal caso si usa dire ca ‘o sorice s’è accattato ‘o ccaso ossia che il topo à subodorato il pericolo ed è riuscito a portar via il pezzetto di formaggio, evitando però di esser catturato. Per traslato, ogni volta che uno fiuti un pericolo incombente o una metaforica esca approntatagli, ma se ne riesce a liberare, si dice che s’è accattato ‘o ccaso.
13. Avimmo fatto assaje!
Ad litteram: abbiamo fatto molto! Ironica locuzione, da intendersi in senso chiaramente antifrastico, che viene pronunciata come amaro commento da chi voglia far intendendere ad un suo ipotetico compagno di ventura di aver completamente mancato il comune centro prefissosi, e di non aver concluso nulla dell’intrapreso, anzi di essersi affaticati inutilmente in quanto il risultato del loro operato è stato completamente nullo e non si è ottenuto alcun risultato concreto, che se pure ci fosse, sarebbe cosí piccola cosa rispetto all’impegno profuso, da non esser tenuto in alcun conto.
14. Alla sanfrasòn oppure sanfasòn
Ad litteram: alla carlona; detto di tutto ciò che venga fatto alla meno peggio, senza attenzione e misura, in modo sciatto e volutamente disattento, con superficialità e senza criterio.L’espressione è, pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura).
15. Azzupparse ‘o ppane.
Ad litteram: intinger per sé il pane id est: godere delle altrui difficoltà, compiacersene commentandole malevolmente con cattiveria ed acrimonia, al fine di peggiorare la situazione morale di chi si trovi in difficoltà, quasi intingendo metaforicamente un pezzo di pane nelle disgrazie del malcapitato, per assaporare fino in fondo il patimento di chi si trova a percorrere un duro cammino.
16. Aspettà cu ll’ove ‘mpietto
Ad litteram: attendere con le uova in seno id est: attendere con preoccupazione e /o timore il verificarsi di un avvenimento . La locuzione di chiara origine contadina si riferisce a ciò che un tempo erano solite fare le contadine che attendevano la schiusa delle uova , affidata naturalmente all’opera della chioccia. Accadeva però talvolta che la chioccia, per esser venute meno le sue condizioni fisiche adatte, abbandonasse la cova di qualche uovo; allora le contadine, prese le uova non ancóra schiuse se le ponevano in seno cercando con il loro calore corporale di sopperire al mancato operato della chioccia; l’attesa conseguente era spasmodica e preoccupata un po’ perché non si conosceva l’esito di quella strana covata, un po’ perché si paventava la rottura delle fragilissime uova; per traslato l’espressione in epigrafe si usa quando si voglia far capire che si sta attendendo con grande ansia il verificarsi di un atteso avvenimento che tardi a verificarsi.
17. Addurmirse cu ‘a zizza ‘mmocca
Ad litteram: Addormentarsi con la tetta in bocca Detto a mo’ di dileggio soprattutto dei tontoloni, dei creduloni che si mostrano nel loro agire irresoluti ed eccessivamente tranquilli, quasi fossero dei piccoli ragazzi cui basta offrire una mammella da succhiare, per farli tranquillamente e repentinamente addormentare.
18. Bbello e bbuono
Ad litteram: Bello e buono id est: all’improvviso, d’un tratto, inopinatamente quasi sottointendendo che l’avvenimento di cui si tratta sia peggiorativo rispetto a quello (bello e buono) cui ha fatto seguito o in cui si è insinuato; quasi uno dicesse: la situazione era propizia e d’un tratto è mutata in peggio; per meglio intendere la locuzione vedi alibi â’ntrasatta - che, come significato, è di portata simile.
19. Bonanotte ê sunature oppure ê sante
Ad litteram: buona notte ai sonatori oppure ai santi ; espressioni che si usano con senso di profondo cruccio, ad amaro commento di situazioni che si sono concluse, ma in maniera molto negativa di talché verrebbe fatto di pensare che non resti da o congedare sbrigativamente i sonatori o salutare deferentemente i santi atteso che né gli uni, né gli altri possano o abbiano potuto far qualcosa per migliorare la situazione de qua.
20. Brutto cu ‘o tè, cu ‘o nè, ‘o piripisso e ‘o naianà
Locuzione ( intraducibile ad litteram), con cui si suole indicare il massimo grado di bruttezza che venga raggiunto da qualcuno, brutto oltre ogni ragionevole dubbio; l’espressione, che può essere usata indifferentemente nei riguardi di una donna o di un uomo, compendia in quattro quid non meglio identificati e che sarebbe vano tentare di riconoscere, i parametri negativi in presenza dei quali si può essere certi di trovarsi davanti a persona decisamente brutta; è vero pure però il ragionamento inverso: quando si pensa di avere a che fare con persona decisamente brutta, la si accredita di quei quattro parametri di cui in epigrafe anche se non li si identifica o possa identificare apertamente.
21. Barba, capille e ppalluccella ‘mmocca specialmente nell’espressione serví ‘e barba etc.
Ad litteram: barba, capelli e pallina in bocca specialmente nell’espressione servir di barba etc. Cosí, un tempo, veniva indicato il “servizio” completo offerto dai barbitonsori girovaghi, che per pochi soldi servivano il cliente di rasatura di barba e taglio di capelli, offrendo per sopramercato al cliente una piccola sfera che inserita in bocca e trattenuta tra denti e guancia, consentiva a questa di tendersi in maniera da favorire la rasatura; la sfera offerta, naturalmente monouso, era costituita o da una piccolissima mela che, terminata la rasatura veniva mangiata, o da un congruo confetto (pralina), (ricoperto da una friabilissima glassa zuccherina),prodotto in quel di Sulmona, confetto che, assolta la sua funzione, veniva mangiato.
Oggi l’espressione in epigrafe è usata da chi voglia significare che il suo comportamento, nei riguardi del destinario della locuzione, non è suscettibile di miglioramento in quanto è un comportamento pieno e completo in ogni sua parte o manifestazione.
22. Buono pe scerià ‘a ramma
Ad litteram: buono per soffregare le stoviglie di rame
Un tempo, quando la chimica non aveva ancóra prodotto tutti i detergenti o detersivi che, aiutando la massaia, inquinano il mondo, e quando l’acciaio 18/10
non era entrato ancóra in cucina sotto forma di stoviglie, queste erano di lucente rame opportunamente, per le parti che venivano a contatto con il cibo, ricoperte di stagno .Per procedere alla pulizia delle stoviglie di rame si usavano due ingredienti naturali: sabbia ‘e vitrera (sabbia da vetrai, ricca di silice) e limoni ; orbene quegli agrumi non edibili perché o di sapore eccessivamente aspro o perché carenti di succo, erano destinati allo scopo di pulire e rendere luccicanti le stoviglie; per cui di essi frutti si diceva che erano bbuone pe scerià ‘a ramma. Per traslato, oggi di chi, uomo o cosa, manchi alla sua primaria destinazione, si dice ironicamente che è buono etc. il verbo
scerià id est: soffregare, nettare, lucidare viene da un tardo latino: flicare da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià tutti con il significato di soffregare.
23. Accunciarse quatt' ove dinto a 'nu piatto.
Ad litteram:Sistemarsi quattro uova in un piatto - cioè:assicurarsi una comoda rendita di posizione, magari a danno di altra persona (per solito la porzione canonica di uova è in numero di due...tutte quelle in eccedenza probabilmente sono state sottratte ad altri).
24. Bbuono p’aparà ‘o mastrillo
Ad litteram: buono per armare la trappolina id est: appena sufficiente a predisporre l’esca di una trappolina. La locuzione si usa nei confronti di qualcosa, soprattutto edibile, che sia cosí parva res da non poter soddisfare un sia pur modesto appetito, ma appena appena sufficiente a far da esca; per traslato la locuzione è usata nei confronti di tutto ciò che sia palesemente piccolo e/o modesto.
25. Bene in salute e scarzo a denare
Ad litteram:Bene in salute, ma poco provvisto di danaro.
Spesso alla semplice, spontanea domanda : “Come state?” fatta da un conoscente incontrato per caso, a Napoli si suole rispondere con la locuzione in epigrafe con la quale ci si vuol mettere al riparo da eventuali sorprese, volendo quasi dire: “Se la tua domanda è stata fatta con la semplice intenzione di informarti sul mio stato di salute, sappi che sto bene; ma se la domanda era propedeutica ad una richiesta di prestito, sappi allora che le mie condizioni economiche attuali, non mi permettono di fare prestiti o elargizioni; evita perciò di farmene richiesta!”La locuzione è divenuta col tempo, quasi una frase idiomatica e viene usata sempre in risposta alla domanda de quo, indipendentemente se esistano o meno condizioni economiche precarie.
26. Caccià ‘e ccarte
Ad litteram: tirar fuori le carte Non si tratta però, chiaramente di tra fuori da un cassetto le 40 carte di cui è formato il mazzo napoletano di carte da giuoco per principiare una partita.
Si tratta, invece, di procurarsi le necessarie documentazioni burocratiche per avviare una certa pratica o per portarla a compimento.In particolare la locuzione in epigrafe è usata dai promessi sposi che, intendendo contrarre il loro matrimonio, devono sobbarcarsi all’impresa di procurarsi presso uffici pubblici e/o luoghi di culto le prescritte documentazioni, dette in maniera onnicomprensiva: carte, senza le quali, non è possibile pervenire alla celebrazione delle nozze. Va da sè che quasi tutti i negozi giuridici necessitano di ineludibili carte da procacciare e ciò à dato modo a taluni napoletani, disperatamente senza lavoro, di inventarsi un mestiere: quello di procacciatore di carte; questo utilissimo individuo, per poche lire si accolla l’onere di fare lunghissime file davanti agli sportelli degli uffici dell’anagrafe pubblica, o si accolla la fatica di raggiungere posti lontani e impervi da raggiungere per procurare al richiedente le carte necessarie.
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sabato 27 giugno 2009

VARIE 298

1.ABBRUSCIÀ ‘O PAGLIONE
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica di voler procurare, a colui cui è rivolta, un grave, gravissimo anche se non specificato danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato, usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata con due significati, uno meno grave, l’altro piú duro; nel significato meno duro l’espressione significa mancare a un impegno, a un appuntamento; nel significato piú minaccioso l’espressione è usata per minacciar imprecisati ma totali danni; infatti con l’espressione T’aggi’ ‘abbruscià ‘o paglione! si vuol significare: Devo arrecarti tutto il danno possibile, bruciandoti persino il pagliericcio su cui dormi, per non darti piú modo neppure di riposare!
Anticamente l’espressione in epigrafe valeva (ma non si comprende per quale percorso semantico!) come minaccia di sodomizzazione.
abbruscià = bruciare, ardere, incendiare,consumare, distruggere, rovinare con l'azione del fuoco o del calore.
l’etimo è da un lat. volg. ad+brusiare→abbrusiare→abbrusciare/à
paglione s. m. = pagliericcio, saccone pieno di paglia o foglie secche usato come materasso; quanto all’etimo paglione è un evidente accrescitivo (cfr. suff. one) di paglia che è dal lat. palea
2. Â casa d’’o ferraro, ‘o spito ‘e lignammo.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti vengono a mancare elementi che invece si presupponeva non potessero mancare e ci si deve accontentare di succedanei spesso non confacenti.
3. ‘A carna tosta e ‘o curtiello scugnato.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o piú elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione illustrata al numero successivo.
4. Aizarse ‘nu cummò
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente e, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da pesanti lastre di marmo.
aizar(se) = sollevar(si), alzar(si), caricar(si) di qualcosa; voce verbale infinito derivato dal lat. altiare→auziare→aizare;
cummò s.m. = canterano, cassettone voce derivata dal francese commo(de).
5.Ê cane dicenno
letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani e non a noi, ciò che stiamo dicendo!
6. A mmorte ‘e subbeto.
Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto in riferimento ad ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina.
7. Aggiu visto 'a morte cu ll' uocchie.
Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.
8. Accurtà ‘e passe a quaccheduno
Ad litteram:accorciare (ridurre) i passi a qualcuno; id est: ridimensionare i movimenti di qualcuno al fine di impedirgli di procedere oltre; detto soprattutto di chi - mostratosi troppo saccente e supponente - si stia comportando, conseguentemente, con boria e vacua baldanza; ebbene è buona norma che costui venga ridimensionato, con parole ed atti, perché comprenda quali sono i limiti nei quali deve muoversi e non li ecceda.
9. Accussí à dda jí
Ad litteram : cosí deve andare; fatalistica espressione con la quale a Napoli si suole accettare tutte quelle situazioni che non possono essere eluse o evitate ed alle quali perciò bisogna - sia pure obtorto collo - soggiacere.Talvolta per completamento della frase in epigrafe ed a significare un totale abbondono nell’ Ente supremo che muove tutti gli accadimenti umani, si aggiunge un religioso e rassegnato e accussí sia ( e cosí sia).
10. Accussí va ‘o munno
Ad litteram: cosí va il mondo: espressione analoga alla precedente, ma con un piú marcato senso di impotenza davanti alla ineluttabilità di taluni avvenimenti, che – in qualsiasi parte del mondo – evolvono nella medesima maniera...
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VARIE 297

1. Chi tène lengua va ‘nSardegna.
Ad litteram: a) chi sa parlare arriva in Sardegna, ma anche b)chi parla troppo finisce in Sardegna.
Locuzione, come si vede,che può avere una doppia valenza o interpretazione: quella sub a) fa riferimento al comportamento di chi abbia padronanza di eloquio e non disdegni di richiedere informazioni che possano aiutarlo a raggiungere la Sardegna , regione ritenuta temporibus illis molto lontana e difficile da raggiungere; la valenza sub b) si riferisce invece a chi sia troppo linguacciuto al segno di mancare di rispetto, a mo’ di esempio, ad un suo superiore, che può punirlo trasferendolo in Sardegna , terra ritenuta inospitale oltreché lontana.
2. Chi è mmuorto e me l’ à ditto?
Ad litteram: Chi è defunto e me lo à detto? cioè chi è morto e mi à lasciato questo legato testamentario? Locuzione usata in tono risentito da chi si trovi coinvolto - a suo malgrado - in situazioni nelle quali deve conferire delle prestazioni che non si sente in animo di compiere ed allora retoricamente si autorivolge la domanda in epigrafe volendo significare: non sono tenuto a compiere quanto mi si chiede, non essendo obbligato verso alcun dante causa; infatti nessuno à lasciato scritto in un testamento, che io mi debba far carico di simili prestazioni.
3. Chi ‘a vo’ cotta e chi ‘a vo’ crura...
Ad litteram: chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. La locuzione fa riferimento alla grande inconciliabilità di gusti esistente nel vivere comune, inconciliabilità per la quale c’è continua discordanza di pareri e di modi di vedere ed allorché questa discordanza si manifesta tra coloro che dovrebbero concorrere alla realizzazione di un’opera comune, quest’ultima difficilmente si potrà compiere.
Con molta probabilità, ma non con certezza, la locuzione nacque in una cucina e fu pronunciata da un cuoco che doveva seguire la cottura delle carni poste sullo spiedo e non sapeva decidersi a levar lo spiedo dal fuoco stante il fatto che tra i commensali non c’era un’auspicabile concordia e qualcuno voleva la carne ben cotta, altri la preferivano piuttosto cruda.
4. Chiavarse ‘a lengua ‘nculo specie nell’imperativo chiàvate ‘a lengua ‘nculo
Ad litteram: mettersi la lingua nel culo specie nell’imperativo póniti la lingua nel culo id est: zittire, tacere,specie nell’imperativo taci, zittisci, non profferir piú oltre parole.Locuzione icastica, ma chiaramente iperbolica, stante la impossibilità fisica di compiere quanto indicato nell’imperativo, che viene pronunciata soprattutto nei confronti dei saccenti e supponenti che sono soliti porre bocca in ogni occasione ed esprimere un loro parere il piú delle volte non richiesto e perciò fastidioso. A tali categorie di persone a Napoli si suole consigliare o talvolta si impone di porsi la lingua nel culo, invece di farla a sproposito vibrare nel cavo orale,nella speranza che il predetto, accolto l’invito o recepita l’imposizione, taccia una buona volta senza piú replicare.
5. Chianu chiano ‘e ccòglio e senza pressa ‘e vvengo.
Ad litteram:Pian piano li raccolgo e senza fretta li vendo Locuzione divertita usata nei confronti di chi operi tutte le sue cose, senza darsi fretta, con calma e circospezione, quasi con studiata lentezza,beandosene e sfruttando per intero tutto il tempo a sua disposizione; locuzione nata chiaramente nell’àmbito dei contadini che invece - per solito - sono molto alacri nel raccogliere i frutti e porli in vendita; ma ogni regola à la sua eccezione.
6. Ce vô ‘nu mazzo ‘arucola e ‘na panella
Ad litteram: occorre un fascio di rughetta ed una pagnotta! Id est: con i mezzi che state usando, non conseguirete mai quanto vi siete prefisso; occorrerà ben altro! Locuzione esclamativa usata a commento di un avvenimento che si presume difficile da portare a compimento, per il cui raggiungimento si ritiene occorrano accorgimenti piú impegnativi di quelli normalmente usati; nella fattispecie si pensa che per portare a termine l’opera intrapresa bisognerà far ricorso all’uso di un ipotetico fascio di rughetta che per essere di sapore amarognolo è preso ad emblema del faticoso impegno occorrente al conseguimento del risultato; oltre al fascio di rughetta occorrerà peraltro l’uso ed il consumo di un’intera pagnotta di pane per poter contare sulla forza fisica necessaria, forza derivante dagli zuccheri contenuti nella pagnotta.
7. Che vaco mettenno ‘a funa ‘e notte?!
Ad litteram: vado forse tendendo la fune, di notte?! Id est: pensi forse che io sia un ladrone che va tendendo la fune di notte?! Cosí un tempo solevano fare i ladroni di strada che tendendo una fune attraverso la strada facevano sí che i viandanti sia a piedi che in carrozza inciampando nel teso ostacolo, stramazzassero per terra e venissero facilmente rapinati.
L’espressione in epigrafe veniva olim pronunciata, in maniera risentita, soprattutto dai genitori che alle richieste eccessive e perciò costose dei propri figliuoli, opponevano una penuria di mezzi in linea con la conclamata onestà di essi genitori non adusi a procurarsi danaro con mezzi da masnadieri. Oggi, elevatasi generalmente la condizione economica di tutte le famiglie, è difficilissimo cogliere la locuzione in epigrafe sulla bocca dei genitori, proclivi - nei confronti dei figli - ad allargare i cordoni della borsa, nella convinzione che sia cosa giusta concedere ai figliuoli tutto ciò che chiedono, anche al costo - forse - di tendere la fune, di notte.
8. Chiammà a san Paulo, primma ‘e vedé ‘a serpe.
Ad litteram:Invocare l’aiuto di san Paolo prima di imbattersi in un serpente. Id est: correre ai ripari prima che si sia verificato un danno. Detto di chi per eccesso di prudenza o per innato timore, precorra gli eventi, ponendosi in posizione di difesa anche quando l’avvenimento paventato sia di là da venire.In tutto il meridione, l’apostolo delle genti è ritenuto, ma ne ignoro il motivo, il protettore contro gli attacchi delle serpi. Addirittura in taluni paesi delle Puglie e delle Calabrie si celebrano riti religiosi culminanti con la processione dell’effigie del santo portata in giro ricoperta da un gran numero di serpenti.
9. Che s’à dda fà pe campà!
Ad litteram: Che bisogna fare per vivere! Non è una domanda, ma una amara esclamazione che viene pronunciata da chi per sbarcare il lunario e procurarsi mezzi di sostentamento, o deve sottoporsi a fatiche molto grandi o deve sopportare cocenti umiliazioni delle quali chiama quasi a testimoni gli astanti; infatti spesso la locuzione è completata da un Vide (vedi) anteposto alla frase in epigrafe.
10. Che m’accucchie? oppure Che m’ammacche?
Ad litteram: nell’una e l’altra maniera cosa metti assieme? Id est: cosa vai cianciando? Locuzioni usate quando si voglia fare intendere ad un interlocutore che le cose che va asserendo sono vacue sciocchezze, senza nesso né logico né conseguenziale con ciò di cui si sta parlando. Spesso le locuzioni in epigrafe vengono pronunciate seguite da quella riportata al num. 85.
11. Cu ‘na bbona salute!
Ad litteram:Vi giovi alla salute! Un tempo in questo modo, in luogo dell’algido e quasi minaccioso: Buon appetito, il padrone di casa soleva sollecitare i commensali perché principiassero a mangiare, ed augurava che il cibo giovasse alla loro salute. Probabilmente non tutti sanno che il “buon appetito” normalmente usato, non è un augurio, ma originariamente era e forse ancòra lo è un duro comando imposto dal ciambellano a tutti i commensali invitati alla tavola del principe affinché mangiassero con appetito , mostrando cosí di gradire il pranzo offerto. Oggi dismessa l’abitudine delle riunioni conviviali, l’augurio in epigrafe è rimasto, ma si è ridimensionato diventando un modo di salutare in luogo del consunto, cameratesco ed etimologicamente troppo remissivo ciao(in veneziano: schiavo).
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VARIE 296

1.Ê cane dicenno
letteralmente: dicendo ai cani locuzione pronunciata magari accompagnata da un gesto scaramantico con la quale si vuol significare: non sia mai!, accada ai cani e non a noi, ciò che stiamo dicendo!
2. A mmorte ‘e subbeto.
Ad litteram: a morte subitanea id est: repentinamente, senza por tempo in mezzo; detto soprattutto in riferimento ad ordini da eseguirsi, come indicato in epigrafe, con la stessa immediatezza di una morte repentina.
3. Aggiu visto 'a morte cu ll' uocchie.
Ad litteram: Ò visto la morte con gli occhi Con questa tautologica locuzione si esprime chi voglia portare a conoscenza degli altri di aver corso un serio, grave pericolo tale d’averlo portato ad un passo dalla morte, vista da molto vicino e di esserne venuto fortunatamente fuori, tanto da poterlo raccontare.
4. Accurtà ‘e passe a quaccheduno
Ad litteram:accorciare (ridurre) i passi a qualcuno; id est: ridimensionare i movimenti di qualcuno al fine di impedirgli di procedere oltre; detto soprattutto di chi - mostratosi troppo saccente e supponente - si stia comportando, conseguentemente, con boria e vacua baldanza; ebbene è buona norma che costui venga ridimensionato, con parole ed atti, perché comprenda quali sono i limiti nei quali deve muoversi e non li ecceda.
5. Accussí à dda jí
Ad litteram : cosí deve andare; fatalistica espressione con la quale a Napoli si suole accettare tutte quelle situazioni che non possono essere eluse o evitate ed alle quali perciò bisogna - sia pure obtorto collo - soggiacere.Talvolta per completamento della frase in epigrafe ed a significare un totale abbondono nell’ Ente supremo che muove tutti gli accadimenti umani, si aggiunge un religioso e rassegnato e accussí sia ( e cosí sia).
6. Accussí va ‘o munno
Ad litteram: cosí va il mondo: espressione analoga alla precedente, ma con un piú marcato senso di impotenza davanti alla ineluttabilità di taluni avvenimenti, che – in qualsiasi parte del mondo – evolvono nella medesima maniera...
7.Abbruscià ‘o paglione
Ad litteram: bruciare il pagliericcio id est: far terra bruciata attorno a qualcuno. Grave minaccia con la quale si comunica di voler procurare, a colui cui è rivolta, un grave, gravissimo anche se non specificato danno; la locuzione rammenta ciò che erano soliti fare gli eserciti sconfitti , in ispecie quelli francesi che nell’abbondonare l’accampamento fino a quel momento occupato, usavano bruciare tutto per modo che l’esercito sopravveniente non potesse averne neppure un sia pur piccolo tornaconto.Oggi la locuzione in epigrafe è usata con due significati, uno meno grave, l’altro piú duro; nel significato meno duro l’espressione significa mancare a un impegno, a un appuntamento; nel significato piú minaccioso l’espressione è usata per minacciar imprecisati ma totali danni; infatti con l’espressione T’aggi’ ‘abbruscià ‘o paglione! si vuol significare: Devo arrecarti tutto il danno possibile, bruciandoti persino il pagliericcio su cui dormi, per non darti piú modo neppure di riposare!
Anticamente l’espressione in epigrafe valeva come minaccia di sodomizzazione. ma è difficile comprende quale sia il percorso semantico seguíto per apparentare il paglione (pagliericcio) con la sodomizzazione; si può ipotizzare ragionevolmente che si sia usato il termine paglione come figura estensiva di un fondoschiena gonfio tal quale un pagliericcio imbottito; va da sé che una pratica sodomitica comporterebbe un’infiammazione del fondoschiena tale da lasciarlo quasi ardente, quasi come per una ustione. )
abbruscià = bruciare, ardere, incendiare,consumare, distruggere, rovinare con l'azione del fuoco o del calore.
l’etimo è da un lat. volg. ad+brusiare→abbrusiare→abbrusciare/à
paglione s. m. = pagliericcio, saccone pieno di paglia o foglie secche usato come materasso; quanto all’etimo paglione è un evidente accrescitivo (cfr. suff. one) di paglia che è dal lat. palea
8. Â casa d’’o ferraro, ‘o spito ‘e lignammo.
ad litteram: in casa del fabbro, lo spiedo è di legno; locuzione usata ad ironico commento di tutte quelle situazioni nelle quali, per accidia o insipienza dei protagonisti vengono a mancare elementi che invece si presupponeva non potessero mancare e ci si deve accontentare di succedanei spesso non confacenti.
9. ‘A carna tosta e ‘o curtiello scugnato.
ad litteram: la carne dura ed il coltello senza taglio. Icastica locuzione che si usa a dolente commento di situazioni dove concorrano due o piú elementi negativi tali da prospettare un sicuro insuccesso delle operazioni intraprese. Altrove per significare la medesima cosa s’usa l’espressione illustrata al numero successivo.
10. Aizarse ‘nu cummò
ad litteram: caricarsi addosso un canterano; detto di chi abbia impalmato una donna anziana, non avvenente e, a maggior disdoro, priva di congrua dote. Si ritiene che chi abbia fatto un simile matrimonio, abbia compiuto uno sforzo simile a quello di quei facchini addetti a trasporti, facchini che sollevavano e si ponevano sulle spalle pesanti cassettoni di legno massello, sormontati da pesanti lastre di marmo.
aizar(se) = sollevar(si), alzar(si), caricar(si) di qualcosa; voce verbale infinito derivato dal lat. altiare→auziare→aizare;
cummò s.m. = canterano, cassettone voce derivata dal francese commo(de).
11. Accurtà ‘e passe a quaccheduno
Ad litteram:accorciare (ridurre) i passi a qualcuno; id est: ridimensionare i movimenti di qualcuno al fine di impedirgli di procedere oltre; detto soprattutto di chi - mostratosi troppo saccente e supponente - si stia comportando, conseguentemente, con boria e vacua baldanza; ebbene è buona norma che costui venga ridimensionato, con parole ed atti, perché comprenda quali sono i limiti nei quali deve muoversi e non li ecceda.
12. Accussí à dda jí
Ad litteram : cosí deve andare; fatalistica espressione con la quale a Napoli si suole accettare tutte quelle situazioni che non possono essere eluse o evitate ed alle quali perciò bisogna - sia pure obtorto collo - soggiacere.Talvolta per completamento della frase in epigrafe ed a significare un totale abbondono nell’ Ente supremo che muove tutti gli accadimenti umani, si aggiunge un religioso e rassegnato e accussí sia ( e cosí sia).
13. Accussí va ‘o munno
Ad litteram: cosí va il mondo: espressione analoga alla precedente, ma con un piú marcato senso di impotenza davanti alla ineluttabilità di taluni avvenimenti, che – in qualsiasi parte del mondo – evolvono nella medesima maniera...
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VARIE 295

1 Caruso, melluso, miette 'a capa dint' a 'o pertuso, e po' vène 'o scarrafone e te roseca 'o mellone...
Filastrocca intraducibile ad litteram con la quale a Napoli un tempo si soleva prendere in giro i ragazzi che - per igiene - portavano la testa completamente rapata; li si insolentiva preconizzando per loro che avrebbero avuto, ma non si capiva il perché, la testa rosicchiata da uno scarafaggio.
2Quanno 'o parente corre, 'o vicino è ggià curruto.
Ad litterram: quando il parente accorre, il vicino lo à già fatto. Id est: bisogna aspettarsi maggior aiuto da un vicino che da un parente, che viene a prestarti aiuto meno sollecitamente di un vicino: questo - almeno - accade in Campania dove esiste ancora la cultura del buon vicinato; per la restante parte d'Italia non è dato sapere...
3 'O figlio muto 'a mamma 'o 'ntenne.
Il figlio muto lo comprende la madre. Il senso è che nessuno sa capire i propri figli come una madre.
4'O puorco fète 'a vivo, ma addora quanno è mmuorto, ll'ommo addora 'a vivo e fète 'a muorto, 'a femmena fète viva o morta.
Ad litteram: il maiale puzza da vivo, ma odora da morto(quando è ben cucinato), l'uomo odora da vivo e puzza da morto, la donna - invece puzza sia da viva che da morta; id est: la donna è comunque un'essere da evitare, essendo l'unico essere inaffidabile e, figurativamente, maleodorante sia da vivo che da morto.
5 Si 'e ccorne fossero purtualle, 'a capa toja fosse Palermo.
Ad litteram: Se le corna fossero arance, la tua testa(che ne è molto fornita) sarebbe la città di Palermo.Icastica e colorita offesa con la quale a Napoli si suole rammentare a taluno i continui tradimenti operati dalla di lui consorte, al segno che qualora le corna fossero arance, la testa del malcapitato cui è diretta l'offesa, sarebbe la città di Palermo, zona in cui si producono estesamente saporitissime e grosse arance.
6 'O puorco pulito nun se 'ngrassa maje
Ad litteram: un porco pulito non si ingrassa mai. Id est:Chi si comporta in maniera netta e scevra di colpe, non otterrà mai grandi risultati nella propria vita, dove -invece- per poter primeggiare - occorre spesso commetter nefandezze, come accade per il maiale che solo se vive rotolandosi nella melma del porcile, prospera e s'ingrassa.
7'O cuoncio acconcia.
Ad litteram: il condimento aggiusta. Id est: basta un buon condimento per migliorare le pietanze meno appetitose. Per traslato: ogni cosa diviene bene accetta se è presentata bene o agghindata con grazia.
8 Chi tene 'e mmane 'mpasta, nun mette 'e ddete 'nculo a' gallina.
Ad litteram: chi sta impastando, non mette le dita nel sedere della gallina. Il proverbio non adombra una norma igienico - sanitaria, ma vuol significare che chi sta nel mondo degli affari deve tener sempre nascoste le proprie mosse per non appalesare ai concorrenti quali sono le sue intenzioni prossime; non deve comportarsi cioè come la contadina che - tastando il sedere alle galline per accertarsi della presenza dell'uovo - dà ingenuamente a vedere a tutti ciò che le sta per accadere.

9 'O cavallo zuoppo e 'o ciuccio viecchio, morono â casa d''o fesso.
Ad litteram: il cavallo zoppo e l'asino vecchio muoiono in casa dello sciocco. Id est: dello sciocco ognuno si approfitta; nella fattispecie allo sciocco vengono venduti il cavallo azzoppato e l'asino vecchio ormai inadatti al lavoro.
10 L l'amico è comme ô 'mbrello: quanne chiove nun 'o truove maje.
Ad litteram: l'amico è come l'ombrello; quando piove non lo trovi mai; id est:l'amico - che nei momenti di bisogno dovrebbe essere il primo a soccorrerti-, accade che, proprio allora sparisce e non si fa trovare...
11 'A tonaca nun fa 'o monaco, 'a chiereca nun fa 'o preveto, nè 'a varva fa 'o filosofo.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o personalità di un uomo.
12 Me parono 'e ccape d''a Vecaria.
Ad litteram: mi sembrano le teste della Vicaria. Lo si suole dire di chi è smagrito per lunga fame, al segno di averne il volto affilato e scavato quasi come le teste dei giustiziati, teste che tra il 1500 ed il 1600 venivano esposte per ammonimento infilzate su lunghe lance o esposte in gabbie metalliche e tenute per giorni e giorni all'esterno dei portoni del tribunale della Vicaria, massima corte del Reame di Napoli.
13 Aria netta nun ave paura 'e trònnele.
Ad litteram: aria pulita non teme i tuoni; infatti quando l'aria è tersa e priva di nuvole, i tuoni che si dovessero udire non sono annunzio di temporale. Per traslato: l'uomo che à la coscienza pulita non teme che possa ricevere danno dalle sue azioni, che - improntate al bene - non potranno portare conseguenze negative .
14 Ascí 'a vocca ê cane e ferní 'mmocca ê lupe
Ad litteram: scampare alla bocca dei cani e finire in quella dei lupi. Maniera un po' piú drammatica di rendere l'italiano: cader dalla padella nella brace: essere azzannati da un cane è cosa bruttissima, ma finire nella bocca molto piú vorace di un lupo, è cosa ben peggiore.
15 Rrobba 'e mangiatorio, nun se porta a cunfessorio.
Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione. Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un autentico peccato. A malgrado che la gola sia uno dei vizi capitali,per il popolo napoletano, atavicamente perseguitato dalla fame, non si riesce a comprendere come sia possibile ritener peccato lo sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.
16 Cu ll'evera molla, ognuno s'annetta 'o culo.
Ad litteram: con l'erba tenera, ognuno si pulisce il sedere; per traslato: chi è privo di forza morale o di carattere non è tenuto in nessuna considerazione , anzi di lui ci si approfitta, delegandogli persino i compiti piú ingrati
17 T'ammeretave 'a croce ggià 'a paricchio..
Ad litteram: avresti meritato lo croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è sarcasticamente usata per prendersi gioco di coloro che, ottenuta la croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo raggiunto; ebbene a costoro, con la locuzione in epigrafe, si vuol rammentare che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendendo che li si ritiene malfattori, delinquenti, masnadieri tali da meritare il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...
18 Ll'avvocato à dda essere 'mbruglione.
Ad litteram: l'avvocato deve essere imbroglione. A Napoli - terra per altro di eccellentissimi principi del foro, si è convinti che un buono avvocato debba esser necessariamente un imbroglione, capace cioè di trovare argomentazioni e cavilli giuridici tali da fare assolvere anche un reo confesso o - in sede civilistica - far vincere una causa anche a chi avesse palesemente torto
19 Ll'avvocato fesso è cchillo ca va a leggere dint'ô codice.
Ad litteram: l'avvocato sciocco è quello che compulsa il codice; id est: non è affidabile colui che davanti ad una questione invece di adoprarsi a comporla pacificamente consiglia di adire rapidamente le vie legali; ad ulteriore conferma dell'enunciato in epigrafe, altrove - nella filosofia partenopea - si suole affermare che è preferibile un cattivo accordo che una causa vinta, che - certamente - sarà stata piú dispendiosa e lungamente portata avanti rispetto all'accordo.
20 Â gatta ca allicca 'o spito, nun ce lassà carne p'arrostere.
Ad litteram: alla gatta che lecca lo spiedo, non lasciar carne da arrostire. Id est: non aver fiducia di chi ti à dato modo di capire di che cattiva pasta è fatto, come non sarebbe opportuno lasciare della carne buona per essere arrostita, a portata di zampe di un gatto che è solito leccare gli spiedi su cui la carne viene arrostita...

21 'O friddo 'e bbuone 'e scutuléa, e 'e malamente s''e carréa.
Ad litteram: il freddo percuote chi gode buona salute e porta via con sé chi sta male. Id est: i rigori invernali fanno comunque danno; per solito, in inverno, chi gode buona salute, finisce per ammalarsi, mentre chi è già malato corre il grave rischio di morire.
22 Rummané a' prevetina comme a don Paulino.
Ad litteram: restare alla "prevetina" come don Paolino prete nolano(celebre, altrove, per la sua indigenza cosí grande da non permettergli l'acquisto di ceri per le funzioni religiose, che era costretto a celebrare usando i piú economici tizzoni di carboni ardenti). Id est: ridursi in gran miseria al punto di possedere solo una prevetina, moneta che valeva appena 13 grana, ossia molto poco, e che prendeva questo nome perché con la "prevetina" moneta del valore appunto di 13 grana ci si pagava la celebrazione di una santa Messa. Un sacerdote che lucrasse in una giornata una sola prevetina con la quale avrebbe dovuto far fronte a tutte le esigenze quotidiane, non aveva certo di che stare allegro...
23 È mmeglio fà 'mmidia ca pietà.
Ad litteram: è meglio essere invidiati che essere oggetto di commiserazione; ed il perché è intuitivo, comportando l'invidia uno status di opulenza,tale da meritarsi l'invidia del prossimo, mentre il commiserato versa - per solito - in pessime condizioni.
24 'Nu strunzo ca cadette a mmare, vedenno 'nu purtuallo ca llà galliggiava, dicette: simmo tutte purtualle!
Uno stronzo che cadde in mare, vedendo un'arancia che ivi galleggiava, easclamò: siamo tutti arance! A Napoli si suole ripetere questo proverbio per sarcasticamente canzonare e commentare le azioni di tutti gli sciocchi, i supponenti e gli stupidi che pretendono di farsi considerare per ciò che non sono...
25 Ô ricco lle more 'a mugliera, ô pezzente le more 'o ciuccio.
Ad litteram: al ricco viene a mancare la moglie, al povero, l'asino... Id est:Il povero è sempre quello piú bersagliato dalla mala sorte: infatti al povero viene a mancare l'asino che era la fonte del suo sostentamento, mentre al ricco viene a mancare la moglie, colei che gli dilapidava il patrimonio; morta la moglie il ricco non à da temere rivolgimenti di fortuna, mentre il povero che à perso l'asino sarà sempre piú in miseria.
26 Si comme tiene 'a vocca, tenisse 'o culo, farrìsse ciento pérete e nun te n'addunasse.
Ad litteram: se come tieni la bocca, avessi il sedere faresti cento peti e non te n'accorgeresti; il proverbio è usato per bollare l'eccessiva verbosità di taluni, specie di chi è logorroico e parla a vanvera, senza alcun costrutto, di chi - come si dice - apre la bocca per prendere aria, non per esprimere concetti sensati.
27 Si 'arena è rrossa, nun ce mettere nasse.
Ad litteram: se la sabbia(il fondale del mare) è rossa, non mettervi le nasse(perché sarebbe inutile!) Id est: Se il fondale marino è rosso - magari per la presenza di corallo, non provare a pescare, ché non prenderesti nulla. Per traslato il proverbio significa che se un uomo o una donna ànno inclinazioni cattive, è inutile tentare di crear con loro un qualsiasi rapporto: non si otterrebbero buoni risultati.
28 Si 'a tavernara è bbona, 'o cunto è sempe caro.
Ad litteram: se l'ostessa è procace, il conto risulterà sempre salato. Lo si dice a mo' d'ammonimento a tutti coloro che si ostinano a frequentare donne lascive e procaci, che per il sol fatto di mostrar le loro grazie pretendono di esser remunerate in maniera eccessiva...
29 Nun te dà malincunìa, nè pe malu tiempo, nè pe mala signuría.
Ad litteram: non preoccuparti nè per cattivo tempo, nè per pessimi governanti. Id est: sia il cattivo tempo, che i governanti cattivi prima o poi cambiano o spariscono per cui non te ne devi preoccupare eccessivamente fino a prenderne malinconia...
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VARIE 294

1 Chillo se ‘mpizza 'e ddete 'nculo e caccia 'anielle.
Ad litteram: Quello si ficca le dita nel sedere e tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che, a mo’ di un prestidigitatore, è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili.
2 Avimmo perduto 'aparatura e 'e centrelle.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
aparature s.vo fle pl. di aparatura = addobbo; voce derivata dal p.p. paratu(m) del lat. parare=preparare seguendo il percorso a (prefisso intensivo)+ paratu(m) + il suff. di pertinenza ura;
centrelle s.vo fle pl. di centrella = chiodino;
la voce centrella è un diminutivo del greco kéntron= chiodo.
3 'A femmena è ccomme â campana: si nun 'a tuculije, nun sona.
Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la donna à bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma pure i propri istinti.
4 'A femmena bbona si - tentata - resta onesta, nun è stata buono tentata.
Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata –(non cede e) resta onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza del compito...
5 Tre ccose nce vonno p''e piccerille: mazze, carizze e zizze!
Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi:mazze (cioè busse), carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportano bene.
6 'E pegge juorne so' cchille d''a vicchiaia.
Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si hanno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che, del resto, in vecchiaia non mancano mai...
7 Dimménne n'ata, ca chesta ggià 'a sapevo.
Ad litteram: raccóntamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se (come pare) ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi, vanificando il tuo operato.
8 Denaro 'e stola, scioscia ca vola.
Ad litteram: denaro di stola, soffia ché vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso.













9. Fatte capitano e magne galline.
Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: infatti chi sale di grado migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser salito di grado, così vedrai migliorato il tuo tenore di vita.
10.'E mariuole cu 'a sciammeria 'ncuollo, so' pegge 'e ll' ate.
Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità.
mariuole s.vo m.le pl. di mariuolo = ladro, il mariolo, ed estensivamente la persona disonesta in genere anche quando non sia dedita al furto continuato; per ciò che attiene all’etimologia del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un etimo incerto, qualche altro (D.E.I.) propende per un antico aggettivo francese mariol = furbacchione,forse da collegare ad un’origine orientale (turca) donde forse anche il greco mod. margiólos= astuto, furbo etc. qualche altro ancóra lo legherebbe allo spagnolo marraio e marrullero = imbroglione, monello;la proposta del D.E.I.sarebbe interessante se si fermasse al francese mariol e non chiamasse in causa (senza specificarla!) un’origine turca, ma Carlo Battisti che si prese la responsabilità della lettera M evita di chiarire o precisare e con la sua proposta non mi convince per cui non mi sento di accoglierla, come non posso accogliere l’idea dello spagnolo marraio o marrullero morfologicamente troppo lontana da mariuolo e non chiarita nel percorso morfologico da seguire per pervenirvi; trovo invece molto interessante la scuola di pensiero (C. Iandolo) che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→marevuolo con sincope definitiva della v donde mareólo→ mareuólo e mariuólo
quantunque nel napoletano siano rintracciabili piú frequentemente delle epentesi consonantiche eufoniche ( n, v) infisse a mezzo dittonghi o iati, che delle sincopi.
sciammeria s.vo f.le = giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) in senso traslato e giocoso vale coito.Etimologicamente la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese chambre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo chamberga sempre che non derivi dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, fu resa in italiano col termine giamberga da cui non è lontana sciammeria; personalmente trovo però piú convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona;
come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che, ripeto, per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo ed al proposito rammento che con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria onirica (nella smorfia napoletana è codificata al numero 64), è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, avendo probabilmente acceso la loro fantasia notturna la scena d’una unione sessuale, piuttosto che d’una giacca da cerimonia.
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venerdì 26 giugno 2009

VARIE 293

1 -Vení a mmente
Ad litteram: venire in mente; id est: rammentarsi di qualcosa, richiamarlo alla mente; da notare che nel modo di dire napoletano si usa il verbo di moto: venire, quasi che ciò che torna alla memoria debba spostarsi da un ipotetico mondo delle idee per riportarsi nella mente di qualcuno, mente che aveva precedentemente abbandonato.
2 -Venimmo a nuje
Ad litteram: veniamo a noi; locuzione usata per significare: riprendiamo il discorso, o ancóra - in un discorso già avviato: stringiamo i tempi, non ci perdiamo in chiacchiere, miriamo a concludere!
3 -Vennere 'a scafarea pe sicchietiello
Ad litteram: cedere in vendita una grossa scodella in luogo di un piccolo secchio Icastica locuzione usata quando si voglia sarcasticamente commentare l'incomoda posizione di chi cerchi di far passare come inviolata una donna che, invece abbia biblicamente conosciuto molti uomini.
Scafarea s.vo f. = ampio vaso, vasto catino di creta (dal greco skàphe=barchetta, vaso)
Sicchietiello s.vo m. dim. di sicchio = secchio (dal lat.volg. situlu(m)→sitlu(m)→siclu(m)→sicchio)
4 - Voca fora ca 'o mare è maretta
Ad litteram:prendi il largo, ché il mare è agitato Cosí, al di là del significato letterale si usa dire quando si voglia consigliare un importuno, fastidioso individuo di allontanarsi da noi, atteso che siamo nervosi ed insofferenti della sua presenza e dei suoi modi fastidiosi cui, con ogni probabilità, risponderemmo - nel caso non seguisse il nostro consiglio ad allontanarsi - con durezza se non con violenza.
Locuzione mutuata dal linguaggio dei marinai, i quali sanno che in caso di mare mosso è piú salutare puntare al largo, anziché bordeggiare la costa contro la quale si può correre il rischio di infrangersi.
5 -Vide addó hê ‘a jí
Ad litteram: Vedi dove devi andare; id est: allontanati , trova un'altra strada, va' via, vattene ed impegnati a trovare qualcun altro da infastidire.
6- Va' felicita quaccun'ato
Ad litteram: va' a render felice qualcun altro Locuzione di valenza molto simile alla precedente; questa in epigrafe è venata di maggior ironia, se non sarcasmo, atteso che se uno infastidisce qualcuno, certamente non lo rende felice ; ed in effetti qui il render felice sta ironicamente a significare: romper le scatole, tediare, pesantemente infastidire.
7 -Volle 'a caurara!
Ad litteram: bolle la caldaia Sorridente e malizioso riferimento ai primi bollori erotici delle giovani ragazze appena sbocciate alla vita di relazione.
È inutile precisare quale sia la caldaia in bollore.
8 - Vénnerlo pe dint' â senga d''a porta
Ad litteram:Venderlo attraverso lo spiraglio della porta; id est : vivere centellinando la propria azione, quasi pavidamente e tentando di far credere che ciò che si fa sia di grande importanza e se lo si conferisce liberalmente ciò avviene per grande magnanimità e quasi a rischio, quel rischio che esisteva realmente quando, temporibus illis si praticava il contrabbando e taluni generi venivano venduti letteralmente attroverso uno spiraglio di porta appena semiaperta.
9 -Vide 'o Cielo che te mena!
Ad litteram: guarda il cielo che ti concede! Icastica locuzione che potrebbe avere una valenza sia positiva che negativa, ma che viene usata solo con riferimento a quella negativa quale sofferto, amaro commento a ciò che di sgradevole, quando non deleterio, inattesamente ci caschi in testa piovendoci dall' Alto, senza lasciarci modo di evitarlo.
10 -Vrenna e sciuscelle nell'espressione: ferní a vvrenna e sciuscelle
Ad litteram:crusca e carrube nell'espressione finire a crusca e carrube
La crusca e le carrube sono due gustosi alimenti di cui son golosi i cavalli, alimenti che un tempo erano poco costosi e di facile reperibilità; per cui l'espressione finire a crusca e carrube era usata per indicare una situazione che si risolveva positivamente, con gratificazione di tutti e soprattutto con poco impegno di moneta; quando invece la situazione, pur risolvendosi positivamente comportava un maggior dispendio di danaro si diceva e si dice: ferní a tarallucce e vino
(finire a biscottini rustici e vino ) biscottini e vino costavano e costano molto piú di crusca e carrube.
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JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO & altro

JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO
oppure Jí Stocco E Turnà Baccalà
Per ambedue: Attivarsi a qualcosa, ma non addivenire a nulla!Ad litteram: Jí cascia e turnà bauglio: Andar cassa e tornare baúle oppure jí stocco e turnà baccalà: andare stoccafisso e tornar baccalà id est: non approdare a nulla di concretamente apprezzabile; nel primo caso detto di chi partito quale cassa (mero contenitore) ne ritornasse, senza veri risultati, ma con il solo nome mutato; il bauglio è comunque nulla di piú che un semplice contenitore ad un dipresso simile, se non uguale ad una cassa! Idem dicasi, nel caso della seconda espressione jí stocco e turnà baccalà per lo stoccafisso ed il baccalà i quali o che sia seccato ed affumicato (stoccafisso) o eviscerato, salato e conservato in barile (baccalà) è pur sempre un semplice, povero merluzzo!
Cascia: etimologicamente dal latino capsa (da capio) attraverso uno spagnolo caja
Baúglio: etimologicamente deverbale metatetico del latino bajulare=portare s.m. = baúle, contenitore usato per portare merci o altro;altrove estensivamente gobba che insiste sul petto.
Stocco: etimologicamente dallo spagnolo/portoghese estoque =bastone
Baccalà: etimologicamente dallo sp. bacalao, e questo dal fiammingo kabeljauw

***
Jí cu ‘o chiummo e cu ‘o cumpasso.
Ad litteram: andare con il piombo ed il compasso id est: agire in ogni occasione con estrema attenzione, tal quale gli artieri che innalzano fabbricati che usano il filo a piombo per tener sotto controllo la esatta verticalità delle mura, o il compasso per non perder di vista le proporzioni progettuali;
chiummo: etimologicamente dal latino plumbeum con la tipica mutazione del gruppo pl che approda al napoletano chi come altrove ad es. plaga che diede chiaia o anche plus diventato cchiú;
cumpasso : etimologicamente dal latino cumpassu(m)= che à il medesimo passo.
raffaele bracale

LA GIACCA ELEGANTE ED I TERMINI CORRISPONDENTI

LA GIACCA ELEGANTE ED I TERMINI CORRISPONDENTI

Nella parlata napoletana esistono svariati termini per indicare la giacca elegante, capo di abbigliamento maschile;
-iniziamo con il termine matiné derivato dal francese matinée col quale si intende la giacca elegante, ma da indossar di mattino;
- abbiamo poi la sciassa derivato dal francese châsse ed è la giacca elegante dalle falde non eccessivamente lunghe, ma aperte centralmente dalla vita in giú, originariamente di colore rosso, giacca usata su pantaloni da cavallerizzo,per la caccia(in francese châsse);
- la giacca stretta in vita, non abbottonata, dalle lunghe e strette falde, indossata su stretti pantaloni neri da cerimonia, con gilè e sparato nonché cravattino bianchi è detta fracchisciasse, con simpatica commistione tra le parole frac e la sciassa ricordata dianzi;detto modo di abbigliarsi divenne tra il finire del 1800 e i primi anni del 1900, la consueta divisa dei camerieri di ogni elegante caffè del centro di Napoli;
- la giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie è invece resa con il termine sciammèria che probabilmente è un denominale forgiato sul francese chambre oppure e più probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo chamberga sempre che non derivi direttamente dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, è resa in italiano col termine giamberga ; personalmente trovo più convincente l’ipotesi ispanica che più si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, caduta del gruppo rg sostituito da una i atona;
si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo;
- la giacca stretta in vita,monopetto o doppiopetto, ma sempre a due falde, che con i pantaloni a minute righe verticali forma il tight, è resa invece con un termine giocoso: cafè a ddoje porte (caffè a due porte) atteso che le ampie falde posteriori con il movimento del corpo facilmente si aprono e si sollevano lasciando scoperti i pantaloni;
- esistette poi un tempo, ed ora non più in uso, un’ampissima giacca da gala, con un’unica lunghissima falda posteriore insistente sul fondoschiena che perciò fu detta parapérete (id est: blocca peti) o altrove (nel leccese) ‘nfocapérete (id est: riscalda peti).
Raffaele Bracale

INQIETARE, IMPORTUNARE, INFASTIDIRE & dintorni

INQIETARE, IMPORTUNARE, INFASTIDIRE & dintorni
Questa volta prendo spunto da una richiesta fattami da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, per parlare delle voci italiane in epigrafe ed illustrare a seguire quelle che le rendono in napoletano. Entriamo súbito in medias res e troviamo:
inquietare v. tr.
1 rendere inquieto; turbare, preoccupare: pensieri che inquietano l'animo
2 (ant.) vessare, perseguitare, irritare, spazientire inquietarsi v. intr. pron.
1 (non comune) mettersi in ansia per qualcosa; preoccuparsi
2 irritarsi, spazientirsi: si inquieta con tutti per un nonnulla.
Quanto all’etimo è un verbo derivato dal lat. inquietare, deriv. di inquietus 'inquieto';
importunare v. tr.
dar fastidio, disturbare, recare molestia:
specialmente con richieste ripetute: importunare una donna, infastidirla con un eccesso di galanteria o con apprezzamenti sconvenienti | in formule di cortesia: scusi se la importuno; non vorrei importunarla.
Quanto all’etimo è un verbo derivato dall’aggettivo importuno che è dal lat. importunu(m), comp. di in- 'non' e (op)portunus 'opportuno';
infastidire v. tr.
dar fastidio, disturbare, recare molestia:
1 recare noia a qualcuno: infastidire gli altri con le proprie lamentele
2 (ant.) provare ripugnanza per qualcosa; avere a noia ||| infastidirsi v. intr. pron. seccarsi, perdere la pazienza: s'infastidisce per cose da nulla. Etimologicamente è verbo derivato dal sostantivo fastidio con il prefisso di un in illativo; fastidio è dal lat. fastidiu(m) 'ripugnanza, disdegno', probabile contaminazione di fastus 'orgoglio' e taedium 'noia, disgusto'.
I limitati verbi dell’italiano or ora illustrati trovano nel napoletano numerosissimi e forse piú precisi alleati che sono:
abbafà v. intr. che in primis vale: inaridire, alidire, insecchire, riardere per effetto dell’eccessivo calore; per traslato vale: tediare, seccare, importunare che è del comportamento tipico delle persone fastidiose che si appiccicano addosso tal quale un’aria greve e calda; quanto all’etimo si tratta d’un denominale del sostantivo d’àmbito laziale e romano bafa collaterale di afa = calore eccessivo, alidore fastidioso;
fruscià v. intr. e trans. che in primis vale fluire, scorrere copiosamente; per traslato vale: molestare, contristare, importunare (che è del comportamento tipico delle persone fastidiose) ed ancóra dissipare, sciupare; nella forma riflessiva frusciarse vale: affannarsi, affaccendarsi, pavoneggiarsi, darsi importanza (che è del comportamento tipico delle persone che affaccendate a fare alcunché, non ànno voglia e tempo di accorgersi degli altri ritenuti inferiori;) quanto all’etimo si tratta d’un derivato del lat. frustiare;
‘ncuità v. trans. in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: beffeggiare, fare, giocare una beffa a qualcuno, canzonare, deridere; la forma riflessiva ‘ncuitarse vale adirarsi, irritarsi; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n distrattivo + il lat. quietus=quieto, tranquillo e cioè incuitare/’ncuità sta per toglier la quiete, la tranquillità;
‘nfanfarí v. trans. che in primis vale: Inquietare, dar fastidio a ql.cn, e poi anche: frastornare,stordire, intontire; quanto all’etimo si tratta d’un verbo denominale formato partendo da un in→’n illativo + il s.vo fanfaro/’nfanfaro = fanfarone, smargiasso, millantatore etc. che è a sua volta dallo spagnolo fanfarrón con tipica riduzione della erre come càpita ad es. nell’italiano caricare che è dal lat. *carricare (da carrus): il napoletano carrecà conserva invece la doppia di *carricare;
‘nfardà v. trans. che in primis vale:Insozzare,sporcare e poi anche ripiegare e cioè dare luogo all’operazione detta infaldatura, operazione finale nella produzione dei tessuti, consistente nel piegare in falde sovrapposte la pezza del tessuto; quest’ultima accezione che compendia un’azione lunga, noiosa e fastidiosa, spiega semanticamente il passaggio del verbo a margine al significato di infastidire, dar fastidio; il verbo ‘nfardà deve il suo significato primo di insozzare, sporcare al fatto che etimologicamente è verbo ricavato da un in (illativo)→’n + il s.vo farda che in napoletano con etimo dall’ ant. francone fard vale escremento, sterco; il passaggio ad infaldatura è dovuto invece alla confusione popolare del s.vo fard con farda (falda) che è dal gotico falda= piega
‘nfettà v. trans. che in primis vale:Infettare, contaminare; e poi annoiare, infastidire; etimologicamente è verbo dal lat. infectare 'avvelenare, turbare', deriv. di infectus; il passaggio semantico tra primo e successivi significati si spiega intuitivamente: ogni contaminazione, ogni infezione procura noia e fastidio…;
scuccià v. trans. e riflessivo che vale: dar noia, fastidio ed esattamente rompere la testa; scocciarsi v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi; etimologicamente è verbo da un ex + coccia (cranio, testa) derivato da un lat. reg. cocia→coccia per cochlea= guscio della conchiglia concavo come il capo;
sfastedià v. trans. e riflessivo che vale: infastidire, disturbare, importunare sfastediarse v. intr. pron. annoiarsi; etimologicamente è un denominale del lat. fastidiu(m)= noia, tedio addizionato in posizione protetica di una s intensiva;
sfruculià verbo trans. infastidire, stuzzicare, punzecchiare tediosamente. Si tratta di un verbo della parlata napoletana, pervenuto poi nell’italiano,stranamente senza alcun adattamento (di solito i napoletanismi (cfr. ad es. scustumato→scostumato)mutano le chiuse u nelle piú aperte o ) nel significato di tediare, infastidire, punzecchiare, stuzzicare e simili. Illustro qui di seguito la piú famosa locuzione partenopea costruita con il verbo a margine:
Sfruculià 'a mazzarella 'e san Giuseppe
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante, quasi sbreccandone dei pezzetti.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un attento e severo servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto, durante un suo soggiorno veneziano da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi ( 1700 ca), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo tenore il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque il bastone in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare a l’infastidire;
stunà v. trans. e riflessivo che vale in primis:stordire con logorrea e/o eccessivo volume di voce, poi turbare, sconcertare ed infine rintronare,tramortire colpendo alla testa con un colpo;va da sé che lo stordire o il turbare comportino l’annoiare, il seccare, l’infastidire; stunarse v. intr. pron. seccarsi, annoiarsi;con altra valenza piú restrittiva il verbo stunà vale stonare, fare stecche (nella musica o nel canto).Etimologicamente il verbo a margine è un derivato del fr. étonner 'stupire', dal lat. volg. *extonare; mentre per la valenza relativa al canto si può accettare una derivazione dal s.vo tono con la protesi di una esse distrattiva: perdere il tono;
stuzzecà v.tr.
1 toccare, frugare qua e là, spec. con un oggetto sottile e appuntito; toccare insistentemente, provocando irritazione, dolore;
2 (fig.) eccitare, stimolare;
3(fig.ed è il caso che ci occupa) molestare, irritare, punzecchiare;
3 (fig.) eccitare, stimolare; Per nulla tranquilla la questione etimologica del verbo a margine: per alcuni sbrigativamente si tratta di una voce onomatopeica, ma nessuno si perita di chiarire donde deriverebbe tale gratuita,supposta onomatopea, per cui mi pare che questa che parla d’onomatopea, sia idea da scartare; come pure mi pare da scartare l’idea che chiama in causa un non attestato lat. *tudiare (da tudes= martello) con una sovrapposizione di un longobardo stuzzian (=?): troppo arzigogolata e poco dimostrabile!...Come arzigogolata o troppo fantasiosa e poco dimostrabile o significativa è una ipotizzata derivazione dall’ a.a. tedesco stôzen(=?); ugualmente è – a mio avviso – da dirsi troppo arzigogolata e poco dimostrabile, oltre che molto fantasiosa quella che propose il Caix che pensò a non attestati *stoccicare/*stozzicare che ipotizzò derivati da stocco=arma bianca piú corta della spada, con lama piú stretta e a sezione triangolare, per ferire di punta. Tutto sommato, a mio avviso, se si vuole evitare di arrendersi ad un etimo sconosciuto lavandosene le mani, meglio mettersi sulle orme del D.E.I. e pensare a questo stuzzecà come ad un iterativo di tuzzà = urtare, sbattere contro etc.(derivato da un *tuccjare→tuzzà con cj→zz come alibi per allazzà – curazza etc.) iterativo rafforzato da una esse durativa in posizione protetica: da tuzzà→tuzzecà e poi stuzzecà nel significato di urtare ripetutamente e dunque molestare, irritare, punzecchiare;
zucà v. trans. in primis vale: succhiare, suggere, poppare per traslato sta per seccare, infastidire, tediare; quanto all’etimo di questo verbo (per il quale è facilmente intuibile il collegamento semantico tra i primi significati e quelli traslati,) tutti concordemente parlano di una derivazione da un *sucare (denominale di sucus che diede anche un suculare donde succhiare).
E penso di poter mettere un punto fermo: satis est.
Raffaele Bracale

VA’ FÀ LL’OSSE Ô PONTE

VA’ FÀ LL’OSSE Ô PONTE
La locuzionbe napoletana: Va’ fà ll’osse ô ponte
Letteralmente: vai a racimolare le ossa al ponte. Id est: mandare qualcuno a quel paese.Infatti la locuzione suona pure: mannà ô ponte, con il medesimo significato.
Un tempo a Napoli presso il ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello
dove il popolo si recava ad acquistare le carni delle bestie macellate. I meno abbienti si accontentavano di prelevare gratis et amore Dei le ossa usate per preparar economici brodi, per cui spingere qualcuno a fare le ossa al ponte significa augurargli grande miseria. La medesima accezione vale per la locuzione mannà ô ponte; tenendo presente che questa seconda locuzione la si usa nei confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi e dall’età ecco che essa locuzione à una valenza un po’ piú amara giacché la si rivolge a chi - probabilmente - non à la capacità di ripigliarsi ed è costretto a subire fino in fondo gli strali dell’avversa fortuna.
brak

giovedì 25 giugno 2009

CAZZIMMA – CAZZINCULARÍA
Talora gli amici che leggono qui e lí le cosette che scrivo, si divertono a farmi richieste che oserei dire strane, se non fossero palesemente provocatorie. È il caso della richiesta pervenutami questa mattina via e-mail dall’amico C. R. (al solito motivi di privatezza mi impongono di indicare solo le iniziali di nome e cognome) il quale mi à chiesto di parlare delle due parole in epigrafe.
Premetto súbito che le due voci sono essenzialmente del parlato (e di una avevo già accennato parlando delle parole in immo/a) e pertanto di difficilissimo reperimento nei calepini del napoletano,con una qualche eccezione riferibile a pochi linguisti che, sia pure con comprensibili limitazioni, pescano le voci non soltanto negli autori d’antan, ma pure nel parlato (in effetti, nella fattispecie solo nei vocabolarii degli amici C. Iandolo e Renato de Falco ò potuto reperire la voce cazzimma, ma in nessuno ò trovato cazzincularía che pure è voce usatissima nel gergo giovanile popolare…). Mi è stato chiesto però di illustrare le due voci e non mi tiro indietro! Farò da solo senza il supporto degli amici… Cominciamo:
Cazzimma: s.vo f.le astratto intraducibile; con la voce a margine usata nell’espressione “tené ‘a cazzimma” si indica l’asprezza comportamentale, la proditoria gratuita cattiveria, la malevola furbizia quasi levantina (che non è indice di intelligenza,come taluno vorrebbe far credere, ma di innata cattiveria…) sempre prevaricante di colui o coloro che vessa/no i meno dotati fisicamente e/o moralmente al fine di sopravanzarli e godere dei frutti conquistati marmaldeggiando.
Etimologicamente si tratta di una parola costruita addizionando il termine cazzo (che – come noto - è da un gergo marinaresco greco: (a)kation=albero della nave ( qui semanticamente inteso quale…strumento di proditoria offesa)) con il suff. collettivo/ dispregiativo.. imma che continua con raddoppiamento espressivo della labiale il latino imen. Ribadisco qui che l’azione prevaricante e l’asprezza comportamentale indicate dalla voce cazzimma sono atteggiamenti indici di cattiveria innata e/o gratuita non determinata da cause o motivi scatenanti, da far risalire esclusivamente al bagaglio caratteriale dell’individuo cazzemmuso (cioè aduso alla cazzimma). Ben diversa è la voce cazzincularía s.vo f.le astratto intraducibile, che pur rappresentando il medesimo atteggiamento comportante un’azione prevaricante condita di asprezze comportamentali,proditorie offese, furbizie malevoli, scaltrezze astiose, à una ben determinata origine che non è da far risalire esclusivamente al bagaglio caratteriale dell’individuo che agisce con cazzincularía, ma bisogna andare a ricercare in un qualche torto súbito da tale individuo, torto del quale egli pare voglia rivalersi in una sorta di rappresaglia verso tutto il mondo. E quale è il torto subíto che lo spinge alla vendetta? Si tratta di una vera o, piú spesso, ipotizzata, figurata sodomizzazione di cui l’individuo che agisce con cazzincularía sia rimasto vittima; in effetti la parola etimologicamente riproduce, attraverso l’addizione delle parole cazzo + in + culo + il suffisso tonico (r) ía dei nomi astratti, il tipo di torto subíto dall’individuo che agendo con cazzincularía cerca ora di ripagarsi di ciò che realmente o figuratamente abbia dovuto sopportare.
In coda rammento che la voce cazzincularía è spesso attestata, sempre nel parlato, come cazzancularía con un’evidente assimilazione progressiva vocalica di tipo popolare per la quale la i di cazzi si assimila alla a dando cazza cosí come accade nell’italiano dove càpita che talora l’assimilazione vocalica sia regressiva cfr. ad es. tenaglie ma attanagliare.
E mi pare che, una volta fatte le mie rimostranze verso i vocabolaristi che evitano di trattare talune sanguigne voci come queste in epigrafe…, possa bastare e l’amico C. R. e qualche altro che dovesse leggere queste paginette, possano dirsi soddisfatti.
Raffaele Bracale