mercoledì 30 settembre 2009

AVUTÀ ‘A VALANZA Â VIA ‘O GGRUOSSO

AVUTÀ ‘A VALANZA Â VIA ‘O GGRUOSSO
Ad litteram: Girare la bilancia verso la parte grossa; id est: Ricorrere alle maniere forti dirimendo eventuali questioni in maniera decisa, quando non violenta.
Tecnicamente la bilancia in epigrafe è la stadera e cioè un tipo di bilancia, da usarsi a mano libera, con un solo piatto (unito ad un gancio sostenitore per il tramite di quattro catenelle poste a mo’ di piramide di cui il gancio rappresenta il vertice) ed un lungo braccio graduato sul quale scorre un peso(detto: romano) equilibratore costante; tale stadera era ed è ancóra usata dai venditori ambulanti di erbaggi; il braccio graduato incernierato orizzantalmente sotto il gancio può essere ruotato in una seconda posizione per consentire una pesa eccedente quella consentita dalla posizione originaria; tale ruotazione indicherebbe correttamente lo girare la bilancia verso la parte grossa e cioè il predisporla ai pesi maggiori,e per traslato: approntarsi ad usare le maniere forti, ma spesso nel procedere alla predetta ruotazione (girare verso il grosso) càpita che il romano corra verso il piatto in posizione tale che, impugnata per il braccio, con il piatto ed il romano pericolosamente oscillanti o ruotanti ecco che la stadera può assumere la funzione di una pericolosa arma impropria con la quale affrontare e risolvere in maniera decisa eventuali questioni.
avutà = girare, rotare voce verbale infinito avutà = voltare, girare, volgere (lett.), ma anche mutar parere e/o idea con etimo da un lat. volg. *ad + volvitare→voltare frequentativo di volvere; in voltare si è ottenuto ol+cons.→ou→u;
valànza = bilancia ma qui esattamente stadera ( dal lat. statíra(m), dal gr. statêra, acc. di statér -êros 'statere', denominazione di un peso e di una moneta) valànza etimologicamente è derivato da un basso latino *bilancia(m), per il class. bilancem, propr. 'con due (bi-=bis) piatti (lances)'con cambio popolare della atona di avvio ed alternanza partenopea b/v;
â via ‘o ggruosso letteralmente alla via del grosso id est: verso la parte (adatta alla pesata) grossa; di per sé via=via, strada, direzione (dall’accus. lat. via(m) ma â via = alla via id est: verso, ggruosso sost. neutro = ciò che è grosso,cose grosse ricavato dall’agg. gruosso = grosso dal lat. grossum; da notare, come visto altrove, che le voci neutre precedute dal un articolo o preposizione comportano la geminazione della consonante d’avvio del sostantivo ( ‘o ggruosso = ciò che è grosso, le cose grosse; ma gruosso come aggettivo maschile (colui che è grosso) preceduto dall’art. ‘o va scritto in maniera scempia ‘o gruosso).
romano il peso della stadera (dall'ar. rumman, propr. 'melagrana', per la forma del peso simile a quella della melagrana.
Raffaele Bracale

VARIE 410

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1 - Quanno si 'ncunia statte e quanno si martiello vatte
Letteralmente: quando sei incudine sta’ fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ci è favorevole.
quanno avv. di tempo = quando, in quale tempo, in quale momento, nel tempo in cui, nel momento in cui (con valore temporale), ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo), giacché, dal momento che (con valore causale), mentre (con valore avversativo) se, qualora (con valore condizionale, seguito dal verbo al congiunt.) derivato del latino quando con consueta assimilazione progressiva nd→nn;
‘ncunia sost. femm. = incudine con etimo da un aferizzato lat. volgare parlato *ancunia ed *incunia da collegarsi ad un lat. tardo incudine(m), deriv. di incudere 'battere col martello', comp. di in-(illativo) e cudere 'battere'; talvolta in napoletano, specialmente antico (Basile ed altri) in vece della voce a margine aferizzata ‘ncunia si trova il pretto latino volgare parlato ancunia senza variazioni di sorta;
statte = ad litteram: sta’/stai+ tu voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito stare/stà= fermarsi interrompendo un movimento; restare immobile, ma anche costare (es.: quanto sta?= quanto costa) ed anche accettare, prestar fede (es.: me stongo a cchello ca tu dice= presto fede a ciò che tu dici.) estensivamente: accettare sopportando con etimo dal lat. stare;
martiello sost. masch. = martello con etimo dal lat. martellu(m)=martulu(m) diminutivo di *martus sinonimo del classico marcus;
vatte =batti, picchia, percuoti voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito vàttere= picchiare, percuotere, colpire, percuotere con le mani o con un arnese; urtare con forza con etimo dal lat. tardo bàttere, per il class. battúere con consueta alternanza partenopea b/v.

2 - 'Mbarcarse senza viscuotte.
Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche.
Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche piú giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua anche marina non ancora inquinata.
‘mbarcarse/’mmarcarse = imbarcarsi voce verbale infinito riflessivo dell’infinito ‘mbarcà = imbarcare, salire da passeggeri o merci su di una nave, su di una imbarcazione e, per estens., anche su altri mezzi di trasporto; voce denominale di barca questa volta stranamente, senza la tipica alternanza partenopea b/v che rende barca→varca;
senza= senza, privi di, indica mancanza, esclusione, privazione (si unisce ai nomi direttamente e ai pronomi personali o dimostrativi mediante la prep.’e= di); l’etimo è dal lat. (ab)sentia, che all'ablativo significa 'in mancanza di'
viscuotte sost. masch. plur. di viscuotto= biscotto innanzitutto piccola pasta dolce a base di farina, zucchero, uova e varî altri ingredienti, a seconda delle forme e dei tipi, cotta a lungo in forno perché risulti asciutta e croccante, ma qui, piú acconciamente: pane cotto due volte perché sia conservabile a lungo; etimologicamente dal lat. biscoctu(m) 'cotto (coctum) due volte (bis)
con consueta alternanza di b/v, ed assimilazione progressiva di ct→tt.
3 -'O sparagno nun è maje guaragno...
Il risparmio non è mai un guadagno..Le merci acquistate ad un prezzo palesemente inferiore a quello di mercato, il più delle volte nascondono una magagna (difetto di fabbricazione nel caso di strumentazioni, specialmente elettroniche, prossimità della scadenza in caso di prodotti alimentari) di talché alla fine il preteso o atteso risparmio si tramuterà in una perdita secca quando occorrerà ricomprare la strumentazione difettosa, o buttare il prodotto alimentare per acquistarne di più fresco, dimostrando la veridicità dell’assunto che cioè quasi sempre ciò che appare essere un profitto, è in realtà si è rivelato come una perdita, un passivo, una rimessa.
A margine del proverbio in epigrafe ne rammenterò un altro che rapprenta quasi un suo corollario: Tanto spienne, tanto vale! che è quasi: Il rapporto qualità /prezzo è di uno ad uno di talché la qualità di una merce è sempre pari al prezzo pagato per acquistarla…
sparagno= risparmio, economia, profitto etimologicamente deverbale di sparagnà(= risparmiare, consumare con parsimonia ) che è forgiato su un antico italico * sparmiare che con l’anaptissi della a diede *sparamiare e con la variazione di mi→gn come in scigna←simia, sparagnare/sparagnà.
guaragno/guadambio sostantivo masch. = utilità ,frutto, vantaggio;
deverbale di guaragnà/guadagnà derivato dal francone *waidanjan, da waida 'pascolo'; propr. 'pascolare', quindi 'trarre un profitto; per la forma guadambio che è deverbale di guadambià,ci troviamo di fronte ad una voce frutto di un fuorviante ipercorrettismo popolare che intesa erronea la desinenza agno di guadagno/guaragno, pensò di renderla migliore mutandola in un ambio pensato piú elegante di agno.
4 - S'à dda fà 'o pireto pe quanto è ggruosso 'o culo.
Becero, ma icastico consiglio che letteralmente è : occorre fare il peto secondo la grandezza del culo (o dell'ano). In forma meno cruda, ed a senso può rendersi: occorre fare il passo per quanto è lunga la gamba (evitando strappi muscolari o dei pantaloni!)Id est: bisogna commisurare le proprie azioni alle proprie forze e capacità fisiche e/o morali, evitando di eccedere per non incorrere o in brutte figure o in pessimi risultati. Nell’inteso partenopeo la brutta figura preconizzabile o i pessimi risultati producili, nel caso di ostinarsi a far peti piú vasti del proprio deretano, sarebbero rappresentati dall’imbrattamento dei vestiti operato dalle proprie feci emesse in uno con gli ampi peti eccedenti le possibilità fisiche, o – per traslato – qualsiasi altro effetto negativo prodotto dalle azioni eccedenti di chi operasse al di là delle proprie possibilità o facoltà.
s’à dda fà ad litteram è: si à da fare che è il modo napoletano di rendere il si deve fare, occorre fare; si à è la voce verbale impersonale (3° pers. sing. indicativo presente) dell’infinito avere/avé = avere, tenere, possedere ma in unione con la preposizione semplice da id est: avere ‘a = avere da vale dovere, occorrere; avere/avé etimologicamente è dal lat. habére da una radice indo-europea sah= hab= tenere; nel napoletano c’è la tipica alternanza b/v ed aferesi dell’aspirata d’avvio h intesa superflua ed inutile;
fà = fare infinito della voce verbale fare/fà con etimo dalla sincope del latino fa(ce)re; chiarisco qui che molti scrittori napoletani usano scrivere in l napoletano l’infinito a margine: fa’ con una forma apocopata che non ritengo esatta: il monosillabo fa’ può anche adombrare la 2° pers. sing. dell’imperativo apocopato di fare e cioè: fai= fa’; preferisco per ciò usare per l’infinito la forma tronca fà forma omologa di quasi tutti gli infiniti dei verbi napoletani che risultano apocopati, ma tonicamente accentati sulla sillaba finale (es.: mangià=mangiare, campà=campare, saglí = salire, sentí = sentire, cadé= cadere;etc. );
pireto sost. masch. = peto, emissione gassosa intestinale, rumorosa, ma raramente fetida al contrario della loffa, emissione gassosa intestinale, silenziosa, ma olfattivamente tremenda; etimologicamente pireto è dal lat. peditum deriv. di pedere ' fare scorregge', mentre loffa è da collegarsi al tedesco luft/loft= aria;
pe quanto locuz. avverbiale con varî valori: concessivo, limitativo (ed è il ns. caso)= per quanto, nella misura in cui, limitatamente a;
quanto etimologicamente è dal lat. quantum;
gruosso aggettivo qualif.= grosso, che à dimensioni notevoli (per volume, capacità, spessore, corporatura, estensione) con etimo dal tardo latino grossu(m) tipica come popolare la dittongazione uo←o nella sillaba d’avvio intesa breve nel maschile, mentre al f.le *grossa(m) conserva la iniziale semplice o ottenendosi *grossa(m)→grossa e grŏssu(m)→gruosso ;
culo sost. masch. culo, sedere, deretano ed estensimamente fondo di un sacco, fondo di un recipiente di vetro: il culo di un fiasco, di una bottiglia, culi di bicchiere; talvolta in napoletano sta anche per ano sebbene il più delle volte l’ ano sia reso grevemente con ‘o buco d’’o culo; etimologicamente culo è dal tardo latino culu(m) da un greco koîlon e kolon (intestino).
5 - Chi se mette cu 'e criature, cacato se trova.
Letteralmente: chi intrattiene rapporti con i bambini, si ritrova sporco d'escrementi. Id est: chi entra in competizione con persone molto più giovani di lui o intrattiene rapporti con persone non particolarmente serie, è destinato a fine ingloriosa; per solito chi contratta con i bambini dovrà sopportarne le amare conseguenze, derivanti dalla naturale mancanza di serietà ed immaturità dei bambini, la medesima immaturità che denotano coloro che non ànno serietà di comportamento o di pensiero.
mette = mette,ma pure intrattiene rapporti, contratta; voce verbale (3° pers. sing. ind. presente) dell’infinito mettere= mettere, porre ma pure, come qui intrattenere rapporti, contrattare con etimo dal lat. mittere 'mandare' e 'porre, mettere';
criature esattamente sost. plurale di criaturo/ra= bambino/bambina; il plurale criature che in napoletano vale sia per il maschile che per il femminile con la sola differenza che preceduto dall’art. determ. plurale, il maschile ‘e (i) criature= ibambini si scrive con la c scempia, mentre il femminile ‘e (le) ccriature= le bambine vuole la c geminata; rammenterò che nel caso del proverbio in epigrafe è stato usato il termine maschile ‘e criature, inteso termine generico indicante un determinato lasso di età, onnicomprensivo dei maschi e delle femmine e non dei soli bambini maschi;
cacato di per sé cacato, defecato ma qui vale lordato, sporco d’escrementi e per traslasto perdente, sconfitto; voce verbale (part. passato aggettivato masch.) dell’infinito cacare/cacà che è dal basso latino cacare;
se trova = si trova, ne ricava voce verbale (3° p.sing. indicativo presente) dell’infinito truvar-se= riceverne, ricavarne, ottenerne;
incerto l’etimo del verbo truvà anche se quasi tutti concordemente, ma a mio avviso poco convincentemente, parlano di un lat. volg. *tropare= esprimersi mediante tropi,con il linguaggio dei c.d. trovatori che nelle loro composizioni andavano alla ricerca di rime ed assonanze cantando appunto per tropi dal class. tropus 'tropo' (qualsiasi uso linguistico che trasferisca una parola dal significato suo proprio a un altro figurato; traslato: la metafora, la metonimia ecc.); derivazione un po’ troppo arzigogolata!; penso perciò che, soprattutto per il napoletano truvà, se non anche per l’italiano trovare ci si possa riferire ad un latino truare= girare col mestolo, rimescolare quasi alla ricerca di un quid; normale infatti nel napoletano l’epentesi d’una v eufonica tra due vocali di talché da truare si è potuto facilmente generare truvare/truvà.

6 - Mo abbrúsciale pure'a bbarba e po' dice ca so' stat' io!
Letteralmente: Adesso àrdigli anche la barba e poi di' che sono stato io... La locuzione viene usata con gran risentimento da chi si voglia difendere da un'accusa, manifestamente falsa.
Si narra che durante un'Agonia (predica del venerdì santo)un agitato predicatore brandendo un crocefisso accusava, quasi ad personam, i fedeli presenti in chiesa dicendo volta a volta che essi, peccatori, avevano forato mani e piedi del Cristo, gli avevano inferto il colpo nel costato, gli avevano calzato in testa la corona di spine lo avevano flaggellato con i loro peccati e cosí via. Nell'agitazione dell'eloquio finí per avvicinare il crocefisso in maniera maldestra ad un cero acceso correndo il rischio di bruciare la barba del Cristo. Al che, uno dei fedeli lo apostrofò con la frase in epigrafe, frase entrata a far parte, poi, della cultura popolare...
mo avv. di tempo =ora, adesso, in questo momento ed anche talora, come nel caso in esame, nel significato estensivo di anche, in aggiunta; la maggior parte degli addetti ai lavori fa derivare l’avverbio napoletano, ed un tempo anche italiano da quello latino modo= ora, adesso e qualche vocabolarista della lingua italiana dove, come ò detto, il napoletano mo vi pervenne negli identici significati di ora, adesso, in questo momento , è costretto a scriverlo mo’ con il segno dell’apocope indicante la caduta della sillaba do, incorrendo però fatalmente nella confusione tra il mo’ avverbio di tempo ed il mo’ s. m. troncamento del sostantivo modo, usato solo nella loc. a mo' di, a guisa di, in funzione di: a mo' d'esempio; per non incorrere in simili confusioni preferisco ritenere il mo avv. nap. a margine, derivato dall’avv. latino mox=ora, adesso con caduta della sola consonante x , caduta che non necessita di alcun segno diacritico, come avviene per il napoletano lla = là avv. di luogo che derivando dal lat. (i)lla© non esige l’accento necessario nell’italiano per distinguere l’avverbio dall’omofono art. la (assente nel napoletano che à sempre ‘a tranne poche disdicevoli la presenti in Di Giacomo o come avviene anche per co/cu(con) derivato di cum o pe (per) e ciò a malgrado che si ritenga che, secondo le regole della glottologia, la caduta di una consonante doppia x=cs dovrebbe pur lasciare un residuo, fosse anche un segno diacritico, ma le eccezioni esistono proprio perché vi son le regole!;
abbrúsciale= brucia+gli voce verbale (2° per. sing. imperativo) (addizionata in posizione enclitica del pronome obliquo le=gli, a lui )dell’infinito abbruscià=bruciare, ardere che è dal latino volgare *ad brusiare rafforzativo di brusiare;
pure congiunzione =quand'anche; sebbene, tuttavia, nondimeno, eppure (con valore avversativo) al fine di (introduce una prop. finale implicita con il verbo all'inf.es.: Pavasse qualsiasi cosa, pure ‘e nun ‘o vedé =pagherei qualsiasi cosa pur di non vederlo) oppure avverbio= anche (con valore aggiuntivo), proprio, davvero (con valore asseverativo) derivato dal lat. pure 'puramente, semplicemente' e anche, nel lat. tardo, 'senza riserve, senza condizione;
barba sost. femm.= barba, l'insieme dei peli che crescono sulle guance e sul mento dell'uomo; per estens., i peli del muso di alcuni animali dal latino barba(m); talora in napoletano con tipica alternanza b/v si trova pure varva e si tratta dello stesso sostantivo;

po’= poi, in seguito, dopo, appresso avv. di tempo dal lat. post; derivando da parola con caduta di consonanti e non di sillaba vocalica, la voce a margine potrebbe anche scriversi po senza alcun segno diacritico, ma non è errato scriverla po’ apocopata, non ingenerandosi nel napoletano alcuna confusione tra il po’=poi ed il po’=poco che in napoletano non esiste!
dice= dici, di’ voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito dí/ dícere= dire dal latino di(ce)re;
ca cong. ed altrove anche pronome relativo= che con etimo dal latino q(ui)a; come pronome deriva dal lat. quid;
so’ stato/songo stato = sono stato voce verbale (1° pers. sing. pass. pross.) dell’infinito essere dritto per dritto dal lat. volg. *essere, per il class. esse.

7 - Puozz'avé mez'ora 'e petrïata dinto a 'nu viculo astritto e ca nun sponta, farmacie nchiuse e mierece guallaruse!
Imprecazione divertente, ma malevola, se non cattiva, rivolta contro un inveterato nemico cui, con spirito esacerbato, si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subìta in un vicolo stretto e cieco, (che non offra cioè possibilità di fuga) e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte (per acquistar linimenti) e di imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti a prestar soccorso.
puozz’ avé = possa avere id est: possa subire; puozze= possa voce verbale (2° pers. sing. cong. pres.) dell’infinito puté =potere, avere la forza, la facoltà, la capacità, la possibilità, la libertà di fare qualcosa, mancando ostacoli di ordine materiale o non materiale che lo impediscano; nell’espressione a margine puozze vale ti auguro; l’etimo di puté/potere è dal lat. volg. *potìre (accanto al lat. class. posse), formato su potens -entis; avé= avere e molti altri significati positivi come: conseguire, ottenere; ricevere; entrare in possesso o negativi come: subire; per l’etimo vedi sopra;
petrïata/petrata sost. femm; letteralmente la petrata è la pietrata,il tiro e il colpo di una singola pietra, mentre con la voce petrïata si intende una prolungata gragnuola di colpi di pietra, quasi una lapidazione; anticamente a far tempo dalla fine del ‘500, a Napoli soprattutto in talune zone della città quali Arenaccia, Arena alla Sanità, San Carlo Arena,( ricche di detriti sassosi, residuali di piogge che trasportavano a valle terriccio e sassi provenienti dalle alture di Capodimonte, Fontanelle etc. o, nelle stagioni secche, residui di fiumiciattoli (es. Sebéto) in secca) si svolgevano, tra opposte bande di scugnizzi e/o bassa plebaglia, delle autentiche battaglie(petrïate) a colpi di pietre e sassi con feriti spesso gravi; ai primi del ‘600 tali battaglie divennero così cruente che i viceré dell’epoca furono costretti ad emanar prammatiche, nel (peraltro) vano tentativo di limitare il fenomeno… Si ricorda una divertente espressione in uso tra i contendenti di tali petrïate: Menàte ‘e grosse, pecché ‘e piccerelle vanno dint’ a ll’uocchie! (Tirate le (pietre) grandi, giacché quelle piccole vanno negli occhi!).
Etimologicamente sia petrata che petrïata sono un derivato metatico di preta metatesi del lat. . petra(m), che è dal gr. pétra; nella voce petrïata generata dopo petrata si è avuta l’anaptissi (inserzione di una vocale in un gruppo consonantico o tra una consonante ed una vocale; epentesi vocalica) di una i durativa allo scopo di espander nel tempo il senso della parola d’origine;l’anaptissi di questa i à determinato altresí la ritrazione dell’accento tonico indicata dalla ï e si è avuto petríata in luogo di petràta; a margine rammenterò che un tempo tali battaglie a colpi di pietre furon dette guainelle/’uainelle e si svolgevano al grido incitativo di guainè, ‘uainè! in ricordo di primitivi scontri operati non con le pietre, ma armati di agevoli e flessuosi bastoni (ainelle =stecche, pertiche con derivazione dal nome hagnos che i greci dettero alla pianta dai cui rami si ricavavano i bastoni);
dinto (a) = dentro (ad) avverbio e prep. impropria dal basso lat. de intus; da notare che in napoletano, come prep. impropria, dinto debba sempre essere accompagnata dalla prep. semplice a o dalle sue articolate â = a + ‘a (alla ) ô= a + lo ( al/allo) ê= a + i/a + le (ai/alle) per modo che si abbia ad es. dint’ ô treno (dentro al treno ) di contro il corrispondente italiano dentro il treno. La medesima cosa càpita come alibi dissi per ‘ncoppa (sopra) ,sotto (sotto), ‘mmiezo (in mezzo) fora (fuori);
viculo = vicolo, vico via molto stretta e di secondaria importanza, in un centro urbano ; l’etimo è dal lat. viculu(m), dim. di vicus;
astritto o astrinto agg. qual. masch. stretto, poco sviluppato nel senso della larghezza; non largo, non ampio; angusto; l’etimo è dal lat. *a(d)strictus part. pass. di un *a(d)stringere, rafforzativo di stringere;
ca nun sponta letteralmente: che non sfocia in altra strada cioè: vicolo (stretto e) cieco; sponta =sfocia voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito spuntà= sbottonare, spuntare, comparire all’improvviso,sfociare; in primis spuntare con etimo dal latino *ex-punctare vale toglier la punta, metter fuori la punta ed il senso di spuntare, comparire all’improvviso,sfociare deriva dal fatto che chi spunta (appare), compare all’improvviso o sfocia in qualche luogo proveniente da un altro non lo fa di colpo, ma paulatim et gradatim quasi mettendo fuori innanzi tutto la propria punta e poi il resto del corpo; ugualmente il senso di sbottonare è dato dal fatto che il bottone vien fuori dall’asola prima per la parte limitrofa(punta.) poi tutt’intero;
farmacíe sost. femm. plurale di farmacía che in napoletano, più restrettivamente del corrispondente italiano,( dove con derivazione dal greco pharmakéia 'medicina, rimedio', da phármakon 'farmaco'si intende oltreché il locale destinato alla vendita, anche l'insieme degli studî e delle pratiche che ànno per oggetto le proprietà, l'uso terapeutico e la preparazione dei medicinali) in napoletano dicevo si intende, derivato dal francese pharmacie esclusivamente il locale destinato alla vendita e, soprattutto nel passato, anche alla preparazione dei medicinali;
nchiuse agg. plur. femm. = chiuse, serrate, strette etimologicamente trattasi del part. pass. aggettivato femm. del verbo nchiurere= chiudere, ostruire, sbarrare, impedire un accesso; bloccare un passaggio con etimo dal basso latino cludere, per il class. claudere; faccio notare come nel verbo napoletano nchiurere si è avuta la consueta trasformazione di cl→chi come altrove ad es.: chiesia←ecclesia, chiuovo←clavus etc, la tipica rotacizzazione mediterranea d→r e la protesi di una n eufonica che non va marcata con alcun segno diacritico (‘n) in quanto essa n non è l’aferesi di in, ma solo una consonante eufonica come nel caso di nc’è= c’è, ragion per cui erra chi dovesse scrivere la voce a margine ‘nchiuse da un inesatto ‘nchiurere atteso che , come ò detto, nchiurere deriva da n(eufonica)+ cludere non da in(illativo)+cludere;
mierece sost. masch. plurale di miedeco/miereco= medico, chi professa la medicina avendo conseguito il titolo accademico e l'abilitazione all'esercizio della professione; l’etimo è dal lat.medicu(m), deriv. di medìri 'curare, soccorrere'con dittongazione popolare nella sillaba d’avvio ie←e, e rotacizzazione mediterranea d/r;
guallaruse agg. masch. plur. di guallaruso= affetto da ernia probabilmente inguinale tale cioè da limitare il movimento deambulatorio; la voce a margine (che è maschile, come si evince dal suff. use, il femminile avrebbe avuto il suff. ose) è un derivato del sostantivo guallera(= ernia) che è dall’arabo wadara.
8 -Jí ascianno ova ‘e lupo e piettene ‘e quinnece.
Ad litteram: andar cercando uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare in cerca di uova di lupo che – mammifero - è un animale viviparo e non deposita uova,oppure cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai più di tredici.Cominciamo a rammentare ai più giovani, che un tempo – quando non esistevano materassi ortopedici e/o in lattice, quelli in uso erano dei sacconi di cotone riempiti di lana ovina, lana che periodicamente occorreva smuovere, lavare e pettinare (cardare) in profondità per ridarle volume e morbidezza; tale operazione consistente, come detto , nel parallelizzare le fibre tessili in fiocco, naturali (p. e. lana, cotone, canapa) o artificiali (p. e. raion), era fatta da tipici operai, detti lanaioli o cardatori che all’uopo si servivano di uno strumento dentato detto scardasso o in origine della pianta di cardo (dal lat. tardo cardu(m), per il class. carduus) le cui infiorescenze uncinate si usavano appunto per pettinar la lana; la pianta cardo cedette il nome all’azione cardare; dismesso l’uso del cardo, i lanaioli napoletani presero a servirsi prima che dello scardasso (attrezzo a forma di cavalletto in cui due serie di punte d'acciaio, una delle quali montata su una parte mobile azionata a mano, provvedono alla sfioccatura delle fibre tessili; voce derivata di cardo con protesi di una s intensiva ed un suffisso dispregiativo (l’attrezzo fu brutto da vedersi e – se non usato con cautela – spesso produceva danni ai fiocchi cardati, strappandoli anzi che pareggiarli) asso per accio),presero a servirsi, dicevo, di particolari pettini fabbricati all’uopo, pettini che in Campania ( e segnatamente a Napoli) non contavano mai piú di tredici denti.
jí ascianno letteralmente andar cercando locuzione verbale formata dall’infinito jí= andare (dal lat. ire) e dal gerundio ascianno = cercando dell’infinito asciare/ascià=cercare con insistenza ed applicazione; l’etimo di ascià potrebbe essere da un lat. volg. *anxiare(ansimare, anelare) denom. di *anxia; ma preferisco l’ipotesi che ascià derivi dal tardo lat. *adflare (annusare) verbo nel quale è riconoscibile il digramma fl che in napoletano è sempre sci (es.: sciore←flos,sciummo←flumen etc. ) da a(d)flare→aflare→asciare;
ova sost. neutro plur. di uovo da un lat. volg. òvu(m) per il class. óvu(m); in napoletano il plur. ova giustamente perde la u del dittongo mobile uovo laddove in italiano ( l’uovo – le uova) essa u viene conservata, ma non se ne comprende il motivo.
lupo sost. masch.= lupo, mammifero carnivoro selvatico simile al cane, che vive prevalentemente in branchi ed è caratterizzato da muso aguzzo, orecchie grandi ed erette, pelame folto; la femmina, che da mammifera non depone uova, genera vivipari; l’etimo di lupo è dal lat. lupu(m) per *vlupu(m),*vlucu(m) che come il greco lýkos, * vlýkos il gotico vulfas, l’ant. ted. wolf ed altre lingue son tutti riconducibili alla radice vark o valk/vlak= strappare, lacerare;
piéttene sost. masch. plur. di pèttene= pettine, arnese di materiale vario, costituito di una serie di denti più o meno fitti innestati su una costola che serve da impugnatura; è usato per mettere in ordine capelli o pelame similare; quello usato dai cardatori non contava mai piú di tredici denti.
la voce pèttene sing. di piéttene (in cui è da notare la tipica dittongazione ie con chiusura è←é in sillaba tonica del maschile plurale della tonica è del singolare; es.: ‘o scemo – ‘e scieme, ma se femm.: ‘a scema – ‘e sceme; ) etimologicamente è dall’acc. lat. pectine(m) deverbale di pectere 'pettinare' con tipica assimilazione regressiva ct>tt ;
quinnece agg. numerale cardinale = quindici dal lat. quindece(m), comp. di quinque 'cinque' e decem 'dieci'nella voce napoletana si è avuta la tipica assimilazione progressiva nd→nn.
9 – ‘E sabbato, ‘e subbeto e senza prevete!
Di sabato, di colpo e senza prete! E' il malevolo, poco caritatevole augurio che si lancia all'indirizzo di qualcuno (probabilmente nemico inveterato…) cui si augura di morire in un giorno prefestivo,( cosa che (almeno in taluni cimiteri cittadini e della provincia napoletana) impedisce la sepoltura nel giorno successivo) , di morire di colpo, improvvisamente senza poter porvi riparo e di non poter godere nemmeno dell’estremo conforto religioso per riconciliarsi con l’Onnipotente
sabbato = sabato, il sesto giorno della settimana; voce derivata dal lat. sabbatu(m), dal gr. sábbaton, a sua volta dall'ebr. shabba¯t '(giorno di) riposo; dell’etimologico sabbatu(m),la voce napoletana conserva la doppia labiale esplosiva b al contrario dell’italiano sabato che pur avendo il medesimo etimo sabbatu(m), à reso scempia la consonante;rammenterò che in talune remote province campane in luogo del corretto sàbbato a margine, s’usa uno scorrettissimo sàpato o addirittura sapàto corruzione invereconda ed inutile dell’italiano sàbato;
‘e súbbeto loc. avverbiale di súbito, di colpo, repentinamente, senza preavviso dove súbbeto= súbito è derivato dal lat. súbito, avv. dall'agg. subitus = subito, repentino, improvviso; di derivazione popolare nell’avv. napoletano il raddoppiamento della labiale esplosiva b;
senza vedi sopra sub 2;
prèvete sost. masch. sing. = prete, termine generico per indicare il ministro di un culto; sacerdote: l’etimo è da un nominativo latino tardo presbyter→*prebiter→previter→prèvete, che è dal gr. presby/teros, propr. 'più anziano'
Raffaele Bracale

SPIGGÏARSE – significato ed etimologia

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SPIGGÏARSE – significato ed etimologia

Sarebbe inutile cercare nei vari dizionarii della parlata napoletana il verbo in epigrafe. Infatti tutti i calepini in commercio (con la sola eccezione del piccolo DIZIONARIO ETIMOLOGICO NAPOLETANO (nov. 2004) curato dall’amico prof. Carlo Iandolo, che accoglie il termine, ma – quanto all’etimologia si salva e nasconde dietro un pilatesco etimo incerto), tutti i calepini ànno il torto di registrare solo i lemmi rinvenuti nei classici e soprattutto in quelli piú datati ed accolti nell’ Olimpo della letteratura napoletana, e tengono in non cale i vocaboli piú recenti formatisi nel linguaggio in uso nel popolo a far tempo dagli anni 1940 e ss., vocaboli ingiustamente ritenuti non confacenti con la purezza della parlata napoletana. Premetto che sono un fautore della classicità degli idiomi,senza tuttavia giungere alla maniacalità del purismo puotesco, tuttavia devo dire che a mio avviso è sciocco il comportamento di taluni studiosi che ànno quale punto di riferimento esclusivo i classici ed aborrono il parlato vivo e corrente; e ciò dico perché qualsiasi linguaggio vero ed il napoletano lo è non può ridursi ad un linguaggio morto, ma si deve rinnovare e si rinnova giorno per giorno sulla bocca di chi l’usa e non solo sulle sudate carte di chi, proclamatosi professore, si arroghi il diritto di essere il notaio ed il conservatore di una parlata che, a ben riflettere, sarebbe morta se restasse fedele a se stessa in eterno.
Ciò premesso, veniamo al verbo spiggïarse.
Chiariamo subito che esso vive esclusivamente nella forma riflessiva connotando un’azione che nata dal soggetto, ricade sul medesimo e non è pensabile in altra forma attiva o passiva che sia; insomma, diremo a mo’ d’esempio che Tizio può spiggïarse, ma mai può spiggïare qualcuno o essere spiggïato.
E veniamo al significato. Nel parlato corrente chi se spiggea è lo smanceroso, lo smorfioso che assume con tutta la persona atteggiamenti di dispetto, scherno o soltanto pose e movenze strane, non al fine di dileggiare, ma di conseguire un vantaggio o un risultato positivo; tali atteggiamenti vengono assunti non solo dalla faccia, ma anche dalle restanti parti del corpo, tanto è vero che si usa dire che ci si spiggea sano sano nel senso non della salute, ma della totalità del corpo(sano infatti, in napoletano è intero, tutt’intero, non essendo l'opposto di malato, ma di rotto); a mo’ di completezza diremo che un uomo si spiggea quando con un artefatto atteggiamento tenti di far colpo su di una donna, cercando, attraverso innaturali, fittizie movenze di apparire piú bello o piú simpatico di quel che sia, mentre un ragazzo ca se spiggea, di solito lo fa tentando di assumere le movenze di un adulto, per esser maggiormente considerato dai suoi coetanei etc. etc.
Per ciò che attiene all’etimologia del verbo, al momento, purtroppo,brancolo nel buio,ma trattandosi di voce piuttosto recente e popolaresca, mi sentirei, sulle prime, di escluderne derivazioni dotte dal latino o dal greco e propenderei per una culla francese od inglese o anche tedesca.
A ben riflettere però , niente mi autorizza a ritenere il verbo voce sicuramente recente, impossibilitato come sono a fare ricerche approfondite su testi letterari d’annata; per cui – recedendo da quanto detto poco prima ed approfondendo il comportamento di chi se spiggea che, nel tentativo di assumere pose che ritiene piú graziose o piú confacenti a ciò che vuol tentare di apparire, nella maggior parte dei casi, finisce per peggiorare le cose, penso che si potrebbe risalire ad un peius latino con un’anteposta S rafforzativa ed addizionato di un ire→are; si tratta però solo di un’ipotesi, bisognosa di attento esame e magari sapienti correzioni.Purtroppo il mio miglior punto di riferimento, il prof. Carlo Jandolo, pur accogliendo (solo tra i lessicografi) il termine nel suo conciso Dizionario etimologico napoletano, proprio per ciò che riguarda l’etimologia del verbo in esame, si trincera dietro un pilatesco: etimo incerto! Di tal che ci ritroviamo al punto di partenza nel mare magnum dell’indecisione! Ma è mio costume intignare e continuando nella mia ricerca, on line, in un non meglio identificato Diccionari catalá-castellá-llatí-frances-italiá, per una societat de Catalans (1839) ò trovato attestato sotto la voce PER CARNICERÍA,( fr. fam. Fer môltiis férulas ó tallar môlta саrn á algun. Hacer carnicería. Aliquem pluribus vulneribus afiicere, lacerare, laniare. Taillader. Speggiare, squarciare.) dicevo ò trovato, come si vede, attestato il verbo speggiare che sta per tagliuzzare e dunque forse ridurre al peggio e semanticamente nonché morfologicamente mi pare proprio che questo speggiare (peraltro inopinatamente assente ovunque: sul D.E.I. – sul Treccani – sul Garzanti & su altri) possa forse affiancare il napoletano spiggiar(si) sia pure nel solo significato di ridurre al peggio, avvalorando cosí circa il verbo napoletano la mia idea etimologica di una s intensiva + peius +ire→are.

RaffaeleBracale

UH, SSÈVERE ‘E PAZZE

UH, SSÈVERE ‘E PAZZE
Esclamazione impossibile da tradurre ad litteram che viene pronunciata in tono stupito nell'osservare situazioni o accadimenti ritenuti cosí strani ed improbabili da destare gran meraviglia, stupore e/o rabbia, da far sottolineare che quelle situazioni o accadimenti son cose messe su dai matti, e dunque quasi incredibili come che estranee ai comportamenti delle persone normali.
Strana locuzione quella in epigrafe nella quale il termine ssèvere è corruzione dell'espressione francese: c'est vrai e tutta la locuzione riproduce il francese c'est vrai de foux) (è veramente da folli); la stranezza della espressione napoletana sta nel fatto che ci si è limitati nella sua formulazione, alla sola corruzione della prima parte di quella francese: c'est vrai, completandola con il termine toscano: pazzi esatta traduzione del francese foux. di cui non è tentato neppure un adattamento. Rammenterò, in chiusura, che spessissimo nel parlato comune la lcuzione in epigrafe non viene pronunciata per intero, ma ci si limita ,sia pure con il medesimo intendimento, ad usare il solo stringato: Uh, ssèvere!
Raffaele Bracale

 CCAURARA VECCHIA, VROGNOLE E PERTOSE

 CCAURARA VECCHIA, VROGNOLE E PERTOSE

Ad litteram: Sulla pentola vecchia,(ci sono) ammaccature e buchi. Al di là dell’ovvio e palese significato letterale, l’antico proverbio partenopeo in epigrafe ricorda e sottolinea che la salute delle persone vecchie è sempre malferma: i vecchi soffrono sempre di qualche piccolo o grosso malanno, alla stregua di una pentola vecchia che per essere stata usata molto, porta su di sé inevitabili tracce di usura e del tempo trascorso.
Altrove però e quasi a voler rassicurare i vecchi un altro proverbio antico rammenta che ‘a caurara vecchia va sempe p’’a casa ovvero che, a malgrado degli anni e degli acciacchi le persone vecchie continuano ad essere attive e ben presenti nella vita comunitaria.
caurara = caldaia: grande recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa; etimologicamente dal tardo latino caldaria(m), deriv. di calidus 'caldo; normale l’esito del suffisso latino maschile arius nel femm. ara; tipico altresì il passaggio del lat. al al napoletano au come ad es. altus→auto/aveto= alto o anche alter→auto→ato= altro; come tipico è il passaggio osco-mediterraneo d→r;
vrognole= ammaccature, bernoccoli, protuberanze o anche, ma altrove percosse; plurale di vrognola che è etimologicamente da un latino volgare bruniòla→brùnjola ( da un acc. classico pílulam eburneam= pallina biancastra donde per aferesi e metatesi eburneam→bruneam ed un diminutivo bruniòla→vrognola (con il nj→gn ed il tipico alternarsi di b/v;
pertose plurale metafonetico femm. del sing. maschile pertuso= buco, foro etimologicamente da un classico latino pertusus, part. pass. di pertundere 'bucare, forare', comp. di per 'attraverso' e tundere 'battere'; il plurale femminilizzato è dovuto al fatto che con esso si intende indicare dei buchi piuttosti grossi atteso che in napoletano un oggetto o una cosa di nome maschile ne assume uno femminile se aumenta di dimensione (cfr. ad es.: cucchiaro (piú piccolo) e cucchiara (piú grande) carretto (piú piccolo) e carretta (piú grande) tina (piú grande) e tino( piú piccolo) tavula (piú grande) e tavulo ( piú piccolo);fanno eccezione soltanto caccavo (piú grande) e caccavella ( piú piccola) e tiano (piú grande) e tiana( piú piccolo); nella fattispecie ‘e pertuse (pl. m.le di pertuso) sono intesi piú contenuti di ‘e pertose (pl. f.le di pertuso).

sempe avverbio di tempo = sempre, senza interruzione, senza fine (indica una continuità ininterrotta nel tempo):l’etimo della voce è dal latino semper che à dato per metatesi l’italiano sempre, mentre il napoletano à comportato l’apocope della consonante finale ottenendosi sempe in luogo dell’atteso semperre come càpita quasi sempre per le voci derivate da parole terminanti con una consonante nelle quali è d’uso aggiungere una vocale evanescente paragogica finale (e/a/o) dopo il raddoppiamento della consonante etimologica: (cfr. ad. es. barre per e da bar o tramme per e da tram etc.),
Raffaele Bracale

martedì 29 settembre 2009

BUCATINI MANTECATI

BUCATINI MANTECATI
Ingredienti e dosi per 6 persone
• 600 g di bucatini,
• 300 g di ricotta di pecora,
• 1 tazzina di anice,
• 1 cipolla dorata tritata finemente,
• 1 ciuffo d’aneto tritato finemente,
• 1 cucchiaio di semi di finocchio selvatico ben pestati,
• 1 cucchiaino di cannella,
• 2 cucchiai d pinoli tostati al forno (240°),
• 3 uova,
• 1 bicchiere di Olio d'oliva e. v.p.s. a f.,
• Sale fino e pepe nero, macinato a fresco q.s.,
• Sale doppio un pugno,
• 1 etto di pecorino grattugiato.
procedimento

In un’ampia padella, a fuoco sostenuto, far dorare la cipolla ed il trito d’aneto nell’olio, salare leggermente e mantenere in caldo.
Lessare i bucatini al dente in abbondante (8 litri) acqua salata (sale doppio),scolarli e versarli in una terrina calda in cui si troverà la ricotta stemperata con l’anice e con l’aggiunta della cannella e dei semi di finocchio pestati, mescolare bene e versarli nella padella con il fondo di cipolla; sbattere a spuma le uova con un pizzico di sale e due di pepe e versarle sui bucatini, rimestare, alzare un po’ i fuochi e rimestare continuamente fino a che le uova si rapprendano cremosamente. Impiattare, cospargere cospargere con i pinoli tostati, il pecorino ed il pepe e servire in tavola cadi di fornello.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale.

VOCI NAPOLETANE DERIVATE DALL’ARABO

VOCI NAPOLETANE DERIVATE DALL’ARABO
Elenco qui di sèguito, senza ordine o sistematicità un congruo numero di lemmi partenopei, a mio avviso, mutuati dalla lingua araba.

- cuffià/cuffiare verbo = corbellare, prendere in giro; del verbo è usato come sostantivo o agg.vo il part. pass. cuffïato cioè corbellato che quale il participio passato del verbo cuffià deriva dal sostantivo coffa = peso, carico, a sua volta dall'arabo quffa= corbello.
- Cupeta sorta di torrone cioè dolce fatto con mandorle e pistacchi o noci e con miele); la voce copeta/cupeta donde copetaro/cupetaro (fabbricante e venditore di copete/cupete) deriva dall’arabo qubaita/qupaita;

- bbuórdo sost. masch. letteralmente bordo ciascuno dei fianchi o murate di una nave o di qualsiasi imbarcazione; la parte del fianco emergente dall'acqua: nave d'alto bordo, con la fiancata alta; virare di..., ma ma nella classica espressione partenopea menà a bbuórdo estensivamente sta per stomaco, corpo per indicare ad un dipresso la parte del corpo quasi protetta da ipotetiche murate; etimologicamente probabilmente dal tedesco o molto piú facilmente dall’arabo bord con dittongazione popolare (probabilmente dipesa dal fatto che la o di bord fu intesa breve);
- cantàro= misura di aridi che derivato dall’arabo qintâr vale in napoletano quintale= cento rotoli. Va da sé che la voce cantàro (quintale) non deve confondersi con càntaro= vaso di comodo, alto cilindrico contenitore in terraglia smaltata usato, olim, per accogliere gli esiti fisiologici della famiglia; derivato dal lat. càntharu(m) che è dal greco kàntharos;
- guallera =ernia è mutuato dall'arabo wadara di pari significato e con esso termine il napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma anche per traslato, il sacco scrotale ed è a quest'ultimo che con ogni probabilità ci si riferisce nella classica, becera, ma gustosa locuzione partenopea Me staje abbuffanno ‘a guallera (mi stai grandemente infastidendo) prestandosi esso sacco scrotale , data la sua quasi sfericità, ad essere sia pure figuratamente gonfiato.
- Arrassusia
Ad litteram:Lontano sia Non accada mai! Esclamazione accorata che si suole pronunciare spesso accompagnata da un gesto scaramantico, nella temuta evenienza di un pericolo, o - peggio - di un danno.
La locuzione divenuta termine unico in realtà è formata dal vocabolo arrasso (lontano) derivato dall'arabo harasa di identico significato, e dal congiuntivo ottativo sia.
(piglià 'nu) - zzarro id est:errare, prendere un abbaglio,incorrere in un impedimento, inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; zarro dall'arabo zahr (dado- sasso sporgente).
- vajassa= serva, fantesca; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in italiano: bagascia= meretrice
- ciaraffe dall’arabo giarif (moneta sonante),
cardàscio, agg.vo e sv.vo m.le = amico fedele,fratello con etimo dall’arabo kardasč;

- filusce o filusse o ancora felusse= danaro contante
Sull’origine del termine si è a lungo discusso chiamando in causa volta a volta, ma fantasiosamente, il latino folliculus contenitore dei soldi e per estensione soldi medesimi o ancora piú fantasiosamente il nome dei sovrani spagnoli Filippo I o II o III da cui: Felippo, Felippusse ed infine Filusse. La faccenda è molto piú semplice e seria derivando, a mio avviso, il vocabolo de quo dall’arabo fulus plurale di fals (dal greco phóllis =obolo)nel significato appunto di moneta, danaro; la voce araba invase tutto il bacino mediterraneo al segno che in Calabria, con analogo significato, abbiamo filusu , in Sicilia: filussi, in Toscana: pilosso, in Spagna: felùs ed in Portogallo: fuluz;
-scerocco = scirocco; tipico vento meridionale, vento caldo proveniente da Sud-Est che proviene dal Sahara e da altre regioni del nord Africa. La voce scerocco deriva dall’arabo shulúq, vento di mezzogiorno.
- zzuccaro= zucchero dall’arabo sukkar,
- carrafe = caraffe usate solitamente per servire in tavola l’acqua da bere: etimologicamente dall’arabo garafa=vaso per attingere.
- giarre : vasi vitrei bassi e panciuti, provvisti di manico, vasi usati per bere birra o altre bevande fermentate, etimologicamente dall’arabo djarrah attraverso lo spagnolo jarra,
- tazze, tazzine e tazzulelle tutte dall’arabo tas/tasa,
- canacca/ cannacca (dall’arabo hannaqa)= collana vistosa usata da donne del popolo per agghindarsi in maniera eccessiva e ridondante.
- nzacarrone antico sost. nap.= chiacchierone, ciarlatore da collegarsi all’arabo zacar=racconto, secondo il percorso morfologico zacar+ il suff. accrescitivo one e con protesi di una n eufonica che non necessita perciò d’alcun segno diacritico aferetico non trattandosi di in→’n ma di una semplice consonante eufonica protetica.
- matarazzo sost. masch.= materasso, ma quale voce furbesca, giocosa è usata pure per significare una persona grande, grassa e grossa tale da potersi appaiare iperbolicamente ad un materasso, cioè il rigonfio involucro pieno di lana su cui ci si distende per riposare; la voce è etimologicamente da collegarsi all’arabo matrah con il suffisso estensivo aceus,che in napoletano diventa azzo;
- ciofèca – cefèca sost. femm.= liquido meglio bevanda (vino, caffè ed altro) scadente, di scarto, di pessimo gusto.
la voce è di schietta derivazione araba: šafèq che in arabo indica appunto un liquido, una bevanda corrotta o piú estensivamente tutto il cattivo delle cose, di qualità inferiore, di scarto, di nessun valore ed addirittura uomo di poco conto, donna sgraziata e malvestita. Il napoletano e gli altri dialetti ànno recepito però solo il significato attinente alla qualità di una bevanda.
Ciò chiarito, passiamo a fare un breve elenco degli adattamenti morfologici che – in altri dialetti – à subìto il napoletano ciofèca o cefèca;vediamo: in toscano: ciufeca o anche cipeca, in romanesco: ciufeca, in abbruzzese: cifechë, in calabrese e siciliano:cifeca.
Rammenterò, per amor di completezza che in romanesco (e solo in romanesco )partendo da ciufeca si è coniato l’aggettivo: inciufegato/inciufecato che sta per impiastricciato di sporcizia.
A questo punto devo sottolineare che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, i varî dialetti – con eccezion forse del siciliano e calabrese - ànno mutuato i loro adattamenti dal napoletano e non direttamente dall’arabo, atteso che gli arabi le loro invasioni le operarono principalmente nel sud dello stivale in danno dei regni meridionali ed a Napoli e nel napoletano lasciarono, come stiamo vedendo, numerose testimonianze della loro lingua.
- surbetta sost. femm.le = sorbetto, gelato che è da serbet voce arabo-turca.
- tauto/tavuto sost. masch. =bara che è dall’arabo tabut (arca), attraverso lo spagnolo ataúd/ataút;
- cafè= caffè sost. neutro derivato dall’arabo qahuah attraverso il turco qaveh); rammenterò a margine che la parola cafè quando sia preceduta dall’articolo ‘o, in napoletano, per indicare la pianta o la bevanda va rigorosamente scritta con la geminazione iniziale della c e dunque: ‘o ccafè; scritto con una sola c: ‘o cafè, indicherebbe il luogo, la mescita dove viene venduto e servita la bevanda di caffè).
- patacca sost. femm.le = è una falsa moneta antica di grosse dimensioni il cui nome è derivato dall’arabo bataqa attraverso lo spagnolo pataca.
- tammorra sost. femm.le = grosso tamburo usato nelle danze popolari è voce derivata dall’arabo: tambur attraverso un cambio di genere,(attesa la piú ampia (rispetto al tamburo) forma dello strumento, forma piú ampia intesa perciò femminile come avviene ad es. per cucchiaro piú piccolo e perciò maschile e cucchiara più grossa e perciò femminile, per tino piú piccolo e perciò maschile e tina più grossa e perciò femminile, carretto piú piccolo e perciò maschile e carretta piú grossa e perciò femminile etc. fanno eccezione tiano che è piú grosso, ma maschile rispetto a tiana che è piú piccola e stranamente femminile; fa altresí eccezione caccavo che è piú grosso, ma maschile rispetto a caccavella che è piú piccola e femminile), assimilazione regressiva della b alla m assimilazione che è tipica della parlata napoletana.
Va da sé che il tammurriello = piccolo tamburo abbia il medesimo etimo di tammurro/tammorra di cui è diminutivo con naturale cambio di genere dall’ampio femminile al piú contenuto maschile;
- bardascia sost. femm.le usato per indicare una giovane donna, ragazza e spesso lo si poteva incontrare nel simpatico diminutivo – vezzeggiativo bardascella.L’ etimologia di bardascia è originariamente dal persiano bardal attraverso l’ arabo: bardağ che è propriamente la prigioniera, la schiava giovane ed estensivamente la ragazza cosí come nel napoletano.
- mammalucco: sostantivo masch. usato per indicare lo stupido patentato, lo sciocco impenitente, dall’aria frastornata détto pure cannapierto; etimologicamente questo mammalucco è dall’arabo mamluk = schiavo, soldato prigioniero.
- sciabbecco: sostantivo masch. usato per indicare precisamente il bietolone, lo sciocco, lo stupidone aduso a piegarsi ad ogni vento, come che mentalmente vuoto e privo d’ogni opinione e/o cognizione; in origine lo sciabecco (dal turco sumbeki, attraverso un arabo šumbûk) indicò un lungo e stretto naviglio, veloce, ma – per la sua esile consistenza – facilmente preda dei venti e dei marosi;
- sciaveca sost. femm.le = sciabica, indica la grossa rete a strascico munita di ampio sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde l’espressione: stà cu ‘e ppacche dinto a ll’acqua id est: star con le natiche in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di pescatore non sia abbastanza remunerativo.
Etimologicamente la parola sciaveca attraverso lo spagnolo xabeca cosí come la toscana sciabica deriva dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga.
Rammenbto altresí la voce sciavechiello derivato di sciaveca con consueto passaggio al maschile in quanto oggetto notevolmente piú piccolo della femminile sciaveca.
Lo sciavechiello è invatti una piccola contenuta rete a rastrello, munito di alto manico di legno usata sulla battigia per pescare arselle e/o telline, spingendo in avanti il rastrello munito di retino nel quale far transitare la sabbia bagnata in cui di annidano arsellee/o telline; talvolta il pescatore inverte il senso di marcia ed invece di spingerlo, trascina lo sciavechiello; in tal caso si dice che à avutato ‘o sciavechiello espressione che in senso traslato vale: à girato le spalle disinteressandosi di qualcosa.
- catafarco (di etimo incerto, ma con molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in lingua napoletana, con derivazione forse da un antico castellame (voce del XIV sec. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo del suffisso me che divenne na per render femminile la parola originariamente maschile, nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; difficile stabilire i motivi di tale adattamento corruttivo di me in na: probabilmente si rese necessario atteso che si durava fatica a volgere al femminile un nome terminante in me facendolo diventare un ovvio ma, tuttavia spesso, per errore, parole terminanti in me passando al femminile non mutavano desinenza; fu forse nessario perciò cambiar questa in na (desinenza che non ingenera confusione)!) si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni;
- azzeccà verbo che come significato primo à: colpire nel segno, centrare, indovinare (ed in tal senso è forse dal tedesco zeken= menare un colpo), ma quando signica unire strettamente, incollare, attaccare in questa accezione reputo sia da collegarsi all’arabo zêg).
- canzirro = mulo, bardotto; il sost. masch. napoletano canzirro à un etimo dal greco kanthélios, incrociato con l’arabo hinzir;
- mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi peto o petro e per indicare il medesimo ortaggio s’ebbe petonciano o petronciano.
Altre volte la voce melanzana fu ritenuta, ma impropriamente, derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia.
- burraccia/vurraccia =borraggine o borragine derivata per l’italiano dal lat. mediev. borragine(m), mentre il napoletano, con tipica alternanza partenopea b/v è dritto per dritto dall’arabo abu rach=burraccia con tipico raddoppiamento interno popolare della r e della c e deglutinazione della a iniziale intesa articolo: aburach= ‘a burraccia; di per sé abu rachc significa "padre del sudore" forse per la particolare attività di questo vegetale che è sudorifero); la borraggine o borragine è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente vegetali, di frittelle etc. ;
-rummano = romano cioè il peso della stadera (dall'ar. rumman, propr. 'melagrana', per la forma del peso simile a quella della melagrana.
-sciorba/ sciorbacca deriva , nel significato di zuppa/zuppaccia , dall’arabo-persiano sciorbah o tsciorbach dove trae origine da un tema verbale sciaríba= bere in quanto trattasi di zuppa molto liquida; con il medesimo termine sciorbah o tsciorbach in Turchia si indica una lenta vivanda a base di riso;
- sciarra sost. femm.le = lite, bisticcio, ma non violento, particolarmente quello fra innamorati (cfr. l’espressione ànno fatto sciarra= ànno litigato, ma son pronti a riappacificarsi) voce che è dall’ arabo šarr= disputa.
tàmmaro agg.vo e s.vo maschile e solo maschile: non è né attestato, né codificato un ipotetico femminile tàmmara; è un antico sostantivo (presente già nel D’Ambra, Andreoli, P.P.Volpe ed altri ) nel significato di colono,contadino e pure per ampiamento semantico sbirro; oggi è parola ancóra viva nel linguaggio popolare e vale ( epperò ormai solo come aggettivo) rozzo, volgare, ignorante , zotico e scostante; quanto all’etimo è parola derivata dall’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri; la voce napoletana è stata altresí influenzata dall’ omonimo ebraico tammar = pianta da datteri; semanticamente l’accostamento tra l’arabo tammar = produttore e poi mercante di datteri e la voce napoletana tàmmaro è da ricercarsi nel fatto che nell’inteso comune il colono, il contadino e pure lo sbirro oltre che il mercante sono individui carenti di educazione e buone maniere e dunque rozzi, volgari, ignoranti, zotici e scostanti;
varda s.f. = basto, soma da asino o mulo che è dall’arabo barda con consueto adattamento partenopeo della labiale esplosiva b che diventa v (cfr. bocca→vocca – barca→varca – bacile→vacile etc.).
vurraccia = borraggine o borragine ( voce di prob. di origine araba da (a)bu rach che significa "padre del sudore" forse per la sua particolare attività sudorifera),altri optano per una derivazione dal fr. borrache;ò or ora détto che la voce napoletana à un etimo o arabo o francese, anche se pare (terza ipotesi) che non gli sia estranea la voce catalana borracha che indica sia la verdura che una fiasca da viaggio (l’italiana borraccia) tipica per la voce napoletana l’alternanza b→v ed il passaggio della o atona → u; allo stato delle cose, propendo per l’etimo arabo che penso abbia potuto influenzare sia il francese che il catalano ); la voce borraggine o borragine è invece derivata dal lat. mediev. borragine(m), con tipica alternanza partenopea b/v) è usata a Napoli nella preparazione di minestre quasi esclusivamente vegetali ;
scialare nel napoletano è verbo intransitivo dal notevole ventaglio di significati: godersi la vita o particolari occasioni, con riguardo all’abbondanza del cibo o d’ altro , vivere nell’abbondanza, spendere allegramente senza parsimonia, vivere negli agi, nel lusso; etc.; nell’italiano dove è pervenuto dal napoletano è verbo transitivo non comune e vale: scialacquare, dissipare: scialare un patrimonio, una fortuna | (in usi assoluti cosí come nel napoletano) vivere negli agi, nel lusso; spendere con larghezza, senza parsimonia: una famiglia abituata a scialare; c'è poco da scialare!, occorre fare economia, non c'è troppa abbondanza! Etimologicamente il verbo napoletano trae dall’arabo scialach ( esser felice, esser fortunato, esser opulento, godersi la vita o particolari occasioni) quantunque altri ipotizzino un lat. *exhalare che però piú pertinentemente diede esalare.
Dal medesimo verbo scialare (e dunque ugualmente dall’arabo scialach) traggono quali deverbali molti sostantivi e/o aggettivi presenti nel napoletano e talora anche nell’italiano, quali:
scialo – scialicco - scialamiento s.vo m.le = spreco, sperpero, lusso smodato;
scialuso/scialosa agg.vo m.le o f.le = prodigo/a, sprecone/sprecona etc.
scialacquone/a agg.vo m.le o f.le = scialacquatore/trice, spendaccione/a
scialapòpolo s.vo m.le = sprecone, sperperatore.
scialò s.vo m.le = sciattone, sciamannato,
scialacore s.vo m.le presente, quasi ampliamento di scialo solo nel napoletano:godimento, piacere gradito,goduria, sollazzo soprattutto con riferimento al bere e mangiare; a scialacore locuzione avverbiale = con godimento, dilettevolmente, abbondantemente


E qui mi fermo, ripromettendomi di ampliare l’elenco, quando e se dovessi trovare altre voci pervenute nel napoletano con provenienza dall’arabo.
raffaele bracale

CAZZIBOCCHIO/CAZZIMBOCCHIO/CAZZIBÒ

CAZZIBOCCHIO/CAZZIMBOCCHIO/CAZZIBÒ

Mi scrive da Bologna il gentilissimo dr. Salvatore C. (al solito, per questioni di privatezza mi tocca evitare di indicare per esteso nome e cognome) per chiedermi cosa ne pensi della sua idea che la voce napoletana cazzibò/cazzibocchio/cazzimbocchio possa avere una derivazione dal tedesco KATZENKOPF"(cioè a dire: ciottoli lavorati a testa di gatto). Gli ò risposto che, sulle prime, quella sua idea per un attimo à fatto traballare le mie precedenti certezze semantiche-etimologiche; ma il dubbio è durato poco e si è dileguato allorché ò preso in considerazione le due cose che qui di sèguito indico:
1) la forma del cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò;
2) la morfologia della parola.
Vediamo:
1) il napoletano cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò, quanto alla forma, non è un ciottolo semisferico come il katzenkopf, né – d’altra parte – à forma di cubo (chiamandolo perciò erroneamente cubetto o quadruccio) come sbrigativamente si afferma di quel tal elemento lapideo di leucitite, che non è cubico, ma a tronco di piramide a base quadrata, usato a Roma ed in molte altre città per la pavimentazione di varie strade urbane e, fra l’altro, della piazza S. Pietro (donde il nome sampietrino). , manufatto di porfido o basalto usato per pavimentare le strade, chiamandolo cubetto o quadruccio ; in realtà il cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò, come ò détto, à forma di tronco di piramide con base e vertice quadrati, forma che consente ai lastricatori di acconciamente infiggere tali manufatti su di uno spesso letto di sabbia e terriccio, seguendo esattamente l’andamento curvato a schiena d’asino o a botte del piano stradale, facendo accostare i lati delle basi nei cui interstizî vien fatta colare poi della pece liquida per assicurare tenuta ed una sorta di impermeabilità alla strada cosí lastricata. Come si vede nulla che, per forma, possa appaiare il tronco di piramide del cazzibocchio/cazzimbocchio/cazzibò napoletano con il ciottolo semisferico del katzenkopf tedesco.
2) altro importante ragione che mi spinge a non lasciare la via vecchia per la nuova è quella che investe la morfologia della parola in esame; in realtà morfologicamente, se si esclude una tenue assonanza tra cazzibò e katzenkopf non esistono chiari e documentabili passaggi linguistici per pervenire a cazzibò partendo da katzenkopf; ricorderò che la originaria voce espressiva, nata nell’àmbito dei lastricatori fu cazzibocchio (nata da cazzi + occhio con epitesi, per evitare lo iato, di una consonante eufonica (b) ottenendosi cazziocchio→cazzibocchio) poi a mano a mano trasformatasi per evidente aggiustamento fonetico in cazzimbocchio ed infine semplificata in cazzibò, ma in tutte e tre le forme (cazzibocchio – cazzimbocchio – cazzibò) è riconoscibile il richiamo osceno d’attacco (cazzo→cazzi) con riferimento vuoi alla forma (il tronco di piramide richiama – sia pure con molta buona volontà - l’organo maschile in erezione) del manufatto di pietra lavica, vuoi al fatto che allorché d’un oggetto non si conosca o non sovvenga con precisione il nome,nel parlato popolare, si adotta quello generico di cazzo (cfr. damme ‘stu cazzo lloco = dammi codesto oggetto di cui mi sfugge il nome!): ed è probabile che ciò sia avvenuto anche nel gergo dei lastricatori; è altresí riconoscibile nelle forme cazzibocchio – cazzimbocchio il suffisso diminutivo latino uculus→occhio suffisso che non è in alcun modo leggibile nel tedesco katzenkopf.
Mi auguro d’essere stato esauriente e d’aver convinto, sia l’amico S.C. che chiunque altro dovesse leggermi ad abbadonare, per ciò che riguarda i termini in epigrafe, pericolose strade... etimologiche!
raffaele bracale

ERRORE, CANTONATA, ABBAGLIO etc.

ERRORE, CANTONATA, ABBAGLIO, FESSERÍA GRANCHIO; LAPSUS & DINTORNI
L’amico F.P. (al solito, mi limito ad indicare le iniziali non avendo ricevuto autorizzazione a fare per esteso nome e cognome...) si è detto molto soddisfatto di ciò che – su sua richiesta – scrissi sul termine diavolo & dintorni ed allora mi lancia una nuova sfida chiedendomi di dilungarmi sulla voce errore ed affini nonché sulle corrispondenti voci del napoletano.
Fino a che me ne sentirò capace non mi sottrarrò ad una sfida! Cominciamo; in italiano la voce piú comune usata per indicare l'allontanarsi dalla verità, dal giusto o dalla norma convenuta,o per indicare lo sbaglio, lo sproposito, nonché, in senso morale, un fallo, una colpa, un peccato, la voce piú comune – dicevo – è errore che può avere un nutrito ventaglio di riferimenti; ricorderò ad es.: errore di giudizio, di valutazione; errore di calcolo, di misura; errore di lingua, di grammatica, di stampa; fare, commettere un errore; essere, cadere, incorrere, indurre in errore; correggere gli errori | salvo errore che sta per: a meno che non vi sia qualche sbaglio involontario | per errore, per sbaglio, spec. di distrazione; in senso morale: scontare i propri errori; errori di gioventú ; nelle scienze sperimentali poi, l’errore è la differenza fra il valore vero e quello osservato: errore sistematico, quello che ricorre in tutti i casi osservati in quanto dovuto allo strumento usato, al metodo o ad imperizia; errore accidentale, casuale che è quello che dipende dal caso.
Nel diritto l’errore è la mancata o imprecisa conoscenza di un fatto o di una disposizione di legge: errore di fatto, di diritto | errore giudiziario: in un processo penale, erronea ricostruzione o interpretazione dei fatti che porta alla condanna di un innocente.
L’etimo di errore è dal lat. errore(m), deriv. di errare 'vagare, smarrirsi, sbagliarsi'.
Per la voce errore non esistono moltissimi sinonimi usati con eccezione di quelli indicati in epigrafe; e sono:
- abbaglio s. m. letteralmente (quale deverbale di abbagliare connesso con bagliore) indica
l’abbagliamento (offesa della vista per luce troppo viva) e per traslato figurato l’errore, la svista: prendere un abbaglio; cadere in un abbaglio.
- cantonata s. f. . è un denominale di canto( che è dal lat. tardo canthu(m), derivato dal gr. kanthós 'angolo dell'occhio') indica l’angolo formato all'esterno, da due muri che s'incontrano e dunque indica appunto l’angolo formato dai muri esterni di una casa fra una strada e un'altra (per l’incotro interno di due muri s’usa la voce canto oppure angolo; mettiti in quel canto e sta’ fermo! | nell’espressione prendere una cantonata,quest’ultima figuratamente vale grosso errore, e tutta l’espressione sta per prendere un abbaglio, incorrere in un colpevole sbaglio quale quello (donde trasse l’espressione) di chi facesse urtare una ruota del proprio carro contro l'angolo della via, nel prendere una curva troppo stretta.
- fessería s.f. sciocchezza, quisquilia, errore da poco,scusabile stupidaggine voce marcata (vedi oltre) sia pure con un insulso aggiustamento sul napoletano fessaría.
- granchio s. m. derivato da una lettura metatetica del lat. cancer –cri con sostituzione di comodo della occlusiva velare sonora g al posto della piú aspra e dura occlusiva velare sorda c; è voce che à varie accezioni:
- 1) (zool.) Nome delle circa 4500 specie di crostacei decapodi brachiuri, diffusi in tutto il mondo, per lo piú marini ma anche dulcacquicoli e terrestri, di dimensioni variabili da pochi cm a oltre 3,50 m, con addome corto e ripiegato sotto il carapace e chele robuste: g. comune (Carcinus maenas), diffuso sulle coste italiane; g. di fiume (Potamon fluviatile), delle acque dolci dell'Italia e dei Balcani.
- 2) ( per estens., tecn.)
a) il cuneo bipenne opposto a quello battente del martello da falegname, cuneo bipenne usato per estrarre chiodi. b) Ferro conficcato sul banco del falegname, contro il quale si tiene fermo il legno da piallare.
- 3) ed è l’accezione che ci occupa (fig., fam.) Errore, sbaglio causato da un equivoco: prendere un granchio.
- 4) (ant.) La costellazione del Cancro.
- 5) usato impropriamente (pop.) quale sinonimo di crampo.
- lapsus s. m. invar. errore involontario verbale o di scrittura propr. "inceppamento, caduta", derivato dal lat. labi "scivolare", part. pass. lapsus – Si tratta cioè di un piccolo sbaglio non volontario, verbale o di scrittura, consistente nel sostituire un suono o una parola intera o scrivere una lettera invece di un'altra, nella fusione di due o piú parole in una sola, ecc., al quale, per S. Freud e la psicanalisi, bisogna attribuire un significato inconscio: scusa, è stato un lapsus! Espressioni usate: lapsus calami (lett. errore di penna= errore di scrittura), lapsus linguae letteralmente "errore di lingua= del parlato) che designano appunto il lapsus nello scrivere e nel parlare; infine lapsus freudiano: quello dovuto a motivi inconsci.

Esaurite ad un dipresso le voci dell’italiano, passiamo alle piú numerose voci del napoletano dove abbiamo:
-fessaría s. f. che letteralmente vale errore di poco conto, ed estensivamente sciocchezza, stupidaggine, azione insulsa tipica dello sciocco; la voce a margine deriva forse da fesso con il suff. arius→aro + il suff. astratto tonico ía; epperò non gli dovrebbe essere comunque estranea, come reputo e morfologicamente piú vicina la voce fessa (l’organo sessuale femminile esterno) ( part. pass. del verbo latino findere) dalla fessaría (da fessa+ aría da arius) sciocchezza, stupidata, deriva la toscana fessería di significato analogo).In chiusura faccio notare la solita incomprensibile, stupida mutazione che opera il toscano trasformando una A etimologica (da fessa→ fessaría) per adottare una piú chiusa E (fessaría vien cioè trasformata in fessería) forse nella sciocca convinzione che la vocale chiusa E sia piú consona dell’aperta A alla elegante (?!) lingua di Alighieri Dante…

In ogni caso con la voce fesso (dell’italiano e del napoletano) derivato attraverso il sign. del femm. fessa dell'Italia merid., pop. si indica l’imbecille, lo sciocco quello cioè capace di errori di poco o molto conto, ed ancóra estensivamente sciocchezze, stupidaggini, azioni insulse etc. Rammento talune espressioni popolari in uso sia nella lingua nazionale che nel napoletano: fare fesso, m’hê fatto fesso : riferito a persona, ingannarla: mi vuoi proprio fare fesso? fam., fare il fesso/ fà ‘o fesso, fare lo spiritoso, o anche il temerario. Dim. fessacchiotto, scherz si indica lo sciocco,il balordo , voce in ogni caso da far risalire al lat. fissu(m), part. pass. di findere 'fendere').
-marrone s. m. . che letteralmente vale grosso errore, sbaglio di gran conto, ed estensivamente addirittura sproposito; la voce a margine è presente pure nell’italiano con un ampio ventaglio di significati che sono:
1)Bestia che guida il branco,
2) (equit.) Cavallo anziano che deve servire di esempio al puledro da ammansire,
3) (ant.) Guida alpina.,
4)(bot.) Nome di una varietà pregiata del frutto di castagno (Castanea sativa), generalm. piú grande della castagna comune,
5) volgarmente testicolo,
6) Il colore tipico, bruno rossiccio, del guscio delle castagne 7) come per il napoletano (e forse da esso mutuato), ma d’uso rarissimo e solo letterario errore grave, sproposito.
Non di facilissima comprensione le strade semantiche seguíte nell’italiano per approdare a tanti significati diversi, né semplicissimo indicare un eventuale etimo della voce italiana (esercizio forse inutile atteso che a mio avviso il marrone dell’italiano è mutuato (vedi oltre) sul napoletano); ad ogni buon conto dirò che per il marrone dell’italiano qualcuno propose il tardo greco *màraon, altri vi vedono una voce indigena usata pure come nome proprio Virgilio Marone altri ancóra vi leggono una radice celtica mar= grande, grosso che forse ben si può attagliare al cavallo piú vecchio e/o grande che guida il branco o a quello piú capace usato a mo’ d’esempio nell’addestramento dei puledri, alla castagna piú grande .
Quanto al marrone napoletano, atteso che la reputo una voce affatto originaria e non mutuata dall’italiano,anzi voce che al contrario, l’italiano à preso in prestito dal napoletano (rammenterò al proposito che l’italiano à l’espressione cogliere in castagna per indicare cogliere in errore espressione dalla quale si evince l’esistenza del duplice significato di marrone che vale in italiano e nel napoletano grossa castagna ed errore marchiano); ripeto che quanto al marrone napoletano penso che etimologicamente sia da collegarsi all’ant. francese marrir= confondersi, smarrirsi o piú ancóra allo spagnolo marrar= errare, attraverso il sost. marro= errore addizionato del suff. accrescitivo one.
-nguacchio/’nquacchio s.m. La parola a margine ,(si tratta infatti di un solo termine, reso con due diverse grafie), nel suo significato primo di bruttura, lordura, sudiciume e poi in quello estensivo di piccolo involontario errore risulta essere – quanto al suo etimo – un deverbale di ‘nguacchià/’nquacchià voci tutte di origini onomatopeiche; i verbi ànno il loro significato primo di: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare;proprio in tali accezioni la parola in epigrafe fu usata per indicare quegli inopinati sgorbi e/o macchie d’inchiostro che – complici la distrazione, l’inchiostro ed il pennino della penna comune – lordarono quaderni e libri al tempo (1950) delle scuole elementari; quando poi (1955) con l’avvento della penna biro che mandò in soffitta inchiostro, calamaio, pennini e penne comuni, divenne desueta anche la parola ‘nguacchio/’nquacchio ed essa venne sostituita da spirinquacchio usata per indicare non lo sgorbio o la macchia casuale, quindi l’involontario errore, quanto quel ghirigoro voluto e cercato prodotto per saggiare se l’inchiostro contenuto nella cannuccia di plastica della penna biro fosse ancora sufficiente o sufficientemente fluido per permettere di scrivere; poiché per saggiare la scorrevolezza e fluidità del detto inchiestro, si muoveva in maniera piú o meno circolare la penna tenuta rigidamente perpendicolare al piano di scrittura, la traccia che se ne ricavava era di forma spirale, di talché il disegno ottenuto era pur sempre ‘nu ‘nguacchio, ma in quanto di forma spiraleggiante, finí per esser definito spirinquacchio/spiringuacchio; la parola napoletana ‘nguacchio o ‘nquacchio oltre ai cennati significati, à poi un suo significato estensivo che è quello di: situazione intrigata, pasticcio di difficile soluzione ed ancóra infine deflorazione con conseguente fecondazione di una giovane che consenzientemente, da nubile, si sia fatta possedere da un innamorato; nelle cennate due accezioni di pasticcio di difficile soluzione, situazione intrigata la parola è trasmigrata pure se in non tutti, in molti dei piú corredati vocabolarî della lingua italiana dove è diventata: inguacchio; ugualmente un significato estensivo ànno i verbi nguacchià/’nquacchià che in lingua napoletana vengono usati per indicare oltre che i cennati: sporcare, insudiciare, macchiare, imbrattare, anche l’ungere o il condire esageratamente in ispecie con sugo di pomodoro, fatti che sostanziano in ogni caso un errore (ovunque e sempre occorrono misura e moderazione, secondo il détto: l’esagerazione è difetto!); molta meraviglia à destato in me il fatto che mentre abbia incontrato in molti dizionarî della lingua italiana il termine inguacchio, in nessuno vi ò ritrovato il verbo da cui dovrebbe essere scaturito: inguacchiare… Misteri della lingua italiana e di taluni soloni linguisti che la fanno, i quali considerano (cfr. Treccani – Garzanti etc.)il verbo inguacchiare napoletano, ma fanno italiana la voce inguacchio derivata di inguacchiare!Proseguiamo e troviamo
-pistacchiata s.f. letteralmente la pistacchiata è una sorta di untuosa cremina ad uso di pasticceria ricavata dalla pestatura di pistacchi sgusciati e tostati, ma - prendendo a prestito l’immagine di questa crema - si indicarono i contenuti errori presenti sui quaderni dei bambini della scuola primaria, errori spesso accompagnati da una qualche macchia d’inchiostro (cfr. la voce precedente); per traslato ed ampliamento semantico la voce a margine vale sbaglio, strafalcione ed anche sproposito, svarione; quanto all’etimo la voce pistacchiata è da collegarsi alla voce pistacchio dal lat. pistaciu(m), che è dal gr. pistákion. A margine di questa voce rammenterò che essa voce nel parlar becero, quando non addirittura triviale, di talune zone della città bassa, sulla bocca del popolino, sia pure nei medesimi significati, veniva e talora ancóra viene corrotta in picchiaccata o pucchiaccata voci derivate dritto per dritto da pucchiacca/ purchiacca che (con etimo dal greco pýr+k(o)leacca←*cljacca) sta per fodero di fuoco ed è uno dei modi piú volgari, ma icastici usati per indicare l’organo sessuale esterno della riproduzione femminile.E non faccia meraviglia l’accostamento divertente tra le voci pucchiacca/ purchiacca→picchiaccata o pucchiaccata ed un tipo di errore; in fondo è il medesimo accostamento che corre tra un piccolo errore e la parola fessaria che è da fessa.
-rancefellone s m. eccoci ad un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un grande sbaglio, un colpevole strafalcione ed anche un’ azione o parola inopportuna, fatta o detta a sproposito, uno svarione volontario ; letteralmente infatti con la voce a margine si indica un tipo di granchio, détto granciporro e semanticamente la connessione tra il colpevole sbaglio e questo granchio grosso, è da cercarsi nel fatto che questo granchio-traditore (vedi oltre) se toccato,può diventare pericoloso e procurare lesioni dolorose alla medesima stregua d’un colpevole sbaglio che può lasciare il segno! Quanto all’etimo rancefellone risulta essere l’agglutinazione della voce rance (da una lettura metatetica del lat. cànceru(m)→*(c)rance(um) + la voce fellone= traditore con molta probabilità da un antico franco félon ma forse piú probabilmente dall’antico sassone félen odonde un lat. med. fello/fellonis→fellone(m) (Du Cange).
-rapata s.f. voce che vale corbelleria, insulsaggine, banalità sciocchezza e come tale usata per indicare gli i piccoli, perdonabili errori comportamentamentali degli adolescenti e dei ragazzi; la voce a margine è un derivato di rapa voce che è dal lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi inteso f. sing. e che indica, nel linguaggio figurato una persona non ancóra matura, di scarsa intelligenza, tale da mettere in essere corbellerie, insulsaggini, banalità e sciocchezze.
-sbalanzone s.m. un’altra voce che solo per traslato è usata per indicare un eccezionale sbaglio, un colpevole grande strafalcione un grave sproposito, un importate svarione volontario tutti errori capaci di procurar danno ; letteralmente con la voce a margine si indica uno spintone un urtone operato in danno di persona anziana che da detta spinta e/o urto può subire conseguenze dannose.
Son proprie queste conseguenze dannose il trait d’union logico e semantico tra lo sbalanzone-urto e lo sbalanzone-sproposito. Etimologicamente la voce a margine è un derivato dalla voce valanza (dal lat. bislanx=dal doppio piatto) addizionata della tipica s qui distrattiva e del suff. accrescitivo one; ò parlato di s distrattiva che qui vale quasi ex in quanto in origine con la voce sbalanzone si indicò quel tipico colpo assestato ad uno dei piatti della bilancia per scuoter via un po’ delle granaglie eccedenti il peso voluto.

-sbarione s. m. cretinata, errore stupido dovuto a vaneggiamento, innocente grulleria da attribuirsi ad improvviso delirare, incolpevole idiozia dovuta forse ad uno stato febbrile; la voce a margine risulta un deverbale di sbarià verbo intran.vo che vale: vaneggiare, farneticare, delirare (cfr. sbarià cu ‘a capa!= applicarsi ad altro, eludere pensieri serî etc.) sbarià con la consueta alternanza b/v è dal lat. *s +variare, deriv. di varius 'vario'.
-scunnietto s. m. che indica una grossa idiozia,un involontario sbaglio, una minchioneria volgarmente détta anche cazzata dovuti però ad improvvisi e transeunti stati di non raziocinio,di dissociazione mentale e pertanto scusabili, se non perdonabili; la voce a margine è etimologicamente un deverbale di scunnettïà esatto opposto di cunnettïà = unire, associare, legare, correlare con la protesi di una s, qui distrattiva, che ne inverte il significato e pertanto scunnettïà vale disunire, dissociare, slegare, non cogliere le correlazioni tra cose e/o tra cause ed effetti. A margine rammenterò che per traslato e/o ampliamento semantico la voce a margine in talune occasioni sta per oscenità, parola oscena. Ad un dipresso ciò che accade per la voce seguente che in primis valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato ebbe altri significati.
-scuntrufo/scuntrufolo s.m. in doppia morfologia leggermente variata: nella seconda è leggibile il suffisso diminutivo olus→olo ma sostanzialmente la parola è la medesima ed in primis (cosí come attestato nel D’Ambra e nell’Andreoli valse parolaccia, bestemmia e poi per traslato errore irrispettoso, caso, combinazione erronei, scontro forse con riferimento all’etimologia che è da cercare in un deverbale di scuntrà= urtare, mettersi all’opposto di, cozzare violentemente contro qualcosa, verbo che è derivato da ‘ncuntrà con cambio di prefisso; al verbo scuntrà per ottenere le voci a marigine sono stati aggiunti rispettivamente i suffissi ufo o il suff. dim. ufolo suffissi sui quali – prima o poi cercherò d’essere piú preciso; per ora mi sono arreso non avendone trovato riscontro nel Rohlfs (libro sacro dei suffissi!),

-straverio/streverio s. m. antica voce attestata passim in ambedue le morfologie nel significato primo di cosa eccedente la realtà, sproposito e quindi grosso errore, marchiana fanfaluca, madornale ciancia, spropositata frottola, grossolana sciocchezza, assurdità colossale; l’etimo, checché ne abbia détto il fu D’Ascoli che fantasiosamente ipotizzò un deverbale di stravedé/straveré (ma fu lui ad ipotizzare la faccenda? In effetti non penso che fosse farina del suo sacco,bensí il parto di uno dei tanti negri che lo aiutavano a stendere i suoi numerosi libri ai quali – complice la senescenza – egli non potette dare tutta la cura e l’attenzione di cui abbisognavano... lasciando correre molte inesattezze e/o fantasie!) l’etimo – dicevo – a mio avviso è dal lat. extra-verum→straveru(m)→straverio;
-trummunata s.f. che letteralmente sta per trombonata, spacconata, smargiassata. e per traslato ed ampliamento semantico vale sesquipedale sproposito, immane sciocchezza, enorme cretinata, fesseria spropositata stupidaggine madornale il tutto in linea con la parole da cui deriva che non è il trombone strumento a fiato di ottone, simile alla tromba ma di maggiori dimensioni e tonalità piú bassa, normalmente dotato di pistoni o di coulisse, strumento che quantunque piú grosso della tromba, non raggiunge misure tali da esser presa a modello per tutti i significati surriportati; la voce da cui deriva trummunata è trummone che in napoletano indica sí il trombone strumento a fiato, ma indica altresí una grossa botticella cilindrica incerneriata su i due lati opposti della circonferenza centrale, per poter comodamente ondeggiare basculando; in tale contenitore di grande capacità veniva conservata la caretteristica acqua zuffregna/zurfegna= acqua sulfurea e la capicità del trummone era ben maggiore di quella delle cosiddette mmummare in cui pure si conservava l’acqua per la vendita al minuto; il trummone era agganciato sul ripiano laterale delle cosiddette banche ‘e ll’acqua= banchetti di mescita di acqua ed altre bevande)
La voce mmummara s.vo f.le = grande vaso di creta per acqua o vino viene dal neutro pl. greco bombýlia poi fem. sg. con cambio di suffisso e dissimilazione *bommara→mmommera→mmummera mentre la voce zuffregna/zurfegna trae da un acc.vo lat. aqua(m)sulphurínea(m)→suphrínja→surphínja→ surfegna→zurfegna o con raddoppiamento espressivo della fricativa labiodentale sorda e metatesi della liquida zuffregna;
per trummone da cui trummunata, occorre pensare forse ad un lemma onomatopeico con riferimento ad un’iniziale tromma + un suff. accrescitivo, benché la voce a margine non abbia nulla a che spartire – come ò detto - con gli strumenti musicali a fiato tromba e trombone quantunque (per la sua forma panciutamente cilindrica) ‘o trummone ‘e ll’acqua è simile al grosso bombardino strumento a fiato di ottone, usato nelle bande; flicorno baritono, impropriamente détto trombone→trummone.
-zzarro svarione, errore non segnatamente volontario dovuto ad un improvviso, quanto imprevisto impedimento (cfr. l’espressione piglià 'nu -zzarro che vale errare, prendere un abbaglio,incorrere in un impedimento, inciampare in un qualcosa come ad es. un sasso sporgente; per l’etimo la voce zzarro deriva dall'arabo zahr (dado- sasso sporgente).
E qui penso di poter far punto avendo – a mio avviso – esaurito l’argomento, nella speranza d’avere accontentato, o - quanto meno - interessato l’amico F.P. e chi altro dovesse leggermi.
Raffaele Bracale

PETTOLA 'E SPALLA &C.

PETTOLA 'E SPALLA &C.
Aiuto! Fermate il mondo…o quanto meno stutate 'a televisione:salvatemi!mi sento accerchiato come il gen. Custer a Litle Big Horn… Addó m'avoto, avoto, quale che sia il programma che scelgo… nun me salvo:il ministro di turno e i suoi giannizzeri stanno llà, armati 'e pietra pommice e fierre 'e cazette per portare avanti la loro opera altamente morale di salvarmi… e dopo aver condotto a termime la campagna antifumo e averci convinti a ce levà 'o vizzio 'e fumà, mo ce vonno levà 'pure chillo 'e magnà. e non passa ora che facendo capolino dai programmi contenitori di mamma RAI,o dagli specials e i talk show delle reti mediaset una pletora di esperti:lèggi: medici, dietologi, dietisti, nutrizionisti e compagnia bella,- che non si capisce dove e come trovino il tempo di svolgere le loro professioni- se le svolgono perché mi rifiuto di credere che siano tutti vecchi barbogi pensionati che non devono andare a lavorare...(ché se fosse così, sarebbe ben singolare che mentre tutti i comuni mortali giunti all' età della pensione, si mingono sulle scarpe e assaliti dall' aterosclerosi danno i numeri, gli esperti della T.V. debbano essere come il vino in botte che più tempo passa, più diventa migliore...), posto che tutto il tempo che hanno lo impiegano o per registrare i loro interventi televisivi…o per partecipare in diretta a programmi, programmini e programmetti.. – dicevo che non passa ora che
non ci partecipino apertis verbis che il colesterolo è – dopo il fumo – il nostro piú acerrimo nemico e si annida, manco a dirlo, in tutte le cose che piú ci piacciono: fritture ed insaccati(sui quali – prima o poi sarà obbligatoria per legge accanto all' etichetta dell'azienda produttrice, quella con l'effige del teschio e delle tibie incrociate e la scritta:NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE!), che vanno banditi per ciò dalla nostra alimentazione quotidiana, insieme ai sughi che, va da sé, devono esser bolliti e non soffritti e non devono contenere grassi animali, ma solo olio d'oliva extra vergine:per cui sarebbe opportuno eliminare tutti gli alimenti che non siano frutta e verdura(cheperò va consumata o cruda o, al massimo, cotta al vapore e non bollita in acqua, perché la dilavazione della bollitura comporta la perdita di non si sa quante benefiche virtú delle sullodate verdure, da servirsi senza aggiunta di sale e condite con un solo cucchiaino da tè del solito immarcascibile olio d'oliva extra vergine(alla cui produzione, sarà interessato qualche nostro politico, come succedeva ai tempi della battaglia contro l' AIDS, quando con ogni probablità ci fu qualche politico interessato alla produzione di profilattici... … , Dunque attenzione: solo frutta e verdura in tavola perché anche quegli alimenti che contengono solo zuccheri e proteine, vengono trasformati in grassi e colesterolo. Il Padreterno ci fece onnivori, ma evidentemente ne sapeva meno del ns. ministro e dei suoi epigoni che ci vogliono erbivori comme ê pecurelle o ê curdische… ed è giocoforza adeguarsi, se ci preme vivere bene e la vita naturaliter deve essere codotta innanzi sotto strettissimo controllo medico, per cui occorrerà cotidie sottoporsi a prelievi sanguigni, prescritti dal ns buon cerusico di famiglia , che dopo decenni di lenocinio(fermate i cavalli e nun ve rizelate:non sto offendendo nessuno;seguitemi nel ragionamento e poi parliamo…)Come si può definire uno che i suoi soldi non se li guadagna con un tot numero di ore settimanali di lavoro?, ma riceve le sue prebende in base al numero di assistiti che à nel suo carniere?Per cui può accadere che per trenta giorni nessun assistito facente parte della riserva di caccia del medico ics si faccia vivo per importunare il cerusico, costui a fine mese, dopo essersi grattato per 30 giorni la pancia, riceverà il suo congruo mensile , prelevato dalle tasse sulla salute che mensilmente l'assistito versa di tasca propria:non è lenocinio questo?Al mio paese, sì! Al vostro, forse, si preferisce parlare di pizzo...Bon, come volete!....Ci si è accorti, insomma, che era ora che i medici di famiglia si faticassero la mercede che mensilmente ricevono e almeno ci prescrivessero, pertanto, le quotidiane analisi per stabilire se i nostri valori di grassi e zuccheri sono nei limiti fissati dai protocolli mondiali, e quando non siano bastevoli le analisi, richiedessero radioscopie, TAC e risonanze magnetiche assortite di talché oramai non ci si dà più appuntamento sotto l'orologio della Ferrovia,orologio che oltre tutto non c'è più... ma nei centri d'analisi, o in ospedale nel tubo della TAC…e gli amici non si scambiano più i numeri di cellulare, ma i valori di azotemia, glicemia, colesterolo(buono, cattivo e a mezza botta))), trigliceridi e via di queste analisi… Ma mi pare che sia giusto così posto che analisti e radiologi stavano andando alla pezzentaria: si sono rotte le scatole e ànno gridato:basta! Vogliamo pure noi attaccarci alla mammella della sanità nazionale;fateci analizzare ed investigare…, non è giusto che i reagenti chimici dei kit che acquistiamo, vadano â perimma!Fateceli utilizzare , facitece magnà pure a nuje!Tenimmo diente e famiglia. Consentite anche a noi l' irrumazione alle gonfie poppe del SSN…Non è giusto che solo i medici di famiglia azzuppino ricevendo congrue percentuali su i farmaci che non prescrivono ai loro pazienti e che pertanto non vengon pagati dal SSN… Aiutatece! E il ministro si è mosso a pietà ed à sciolto LUCIANO ONDER(che probabilmente è pure 'nu poco jettatore…) e i suoi omologhi delle reti Fininvest , che si son fatti un punto d'onore di inoculare nei teleutenti il virus del dubbio, se non della paura… metter cioè la strizza in tutti i telespettatori che mo, appena termina una trasmissione di medicina (e ce ne sono oramai una ventina al giorno)o anche una trasmissione qualsivoglia che tutte, tutte dico – fatta eccezione forse per la s. Messa à il suo spazo dedicato all' arte di Esculapio, si attaccano al telefono per ordinare al proprio medico di famiglia una sequela di indagini consigliatedai padreterni che discettano in T.V. indagini che le USL
pagano…e pagheranno agli affamati analisti e radiologi.nello intento di appurare se veramente si è colpiti dal morbo sapientemente illustrato in T.V. ed i cui sintomi vengon percepiti in maniera esattissima…e chiarissima dal povero teleutente…per il quale e solo per il quale però valgono tutti gli ammonimenti e le indicazioni di cui sopra circa cibi e bevande…
Per i medici e loro contubernali quegli ammonimenti non valgono, tanto è vero che i cosiddetti simposi di aggiornamento scientifico questi signori li svolgononon in aule accademiche, ma, accompagnati dai propri familiari codificati o spurii, nelle sale ristorante dei più accorsati alberghi della costiera o del lungomare e lì essi si applicano a fondo per venire a capo delle ultime novità scientifiche riguardanti linguine all' astice, granseole all' agro, sauté di vongole, impepate di cozze, polpi all'insalata, pezzogne all' acqua pazza misticanze di verdure, frutta di stagione, delizie al limone, caffè, limoncelli etc. etc. con somma gioia della casa farmaceutica che organizzae paga il simposio e che si attende perciò il giusto ritorno economico dalla vendita dei propri prodotti,in ispecie di quelli non rimborsati dal SSN, che verranno prescritti con dovizia dai convenuti al simposio di aggiornamento e pagati dal solito fesso ammalato…
Ma la cosa non finisce qui.Convinti che ci debbano inculcare l'idea che chi se sta diuno, campa e campa bbuono e chi magna, more, …ecco che i sullodati esperti ci stanno mettendo con le spalle al muro:poco per volta ci stanno costringendo a rinnegare tutto il nostro passato culinario, giorno per giorno stiamo bandendo dalle nostre mense carbonare e amatriciane, soffritti e ragù e ci stiamo dando anima e corpo a certe schifezze inenarrabili, che fanno recere, ma fanno bene alla salute e per convincerci di tanto ecco che la TV di Stato si è inventato un sedicente maestro di cucina che contrabbanda con la boria propria del ciuccio presuntuoso, certe bobazze per autentica cucina mediterranea…dimenticando che se lui è maestro, noi siamo professori e la autentica cucina mediterranea l'abbiamo sperimentata prima di lui, non fosse altro che per un fatto anagrafico e pertanto non gli crederemo mai allorchè vorrebbe farci credere che la dieta mediterranea prevede come condimento il solo olio d'oliva e per giunta extra vergine…
E te tonnellate di burro e strutto che da centocinquant'anni in qua si son consumate dall' Alpi al Lilibeo?come intende classificarle?Niente!Lui nun 'e piglia proprio in considerazione e continua ad imperversare col suo imprescindibile olio di oliva extra vergine con il quale è solito annaffiare finanche una bavarese di fragole e panna!L 'idea di fondare un'associazione segreta con sede dinto a 'nu strazzulillo 'ncopp'ê quartiere , nacque all'indomani dell'ennesima trasmissione televisiva in cui i soliti dietisti 'nu sordo ô muntone ci comunicarono che era oramai improrogabile necessità l' eliminare dai nostri deschi il sacrosanto piatto 'e zite a rraú.Fondammo seduta stante l'Associazione carbonara PETTOLA 'E SPALLA&C., per riunirci in gran segreto a consumare napoletanissime brasciole di manzo e di cotiche di maiale, al ragú,biblicamente tirato a regola d'arte nello strutto di porco,canonicamente imbottite di uva passita, pinoli,sale e pepe, prezzemolo e formaggio romano.intingendo nel sugo delle suddette brasciole pantagrueliche fette di palatone, alla faccia di Sirchia e dei suoi, fottendocene del colesterolo e dei trigliceridi, se non del diabete e della creatinina!, convinti ca una vota se campa e ca 'ncopp'ê brasciole ce dice 'o ssolopaca purché asciutto e rrusso…e non dimentichi che Pulcinella interrogato su quale fosse la miglior medicina , saviamente e brillantemente rispose:vino 'e cantina e purpette 'e cucina!… E Pulcinella ne sapeva e ne sa certamente più di Onder, Gargiulo e qualche altro messi insieme…e non si à memoria che fosse o sia jettatore!, al contrario di troppi di quelli che hanno fatto il giuramento di Ippocrate...ed imperversano in TV.
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lunedì 28 settembre 2009

VERMICIELLE ‘E SCAMMARO

VERMICIELLE ‘E SCAMMARO
(vermicelli di magro)


Dosi per 6 persone
600 grammi di vermicelli,
1 bicchiere di olio d'oliva e.v.p. s. a f.,
due spicchi d'aglio (senza camicia, tritati finissimi)
un ciuffo di aneto lavato, asciugato e tritato finissimo,
1 etto di olive nere di gaeta denocciolate e tritate,
12 acciughe dissalate e diliscate o pari peso di filetti di acciughe sott’olio,
1 cucchiaio di capperi di Pantelleria dissalati,
6 cucchiai di pan grattato abbrustolito a fuoco vivace, oppure (e meglio!) pari peso di mollica di pane casareccio bruscata al forno (240°) e passata ad un mixer con lame da aridi,
50 gr. di pinoli abbrustoliti al forno (220°),
50 gr. di uvetta ammollata in acqua bollente.
Sale doppio (un pugno).
Pepe nero macinato a fresco q.s.

Procedimento
In un'ampia padella versare l'olio e l'aglio tritato sottilmente; fare imbiondire l'aglio a fuoco vivace;aggiungere al soffritto le olive denocciolate e tritate grossolanamente, poi aggiungere i capperi ed infine le acciughe, schiacciandole con la punta di un cucchiaio e badando bene che si disfino completamente fino a sciogliersi nell'olio; nel frattempo in una grossa pentola lessare in abbondantissima acqua salata (circa 8 litri con il pugno di sale doppio) la pasta tenendola molto al dente; a cottura avvenuta versare la pasta nella padella con il sugo, aggiungere un mestolino di acqua di cottura, alzare la fiamma, aggiungere l’uvetta ammollata ed i pinoli tostati precedentemente (al forno o in pochissimo olio bollente) e rimestare velocemente, infine spargere sulla pasta il pan grattato, precedentemente abbrustolito come i pinoli in pochissimo olio bollente oppure la mollica bruscata e tritata , rimestare e versare il tutto in una capace zuppiera di portata; aggiungere abbondante pepe nero macinato al momento ed una spruzzata di aneto crudo tritato finemente; servire con un vino bianco (Ischia, Capri, Fiano, Falanghina) ben fresco di frigo.
NOTA
Questo gustosissimo, ma semplice, economico asciolvere viene usato spesso come pasto dei giorni di magro (quaresima) o in alternativa ai costosi vermicelli a vongole nei giorni di vigilia;
‘e scammaro = di magro (detto però solo del cibo); la voce scammaro è un deverbale derivato attraverso una protesi di una s distrattiva dal verbo latino *cammarare=mangiar di grasso; posto che *cammarare è mangiar di grasso, ne deriva che *scammarare (donde scammaro) vale mangiar di magro.
Mangia Napule, bbona salute!
Raffaele Bracale

VARIE 409

1. Farse ‘nteresse
Locuzione intraducibile ad litteram che fotografa l’amara situazione di chi per conseguire una merce o altro quid sia costretto a sborsare una somma di danaro cosí eccedente il preventivato da essere costretto ad intaccare altre somme di danaro e perderne cosí un eventuale interesse che gli fruttavano tenendole ferme in banca.
2. Farse passà ‘a fantasia
Locuzione intraducibile ad litteram in quanto di duplice valenza: una positiva ed una negativa, valenze che per esser comprese necessitano di un’ ampia spiegazione, non riducibile ai tre termini della locuzione che se intesa nella sua valenza positiva sta per: concedersi un gusto spirituale o, piú spesso, materiale, raggiungere finalmente e far proprio un oggetto del desiderio lungamente agognato e bramato; in senso negativo la locuzione è usata quando ci si convice che determinati gusti a lungo covati, purtroppo non possono essere soddisfatti o non possono esser fatti propri determinati oggetti a lungo bramati e ci si impone di farsi passar di testa l’idea di raggiungere quegli oggetti o soddisfare quei gusti.
3. Fà scennere ‘o paraviso ‘nterra
Ad litteram: far scendere il paradiso in terra Becera locuzione con la quale si significa il profferire bestemmie in maniera eccezionalmente violenta e prolungata chiamando quasi sulla terra con una sineddoche tutti gli... abitanti del paradiso.
4. Farse chiovere ‘ncuollo
Ad litteram: lasciarsi piovere addosso; id est:: lasciarsi cogliere impreparato in situazioni nelle quali non si sono prese adeguate preacauzioni e che pertanto posson solo essere foriere di pessimi o anche deleterii risultati, come chi nell’imminenza d’un temporale, si avventuri per istrada senza nemmeno munirsi d’un semplice ombrello e vada perciò certamente incontro a quanto ricordato al num.272.
5. Farse vení ‘e riscenzielle
Ad litteram: farsi venire le convulsioni, i deliquii Simpaticalocuzione che fotografa l’isterico e falso comportamento di chi, si lasci andare a piccole strane convulsioni, vere o metaforiche condite di sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamento tipico tenuto dalle donne quando vogliono forzare la mano a qualcuno per ottenere ciò che, adducendo normali ragioni o pretesti, non potrebbero raggiungere o quando voglion far pesare su gli altri le responsabilità di taluni accadimenti che sono invece da addebitare unicamente alle medesime donne che ànno messo in atto quegli accadimenti di cui intendono discolparsi.
Il termine riscenziello, rotacizzazione del piú classico discenziello deriva dal latino descensus, col significato di deliquio. ed è usato nel linguaggio popolare oltre che per significare quanto qui sopra illustrato, anche per indicare quei brevi deliqui , piú esattamente eclampsie cui vanno soggetti i neonati o i bambini molto piccoli.
6. Fà sciacqua Rosa e bive Agnese.
Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, ma densa di significato; con essa si indica la deleteria gara che incorre tra chi piú sperperi o dilapidi comuni sostanze; di tale fatto sono emblematiche figure la Rosa e l’Agnese dell’epigrafe; delle due la Rosa continuava a satollarsi di vino magari accontendandosi di una sciacquatura ossia di vino addizionato d’acqua, o anche di vino puro usato a mo’ di riscicquo della bocca da una precedente bevuta, e l’Agnese lo faceva ancora di piú bevendo senza ritegno come nell’antico giuoco del padrone e sotto gioco che si svolgeva nelle bettole tra due giocatori di cui uno – il padrone – poteva imporre all’altro – il sotto – innumerevoli bevute di vino con l’aggravio di dover pagare il vino bevuto.
7. Fà tremmà ‘o strunzo ‘nculo.
Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo ; id est: incutere in qualcuno, attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente, un convulso tremore degli intestini e del loro contenuto prossimo ad essere espulso.
8. Fà cacà l’uva, l’aceno e ‘o streppone.
Ad litteram: far defecare la pigna d’uva, gli acini ed il raspo relativi.Locuzione con la quale si significa l’azione violenta di chi costringe un ladro o anche solo un profittatore a restituire tutto il mal tolto, come chi pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli acini e persino il vuoto raspo.
9. Fà cupínte, cupínte: ‘e caure ‘a fora e ‘e fridde dinto.
Inutile come che non significante la traduzione letterale; in senso ampio la locuzione è usata per indicare l’incongruente azione di chi premi qualcuno oltre i propri meriti e al contrario lesini il plauso o il premio a chi invece spetterebbero; in senso piú strettamente letterale la locuzione si attaglia a quelle occasioni allorché spinti dalla cupidigia si siano concessi i favori di una donna a coloro che (freddi) non mostravano i necessarii requisiti fisici, e si siano erroneamente negati ai piú meritevoli caldi tenuti ingiustamente fuori sebbene mostrassero di essere adeguatamente... armati.
Letteralmente, di solito, in napoletano la parola cupínto sta per Cupído, miticologico nume dell’amore; ma penso che riferirsi a lui per la locuzione in epigrafe sarebbe errato, non esistendo un nesso tra il benevolo nume suddetto e l’errato, inesatto comportamento ricordato nella seconda parte della locuzione; ò reputato piú giusto pensare, nella fattispecie della locuzione, che il termine cupinte, oltre a fornire una adeguata rima con il termine dinto, sia stato usato come corruzione del termine cúpido: bramoso, agognante, desideroso, quella brama o desiderio che può spingere all’errore.
10. Fà ascí ‘e ssòvere ‘a culo
Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; id est: percuotere qualcuno, torchiandolo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo iperbolicamente ad emettere le emorroidi (eufemisticamente dette sorbe).
11. Fà ascí ‘e cazze ‘a canna
Letteralmente: far emettere i péni dalla gola Becera e ruvida espressione di portata simile alla precedente da cui si distingue per una iperbolicità di molto superiore, attesa l’impossibilità di realizzare materialmente quanto minacciato in epigrafe.
12. Fa ascí ‘o serpe d’’a maneca ‘e ll’ate.
Ad litteram:fare uscire il serpente dalla manica altrui. Id est: riuscire con ogni mezzo a far comunicare da altri ciò che non si ha il coraggio di fare da se medesimi; intesa in senso piú cattivo la locuzione significa: far malevolmente ricadere su terzi le colpe e perciò le responsabilità di proprie azioni.
13. Fà cca ‘e ppezze e cca ‘o ssapone
Ad litteram: fare qui le pezze e qui il sapone id est: adottare l’economia spicciola delle contestuali prestazioni e controprestazioni, ma anche assumere ed accettare reciprocamente patti semplici e chiari da rispettare comunque; la locuzione ripete l’antico uso esistente nei vicoli napoletani allorché in cambio di pochi stracci o abiti dismessi ceduti ad un robivecchi ambulante detto sapunaro, se ne riceveva immediata contropartita sotto forma appunto di sapone da bucato detto sapone ‘e piazza.
14. Fà avutà ‘a capa o ‘e ppalle ‘e ll’uocchie
Ad litteram: far girare la testa o i bulbi oculari. Iperboliche locuzione atte a significare le sgradevoli sensazioni che si provano allorché ci si trovi coinvolti in confuse situazioni tra irrequieti ragazzi o assillanti vuoti parolai logorroici capaci e gli uni e gli altri di procurare sensi di vertigini con giramenti di testa o vorticoso roteare dei bulbi oculari, dovuti al fastidio procurato o dagli irrequeti ragazzi o dai suddetti logorroici parolai. Locuzione da intendersi sia in senso reale che figurato.
15. Fà un’anema e curaggio.
Ad litteram: raccogliere insieme anima e coraggio; id est: disporsi con slancio ad unire l’animo e le forze occorrenti ad affrentare una situazione che si presenti a prima vista densa di incognite e pericolosi risvolti di talché per venirne a capo occorra quasi stringere in un unicum la mente ed il cuore non essendo bastevole usarli separatamente.
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