lunedì 31 maggio 2021

‘E RIPPE O ‘E RAPPE e DI RIFFE O DI RAFFE

‘E RIPPE O ‘E RAPPE  e DI RIFFE O DI RAFFE

 

 

L’amica F. C. (i consueti problemi di privatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) mi à chiesto di illustrarle la prima espressione in epigrafe e soprattutto di formularne, se possibile,  etimologia e semantica. Provvedo alla richiesta cominciando col dire  súbito che non è possibile tradurre letteralmente (se non in parte) in italiano l’espressione in quanto formata con due termini di cui solo il secondo e cioè rappe trova corrispondenza nei vocabolarî italiani nelle voci: grinze, rughe, crespe, sgualciture, piegature casuali ed imprecise di stoffe; il primo termine rippe non  trova alcuna  corrispondenza nei vocabolarî italiani in nessuna voce,né potrebbe trovarla,   trattandosi di voce ricavata nel napoletano per bisticcio ed allitterazione con la successiva rappe (etimologicamente dal longobardo *krapfo→(k)rap(f)o→rappo/rappa= uncino). Ciò precisato do la spiegazione dell’espressione;  essa è nata partendo proprio dal termine rappe  legandovi, per stabilire una relazione , un fantasioso rippe ; l’espressione à però un suo compiuto significato  che  si può rendere con:  in ogni modo, con qualsiasi espediente

 in una maniera precisa  o anche scorretta  e cioè: sia che con la nostra azione scorretta (‘e rappe) si producano grinze, rughe, crespe, sgualciture, piegature casuali ed imprecise, sia che invece si agisca in maniera corretta( ‘e rippe), occorrerà raggiungere lo scopo, puntando dritto al fine da raggiungere  in ogni caso, magari alla carlona o – per dirlo in pretto napoletano – alla sanfrasòn/zanfrasòn o sanfasòn che sono , pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura) e sono tra le pochissime, se non quasi uniche voci del napoletano che essendo accentate sull’ultima sillaba si possono permettere il lusso di   terminare per consonante in luogo di una  consueta vocale evanescente  paragogica finale (e/a/o) e raddoppiamento della consonante etimologica: normalmente in napoletano ci si sarebbe atteso sanfrasònne/zanfrasònne o sanfasònne come altrove barre per e da bar  o tramme  per e da tram  etc.

Di riffe o di raffe

In coda ed a margine di tutto quanto ò scritto circa l’espressione napoletana: ‘e rippe o ‘e rappe (in ogni modo, con qualsiasi espediente) ricordo che in molti altri linguaggi regionali (Lazio, Marche, Toscana, Emilia etc.) ed piú in generale in tutto il territorio nazionale esiste l’espressione   di riffe o di raffe  che à all’incirca la medesima valenza dell’espressione partenopea  e sta per in ogni modo, con qualsiasi espediente,ed anche con le buone o le cattive.

Ciò che vien da chiedersi è se le espressioni siano le stesse con morfologia alquanto diversa ed in caso positivo  chi àbbia la primogenitura dell’espressione. Orbene giacché non esistono scritti di riferimento che possano attestare con sicurezza priorità natali,  connubi e/o derivazioni fono-morfologiche e semantiche tra le due espressioni, non mi resta che ipotizzare qualcosa affidandosi alla logica ed al D.E.I. il solo che registri la voce riffa  (deducendola la prima volta nel 1729 da Fagiuoli: Giovan Battista Fagiuoli (Firenze, 24 giugno 1660 – † ivi 1742)  scrittore, poeta e drammaturgo italiano.))come agg.vo f.le di riffo ( litigioso, rissoso, prepotente). A voler dunque stare a credere al D.E.I. la voce negativa nell’espressione di riffe o di raffe  dovrebbe essere riffe da intendersi non piú come agg.vo pl. f.le, ma come s.vo pl. f.le =  litigi, risse, prepotenze e come voce negativa dovrebbe essa indicare le cattive della spiegazione con le buone o le cattive e conseguentemente la voce raffe dovrebbe essere voce positiva e valere le buone costringendoci, per esser precise a spiegare di riffe o di raffe = con le cattive o con  le buone  e non con le buone o le cattive. Almeno la logica questo farebbe sospettare; epperò, epperò nel medesimo D.E.I. si trova registrata la voce raffa (anonimamente nel XIV sec.)= furto s.vo f.le deverbale di raffare  verbo piú diffuso come arraffare= rubare  (dal tedesco hraffo= strappo via) che costringerebbe a ritenere anche  raffe pl. di raffa voce negativa e non positiva di talché di riffe o di raffe  meriterebbe d’esser spiegata non con le buone o le cattive o con le cattive o le buone ma  con le cattive o le cattive  cosa che però non darebbe senso alla congiunzione  disgiuntiva o . D’altro canto atteso che sia la voce riffe che la voce raffe  nell’italiano non sono attestate altrove  se non nell’espressione in esame mi permetto di dissentire dal D.E.I. e segnatamente dal prof. Carlo Battisti che curò le voci sotto la lettera R  e ritenere che l’espressione in esame di riffe o di raffe   non sia nata costruendola con voci esaminate riffe = prepotenza  e raffe = furto, ma che sia pervenuta dapprima nelle regioni limitrofe (Lazio) o vicine (Marche) e poi in tutto l’idioma nazionale quale calco adattato(p→f) della napoletana ‘e rippe o ‘e rappediventando nell’italiano   di riffe o di raffe   con la sostituzione dell’esplosiva labiale p con  la consonante fricativa labiodentale sorda f  forse ritenuta piú elegante ed adatta alla lingua nazionale, della popolaresca rumorosa p.

 

 

Penso d’aver contentata l’amica F.C.e qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Satis est.

Raffaele Bracale

 

14 ICASTICHE ESPRESSIONI [31.5.21]

14  ICASTICHE ESPRESSIONI [31.5.21]

1.FARSE ‘NTERESSE

Locuzione intraducibile ad litteram  che fotografa l’amara situazione di chi per conseguire una merce o altro quid  sia costretto a sborsare una somma di danaro  cosí eccedente il preventivato  da essere costretto ad intaccare altre somme di danaro e perderne cosí un eventuale interesse che gli fruttavano tenendole ferme in banca.

2. FARSE PASSÀ ‘A FANTASIA

Locuzione intraducibile ad litteram in quanto  di duplice valenza: una positiva ed una negativa, valenze che per esser comprese necessitano di un’ ampia spiegazione, non riducibile ai tre termini della locuzione che se intesa nella sua valenza positiva sta per: concedersi un gusto spirituale o, piú spesso, materiale, raggiungere finalmente  e far proprio un oggetto del desiderio lungamente agognato e bramato; in senso negativo  la locuzione è usata quando  ci si convice che determinati gusti a lungo covati, purtroppo non possono essere  soddisfatti  o non possono esser fatti propri determinati oggetti  a lungo bramati e ci si impone di farsi passar di testa l’idea di raggiungere quegli oggetti o soddisfare quei gusti.

3.FÀ SCENNERE ‘O PARAVISO ‘NTERRA

Ad litteram: far scendere il paradiso in terra  Becera locuzione  con la quale si significa il profferire bestemmie in maniera eccezionalmente violenta e prolungata  chiamando quasi sulla terra  con una sineddoche tutti gli... abitanti del paradiso.

4. FARSE CHIOVERE ‘NCUOLLO

Ad litteram: lasciarsi piovere addosso; id est:: lasciarsi cogliere impreparato in situazioni nelle quali non si sono prese adeguate preacauzioni  e che pertanto posson solo essere foriere  di pessimi o anche deleterii risultati, come chi  nell’imminenza d’un temporale, si avventuri per istrada  senza nemmeno munirsi d’un semplice ombrello e vada perciò certamente incontro  a quanto ricordato altrove, cioè vada incontro ad un bagno fuori programma .

5.            FARSE VENÍ ‘E RISCENZIELLE  

Ad litteram: farsi venire le convulsioni, i deliquii  Simpatica locuzione che fotografa l’isterico e falso comportamento di chi, si lasci  andare  a piccole strane convulsioni, vere o metaforiche  condite di sterili isterismi e stolti capricci: atteggiamento tipico tenuto dalle donne  quando vogliono forzare la mano a qualcuno  per ottenere ciò che,  adducendo normali ragioni o pretesti, non potrebbero raggiungere o quando voglion far pesare su gli altri le responsabilità di taluni accadimenti che sono invece da addebitare unicamente alle medesime donne che ànno messo in atto quegli accadimenti di cui intendono discolparsi. 

Il termine riscenziello, rotacizzazione del piú classico discenziello  deriva dal latino descensus, col significato di deliquio. ed è usato nel linguaggio popolare oltre che per significare quanto qui sopra illustrato, anche per indicare  quei brevi deliqui , piú esattamente eclampsie  cui vanno soggetti i neonati o i bambini molto piccoli.

6. FÀ SCIACQUA ROSA E BIVE AGNESE.

Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, ma densa di significato;  con  essa si indica la deleteria gara che incorre tra chi piú sperperi o dilapidi comuni sostanze; di tale fatto sono emblematiche figure la Rosa e l’Agnese dell’epigrafe; delle due la Rosa continuava a satollarsi di vino magari accontendandosi di una sciacquatura ossia di vino addizionato d’acqua, o anche di vino puro usato a mo’ di riscicquo della bocca da una precedente bevuta, e l’Agnese lo faceva ancora di piú bevendo senza ritegno  come nell’antico giuoco del del padrone e sotto (gioco derivato da quello détto tuocco) che si svolgeva nelle bettole  tra due giocatori di cui uno – il padrone – poteva imporre o negare  all’altro – il sotto – innumerevoli bevute  di vino con l’aggravio di dover pagare il vino bevuto.

 

7. FÀ TREMMÀ ‘O STRUNZO ‘NCULO.

Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo ; id est: incutere in qualcuno,  attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente,   un convulso tremore degli intestini  e del loro contenuto prossimo ad essere espulso.

8.      CACÀ L’UVA, L’ACENO E ‘O STREPPONE.

Ad litteram: far defecare la pigna d’uva, gli acini ed il raspo relativi.Locuzione con la quale si significa  l’azione violenta di chi costringe   un ladro o anche solo un profittatore  a restituire tutto il mal tolto, come chi  pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli acini  e persino il vuoto raspo.

9.    FÀ ASCÍ ‘E SSÒVERE ‘A CULO

Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; id est: percuotere qualcuno, torchiandolo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo iperbolicamente ad  emettere le emorroidi (eufemisticamente dette sorbe).

10. FÀ ASCÍ ‘E CAZZE ‘A CANNA

Letteralmente: far emettere i péni dalla gola (introdotti per altra via) Becera  e ruvida espressione di portata simile alla precedente da cui si distingue per una   iperbolicità  di molto superiore, attesa l’impossibilità di realizzare materialmente quanto minacciato in epigrafe.Nell’espressione in esame si minacciano pratiche sodomitiche  con iperboliche fuoriuscite…

11. FA ASCÍ ‘O SERPE DÂ MANECA ‘E LL’ATE.

Ad litteram:fare uscire il serpente  dalla manica altrui.  Id est: riuscire con ogni mezzo a far comunicare da altri ciò che non si à il coraggio di fare da se medesimi; intesa in senso piú  cattivo la locuzione significa: far malevolmente  ricadere su terzi  le colpe e perciò le responsabilità  di proprie azioni.

12. FÀ CCA ‘E PPEZZE E CCA ‘O SSAPONE

Ad litteram: fare qui le pezze e qui il sapone id est: adottare l’economia spicciola  delle contestuali prestazioni e controprestazioni, ma anche assumere ed accettare  reciprocamente patti semplici e chiari da rispettare comunque; la locuzione ripete l’antico uso  esistente nei vicoli napoletani allorché  in cambio di pochi stracci o abiti dismessi  ceduti  ad un  robivecchi ambulante,   détto sapunaro, se ne riceveva immediata contropartita sotto forma appunto  di sapone da bucato  detto sapone ‘e piazza in quanto sapone artigianale (spesso prodotto dal medesimo robivecchio) che, un tempo,  non si vendeva in negozi atti alla bisogna, ma ceduto esclusivamente in piazza o per istrada dai summenzionati robivecchi.

13.   AVUTÀ ‘A CAPA O ‘E PPALLE ‘E LL’UOCCHIE

Ad litteram: far girare la testa o i bulbi oculari.  Iperboliche locuzione atte a significare le sgradevoli sensazioni che si provano allorché ci si trovi coinvolti  in confuse situazioni tra irrequieti ragazzi  o assillanti vuoti parolai logorroici  capaci e gli uni e gli altri di procurare  sensi di vertigini  con giramenti di testa o vorticoso roteare dei bulbi oculari,  dovuti al fastidio procurato o dagli irrequeti ragazzi  o dai  suddetti logorroici parolai. Locuzione da intendersi sia in senso reale che figurato.

14. FÀ UN’ANEMA E CURAGGIO.

Ad litteram: raccogliere  insieme anima e coraggio; id est:  disporsi con slancio ad unire  l’animo e le forze occorrenti  ad affrentare una situazione che si presenti a prima vista densa di incognite  e pericolosi risvolti di talché per venirne a capo occorra quasi stringere  in un unicum la mente ed il  cuore  non essendo bastevole usarli separatamente.

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