mercoledì 30 novembre 2011

VARIE 1499

1.JÍ TRUVANNO CRISTO ‘INT’ Ê LUPINE o meglio JÍ TRUVANNO CRISTO DINTO A LA PINA
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini o meglio Andar cercando Cristo nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca di una cosa difficile da trovarsi o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte, non metterebbe conto il mettersene alla ricerca.
Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della seconda che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione, quella consigliata, si può intendere a pieno la valenza delle espressioni, valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento ad incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú corretta la seconda, quella che fa riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un ciuffetto di cinque peli comunemente detto: manina di Cristo e la locuzione richiama la ricerca di detta manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente: infatti occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè di Cristo; spesso capita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta va sprecata e si rivela inutile. Qualche altro scrittore di cose napoletane nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata leggenda che vede stranamente la Vergine Maria non esser misericordiosa con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta, mentre non v’è anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
2.JÍ TRUVANNO CHI LL’ACCIDE nell’espressione: VA TRUVANNO CHI LL’ACCIDE
Ad litteram: andare in cerca di chi l’uccide nell’espressione va in cerca di chi l’uccide
espressione usata per commentare le antipatiche azioni del provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi.
3.JÍ TRUVANNO GUAJE CU ‘A LANTERNELLA
Ad litteram: andare in cerca di guai con un lanternino detto di chi per sua natura e non per sopraggiunte casualità, si va cacciando di proposito nei guai, quasi andandone alla ricerca con una lanterna per meglio trovarli.
4.JÍ PE FFICHE E TRUVÀ CETRÓLE
Ad litteram: andare in cerca di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata simile a quella ricordata al num. 361 atteso che il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico.
5. JÍ Ô BBATTESEMO SENZA ‘O CRIATURO
Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da battezzare) locuzione usata per bollare situazioni macroscopicamenti carenti degli elementi essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti si accingono ad operazioni destinate a fallire perché prive del necessario sostrato dimenticato per distrazione o non conferito per disattenzione.
6.JÍ A PPUORTO (O A PUORTECE) PE ‘NA RAPESTA.
Ad litteram: recarsi al porto (oppure a Portici) per (acquistare) una rapa. Id est: impegnarsi eccessivamente, affaticarsi oltremodo per raggiungere un risultato modesto o meschino come sarebbe il recarsi al mercato ortofrutticolo all’ingrosso un tempo ubicato nei pressi del porto oppure recarsi addirittura a Portici, piccolo comune agricolo nei pressi di Napoli, per acquistare una sola, insignificante rapa.
7.JÍ DINT’ A LL’OSSA.
Ad litteram: andare nelle ossa detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi assaporarne i benefici fin dentro le ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano fisico , potendosi usare anche o spesso con riferimenti morali.
8. JÍ ‘NFREVA
Ad litteram: andare in febbre id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti da destare agitazione, foriera di febbre.
9.JÍ METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE
Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte. Locuzione che si usava pronunciare risentitamente, in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domande retoriche:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?),oppure ma che te cride ca vaco mettenno fune ‘e notte? (pensi forse ch’io vada tendendo funi di notte?) per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste di carattere economico; a mo’ d’esempio quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui nel negargli il richiesto usa a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare: essendo una persona onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue esose richieste; perciò règolati e mòderale !
10.JÍ TRUVANNO OVA ‘E LUPO E PIETTENE ‘E QUINNECE.
Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare alla ricerca di uova di lupo che è un animale viviparo o cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai piú di tredici.
11.JÍ TRUVANNO SCESCÉ
Espressione intraducibile ad litteram con la quale si identifica chi, in ogni occasioni cerchi cavilli, pretesti, adducendo scuse per non operare come dovrebbe o facendo le viste di non comprendere, per esimersi; talvolta chi si comporta come nella locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara corruzione del francese chercher (cercare), ma non ci sono certezze circa il suo primo utilizzo nel senso indicato. Si può però tranquillamente ipotizzare che durante la dominazione murattiana, se non durante quella angioina, un milite francese si fermasse a chiedere una informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usasse una frase analoga contenente l’infinito: chercher”
Il popolano che con ogni probabilità non conosceva la lingua francese fraintese lo chercher, che gli giunse all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé).
12.LL’URDEMU LAMPIONE ‘E FOREROTTA.
ad litteram:l’ ultimo lampione di Fuorigrotta id est: essere l’ultimo, inutile, insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i lampioni dell’illuminazione stradale erano numerati ed accesi a sera progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di essi lampioni contrassegnato con il num. 6666 era ubicato nella periferica zona occidentale della città nel quartiere detto di Fuorigrotta ed era l’ultimo ad essere acceso , quando già le prime luci del giorno ne sminuivano l’utilità;alla luce di quanto detto si comprende che è solo un divertente, ma incoferente esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num. 6 che nella smorfia indica tra l’altro lo sciocco, il lampione contrassegnato 6666 possa indicare un gran babbeo.
13.LL’OMMO ‘NCOPP’Â SALÈRA
Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati a quella statuina posta come impugnatura alla sommità dei coperchi delle saliere di terracotta, statuina che riproduceva le sembianze di un tal Tom Pouce nanetto inglese che intorno al 1860 si esibí a Napoli in uno spettacolo di circo equestre.
14.LLOCO TE VOGLIO, ZUOPPO, A ‘STA SAGLIUTA
Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita (vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si parrà la tua nobilitate e che viene usata nei confronti di tutti i saccenti, supponenti millantatori che certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando non saranno sufficienti per raggiungere un risultato le parole di cui i millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i fatti che i soliti millantatori sono incapaci di produrre.
15.LEVAMMO ‘ACCASIONE
Ad litteram: Togliamo l’occasione id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di non favorire la maldestra commistione di terzi, in faccende che non dovrebbero riguardarli.
16. LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A NANTE A CCARNEVALE.
Ad litteram: Togliamo la taverna di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici eccessi alimentari che si potrebbero produrre se non si procedesse ad eliminare eventuali occasioni scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata ad esempio in tutte le case dove, preparata una buona torta, si correva il rischio che i bambini ne mangiassero continuatamente fino, forse ad incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni un adulto, provvedendo a metter la torta fuori della portata dei ragazzi , si esprimeva con la locuzione in epigrafe, usata in occasioni analoghe quando occorresse sottrarre qualcosa ad un utilizzo sfrenato ed incontrollato.
17. LEVÀTE ‘O BBRITO.
Ad litteram: Togliete il vetro id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e lavassero i bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi.
18.LEVÀ ‘A FRASCA ‘A MIEZO
Ad litteram: togliere la frasca di mezzo; id est: cessare definitivamente un’ attività, togliersi di mezzo, sbaraccare; la locuzione richiama ciò che facevano gli antichi osti - con mescita specialmente in strade di campagna - i quali al momento della cessazione anche solo stagionale della propria attività solevano staccare dall’architrave della porta dell’osteria il telaio ligneo ricoperto di frasche che vi avevano apposto all’inizio della stagione per segnalare che in quella osteria era giunto il vino nuovo. A Napoli vi fu una strada un tempo periferica che proprio per la presenza di numerose osterie che inalberavano le frasche fu detta ‘a ‘Nfrascata; attualmente la strada è intitolata al poeta pittore Salvator Rosa ((Napoli, 21 o 22 luglio 1615 – † Roma, 15 dicembre 1673)
19. LILLO, LÉLLA Ô PERE ‘E SANT’ ANNA.
Ad litteram: Lillo, Lélla al piede di sant’Anna.id est: prostrati ai piedi di Sant’Anna. Cosí con l’espressione in epigrafe vengono indicate tutte le coppie di coniugi anziani in ispecie quelli che si recano insieme a quotidiane funzioni religiose o anche quelle coppie di anziani che non ricevono mai visite di parenti od amici e si devono contentare della reciproca compagnia; la locuzione rammenta una coppia di attempati coniugi realmente esistiti e dimoranti in quella strada detta ‘a ‘nfrascata, coniugi che non si volevano rassegnare alla mancanza di figli e solevano recarsi in una cappella privata della zona a prostarsi davanti all’effige di sant’Anna per impetrare la grazia di un erede, ma restarono ugualmente soli.
L’espressione in epigrafe nacque in origine come Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna con riferimento ad un’abitudine invalsa nel popolino di recarsi a venerare una presunta reliquia di Sant’ANNA (un piede!) conservato nella cappella della propria abitazione napoletana dal conte Giovan Battista di Tocco di Montemiletto abitazione ubicata appunto alla confluenza piú alta della strada detta ‘a ‘nfrascata; tale nobiluomo fu discendente del capostipite Guglielmo di Tocco che s’ebbe il titolo di conte di Montemiletto (Av) al tempo degli Angioini sotto Carlo III Durazzo. L’incredibile reliquia (oggetto della venerazione di creduli fedeli) era esposta dal conte in occasione della ricorrenza di sant’Anna (26 luglio) sull’altarino della propria cappella privata,ma nell’occasione della festa aperta ai visitatoti; lareliquia era conservata in una preziosa teca di cristallo tempestata di gemme preziose, ma a mio avviso – probabilmente si trattava – come è lecito supporre! - solo di un reperto artistico ligneo e/o di cartapesta che in quell’epoca (fine ‘500 principio ‘600) di smaccata credulità popolare era stata accreditata come una autentica reliquia; questo piede di sant’Anna faceva il paio con altra presunta reliquia (il bastone di san Giuseppe) protagonista d’un’altra espressione che suona
20. SFRUCULIÀ 'A MAZZARELLA 'E SAN GIUSEPPE
Ad litteram: sbreccare il bastoncino di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo con continuità asfissiante.
La locuzione si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento, sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone tenore Nicola Grimaldi (1700 ca), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo tenore il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque, in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire.
Normalmente, a mo' di ammonimento, la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON.
Torniamo alla locuzione di partenza per la quale si può ipotizzare che - correttamente! - l’originario Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna (Lillo, Lélla e il piede di sant’ Anna) sia stato trasformato in Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna. (Lillo, Lélla al piede di sant’ Anna id est: Lillo, Lélla(prostrati) ai piedi di sant’Anna) quando ci si rese conto che il piede oggetto di venerazione non era una reliquia del corpo di sant’Anna, ma solo un pregevole (?) manufatto.



21. LEVARSE ‘A MIEZ’Ê BBOTTE
Ad litteram: togliersi di mezzo ai, sottrarsi al pericolo dei fuochi artificiali. Id est: Defilarsi, sottrarsi ai rischi e/o pericoli e farlo vilmente magari in danno altrui. Da notare che con la voce bbotte nell’espressione in esame si intendono i fuochi d’artificio e non si intendono le percosse,(come improvvidamente ritiene qualcuno dei sedicenti addetti ai lavori del napoletano, ma colpevolmente a digiuno dell’autentica parlata napoletana nella quale ‘e bbotte non sono le percosse,ma i fuochi artificiali; è nell’italiano, non nel napoletano!, che le botte son sinonimo di percosse, e l’espressione in esame è invece napoletana non italiana e quindi chi opera la confusione tra le botte italiane e ‘e bbotte napoletane è un asino calzato e vestito e non si può arrogare il diritto di sedere tra gli addetti ai lavori del napoletano!
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VARIE 1498

1. AIZÀ ‘A MANO
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare, assolvere
L’ espressione che viene usata quando si voglia fare intendere che si è proclivi al perdono soprattutto di piccole mende, ricorda il gesto del sacerdote che al momento di assolvere i peccati , alza la mano per benedire e mandar perdonato il penitente pentito.
2. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE.
Ad litteram: Al tempo di Pappacoda Espressione usata a Napoli per dire che ciò di cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da riprodurre o riproporre; La parola Pappacone è - come già ricordato - corruzione del termine Pappacoda, antichissima e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di Napoli.
3. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A TERÒCCIOLE.
Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole carrucole metalliche.
4. ACRUS EST E TE LL’HÊ ‘A VEVERE
Ad litteram : è acre, ma devi berlo
La locuzione è tipico esempio di frammistione tra un tardo latino improbabile ed un vernacolo pieno.
Cosí a Napoli si suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di talune situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di seguito la storiella donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle labbra il calice contenente l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)
il curato, minacciandolo:” Dopo la messa t’aspetto in sacrestia...”
il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me truove!” (Probabilmente non mi troverai...)
Oggi la locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere qualcun altro che debba soggiacere agli eventi e non se ne possa esimere.
5. AMMACCA E SSALA, AULIVE ‘E GAETA!
Ad litteram: Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione.
6. “ A LLU FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO, SIENTE ‘O CHIANTO”
Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore” _ Al momento di cambiarli, piangerai.”
Locuzione che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse tra un venditore ed un compratore, viene usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il rischio d’esser ripagato allo stesso modo.
Un anziano curato, recatosi al mercato ad acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa, ma nell’allontanarsi sentí il pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente, gli rispose con la seconda frase.
7. ADDÓ ARRIVAMMO, LLA METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO!
Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco! La locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento di un’azione iniziata e non compiuta del tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione per portarla successivamente a compimento.”
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r.
8.COMME CUCOZZA ‘NTRONA, PASCA NUN VENE PE MMO.
Ad litteram: Se ci atteniamo al suono della zucca, Pasqua è ancóra lontana. Id est:: se ci atteniamo alle apparenze, le cose non vanno come dovrebbero andare, o come ci auguravamo che andassero. Un curato di campagna aveva predisposto una vuota zucca per raccogliere le elemosine dei fedeli e con il ricavato celebrare solennemente la pasqua; però il suo malfido sagrestano, nottetempo sottraeva parte delle elemosine, di modo che quando il curato andò a battere con le nocche sulla zucca per saggiarne il suono, avvertí che la zucca era ancóra troppo vuota e proruppe nell’esclamazione in epigrafe, né è dato sapere se scoprí il ladruncolo.
Cucozza sv.vo f.le = zucca,pianta erbacea annua con larghe foglie pelose, fiori campanulati gialli, frutti commestibili di forma e dimensioni diverse secondo le varietà (fam. Cucurbitacee) | zucca barucca, varietà di zucca bitorzoluta che si cuoce al forno e si mangia a fette | semi di zucca, brustolini | fiori di zucca, vivanda costituita dai fiori della zucca,meglio della zucchina, fritti dopo essere stati immersi in una pastella di uova e farina. DIM. zucchina, zucchino (m.), zucchetto (m.), zucchettino (m.)
2 (estens.) il frutto commestibile della zucca: zucca fritta; minestrone con la zucca
3 (fig. scherz.) la testa: ( etimologicamentela voce napoletana cucozza nonché il suo diminutivo cucuzziello/pl. cucuzzielle è una diretta derivazione dall’acc. tardo latino cucutia(m), mentre la voce italiana zucca è derivata dal medesimo tardo lat. cucutia(m), con metatesi e aferesi della sillaba iniziale; con raddoppiamento espressivo della c cucutia(m)→(cu)cutiaca(m)→ziacca→zucca.
9. COMME PAGAZIO, ACCUSSÍ PITTAZIO
Ad litteram: Come sarò pagato, cosí dipingerò Id est: la controprestazione è commisurata alla prestazione; un lavoro necessita di un relativo congruo compenso: tanto maggiore sarà questo, tanto migliore sarà quello; la frase in epigrafe, pur nel suo improbabile latino fu riportata da F.S. Grue famosissimo artista noto per i suoi vasi di maiolica,su di un’antica albarella detta di san Brunone.
10. CAPURÀ È MMUORTO ‘ALIFANTE!
Ad litteram: caporale, è morto l’elefante! Id est: è morto l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere laute mance,… non vantarti piú, torna con i piedi a terra!Piú genericamente, con la frase in epigrafe a Napoli si vuol significare che non è piú né tempo, né caso di gloriarsi e la locuzione viene rivolta contro chiunque, pur in mancanza di acclarati e cogenti motivi, continui a darsi delle arie o si attenda onori immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700, allorché il re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un elefante che fu affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia per il compito ricevuto al quale annetté grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone mance da tutti coloro che andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il pachiderma. Di lí a poco però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era possibile vederne la carcassa conservata nel museo archeologico della Università di Napoli ed il povero caporale vide venir meno con le mance anche le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva le viste di dimenticarsi di non essere piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che non era il caso di montare in superbia era solito gridargli la frase in epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti coloro che senza motivo si mostrino boriosi e supponenti.

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ALICE ARRECANATE

ALICE ARRECANATE

chello ca serve pe 6 perzone
‘nu kilò e duiciento d’alice grosse fresche ‘e rezza,
miezu bicchiere d’uoglio ‘auliva dunciglio,
‘na tazzulella d’acito janco,
dduje spicule d’aglio ammunnate e ntretate finu fino,
‘nu cucchiaro d’arecheta spullecata,
‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato finu fino,
sale duppio e ppepe janco macenato a ffrisco q.n.s.

comme se fa:
Lavà e pulezzà ll’alice levanno ‘a capa, ‘e mmennute e ‘a spina; arapí a llibbro ogneduna p’ ‘o lluongo, lavarle ancòra e asciuttarle; metterle dinto a ‘na cummedità ‘e purcellana cu ll’uoglio,ll’aglio ntretato,ll’acito, ll’arecheta sale e ppepe; cummiglià e lassà ‘scabbiscà (marinare) pe ‘nu paro d’ore. â fine revacà tutto dinto a ‘na prupurziunata turtiera e metterla dint’ô tiesto callentato a 200°. Lassà cocere pe ‘nu quarto d’ora e serví caude ‘e tiesto derrammate cu ‘o tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato finu fino.
Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e

PIRCIATIELLE CU ‘O CAVELISCIORE

PIRCIATIELLE CU ‘O CAVELISCIORE

chello ca serve pe 6 perzone
400 gramme ‘e cemmetelle ‘e cavulisciore pulezzate e lavate,
600 gramme ‘e pirciatielle spezzate (piezze’e quatto centimetre),
‘nu bicchiere d’uoglio dunciglio,
‘nu spiculo d’aglio ammunnato e ntretato finu fino,
‘nu bicchiere ‘e vino janco asciutto,
‘nu puparunciello pirciante (piccante)lavato, asciuttato e grabbato (inciso) p’ ‘o lluongo,

sale duppio ‘na vrancata e mmeza,
sale fino e ppepe janco macenato a ffrisco q.n.s.,
dduje cucchiare ‘e pignuole arruscate ô tiesto (220°)
‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato asciuttato e ntretato finu fino.
comme se fa:
Pulezzà ‘nu cavulisciore janco scartanno fronne e pparte cchiú toste; sarvarne quattuciento gramme ‘e cemmetelle. tennere. Mettere a ffuoco allero ‘na marmitta cu quatto dete d’acqua salata (meza vrancata ‘e sale duppio) e farla ascí a vvollere; farve àrvere teniente teniente pe cinche minute ‘e cemmetelle ‘e cavulisciore. Scularle e refreddarle sotto a ‘nu strèpeto d’acqua fredda. Fraditanto dinto a ‘na prupurziunata tiella, auta ‘e sponna,ricarve ll’uoglio e farlo callentà a ffuoco allero agnadenno ‘o ttrigliato d’aglio e ‘o puparunciello; appena ll’aglio è culurito agnadirve ‘e cemmetelle arvate e farle ‘nzapurí pe diece minute.Spruzzarle cu ‘o bicchiere ‘e vino janco e farlo svapurà.
Àrvere ‘e pirciatielle spezzate dinto a otto litre ‘e acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio), scularle e revacarle dint’ â tiella cu ‘o zzuco caudo.Agnadí ‘e pignuole arruscate ô tiesto e tuiglià.Tenerle a ffuoco allero pe ‘nu paro ‘e minute e a ll’urdemo, fora dô ffuoco, derrammàrle cu ‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato. Ammiscà, ‘mpiattà e serví ‘sti sabruse pirciatielle cu ‘o cavelisciore cumpletanno ‘e piatte cu ‘na bbella mmacenata ‘e pepe janco. Vino: asciutte e profumate janche nustrane ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco ‘e Tufo) fridde ‘e jacciaja o ‘e ‘rotta.
Magna Napule, bbona salute! Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!!
Raffaele Bracale

NAPOLI – JUVENTUS (29/11/11) 3 A 3LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ

NAPOLI – JUVENTUS (29/11/11) 3 A 3
LL’AGGIU VISTA ACCUSSÍ

Mannaggia chello ca ‘un se po’ ddicere, mannaggia! Guagliú âmmu sciupato ‘nu sangradale! Fino a ‘nu certo mumento d’ ‘o siconno tempo me s’era allariato ‘o core comme a ‘nu cufenaturo..., po ‘ncapo a ‘na ventina ‘e minute me scennette dint’ê cazette! E ggià! Nuje stévamo mettenno sotto ‘a vecchia zoccola janca e nnera pe tre a uno e chella capa fresca ‘e Mazzarri ‘mmece ‘e levà uno ‘e ll’attaccante (ch’êvano fatto ‘o lloro...)facenno trasí ‘nu difenzore ‘e cchiú e mettenno ‘a difesa a cquatto... che fa? Cagna ‘o difenzore ca nfi’ a cchillu mumento s’era cumpurtato meglio ‘e ll’ate... e rummane cu ‘a fissazziona soja d’ ‘a difesa a ttre! Me fósse dato cu ‘a capa dint’ô telaro d’ ‘e llastre! Cose ‘e ll’atu munno; robba ca sulo a Nnapule se fa! E accussí fernette ca ‘a rubbentús(sa) ricuperaje ddoje redde e ‘nchiudette ‘a partita ‘ncopp’ô tre a ttre ca pe mme fuje comme a ‘na curtellata dint’a ‘nu scianco. Passammo ê ppaggelle:
DE SANCTIS 5 Pigliaje tre rredde doppo meza partita passata a guardà ‘e stelle; ‘ncopp’a ‘nu pare ‘e redde êsse pututo fà coccosa ‘e cchiú e nun ‘a facette!
CAMPAGNARO 5 ‘O Toro me parette ‘nu poco stanco e ‘mpriciso: dâ parta soja ‘a rubbentús(sa) signaje ddoje redde e isso spisso nun accumpagnaje ll'azione; se vedette ca nun steva ‘nforma.
CANNAVARO 5 Ddoje bboni cchiusureue chiusure cancellate quanno se perdette a Matri ‘ncopp’ ô doje a uno.
ARONICA 6 Ll’unico d’ ‘a difesa a dà sicurezza, Mazzarri stranamente n’ ‘o facette ascí e ghièttemo dint’ê chiavette! (dô 75° FERNANDEZ s.v.)
MAGGIO 5,5 Estigarribia fuje n’accunto cchiú scurbutico d’ ‘o previsto peggiore del previsto.’O cuano s’abbuscaje n'ammunizzione scema e rummanette cundiziunato p’ ‘o riesto d’ ‘a partita.Ll’unica cosa overo bbella fuje ll’ajuda pe Pandev!
GARGANO 5,5 Tantu muvimento, ‘na granna pirciata (apertura) pe Lavezzi, ma pure ‘e ssolete smarrunate ‘e pricisione. ‘A terza redda juventina nascette ‘a ‘na palla ch’isso ‘ngenuamente perdette.
INLER 5,5 Se vedette ca ‘o turco napulitano nun è ancòra a ll’arribba (al top): timido ‘ncostruzzione ‘e juoco e liggiero pe ll’ interdizzione tanto è vvero ca cunzentette a Ppepe, ‘ncopp’â terza redda juventina, ‘e fà ll’ancarella ô lemmeto ‘e ll’area luvarda senza sbilanciarlo (cu ‘na ciancata) manco ‘e tanto!
ZUNIGA 6,5 Peccato ca nun riuscette a ttruvà ‘a cuntinuità nicessaria pe ttutta ‘a partita e alternaje mumente pusitive cu mumente ‘e stanchezza. (da ll’ 81° DOSSENA s.v.)
HAMSIK 6- Tutto summato ‘nu bbuonu primmo tempo ‘a fora d’ ‘o ricore sbagliato pe mancanza ‘e cuncentrazzione; calaje ô siconno tempo quanno s’êtte adattà a ccuntrastà sulamente.

PANDEV 7 Ll’êvo sempe scritto ca se trattava d’aspettarlo... e finalmente, quase certamente, àmmo ritruvato n'alternativa ô trebbeto d’ ‘e meraviglie: ‘a siconna redda fuje ‘nu sciucquaglio! (dô 71° SANTANA s.v.)
LAVEZZI 7 Sbagliaje spisso assaje, ma currette pe ttre e cu ttutto ca ‘o muzzulajeno scientificamente fuje ll'unico ca zumpaje ll'ommo crianno ‘a superiorità nummereca.
All. MAZZARRI 4,5 ‘Stu pareggio ‘o tène tutt’isso ‘ncopp’â cuscienza soja! Sí ‘a scuatra ô primmo tempo jucaje overamente bbuono e ‘o doje a zzero p’ ‘e cuane ‘o dimustraje. Quanno però, ô siconno tempo êtte ‘a gestí ‘e cagne nun ne ncarraje miezo; ‘mprimmese êsse avuto mettere Dzemaili e nno Santana e ppo ‘ncopp’ô tre a uno pe nnuje, a vvintiduje minute dâ fine, te vuó tutelà mettenno ‘a difesa a cquatto?’Mmece no! Capoteco pejo ‘e ‘nu mulo sardagnuolo levaje a Aronica e ‘ndebbulette tutt’ ‘a difesa. Dich’i’: “Te sî ffissato cu ‘sta difesa a ttre? Vuó fà trasí a Fernandez(zo)? E fall’ ‘o trasí, ma leva a Cannavaro o a Campagnaro, ma no a Aronica ca sta mantenenno ‘o carro p’ ‘a scesa”... Ma quase certamente i’ nun ne capisco niente ‘e pallone e pparlo ‘a tifoso antijuventino e nno dâ nascita,ma ‘a dint’â placenta e ajere me fósse arrecriato si ‘a televisione avesse dato ‘a nutizzia ca s’era sfravecato ‘o tturreno ‘e sotto a ll’hotel Parker ca sgarrupannose êsse arricettato tutte chille (juventine) ca stevano dinto!
Arbitro TAGLIAVENTO 4,5 – , Vulesse proprio vedé ‘o cummissario ‘e campo comme ll’à trattato a cchisto parrucchiere ‘e Terni (ca si fa tinture e ppermanente comme arbitraje ajere ssera... ‘e ssignore lle scippano ‘a faccia). Ajeressera ‘stu ‘ntontero sistematicamente se ne futtette d’ ‘o recolamento e ‘e ffalte ‘e ssiscaje ô ccuntrario pe nun parlà d’ ‘o ricore fatto ripetere quanno appriesso a Hamsik dinto a ll’area nun c’era trasuto sulo Inler, ma cinche juventine;doppo d’ ‘o ricore po se facette scappà ‘a mano ‘a partita e poco mancaje ca nun fernesse a mazzate. Fossero state nicessarie quacche cartellino jalizzo o russo ‘e cchiú spicialmente cu chilli delinquenti futtute d’ ‘e jucature ‘e Conte ca facettero ‘e guappe e ‘e pruvucature!
E mettimmo punto cca. Ce sentimmo. Staveti bbe’!
R. Bracale Brak

martedì 29 novembre 2011

DON CICCILLE ‘NCRUVATTATE SAFRUNATE

DON CICCILLE ‘NCRUVATTATE SAFRUNATE

chello ca serve pe sseje perzone
600 gramme ‘e don ciccille ‘ncruvattate,
300 gramme ‘e ricotta rumana,
150 gramme ‘e pancetta affemmecata a varriglie ‘e centimetre 5 pe 2 pe 1,
2 bustine ‘e safrone,
‘nu bicchiere d’uoglio dunciglio,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata fina fina,
sale duppio ‘na vrancata
sale fino e ppepe niro mmacenato a ffrisco q.n.s.

comme se fa:


Dinto a ‘na prupurziunata tiella a sponne aute ricà ll’uoglio e a ffuoco allero fà piglià culore ô ttrigliato ‘e cepolla; agnadirve ‘e varriglie ‘e pancetta affummecata e farle suassà pe cinche minute. Àrvere teniente teniente ‘e don ciccille ‘ncruvattate dinto a ‘na caurara cu abbunnante acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio) e, ‘na vota sculate, revacarle dint’â tiella ammiscannole a mmestiere pe farle ‘nzapurí a ffuoco miccio; e ssempe a ffuoco miccio agnadí ‘a ricotta dellajata cu ‘nu cuppeniello d’acqua ‘e cuttura d’ ‘a pasta e cu ‘e ddoje bustine ‘e safrone;ammiscà e ‘mpiattà cumpletanno ‘e piatte cu abbunnante pepe niro mmacenato a ffrisco.Serví caude ‘e fuculare. Vine: Sustanziuse vine russe d’ ‘a Campania (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), spilate n’ora primma d’ausarle,passate dinto a ‘na carrafa p’ ‘e ffà piglià aria e servute a ttiempo (temperatura) ‘e stanza pe magnà.
Mangia Napoli, bbona salute!
Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!
Raffaele Bracale

PACCHERE D’ ‘O MASSARO

PACCHERE D’ ‘O MASSARO

chello ca serve pe 6 perzone
600 gramme ‘e pacchere,
250 gramme ‘e cucuzzielle piccerille lavate asciuttatte e tagliate a rundelle ‘e miezu centimetro,
300 gramme ‘e provola tagliata a ffarinule ‘e centimetre 2 pe 2 pe 2,
300 gramme ‘e saciccia spellata e spullecata,
‘nu bicchiere d’uoglio dunciglio,
‘na cepolla ndurata ‘e Muntoro ammunnata e ntretata fina fina,
‘nu spiculo d’aglio vestuto e scamazzato,
miezu bicchiere ‘e latte retunno,
‘nu cucchiarino ‘e semmente ‘e fenucchio,
sale duppio ‘na vrancata
sale fino e ppepe janco mmacenato a ffrisco q.n.s.
‘nu tuppeto ‘e prutusino lavato, asciuttato e ntretato finu fino.

comme se fa


Ammunnà e ntretà ‘a cepolla e lavà, asciuttà e taglià a rundelle ‘e cucuzzielle.
Dint’a ‘na prupurziunata tiella, auta ‘e sponna,ricà ll’uoglio e agnadirve ‘a cepolla ntretata e abburrirla doce doce a ffuoco miccio.Sempe a fuoco miccio agnadirve ‘e semmente ‘e fenucchio, ‘o spiculo d’aglio vestuto e scamazzato, ‘e rundelle ‘e cucuzzielle e lassà cocere. Fraditanto spellà e spullecà ‘a saciccia e agnadirla dint’â tiella. Lassà cocere a ffuoco miccio pe diece minute, po agnadí ‘o llatte, accuncià ‘e sale e ppepe e ffà cocere pe n’ati diece minute. Àrvere ‘e pacchere dinto a ‘na caurara cu abbunnante acqua vullente salata (vrancata ‘e sale duppio) e, ‘na vota sculate, revacarle dint’â tiella ammiscannole a mmestiere pe farle ‘nzapurí a ffuoco miccio; a chistu punto auní ‘e ffarinule ‘e provola; tuiglià pe ‘nu paro ‘e minute, ‘mpiattà e serví caude ‘e fuculare cumpletanno ‘e piatte cu ‘o ttrigliato ‘e prutusino. Vine: Sustanziuse vine russe d’ ‘a Campania (Solopaca, Aglianico, Piedirosso,Campi Flegrei d.o.c., Taurasi), spilate n’ora primma d’ausarle,passate dinto a ‘na carrafa p’ ‘e ffà piglià aria e servute a ttiempo (temperatura) ‘e stanza pe magnà.
Mangia Napoli, bbona salute!
Scialàteve e cunzulàteve ‘o vernecale!
Raffaele Bracale

- ACCENTO, APOCOPE & ALTRO NELLA GRAFIA DELLE PARLATE DIALETTALI.

- ACCENTO, APOCOPE & ALTRO NELLA GRAFIA DELLE PARLATE DIALETTALI.

Durante le mie numerose letture sulla parlata napoletana ed in genere sui dialetti centro meridionali, mi è capitato spesso, di imbattermi in taluni autori che, ritenendo di fare cosa esatta, usano per le parole apocopate dell’ultima sillaba, perciò rese tronche (soprattutto infiniti) usano il segno diacritico dell' apocope (') in luogo dell' accento tonico e non si rendono conto che solamente l'accento tonico può appunto dare un tono alla parola,ed indicarne graficamente l'esatta pronuncia; mi è capitato peraltro di imbattermi in altri maldestri autori e, tra essi addirittura uno spocchioso compilatore di dizionario (peraltro (cfr. alibi) fautore d’una scrittura dell’idioma napoletano privo di raddoppi consonantici o geminazioni iniziali....) che per tema di errore, abbondano in segni diacritici e sbagliano parimenti, ma poi presuntuosamente da asini e supponenti, spocchiosi, tronfi, saccenti,quali mostran d’ essere!..., osano accusare di ignoranza e faciloneria chi non si adegua al loro inesatto modo di scrivere! In effetti nella grafia della parlata napoletana non v’à ragione (checché ne dica ad es. A. Altamura) per accentare l'ultima vocale di certi infiniti ed aggiungervi anche un pleonastico apostrofo ad indicare l'avvenuta apocope dell' ultima sillaba:l'accento, inglobando la doppia funzione, è piú che sufficiente alla bisogna ; il segno dell'apostrofo in fin di parola si deve porre quando si voglia operare un taglio ad un termine mantenendone però il primitivo accento tonico.
Per esempio il verbo èssere può essere apocopato (soprattutto in poesia, per particolari esigenze metriche e/o espressive) in èsse' che non andrà letto essè, ma èsse, come ancora ad es. il verbo tégnere, può, per particolari esigenze espressive o metriche, essere apocopato in tégne’, mantenendo però il suo accento tonico e non diventando alla lettura: tegnè, mentre – sempre a mo’ d’esempio – l’infinito del verbo cadere va reso con la grafia cadé e non cade’ che si dovrebbe leggere càde e non cadé!
Parimenti la medesima cosa accade nel dialetto romanesco dove quasi tutti gli infiniti risultano apocopati e senza spostamento d’accento tonico per cui graficamente sono giustamente resi con il segno (‘) come ad es. càpita con il verbo vedere che in napoletano è reso con vedé ed in romanesco vede’ (che va letto: vede e non vedé.
A margine e completamento di tutto quanto fin qui detto rammento che – checché ne dicano taluni pedestri vocabolaristi i quali (poggiandosi sul fatto che la voce apocope in greco indica appunto il troncamento) confondono l’apocope con il troncamento; quest’ultimo è infatti la caduta di un suono in fine di parola: es. fior per fiore o anche pur per pure, qual per quale, tal per tale etc.; l’apocope ( cfr. nel napoletano si’ che sta per si(gnore) è pur essa la caduta di uno o piú suoni in fine di parola, ma tale caduta è, nella stragrande maggioranza dei casi, caduta di una o piú sillabi finali ad es. nell’italiano: san per santo e (almeno per ciò che riguarda il napoletano (nell’italiano tale esigenza non è contemplata salvo che per talune parole come fra’ che è da fra(te), po’che è da po(co)) l’apocope (caduta di suoni rappresentati da una o piú sillabe finali, non di una sola consonante; infatti come si ricava dalla medesima parola la consonante non è titolare d’un suono proprio che le viene offerto da una vocale d’accompagnamento... ) dev’essere indicata con un segno diacritico (‘) quando la caduta della sillaba non esiga addirittura l’accento come ad es.in tutti gli infiniti dei verbi dove la caduta della sillaba finale (re) lascia una parola terminante per vocale che va accentata tonicamente (cfr. parlà che è da parla(re) – capí che è da capi(re) e cosí via; in questo caso mettere il segno dell’apocope (‘) porterebbe ad avere parla’ – capi’ che non consentirebbero l’esatta pronuncia di parlà o capí, ma andrebbero pronunciati parla e capi; l’accento in luogo dell’apocope mette le cose a posto e pertanto è inutile e pleonastico scrivere (come pure inopinatamente (cfr. A.Altamura) m’è occorso di trovare scritto parlà’ e capí’ abbondando in pletorici segni diacriti quali i due apostrofi accanto a vocali già accentate.
In napoletano i monosillabi apocopati di una o piú consonanti (che come visto non son rappresentative da sole di un suono) non necessitano di alcun segno diacritico (ad. es. mo =ora, adesso (che è da mox e non da mo(do)), cu= con (da cum),pe=per (da per)po= poi (da post) etc.) Mi dilungo al proposito sull’avverbio di tempo mo.
Mo’, mo ed altro.

Nella parlata napoletana, vuoi nei testi scritti, che nel comune parlare si trova o si sente spessissimo il vocabolo a margine usato per significare: ora, adesso e, talvolta esso vocabolo trasmigra addirittura nell’italiano con il medesimo significato.Ciò che voglio trattare è innanzitutto il suono da assegnare alla vocale (o) che nella pronuncia cittadina è attestata e va pronunciata con timbro aperto (mò) mentre nella provincia scivola verso una pronuncia chiusa (mó).
Detto ciò passiamo ad un altro problema; come si scrive la parola in esame?
Il problema non è di facilissima soluzione posto che non v’è identità di vedute circa l’etimologia della parola, unica strada forse da percorrere per poter addivenire – con buona approssimazione – ad una corretta soluzione;
vi sono infatti parecchi scrittori e/o studiosi partenopei e non che fanno discendere il termine dall’ avv. latino modo che accanto a molti altri significati à pure quello di ora, adesso; ebbene, qualora si scegliesse questa strada sarebbe opportuno scrivere mo’ tenendo presente il fatto che allorché una parola viene apocopata di un’intera sillaba, tale fatto deve essere opportunamente indicato dall’apposizione di un segno diacritico (‘).
Se invece si fa derivare la parola mo dall’avverbio latino mox = ora, subito, come io reputo che sia, ecco che la faccenda diviene piú semplice e basterà scrivere mo
È, infatti, quasi generalmente accettato il fatto che quando un termine, per motivi etimologici, perde una sola lettera (consonante)in fin di parola e non per elisione allorché – come noto – a cadere è una vocale, non è previsto che ciò si debba indicare graficamente come avverrebbe invece se a cadere fosse una o piú intere sillabe;
ecco dunque che ciò che accade per il mo derivante da mox ugualmente accade, in napoletano,come ò detto e qui ribadisco per la parola cu (con) derivante dal latino cum e per pe (per) o anche per po (poi) dal lat. post dove cadendo una o piú semplici consonanti (r) e non una sillaba non è necessario usare il segno dell’apocope (‘) ed il farlo è inutile, pleonastico, in una parola errato, non rispondendo ad alcuna esigenza o regola grammaticale/linguistica!
Qualcuno mi à fatto notare che il termine mo non potrebbe derivare da mox in quanto, pare, che una doppia consonante come cs cioè x non possa cadere senza lasciar tracce, laddove ciò è possibile che accada specie per una dentale intervocalica come la d di modo. Premesso che ciò non sempre è vero (cfr. po ←post) anche in linguistica ogni regola può avere un eccezione e nulla vieta che tale eccezione sia rappresentata da una caduta di x che non lasci traccia, faccio notare che anche ammettendo che il napoletano mo discenda da modo e non da mox non si capisce perché esso andrebbe apocopato (mo’) o addirittura accentato (mò) atteso che vige comunque la regola generale che i monosillabi vanno accentati solo quando, in una medesima lingua, esistano omologhi omofoni che potrebbero creare confusione.D’altro canto poi non è vero che la caduta d’una consonante doppia (es.: x) debba comportare l’aggiunta d’un segno diacritico; anche in italiano infatti abbiamo la voce re (=sovrano, monarca) che deriva dritto per dritto dal lat. re(x) ed è scritta senza l’aggiunta d’un segno diacritico.
Penso perciò che forse sarebbe opportuno nel toscano accentare il mò (ora, adesso) per distinguerlo dall’apocope di modo (mo’), ma nel napoletano non esistendo il termine modo e la sua apocope è inutile e pleonastico aggiunger qualsiasi segno diacritico (accento o apostrofo) al termine mo (ora/adesso).Sempre a proposito di cadute finali di consonanti faccio notare che l’avverbio di luogo che in italiano è là, in napoletano è lla senza alcun segno diacritico (accento o apostrofo in quanto derivato dal lat. (i)lla(c). Nell’italiano s’è reso necessario accentare l’avverbio là per evitare confusione con l’articolo la ;nel napoletano è assolutamente inutile accentare il lla avverbio di luogo in quanto nel napoletano non esiste l’articolo la (che è sempre – con l’eccezione di talune imperdonabili stravaganze digiacomiane (la luna nova ‘ncoppa a lu mare…) –attestato come ‘a )e pertanto non v’è pericolo di confusione atteso che, oltre tutto, l’avverbio napoletano, a differenza dell’articolo la che à la liquida scempia, esige la geminazione della liquida d’attacco: lla.
Rammento infine che allorché viene apocopata della sillaba finale una parola che lascia come residuo un monosillabo ecco che détto monosillabo potrebbe benissimo segnarsi con un apostrofo finale, atteso che trattandosi di monosillabo l’accento tonico non può che cadere che su quell’unica sillaba (cfr. in napoletano fa’ infinito di fa(re) – ji’ infinito di ghi(re)/i(re) ) tuttavia poi che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di voci verbali dell’infinito preferisco e suggerisco di accentare anche i monosillabi per mantenere una omogeneità di scrittura con gli infiniti degli altri verbi e dunque per l’infinito di andare meglio scrivere jí piuttosto che ji’ e per quello di fare:meglio scrivere fà piuttosto che fa’ il quale ultimo oltretutto potrebbe esser confuso con la seconda persona dell’imperativo: fa’ per fai
Raffaele Bracale

GLI AVVERBI DI TEMPO NEL NAPOLETANO

GLI AVVERBI DI TEMPO NEL NAPOLETANO

Questa volta il compitino me lo à assegnato l’amico carissimo N.C. (del quali i consueti problemi di riservatezza mi impongono di indicare le sole iniziali delle generalità) che mi à inviato un piccolo elenco di avverbi di tempo dell’italiano esortandomi ad indicarne i corrispettivi nel napoletano illustrandoli e fornendone, ove possibile,l’eventuale etimo.
L’accontento súbito sperando di contentar lui ed interessare anche qualchun altro dei miei consueti ventiquattro lettori.
Comincerò a trattare le voci dell’italiano aggiungendo in coda ad ognuna di esse la corrispondente nel napoletano; preciso che molte di queste voci sono usate in italiano non solo come avverbio, ma pure come agg.vo e talora come sostantivo, ma io qui mi limiterò a parlare dell’uso avverbiale;
presto,avv. di tempo 1 entro breve tempo, tra poco; súbito: ritornerò presto; ti scriverò assai presto; piú presto che puoi; ben presto lo saprai; presto o tardi se ne accorgerà; arrivederci presto, a presto, formule di commiato | al piú presto, quanto prima, nel piú breve tempo possibile: te lo farò avere al piú presto; fra un anno al piú presto, non prima
2 in fretta, rapidamente (anche come comando, esortazione): cercate di far presto; vieni presto al dunque; à fatto presto a cambiar idea; presto, aiutatemi!; presto, presto, venite!; si fa presto a dire, a fare, ci vuol poco, è facile | piú presto, (ant.) piú volentieri, piuttosto | proverbio : presto e bene raro avviene, fare le cose richiede tempo
3 di buon'ora: al mattino presto; alzarsi presto; dormi, è ancora presto | in anticipo, prima del tempo stabilito, di un termine fissato: arrivai presto e i negozi erano ancora chiusi; te ne vai cosí presto?; è ancora troppo presto per decidere.
Etimologicamente è voce dal lat. praesto, avv., 'alla mano, a disposizione; al cospetto'.
In napoletano la voce in esame si rende con ambressa/ampressa = presto, rapidamente; doppia morfologia (una volta con la consonante occlusiva bilabiale sonora (b), una volta con la consonante occlusiva bilabiale sorda (p) usata piú spesso; qualche volta anche reiterata per farne al solito una sorta di superlativo: ampressa ampressa (prestissimo) es.: facimmo ambressa/ampressa (facciamo presto!) arrivaje ampressa ampressa (giunse prestissimo). Talvolta questo avverbio in esame è reso icasticamente con la locuzione ‘na cosa ‘e juorno es.: facimmo ‘na cosa ‘e juorno (facciamo presto!; id est che la cosa si esaurisca nel lasso del giorno, senza protrarne l’azione fino a notte.) Etimologicamente la voce napoletana è dal lat. in + presse= a stretto giro con doppia preposizione nel tempo: in + presse→’mpresse, ad + ‘mpresse→am-mpressa →ampressa per assimilazione regressiva.
talora, avv. di tempo qualche volta, alle volte, non sempre, talvolta (davanti a consonante, si tronca spesso, spec. nel verso, in talór): è un’erba usata talora come farmaco;come talora è accaduto. Etimologicamente questa voce è l’agglutinazione di tale→tal (lat. tale(m))+ ora (s.vo f.le dal lat. hŏra, dal gr. ὥρα).
Nel napoletano tale avverbio non è usato e gli si preferisce le locuzioni quacche vvota (qualche volta),ê vvote (alle volte).
finora/fin ora/sinora avv. di tempo 1. Fino a questo momento, fino ad ora: le notizie giunte finora; i progressi compiuti fin ora dalla scienza. Si preferisce scrivere staccato, ed à la variante fino a(d) ora, quando indica esattamente l’ora o il momento presente: ò aspettato fin ora; dove sei stato fino ad ora?
2. ant. e raro: Sin da ora Finor t’assolvo (Dante); Di questo mal, che teco Mi fia comune, assai finor mi rido (Leopardi). Etimologicamente questa voce è l’agglutinazione di fino→fin (preposizione dal lat. fine, abl. di finis 'limite', col significato preposizionale di 'fino a')+ ora ( s.vo f.le dal lat. hŏra, dal gr. ὥρα).
Nel napoletano tale avverbio è reso sempre con morfologia staccata nfi’ a mmo = sino ad adesso; nfi’ è l’apocope del lat. fine→fi’ con protesi di una n eufonica che pertanto non necessita di segni diacritici (cfr. nc’è= c’è); per il mo vedi ultra.
allora avv. di tempo in quel momento, in quel tempo (riferito al passato o al futuro): allora non me ne resi conto; devi vederlo, solo allora capirai | con valore enfatico: allora sí che si viveva felici! | allora allora, proprio in quel momento, da pochissimo tempo: era arrivato allora allora | allora come allora, in quella contingenza, sul momento: allora come allora non seppi dargli una risposta | d'allora, di allora, di quel tempo: dove sono andati gli amici d'allora? | da allora, da allora in poi, da quel momento | fino ad allora, fino allora, sin allora, fino a quel momento, fino a quel tempo | fin da allora, fin da quel momento, fin da quel tempo | per allora, per quel giorno; per quei tempi. Etimologicamente questa voce è dal lat. ad illa(m) (h)ora(m)→ a(d) (i)lla(m) (h)ora(m)→allora 'a quell'ora';
nel napoletano tale avverbio è reso con la voce tanno =allora, in quel tempo,a quel punto; tale voce è usata anche per indicare una celerità d’azione o d’avvenimento nella locuzione tanno pe ttanno che rappresenta un sinonimo di súbbeto = súbito e cfr. ultra.Tuttavia anche nel napoletano si usa allora quando s’usa come di congiunzione; ess: si ‘e ccose stanno accussí, allora è inutile ‘nzistere(se le cose stanno così, allora è inutile insistere) allora?; alloraaddó jammo?; e allora dillo!
(allora?; allora dove andiamo?; e allora dillo!).Etimologicamente la voce napoletana tanno è dal lat. tande(m)→tande→tanne→tanno = finalmente con normale esito nd→ nn per assimilazione progressiva.
prima avv. di tempo
1 antecedentemente a quel/questo momento, nel tempo anteriore, in precedenza: questo palazzo prima non c'era; avresti dovuto pensarci prima; prima finisci il tuo lavoro, poi andiamo al cinema; due giorni prima; l'anno, un'ora prima; un po', immediatamente prima; ne so quanto prima; ci capisco meno di prima; sono stanco come prima; non è piú quello di prima | le usanze di prima, di un tempo, di una volta ' prima o poi, una volta o l'altra ' quanto prima, il piú presto possibile: ci vedremo quanto prima; quanto prima potrò | far prima, far piú presto degli altri ' arrivare prima, per primo | da prima, dapprima
2 in un luogo, in uno spazio precedente; avanti, davanti: prima c'è un giardino, poi la casa; un paragrafo prima
3 in primo luogo: non vengo, prima perché sono stanco e poi perché non ò tempo; prima lo studio, poi il divertimento
4 (ant.) per la prima volta: ricorro al tempo ch'io vi vidi prima / tal che null'altra fia mai che mi piaccia (PETRARCA Canz. XX, 3-4). Etimologicamente questa voce è dal tardo lat. prima dall’agg.vo (lat. class.) prīmus «primo».Nel napoletano tale avverbio è reso con primma che à il medesimo etimo del prima dell’italiano, ma con il raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m) cosí come in comme per come, nomme per nome, tremmo per tremo, fremmo per fermo etc.Accanto alla forma primma il napoletano ne contempla anche una allungata e raffafforzata: apprimma←ad+prima = molto prima, per prima cosa.
poi, ant. o poet. po', avv. di tempo
1 in seguito, dopo, appresso: poi verrò a casa vostra; poi sarà troppo tardi; poi poi, adesso ò da fare! | unito pleonasticamente a un altro avv. di tempo: poi dopo si vedrà | usato per indicare successione: prima entrò il padre poi la madre; per ora facciamo cosí, poi studieremo meglio la cosa | prima o poi, un giorno o l'altro | a poi, a piú tardi: arrivederci a poi | in poi, in avanti: d'ora in poi; da domani in poi | per poi, per dopo: lo lascio per poi
2 inoltre, in secondo luogo: non sarebbe onesto, e poi non ne vedo la necessità
3 usato in posposizione, serve a riprendere il discorso o a introdurre un altro argomento: quando poi videro che non c'era nulla da fare... ; quanto poi all'argomento di cui si trattava... ' con valore conclusivo: che à detto poi di male?; partirai domani, poi? | con valore avversativo (anche unito a ma): lui poi che colpa ne à?; questo è il mio consiglio, tu poi fa’ come credi; ma poi non so se sia vero | in espressioni enfatiche: questa poi!; questo poi no!; e poi ài il coraggio di fare la predica a me!; no e poi no! Etimologicamente è voce dal lat. postea→po(st)ea→poi, e non da post come spesso ritenuto: infatti morfologicamente se poi derivasse da post non ci si spiegherebbe donde sortirebbe fuori la i finale di poi.
Nel napoletano la voce a margine è resa con l’avverbio po = poi voce, questa sí dal lat. post→po(st)→po, avverbio che in napoletano non esige nessun segno diacritico finale (come invece succede quando a cadere è una sillaba vocalica e non un gruppo consonantico (cfr. qua(le)→qua’ ed invece mo (ora)←mo(x), re(monarca)←re(x)). Accanto alla forma po il napoletano ne contempla anche una allungata e raffafforzata: aroppa←ad+de post→ad+depo→adepo→arepo→aroppa = molto in seguito, con rotacizzazione osco-mediterranea dell’ occlusiva dentale sonora (d) e raddoppiamento espressivo della consonante occlusiva bilabiale sorda(p).
domani, pop. o lett. dimani, avv. di tempo
1 nel giorno immediatamente seguente all'oggi: domani mattina, pomeriggio; partiremo domani | dopo domani, domani l'altro, il giorno dopo di domani, fra due giorni | domani (a otto), fra otto giorni a partire da domani | a domani, formula di commiato con cui ci si ripromette di incontrarsi di nuovo il giorno seguente
2 con senso piú generico indica un tempo futuro, spec. in contrapposizione con oggi: oggi qui, domani là | oggi o domani, una volta o l'altra, un giorno o l'altro, fra non molto | dàgli oggi e dàgli domani, a lungo andare | da oggi a domani, súbito, su due piedi | rimandare qualcosa dall'oggi al domani, continuare a differirla
3 (iron. , scherz.) mai, in nessun tempo: «Mi regali questo anello?» «Sí, domani!» Etimologicamente è voce derivata dal lat. tardo dí mane, propr. 'di mattina'. Dal medesimo lat. tardo dí mane→dimane deriva la voce napoletana dimane che rende il domani dell’italiano; rammento che soprattutto nel parlato dimane è attestato nella morfologia rimane con la frequente rotacizzazione osco-mediterranea dell’ occlusiva dentale sonora (d); preciso altresí che nel napoletano accanto a dimane /rimane il domani dell’italiano è reso (o meglio si rendeva) con l’avverbio craje dal lat. cras.
dopodomani avv. di tempo fra due giorni, la giornata immediatamente successiva al domani, cioè due giornate dopo l’oggi: ritornerò dopodomani; ci rivediamo dopodomani Etimologicamente è voce derivata dall’agglutinazione di dopo (dal lat. de+po(st))+ domani. Nel napoletano l’avverbio a margine è reso (o meglio si rendeva) con l’avverbio piscraje dal lat. bis +cras.
A questo punto ricordo che nel napoletano d’antan oltre i termini già esaminati (craje e piscraje) esistevano avverbi ad hoc per indicare una particolare successione di giorni, avverbi che non trovavano e non trovano corrispondenti nell’italiano (al solito meno preciso e circostanziato del napoletano); gli avverbi che voglio ricordare erano
pescrille/ pescrigno = tra tre giorni; pescrillo è dal latino post tres ille=dopo tre di quei(giorni);pescrigno = tra tre giorni o meglio: dopo quel domani piú lontano è da un acc.vo lat. volg. post crineu(m)←cras+ineu(m) questo ineu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo piú lontano;
pescruozzo=tra quattro giorni da un acc. lat. volg. post croceu(m)←cras+oceu(m) questo oceu(m) fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo molto lontano;
oggi avv. di tempo
1 nel giorno in corso: arriverà oggi; oggi non sto bene; oggi ne abbiamo 3; oggi è il 3 del mese | in espressioni rafforzate: oggi stesso; quest'oggi | oggi a otto, a quindici, a un mese ecc. , esattamente fra una settimana, quindici giorni, un mese ecc. | oggi è un mese, un anno ecc. , esattamente un mese, un anno fa | da oggi, d'oggi in poi, a partire da questo momento | oggi come oggi, al presente, per il momento
2 contrapposto a ieri o domani, con valore piú generico: oggi vuole una cosa domani un'altra, un giorno vuole una cosa un altro un'altra; ieri non voleva, oggi sí, in un primo tempo non voleva, adesso vuole; ieri era ricco, oggi è povero, in passato era ricco, attualmente è povero | proverbio : oggi a me domani a te, ciò che è capitato a uno può capitare anche a un altro
3 nel tempo presente, nell'epoca attuale: oggi i giovani sono piú indipendenti; un taglio d'abito che oggi non usa piú
4 (region.) nel pomeriggio: stamani non ò tempo, ne parleremo oggi. Etimologicamente è voce derivata dal
lat. hodie, da hoc die 'in questo giorno'. Dal medesimo lat. hodie il napoletano d’antan trasse oje usato per rendere l’oggi dell’italiano. Rammento qui ciò che dissi alibi e cioè che oggi, purtroppo, nell’imbastardito napoletano corrente si usano termini italianizzati come ogge invece di oje, dimane invece di cras, doppodimane in luogo di piscraje,e cosí via e non facendo piú progetti a lunga scadenza, non si parla proprio del terzo giorno dopo, né ovviamente del quarto giorno dopo! Mi corre l’obbligo di rammentare altresí che taluni sprovveduti scrittori partenopei che non ànno frequentazione con i classici, né con antichi lessici ed ignorano l’esistenza del s.vo oje (oggi) lo usano impropriamente al posto del vocativo oj (ehi!)generando la stortura ad es. di un errato Oje Marí, in luogo del corretto Oj Marí! Proseguiamo
ieri avv. di tempo
il giorno che precede immediatamente l'oggi: ieri mattina (o iermattina); ieri sera (o iersera); ieri notte (o iernotte); non lo vedo da ieri ' ieri l'altro (o ier l'altro), l'altro ieri (o rar. l'altrieri), il giorno prima di ieri, due giorni fa | ieri a otto, una settimana fa a partire da ieri ' da ieri a oggi, nel giro di ventiquattr'ore; (fig.) in pochissimo tempo ' nato ieri, (fig.) si dice di persona ingenua e priva di esperienza; voce dal lat. heri.
Nel napoletano l’avverbio a margine è reso con la voce ajere che è dal lat. ad+heri→a(dh)eri→ajere con caduta della dentale sonora (d) e aggiunta di unsuono di transizione (j) come in ajutare ←a(d)iutare.
avantieri o avant'ieri, avv. di tempo
il giorno prima di ieri; ieri l'altro. Etimologicamente è voce che piú che agglutinazione di avanti ed ieri, è stata marcata spudoratamente comp. di avanti e ieri, sul modello del fr. avant’hier. Nel napoletano l’avverbio a margine è reso con la voce agglutinata autrjere = l’altro ieri, ieri l’altro; ò parlato di voce agglutinata e ne preciso i termini che ànno concorso a formarla: autro (altro) e ajere (ieri); questo il percorso morfologico autro + ajere→autr(o)(a)jere→ autrjere; di ajere ò détto antea, autro (altro) è dal lat.alteru(m)→alt(e)rum→autro con consueto passaggio di al ad au con dissimilazione totale della consonante laterale alveolare (l).
adesso
avv. di tempo
1 in questo momento, al presente, ora: adesso vengo; l'ò visto adesso; e adesso che facciamo? | per adesso, per il momento | da adesso in poi, d'ora in poi, per il futuro | fino adesso, finora | adesso adesso, proprio in questo momento
2 poco fa, or ora: ò mangiato proprio adesso; sono stato adesso da loro
3 fra poco: parto adesso
4 adesso che, ora che (introduce prop. temporali-causali, con verbo all'indic.): adesso che lo sai, règolati!.
Etimologicamente è voce dalla prima parte della locuzione latina ad ipsu(m) (tempus) 'al (momento) stesso'; questo il percorso morfologico: ad ipsu(m) (tempus) → ad epsu(m)→adessu→adesso con assimilazione regressiva ps→ss.

ora avv. di tempo
[la forma tronca or è propria dell'uso letterario; nell'uso parlato ricorre solo in talune loc.]
1 in questo momento, adesso; attualmente, al presente: ora non posso uscire; ora le cose vanno meglio; cose che ora non si usano piú, al giorno d'oggi, nel tempo presente ' alcuni mesi, giorni, anni or sono, alcuni mesi, giorni, anni fa (con soggetto al sing. è di uso lett.: or è un anno) ' per ora, ora come ora, per il momento, in queste circostanze (con allusione alla possibilità che in futuro si presentino condizioni diverse): grazie, per ora; per ora non mi serve; ora come ora non saprei rispondere | d'ora in poi, d'ora in avanti, da questo momento in poi, per tutto il tempo futuro ' fin (o sin) d'ora, a partire da súbito e cosí nel futuro | prima d'ora, nel passato, prima di questo momento ' fin ora, finora
2 nell'immediato passato; poco fa: se ne è andato ora (o or ora)
3 nell'immediato futuro; tra poco, súbito: arriverà ora; ora lo chiamo
etimologicamente è voce dal lat. hora, abl. di hora.
Per ciò che riguarda il napoletano sia l’avverbio ora che l’avverbio adesso che di ora è sinonimo vengon resi con l’avverbio mo interessantissima voce sulla quale occorre ch’io mi dilunghi.
Nel napoletano vuoi nei testi scritti, che nel comune parlare si trova o si sente spessissimo il vocabolo in esame usato per significare: ora, adesso e, talvolta esso vocabolo trasmigra addirittura nell’italiano con il medesimo significato.Ciò che voglio trattare è innanzitutto il suono da assegnare alla vocale (o) che nel parlato cittadino è pronunciata e va pronunciata con timbro aperto (mò) mentre nella provincia scivola verso una pronuncia chiusa (mó), dando modo a chi ascolta di poter tranquillamente definire cittadino o provinciale colui che pronunci l’avverbio mo che se è pronunciato con la o aperta connota il cittadino e se è pronunciato con la o chiusa connota il provinciale.
mo (è possibile trovarlo, ma erroneamente anche come mo' o ancóra mò) avv. - Ora, adesso; poco fa Concorrente di ora e adesso, mo à una lunga tradizione storica, ma non si è quasi mai affermato nell'uso scritto dell’italiano ; resta quindi limitato all'uso parlato di gran parte d'Italia, in partic. di quella centro-merid.
nel napoletano anche nella forma iterata mmo mmo con tipico raddoppiamento espressivo della consonante d’avvio nel significato di súbito,immantinente, immediatamente, senza por tempo in mezzo
Detto ciò passiamo ad un altro problema; come si scrive la parola inesame?
Il problema non è di facilissima soluzione posto che non v’è identità di vedute circa l’etimologia della parola, unica strada forse da percorrere per poter addivenire – con buona approssimazione – ad una corretta soluzione;
vi sono infatti parecchi scrittori e/o studiosi partenopei e non che fanno discendere il termine dall’ avv. latino modo che accanto a molti altri significati à pure quello di ora, adesso; ebbene, qualora si scegliesse questa strada sarebbe opportuno scrivere mo’ tenendo presente il fatto che allorché una parola viene apocopata di un’intera sillaba, tale fatto deve essere opportunamente indicato dall’apposizione di un segno diacritico (‘).
Se invece si fa derivare la parola mo dall’avverbio latino mox = ora, súbito, come io reputo che sia, ecco che la faccenda diviene piú semplice e basterà scrivere mo senza alcun segno diacritico.
È, infatti, quasi generalmente accettato il fatto che quando un termine, per motivi etimologici, perde una sola o piú consonanti in fin di parola e non per elisione (allorché – come noto – a cadere è una vocale), non è previsto che ciò si debba indicare graficamente come avverrebbe invece se a cadere fosse una intera sillaba;
ecco dunque che ciò che accade per il mo derivante da mox ugualmente accade, in napoletano, per la parola cu (con) derivante dal latino cum per pe (per), per po (poi)che è dal lat. po(st) dove cadendo una sola o una doppia consonante ( m – r - st ) e non una sillaba non è necessario usare il segno dell’apocope (‘) ed il farlo è inutile, pleonastico, in una parola errato! La stessa cosa accade per l’avverbio napoletano di luogo lla (in quel luogo, ivi) avverbio che in italiano è là; sia l’avv. napoletano che quello italiano sono ambedue derivati dal lat. (i)lla(c): in napoletano mancando un omofono ed omografo lla non è necessario accentare distintivamente l’avverbio, come è invece necesario nell’italiano là dove è presente l’omofono ed omografo la art. determ. f.mle. C’è invece un napoletano po’ che necessita dell’apostrofo finale: è il po’= può (3° pr. sg. ind. pres. di potere) che derivando dal lat. po(te)(st) comporta la caduta d’una vera sillaba, caduta da indicarsi con l’apostrofo che serve altresí a distinguere gli omofoni po = poi e po’ = può. Rammento infine che nel napoletano non esiste un po’ apocope di poco ( apocope che invece esiste nell’italiano) poi che nel napoletano poco è sempre usato in forma intera poco (cfr. ‘nu poco ‘e…(un po’ di…) - a ppoco â vota (un po’ alla volta);
nel napoletano scritto c’è una sola parola nella quale cadendo una consonante finale è necessario fornire la parola residua di un segno d’apocope (‘): sto parlando della negazione nun= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi nu’ per evitarne la confusione con l’omofono ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘) d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni addetti e non addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso l’uso di rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che è reso na senza alcun segno diacritico, quasi che il segnare in avvio di parola un piccolo segno (‘) comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta e non fosse invece, quale a mio avviso è, segno di sciatteria, pressappochismo dello scrittore (si chiamassero pure Di Giacomo,F.Russo,
E. Nicolardi etc.e giú giú fino ad E.De Filippo.)
Qualcuno mi à fatto notare che il termine mo non potrebbe derivare da mox in quanto, pare, che una doppia consonante come cs cioè x non possa cadere senza lasciar tracce, laddove ciò è invece possibile che accada specie per una dentale intervocalica come la d di modo.
Ora,a parte il fatto che anche le piú ferree regole linguistiche posson comportare qualche eccezione (come avviene ad es. per la voce della lingua nazionale re che pur derivata dritto per dritto dal latino re(x),si scrive senza alcun segno diacritico traccia della caduta x , anche ammettendo che il napoletano mo discenda da modo e non da mox non si capisce perché esso mo andrebbe apocopato (mo’) o addirittura accentato (mò) atteso che vige comunque la regola che i monosillabi vanno accentati solo quando,nell’àmbito di un medesimo idioma, esistano omologhi omofoni che potrebbero creare confusione.
Penso perciò che forse sarebbe opportuno nel toscano/italiano accentare il mò (ora, adesso) per distinguerlo dall’apocope di modo (mo’ dell’espressione a mo’ d’esempio), ma nel napoletano non esistendo il termine modo né la sua apocope è inutile e pleonastico aggiunger qualsiasi segno diacritico (accento o apostrofo) al termine mo (ora/adesso). Prosegiamo con altri avverbi di tempo.
già avv. di tempo
1a. Riferito a un verbo o ad una locuz. in funzione di predicato, indica che nel momento in cui si parla, o di cui si parla, un fatto è ormai compiuto o sta compiendosi o è accaduto da poco: è già tutto fatto: quando arrivai alla stazione, il treno era già partito; Già era accaduto tutto, quando giunsi sul posto; io a quell’ora sarò già lontano. Altre volte sottolinea una situazione in atto o rafforza l’idea del tempo trascorso: andiamo, è già tardi; sono già stufo di stare qui; sono già due ore che aspetto; erano passati già tanti anni. Spesso, in frasi esclamative o interrogative, esprime la meraviglia, la contentezza o il rammarico che un fatto avvenga, sia avvenuto o stia per avvenire prima di quanto ci si aspettasse: è già l’ora?; sei già qui?; vuoi già lasciarci?; pensare che siamo già a Natale!; non mi pareva vero di avere già un impiego; peccato che lo spettacolo sia già terminato. E con piú forza, di già: sei di già tornato?; spec. in risposte: «È l’ora d’andar via» «Di già?»; anche in grafia unita: un uomo ancora giovane, ma digià tutto calvo.

b. Prima d’ora (volendo dire che non è la prima volta che si fa, si vede o si dice qualche cosa): t’ò già avvertito piú volte; eppure quella faccia l’ò già vista in qualche luogo.

c. Per l’addietro, in tempi passati: in Firenze fu già un giovane chiamato Federigo (Boccaccio). Davanti a un sostantivo, e sottintendendo i verbi essere o chiamarsi, indica che la persona o la cosa nominata non esercita piú quell’ufficio, non à piú quella funzione o quel nome: il ministro della Difesa, già sottosegretario agli Interni; il castello, già residenza della famiglia reale; l’albergo delle Chiavi d’oro, già «Locanda della Posta».

d. Sin da ora: prevedo già come andrà a finire; già me lo sento, già me l’immagino; comincio già ad averne abbastanza.
2. Isolato, esprime assenso o conferma: «Ci sarai anche tu?» «Già»; anche ripetuto: già, già, è proprio vero. Con la stessa funzione s’intercala spesso a quanto altri sta dicendo, anche per semplice cerimonia o per invitare a continuare il discorso. Talora l’assenso è solo formale e, secondo il tono con cui la parola si pronuncia, può esprimere concessione forzata («Come vedi, ti ò vinto» «Già»), dubbio (già, potrebbe anche darsi), ironia («Mi porti a cinema?» «Già, ci andiamo di corsa»), equivalendo in quest’ultimo caso anche a negazione («Devi fare ciò che voglio io» «Già!»).

3. Con valore puramente rafforzativo: Io non ci devo pensare piú a quel poverino. Già si vede che non era destinato (Manzoni); eh, già, dovevo immaginarmelo!; spec. se preceduto da non: ò detto cosí per dire, non già per offenderti; e in correlazione con ma: ti consiglio non già come tuo direttore, ma come amico.
Voce derivata dal lat. iam. Con medesimo etimo la voce è presente ugualmente nel napoletano, tuttavia preciso che spesso nel napoletano già è attestato con la geminazione dell'affricata palatale sonora (g) e si à ggià in ogni caso con i medesimi significati ed usi dell’italiano già.
dopo
avv. di tempo
1 poi, in seguito, piú tardi: prima o dopo è lo stesso; te lo dirò dopo; me ne accorsi súbito dopo; se ne andò poco (tempo) dopo; talvolta con valore pleonastico: poi dopo si vedrà | a dopo, a piú tardi, ci rivedremo poi
2 oltre, appresso, piú avanti (riferito a luogo): la casa che viene dopo; prendi la strada súbito dopo
3 (ant.) dietro: Taciti, soli, senza compagnia / n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo (DANTE Inf. XXIII, 1-2)
Etimologicamente è voce dal lat. de post→depo(st)→dopo.
nel napoletano l’avverbio è attestato nella morfologia di doppo con medesimo etimo dal lat. de post→depo(st)→dopo→doppo con raddoppiamento espressivo della consonante occlusiva bilabiale sorda (p); accanto a doppo nel napoletano soprattutto parlato della città bassa è presente altresí la voce rafforzata aroppo con etimo dal lat. ad +de post→adepo(st)→adopo→aropo→aroppo con rotacizzazione osco-mediterranea dell’occlusiva dentale sonora (d) e raddoppiamento espressivo della consonante occlusiva bilabiale sorda (p);
tardi
avv. di tempo

1 oltre il tempo debito, stabilito o conveniente: arrivare tardi; se non mi sbrigo faccio tardi; me ne accorsi troppo tardi; è tardi per iscriversi; potevi pensarci prima, ora è troppo tardi | proverbio : chi tardi arriva male alloggia
2 ad ora avanzata: mi alzo tardi; stasera andrò a letto piú tardi | al superl.: ieri sera sono rientrato tardissimo | sul tardi, nelle ore avanzate del pomeriggio o della mattina: vediamoci sul tardi | a piú tardi!, come formula di saluto, in vista di un nuovo incontro molto prossimo | al piú tardi, al massimo, non dopo un certo limite di tempo: al piú tardi, sarò di ritorno per le otto | presto o tardi, prima o poi: presto o tardi se ne pentirà.
Etimologicamente è voce dal lat. tarde, avv. di tardus 'lento'.
La voce è presente anche nel napoletano nei medesimi significati e con il medesimo etimo, ma nella morfologia di tarde in modo piú aderente al lat.tarde.


súbito avv. di tempo
1 immediatamente, senza indugio: lo avverto súbito; se ne andò súbito; vieni qui súbito, fallo súbito, (con maggior forza: vieni qui, e súbito!, fallo, e súbito!) | usato assol. come risposta a una chiamata o a un ordine: "Vieni qui un momento" "Súbito" ' raddoppiato con valore enfatico: fallo súbito súbito | súbito prima, immediatamente prima: è arrivato súbito prima che tu uscissi | súbito dopo, immediatamente dopo: à telefonato súbito dopo che eri uscito | súbito che, súbito come, súbito sí come, (ant. o pop.) appena che, tosto che: mandatelo da me súbito come torna; Súbito sí com'io di loro m'accorsi, /... /... li occhi torsi (DANTE Par. III, 19-21)
2 in brevissimo tempo: asciugare, cuocere súbito
3 (lett.) all'improvviso (spesso preceduto da di): Di súbito drizzato gridò: / "Come? dicesti "elli ebbe"...?" (DANTE Inf. X, 67-68
Etimologicamente è voce dal lat. sŭbĭtō, avv. dall'agg. subitus 'subíto'. Nel napoletano nei medesimi significati e con medesimo etimo la voce è attestata come súbbeto con tipico raddoppiamento espressivo dell’occlusiva bilabiale sonora (b);

immantinente avv.di tempo e di modo (lett.)
súbito, senza indugio, nel momento stesso: obbedire immantinente.
Etimologicamente questa voce che come ò accennato è quasi esclusivamente d’uso letterario è marcata sul francese ant. maintenant 'súbito', deriv. di maintenir.
Nel napoletano nei medesimi significati la voce in esame è resa con mmo mmo iterativo di mo (cfr. antea) oppure con la locuzione sott’ô colpo ( sotto il colpo id est: di colpo, prontamente, tempestivamente).


mai avv. di tempo
1 nessuna volta, in nessun tempo, in nessun caso; normalmente rafforza una negazione, posponendosi al verbo: non l'ò mai letto; non à mai telefonato né à mai scritto; nessuno l'à mai visto; non verrà mai | rafforzato da piú: non accadrà mai piú, nessun'altra volta in futuro | senza un'altra negazione, in frasi ellittiche: tu l'ài fatto qualche volta, io mai; tutto, ma questo mai; mai un po' di pace | proverbio : meglio tardi che mai
2 usato assolutamente nelle risposte, à valore di negazione molto forte: «Ti scrive qualche volta?» «Mai»; «Lo faresti?» «Mai» | rafforzato: mai piú!, mai e poi mai! | premesso al verbo, e perciò non accompagnato da altra negazione, à valore enfatico: mai gli ò parlato; mai mi è stato possibile; anche in proposizioni esclamative dell'uso fam.: mai dicesse la verità!; mai che arrivi puntuale!
3 in espressioni comparative, in nessun altro tempo, nessun'altra volta: oggi, piúú che mai, mi accorgo di aver sbagliato; nonostante le cure, deperiva piú che mai; è stato piú gentile che mai; meno che mai si è pentito di ciò che à fatto; ci fu caro quanto altro (o quanto altri, quant'altri) mai; si è dimostrato quanto mai ostinato | nell'uso fam. assume spesso valore intensivo: quante mai volte te l'ò detto!; le vuole un bene che mai; ò una fame che mai
4 in proposizioni interrogative dirette e indirette, condizionali e dubitative, una volta, qualche volta, in qualsiasi tempo: l'ài mai incontrato?; non so se sia mai stato a Roma; chi mai l'à visto?; quando mai ò detto questo?; come mai non era in casa?; che cosa mai ti sei messo in mente?; se avessi mai pensato una cosa simile, non sarei partito; se mai lo vedi, diglielo; se mai un giorno, se mai una volta... ' caso mai, nel caso, eventualmente
5 (ant. , lett.) rafforzativo di sempre: per far sempre mai verdi i miei desiri (PETRARCA Canz. CLVIII, 4) | rafforzativo di sí o no: mai sí che lo conosco (BOCCACCIO Dec. III, 3)
Etimologicamente è voce dal lat. magis→ma(g)i(s)→mai.
La voce è presente anche nel napoletano nei medesimi significati e con medesimo etimo ancorché con morfologia diversa che nel napoletano è maje con paragoge della semimuta finale (e) e sostituzione della(i) con il suono di transizione (j) atteso che il napoletano non tollera la presenza di tre vocali consecutive (che nel caso in esame sarebbero state a i e; cfr. ad es. l’italiano aiuto/aiutare resi in napoletano con ajuto/ajutà etc.).
sempre avv. di tempo
1 senza interruzione, senza fine (indica una continuità ininterrotta nel tempo): è sempre stato cosí e sarà sempre cosí; l'amerò ora e sempre; non pensarci sempre; ne avrò sempre un buon ricordo | per sempre, senza limiti di tempo, per l'eternità | da sempre, fin dalle lontane origini, dall'inizio: è cosí da sempre | di sempre, di ogni tempo, di ogni occasione: non è cambiato, è quello di sempre | sempre tuo, vostro ecc. , come formula di chiusa nelle lettere
2 seguito da comparativo, lo rafforza, dando all'espressione un valore di continuità: spero che le cose andranno sempre meglio; ci capisco sempre meno; devi applicarti con sempre maggiore impegno | talvolta anche con il piú sottinteso, quando il verbo esprima già diminuzione o aumento: La bestia ad ogne passo va piú ratto, / crescendo sempre, fin ch'ella il percuote (DANTE Purg. XXIV, 85-86)
3 può indicare semplicemente il perdurare o il ripetersi di un fatto o di una situazione: le sue condizioni sono sempre gravi | in frasi enfatiche: sei sempre il solito sfacciato!; sempre complicazioni!
4 con valore simile ad ancóra: sei sempre in collera con me?; abita sempre in via Roma
5 con funzione restrittiva: questo si può fare, sempre però con l'aiuto di qualcuno; può cominciare a uscire un po', ma sempre nelle ore piú calde
6 con valore di tuttavia, nondimeno (in unione con una cong. avversativa): è vecchio, sempre però in ottime condizioni; è un po' bizzarro, ma è pur sempre una persona di valore || Nella loc. cong. sempre che (rar. sempreché), purché, ammesso che (con valore condizionale e con il verbo al congiuntivo): è possibile, sempre che tu lo voglia; la situazione è rimediabile, sempre che tu non insista nello stesso comportamento | (ant. , lett.) anche col valore di ogni qual volta che (con il verbo all'indic.): sempre che presso gli veniva, quanto potea con mano,... la lontanava (BOCCACCIO Dec. II, 4)
Etimologicamente è una voce lettura metatetica del lat. semper→sempre.
La voce è presente anche nel napoletano nei medesimi significati e con medesimo etimo ancorché con morfologia diversa che nel napoletano è sempe con semplificazione del lemma attraverso la caduta della fastidiosa consonante liquida vibrante (r).

spesso avv. di tempo
di frequente, molte volte: incontrarsi spesso; fare qualcosa molto spesso, piú spesso, meno spesso di prima; Ripetutamente, molte volte: Quanto in femmina foco d’amor dura, Se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende (Dante); E spesso tremo e spesso impallidisco (Petrarca); lo incontro spesso; ci vediamo molto spesso; sono cose che accadono s., molto s., troppo s.; è un controllo che va ripetuto s.; al cinema, a causa della mia vista, ci vado ormai sempre meno spesso. Rafforzato con l’iterazione: si trova spesso spesso nei guai; o con l’aggiunta di volentieri, per lo piú ironicamente: fissa gli appuntamenti, ma spesso e volentieri dimentica di andarci. talvolta raddoppiato: spesso spesso se ne dimentica | spesso e volentieri, assai frequentemente.
Etimologicamente si tratta d’ un uso avverbiale dell’agg. spesso(lat. spissus), uso sviluppatosi già alle origini dell’italiano.
La voce è presente anche nel napoletano nei medesimi significati e con medesimo etimo ancorché con morfologia diversa che nel napoletano è spisso con maggior fedeltà al modello latino.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale

LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE E GLI AVVERBI DI LUOGO DEL NAPOLETANO

LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE E GLI AVVERBI DI LUOGO DEL NAPOLETANO

La richiesta delle pagine che seguono mi è stata fatta da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, amico di cui, per questioni di riservatezza, mi limiterò ad indicare le sole iniziali di nome e cognome: N.C. Lo accontento volentieri e mi soffermo quindi parlare di quanto in epigrafe.
Le preposizioni improprie e gli avverbi di luogo in uso nell’idioma partenopeo sono numerosi; molti di essi sono espressi da un’unica parola, molti altri necessitano di una preposizione d’accompagnamento in posizione protetica e spesso agglutinata con la parola cui si accompagnano.
Vediamoli, cominciando dai piú semplici:

cca( e non ca)avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (e)cc(um) (h)a(c); da notare che nell’idioma napoletano (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; nel napoletano esistono , per vero, una congiunzione ed un pronome ca = (che), pronome e congiunzione dal medesimo etimo (lat. quia→q(ui)a→qa→ca) che però si rendono con la c iniziale scempia, laddove l’avverbio a margine è scritto sempre con la c iniziale geminata ( cca) e basta ciò ad evitar confusione tra i due monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’(con un inutile segno d’apocope…, inutile giacché non è caduta alcuna sillaba!) e talora addirittura ccà’ addizionando errore ad errore, aggiungendo (nel caso di ccà’) cioè al già inutile accento un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che, ripeto, non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico! In coda a quanto fin qui détto, mi occorre però aggiungere un’ultima osservazione: è vero che gli antichi vocabolaristi (P.P. Volpi, R. Andreoli) registrarono l’avverbio a margine come cà per distinguerlo dagliomofoni ca (che) pronome e congiunzione. Si trattava d’una grafia erronea, giustificata forse dal fatto che temporibus illis lo studio della linguistica era ancóra gli albori e quei vocabolaristi, meritevoli d’encomio peraltro per il corposo tentativo operato nel registrare puntigliosamente i lemmi della parlata napoletana, non erano né informati, né precisi. Ancóra tra gli antichi vocabolaristi devo segnalare il caso del peraltro preziosissimo Raffaele D’Ambra che, diligentemente riprendendo l’autentica parlata popolare registrò sí l’avverbio a margine con la c iniziale geminata (cca) ma lo forní d’un inutile accento (ccà) forse lasciandosi fuorviare dal cà registrato dai suoi omologhi. Dal tempo però dei varî P.P. Volpi, R. Andreoli e Raffaele D’Ambra la linguistica e lo studio delle etimologie à fatto enormi passi per cui se mi sento di perdonare a Raffaele D’Ambra,P.P. Volpi, R. Andreoli e ad altri talune imprecisioni o strafalcioni, non mi sento di perdonarli a taluni spocchiosi sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura cattedratico d’ateneo , colpevolmente a digiuno di regole linguistiche, (quando non sai una cosa, insegnala!) che si abbandonano a fantasiose, erronee soluzioni grafiche!

lla( e non llà) avverbio di luogo corrispondente all’italiano là
1) in quel luogo (indica un luogo genericamente lontano da chi parla e da chi ascolta): puosalo lla; sta certamente lla (sta senz'altro là) ; venimmo nuje lla ; nun sta cchiú lla, va’ lla | talvolta si unisce a gli agg.vi o pron. chillo/u – chellu - chella o ad un sostantivo preceduto dai medesimi aggettivi , per determinare meglio la posizione di una persona o di una cosa: chillu guaglione lla; chillu libro lla; damme chellu ppane lla; piglia chella cosa lla;
2) con valore rafforzativo o enfatico: siente lla che casino! | chi è lla?, chi va lla?, fermo lla, usati da chi è di guardia o in ispezione ' arri lla (in questo caso però piú spesso il lla si semplifica in a per cui si à arri,a! !, per incitare bestie da soma o da tiro;
3) unito a un avverbio o a una determinazione di luogo: lla dinto; lla fora; lla attuorno; lla ssotto; lla’ncoppa; lla ‘ncopp’ a chella seggia; lla dint’ â casa; lla addó m’hê ditto | ‘a lla, da quel luogo: è partuto‘a lla ajeressera; curre‘a lla a cca ; pe gghí ‘a lla nfino â cimma nc'è vo’ n'ora bbona ‘e scarpinetto; | essere ‘a lla essere cchiú ‘a lla ca a cca, essere vicino a morire; ‘o spitale è assaje cchiú a lla; essere
4) in correlazione con qua e qui, per indicare luogo indeterminato: andare ‘nu pco cca, ‘nu poco lla'; correre ‘a cca e’a lla;qui e là cca e lla; guardà cca e lla.
L’ etimo di questo avverbio di luogo, cosí come per il là dell’italiano è dal lat. (i)lla(c); in italiano si è stati costretti ad accentare l’avverbio per evitarne la confusione con il la art. determ. femm. sg; in napoletano invece non vi è alcun altro monosillabo la con cui l’avverbio a margine ingeneri confusione, per cui in napoletano non v’à ragione per accentare questo la avverbio come invece purtroppo fanno tutti gli autori partenopei buoni o meno buoni che siano che si lasciano frastornare dal là accentato della lingua italiana e dimenticano che i segni diacritici vanno usati per marcare differenze di voci omofone, ma appartenenti al medesimo àmbito linguistico!
Per cui l’avverbio di luogo la in napoletano va reso senza alcun accento, ma con la geminazione della consonante (che ripete la doppia l etimologica e soddisfa l’attento udito partenopeo che avverte l’avverbio a margine con il suono forte d’avvio; e dunque lla e non llà con un inutile, pletorico accento che fa corona sulla a e tantomeno lla’ come qualche sedicente autore partenopeo à avuto il pessimo gusto di fare), non esistendo alcuna sillaba apocopata nell’ illac di partenza ed al solito la caduta di una o piú consonanti non può comportare segno diacritico!

lloco avverbio di luogo = in questo/in quel luogo usato indifferentemente per indicare un posto/punto vicino a chi parla o a chi ascolta; un tempo per rafforzare l’indicazione d’ un punto vicino a chi ascoltasse s’usava addizionare l’avverbio a margine con l’espressione ‘mmocca (in bocca); e ‘mmocca lloco valeva esattamentenel punto dove (vi trovate) cioè proprio nel punto preciso dove si trovasse l’ascoltatore; etimologicamente l’avv. in esame deriva dall’espressione latina (i)llo(lo)co→lloco con aferesi ed aplologia(caduta di una sillaba all'interno di una parola che dovrebbe presentare, in base alla sua etimologia, due sillabe consecutive identiche o simili (p. e. mineralogia per mineralologia));
annanze/te/’nnanze prep. impr. ed avv.
1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti)
2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/te/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo)
etimologicamente l’avv. in esame deriva dal lat. tardo abante 'avanti' con assimilazione regressiva della b in n e raddoppiamento espressivo della nasale: abante→anante→annante/annanze quest’ultimo anche nella forma aferizzata ‘nnanze;
arrèto/arèto/adderèto/dderèto prep. impr. ed avv.
nella parte posteriore, opposta al davanti: nun guardà arreto (non guardare dietro); preferisco stà addereto(preferisco star dietro) | preceduto da altro avv. di luogo: steva annascuso lla ddereto(era nascosto lí dietro); à dda stà cca ddereto(deve essere qua dietro);
come prep. impr. è sempre seguita dalla prep. sempl. a aspiettame arreto a chella culonna (attendimi dietro quella colonna; s’è annascusa arreto â porta (s’è nascosta dietro la porta); | non può essere preceduto (come invece nell’italiano) dalla prep. di pleonastica:tu va’ annanze ca i’ sto’ arreto( tu vai davanti, io sto di dietro || nella loc. corrispondente all’italiano di dietro (o in grafia unita didietro) è usata nella forma ‘e reto ed à anche un valore di agg. e di s. m. : ‘e zzampe ‘e reto(le zampe posteriori);’a parte ‘e reto ‘e ll’armuà(il pannello di dietro dell’ armadio) etimologicamente è dal tardo lat. *ad de retro→adderet(r)o→ addereto →arre(re)to e quest’ultimo anche a(r)reto;
luntano agg.vo avv. e s.vo; come agg.vo vale l’italiano lontano
1 che si trova a grande distanza, che è separato da un lungo spazio: città, paise luntane(città, paesi lontani); penzà sempe ê figlie luntane(pensare ai figli lontani); ‘a nave è lluntana dô puorto(la nave è lontana dal porto); ‘a casa mia è lluntana ‘a cca(la mia casa è lontana da qui) | che si trova a una distanza determinata: ‘a posta è luntana ‘nu centanaro ‘e metre (l'ufficio postale è lontano un centinaio di metri)
2 remoto, distante nel tempo (passato o futuro):ebbreche luntane ( epoche lontane); tiempe luntane(tempi lontani);’nu juorno cchiú o meno luntano( in un giorno piú o meno lontano; ‘a staggiona nun è lluntana(l'estate non è lontana), è prossima
3 distante in senso ideale: essere luntano dâ verità(essere lontano dal vero);mantenerse luntano ‘a quaccosa( tenersi lontano da qualcosa); essere assaje luntano dô ffà, dô ddicere dô ppenzà coccosa, ( essere ben lontano dal fare, dire, pensare qualcosa) fare, dire, pensare cose molto diverse; luntano parente (lontano parente), non stretto | vago, incerto, indeterminato: ‘na sumiglianza luntana(una lontana somiglianza); nun tène ‘a cchiú luntana idea(non à la piú lontana idea | diverso, divergente: avé luntani idee(avere opinioni lontane); un modo di pensare ben lontano da un altro |â luntana ( alla lontana), alla larga, a distanza; in modo vago: ‘o saccio sulo â luntana (lo conosco solo alla lontana);me nn’à parlato, ma â luntana (me ne à parlato, ma alla lontana); parente â luntana (parente alla lontana), non stretto; pigliarla â luntana (pigliarla alla lontana), incominciare un discorso senza affrontare subito l'argomento principale
4 (anticamente ) molto esteso nello spazio o nel tempo: è turnato ‘a ll’America pe ‘nu mare luntano (è tornato dall’America attraversando un mare lontano)…attraversando l’oceano

come avv. in un luogo distante: stà, truvarse luntano(stare, trovarsi lontano); jí luntano luntano (andare lontano lontano), molto lontano | luntano ‘nu miglio(lontano un miglio), (fig.) a grande distanza | mirà luntano(mirare lontano), (fig.) avere grandi ambizioni | vedé luntano(vedere lontano), (fig.) saper prevedere l'evolversi delle cose | jí luntano (andare lontano) (fig.) avere successo, far carriera || Nelle loc. avv. ‘a luntano (da lontano, di lontano): chiammà, salutà ‘a luntano(chiamare, salutare da lontano); vedé, mustrà ‘a luntano(vedere, mostrare di lontano) || Nella loc. prepositiva luntano ‘a(lontano da: luntano ‘a cca, ‘a lla(lontano da qui, da lí); campà luntano dâ casa(vivere lontano da casa); stammo ‘e casa luntano ‘a vuje(abitiamo lontano da voi) | prov. :luntano ‘a ll’uocchie, luntano dô core (lontano dagli occhi, lontano dal cuore), l'affetto si affievolisce con la lontananza
come s. neutro. (anticamente) ‘o lluntano d’ ‘o quatro ( ciò che in un quadro si vede in lontananza); sfondo
la voce è derivata dal lat. volg. *longitanu(m), deriv. dell'avv. longiter 'lontano, lungi'; questo il percorso: longitanu(m)→ lon(gi)tanu(m)→luntano,

vicino/bbicino agg.vo s.vo, prep. impr. ed avv.; come aggettivo
1 che non è lontano o è poco lontano nello spazio o nel tempo: ‘o municipio è bbicino â casa mia(il municipio è vicino a casa mia); ddoje chiezze bbicine(due piazze vicine (tra loro)); simmo oramaje vicine ô sciummo(siamo ormai prossimi al fiume); ‘a fine d’ ‘a fatica è bbicina(la fine del lavoro è vicina); ‘a notte è vvicina (la notte è vicina); n’ommo cchiú vvicino ê cinquanta ca ê quaranta(un uomo piú vicino ai cinquanta che ai quaranta); essere vicino a ffà coccosa(essere vicino a fare qualcosa), stare per farla | paise vicine(paesi vicini), confinanti | ll’Uriente vicino(il vicino oriente), quello costituito dalle nazioni che si affacciano o sono prossime al Mediterraneo
2 (fig.) che à rapporti di parentela o di amicizia: ‘nu parente vicino(un parente vicino), stretto | che partecipa ai sentimenti di qualcuno: me sento vicino a tte a ‘stu mumento (mi sento vicino a te in questa circostanza)
3 (fig.) simile, affine: è ‘na tenta cchú bbicina ô bblu ca ô vverde (è una tinta piú vicina al blu che al verde;
come s.vo m. [f. -a] è raro ed è piú spesso sostituito da altre espressioni
1 chi è o abita vicino: ‘o vicino ‘e casa( il vicino di casa);ad es. ‘o vicino/’a vicina ‘e casa son resi con ‘o signore/’a signora a pporta
come avv. a poca distanza, non lontano: stevano ‘e casa vicino; succedette cca bbicino;fatte cchiú bbicino(abitavano vicino;abitavano nei pressi; accadde qui vicino accadde poco lontano; fatti più vicino), avvicinati maggiormente; nun c’è riuscito, ma c’è gghiuto vicino(non c'è riuscito, ma c'è andato vicino), (fig.) c'è mancato poco | ‘a vicino(da vicino o davvicino), da breve distanza (anche fig.): sparaje ô berzaglio assaje ‘a vicino(sparò al bersaglio molto da vicino); fatte vedé ‘a vicino(fatti vedere da vicino); guardanno ‘o fatto cchiú ‘a vicino(esaminando la questione piú da vicino, piú addentro, piú minutamente; conoscere quaccuno ‘a vicino(conoscere qualcuno da vicino), personalmente, bene
come loc. prepositiva
1 vicino a, a poca distanza da, accanto a, presso: sta ‘e casa vicino a piazza Dante(abita vicinopiazza Dante); nun starte accussívicino â televisione(non stare cosí vicino al televisore)
è voce derivata dal lat. vicinu(m), deriv. di vicus 'villaggio'; propr. 'che appartiene allo stesso villaggio'; tipiche nel napoletano le alternanze b→v, v→b (cfr. bocca→vocca – barca→varca – avvincere→abbencere etc.);

‘mmiero/’mpiero preposizione impr.cong. ed avverbio antico e desueto
Come prep. impr.
1 in direzione di, verso, alla volta di (introduce un compl. di moto a luogo): jettero ‘mmiero ê muntagne‘mpiero Milano (andarono verso i monti, verso Milano); avutaje ‘a faccia ‘mpier’ô cielo(volse il viso verso il cielo); ‘mpiero addó site dirette?( verso dove siete diretti?) | si unisce ai pron. pers. per lo piú mediante la prep. de→’e: guardate ‘mpiero ‘e me(guardate verso di me); jettero ‘mpiero d’isso(andarono verso di lui)
2 dalle parti di, nei pressi di (introduce un compl. di stato in luogo): sta ‘e casa ‘mpiero ô corzo Garibbalde (abita) abita dalle parti del corso Garibaldi; | (rar.) anche preceduto da prep.: è de ‘mpiero Casoria(è di verso Casoria)
3 poco prima o poco dopo; circa a, intorno a (introduce un compl. di tempo determinato): te telefono ‘mmiero ê ssette(ti telefonerò verso le sette); se trasferisce ‘mmiero â fine ‘e ll’anno(si trasferirà verso la fine dell'anno) | in prossimità di, intorno a (introduce un compl. di età): mpiero ê trent’anne decidette ‘e se ‘nzurà( verso i trent'anni decise di sposarsi);

4 nei riguardi di, nei confronti di: ammore ‘mpiero tutte quanteamore verso tutti; pietà ‘mmiero chi soffre (pietà verso chi soffre); s’è cumpurtato malamente ‘mmiero ‘e te; (si è comportato male nei tuoi confronti);
5 (commerciale e giurid. ) contro, dietro: ‘o certificato se rilascia ‘mpiero pagamento(l'attestato si rilascia contro pagamento).
Come avv.
Quasi,circa, pressappoco, pressoché
Costa ‘mpiero mille lire; so’ ‘mmiero ‘e sseje; so’ venute ‘mpiero tutte; me parono ‘mmiero euale; nun ‘o ‘ncontro ‘mpiero majenon lo incontro quasi mai; «Hê fernuto?» «’Mpiero»;(costa quasi mille lire; sono quasi le sei; sono venuti quasi tutti; mi sembrano quasi uguali; non lo incontro quasi mai; «Hai finito?» «Quasi»);
come cong. = come se (sempre seguito dal verbo al congiunt.): era assaje preoccupato, ‘mpiero sapesse chello ca steva pe succedere( era molto preoccupato, quasi sapesse quello che stava per accadere).
La voce è un derivato del greco perí (intorno) con prostesi di un in→’n illativo: in + pĕrí→inpĕrí→’npierí→’mpiero ed anche ‘mmiero per assimilazione progressiva;
miezo/’mmiezo agg.vo, avv.prep. imp. e s.vo
Come aggettivo
1 che è metà dell'intero: miezu chilo(mezzo chilo); meza purzione(mezza porzione), meza jurnata(mezza giornata); ce ò magnammo miezo peduno(lo mangeremo mezzo per uno); ‘nu bbuonu miezu litro(un buon mezzo litro), mezzo litro abbondante meza festa (mezza festa), giornata lavorativa nella quale, per una ricorrenza o altro, si lavora solo per metà tempo miezu lutto (mezzo lutto), lutto non stretto | meza età(mezza età), non piú giovanile e non ancora senile; età matura 'mizu ‘uanto (mezzo guanto),quello che lascia scoperte le dita ‘na fatica a mmiezo(un lavoro a mezzo (tempo)), a tempo parziale, con orario ridotto di circa metà rispetto a quello normale ma distribuito per lo più nel normale numero di giorni |
2 (fam.) poco meno di, quasi: è succieso ‘nu miezu casino (s’è scatenato un mezzo putiferio); m’à fatto ‘na meza prumessa(mi à fatto una mezza promessa); ‘na meza idea(una mezza idea), un'idea molto vaga | era miezu muorto(era mezzo morto, molto mal ridotto |nun aggiu ditto meza parola (non ò detto mezza parola), assolutamente nulla .
come avv.
per metà; parzialmente, quasi: ‘nu muro miezo ggiallo e mmiezo bblu(una parete mezzo gialla e mezzo blu); dduje paise miezo distrutte(due paesi mezzo distrutti); (in tali casi all'avv. si sostituisce spesso l'agg.: ‘nu muro miezu ggiallo e mmiezu bblu (una parete mezza gialla e mezza blu); dduje paise mieze distrutte(due paesi mezzi distrutti);
come s.vo m.le
1 la metà di un tutto: | si usa spec. dopo un numerale, sottintendendo il sostantivo precedentemente espresso: dduje chile e mmieze(due chili e mezzo(chilo);tengo quinnece anne e mmieze (ò quindici anni e mezzo); songo ‘e ccinche e mmezo(sono le cinque e mezzo (frequente, intendendosi mezzo come agg., la concordanza al femminile: ll’una e mmeza (l'una e mezza);
2 il punto, il tratto di spazio o l'arco di tempo che divide idealmente in due parti uguali uno spazio o un periodo di tempo: ‘mmiezo ô salotto(nel mezzo del salone); ‘mmiezo â strata( in mezzo alla strada); ‘mmiezo ô mmeglio d’ ‘a festa (nel bel mezzo della festa) | ‘na via ‘e miezo(via di mezzo), (fig.) si dice di ciò che à caratteristiche miste, che rappresenta una soluzione intermedia: ‘na via ‘e miezo’nfra ‘na machina e ‘nu furgone( una via di mezzo tra una vettura ed un furgone); scegliere ‘na via ‘e miezo(scegliere una via di mezzo) | jí pe mmiezo (andar di mezzo), essere coinvolto, soffrire le conseguenze levà ‘a miezo coccosa( levar di mezzo qualcosa), toglierla da un luogo dove è d'ingombro, gettarla via, liberarsene levà ‘a miezo a coccheduno (levar di mezzo qualcuno), allontanarlo, o anche ucciderlo levarse ‘a miezo (levarsi, togliersi di mezzo), liberare dalla propria presenza, andarsene; non occuparsi più di qualcosa | mettere ‘mmiezo a coccheduno (mettere in mezzo qualcuno), ingannarlo, comprometterlo, coinvolgerlo
come loc. prep.
introduce il nome della persona o della cosa di cui ci si serve o che funge da tramite: mannà ‘na nutizzia pe mmiezo ‘e n’amico (mandare la notizia per mezzo di un amico); spedí ‘nu pacco pe mmiezo d’ ‘o curriere(spedire un pacco per mezzo di (o del) corriere); comunicare per mezzo della stampa; spedí a mmiezo d’ ‘o curriere, raccumannata etc. (spedire a mezzo corriere, a mezzo raccomandata etc.);
come prep. impropria introduce il compl. di moto per luogo e vale fra, tra, per ed è sempre costruita seguita dalla prep. a
è voce dal lat. mediu(m) cammenà pe ‘mmiezo â via (camminare per istrada)ll’aggiu ‘ncuntrato pe ‘mmiezo ê scale (l’ò incontrato per le scale) è voce dal lat. mediu(m) e nella morfologia ‘mmiezo si riconosce in + miezo→inmiezo→immiezo→’mmiezo.
‘mpizzo avverbio di luogo
sulla punta, proprio al margine: ‘mpizzo â lengua (sulla punta della lingua,) ‘mpizzo â seggia (al margine della sedia talora, ma reiterato: ‘mpizzo ‘mpizzo anche avverbio di tempo nel significato di a tempo a tempo, giusto in tempo: è arrivato ‘mpizzo ‘mpizzo pe s’assettà a ttavula a mangià (è arrivato giusto in tempo per sedere a mangiare), ‘o piccerillo è trasuto ‘mpizzo ‘mpizzo pe sèntere chello ca stévamo dicenno (il bimbo è entrato a tempo a tempo per udire ciò che dicevamo); la voce è da in→’n + pizzo→’npizzo→’mpizzo; pizzo =punta,merletto,posto ed anche becco d’uccellino è voce d’origine espressiva da un tema onomatopeico piz-.;
’mponta avverbio di luogo, ma non di tempo che ripete le accezioni del precedente, con esclusione di quelle relative al luogo );
la voce è da in→’n + puncta(m)→’npuncta→’mponta; ponta =punta è dal lat. tardo puncta(m) 'colpo inferto con una punta', deriv. di pungere 'pungere';
‘ncoppa/ ‘a coppa prep. impr. ed avv. di luogo
come avv.
sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa

come prep.
1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa;
2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur)
3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra
4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero
5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli
6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8)
7 nelle immediate vicinanze ma in posizione più elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare
8 oltre, più (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, più a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10° parallelo | più di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto
9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione
10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3)
11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto
12 nella loc. al di sopra di, che ha gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto
¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra
¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica.
etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a
‘ncopp’â = sulla, sopra la
ncopp’ô sul sullo, sopra il/lo
‘ncopp’ê su gli/sulle, sopra i,gli/le
queste tre preposizioni napoletane sono forgiate da un in→’n illativo e da coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, addizionate volta a volta da â (crasi di a ‘a=alla), da ô(crasi di a ‘o=al/allo),da ê(crasi di a ‘e= ai,a gli, alle).




‘ncuollo avv. di luogo vale
1 addosso, sulla persona, sulle spalle: che puorte ‘ncuollo?(che cosa porti addosso?); tené ‘ncuollo(avere addosso), avere con sé, su di sé; indossare | tené ‘a jella ‘ncuollo(avere la sfortuna addosso), (fig.) essere sempre sfortunato | chiammarse ‘e guaje ‘ncuollo(chiamarsi addosso i guai), (fig.) procurarseli | se ll’è ffatta ‘ncuollo p’ ‘a paura(per la paura se l’è fatta addosso, fare i bisogni corporali nei vestiti; (fig.) farsi prendere dalla paura, dal panico |parlarse ‘ncuollo (parlarsi addosso), (fig.) in continuazione e con autocompiacimento
2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle
1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra)
2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo
3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto;
‘nfunno prep. impr. ed avv. di luogo
1 nella parte inferiore di qualcosa, spec. di un recipiente o di una cavità: ‘nfunno â tiana (in fondo alla pentola), | ‘nfunno ô mare, ô sciummo (al fondo del mare, del fiume)| jí ‘nfunno(andare a fondo), affondare; (fig.) rovinarsi | mannà ‘nfunno a quaccheduno(mandare al fondo qualcuno) affondarlo; (fig.) rovinarlo

2 in fondo, nella parte piú interna di un luogo o piú lontana rispetto all'osservatore o situata alla fine di qualcosa; (fig.) la parte piú riposta e intima: ‘nfunn’â cascia(nel fondo del baúle); ‘nfunn’â strata (in fondo alla strada) ‘a cammera ‘nfunn’ô curreturo (la camera in fondo al corridoio); ‘nfunn’ô core (nel fondo del cuore); ‘nfunno a ll’anema( in fondo all'anima) ' |’a cimma ‘nfunno (da cima a fondo), completamente | jí’nzino ‘nfunno(andare fino in fondo), (fig.) non abbandonare un'impresa prima di averla conclusa | è gghiuto‘nfunn’ô fatto ( è andato in fondo alla faccenda), à cercato di vederci chiaro | tutto sommato:’nfunno ‘nfunno è mmeglio accussí! (in fondo, in fondo è meglio cosí!). etimologicamente‘nfunno = in fondo è forgiato da un in→’n illativo + funno dal latino fundu(m)→funno con assimilazione progressiva nd→nn.
‘nterra prep. impr. ed avv. di luogo
nella parte inferiore, piú bassa o estrema di qualcosa,giú’nterra â Mmaculatella (giú, all’estremo limite dell’ imbarco del molo dell’ Immacolata) ’nterra â Cajola (sulla spiaggia della Gaiola), è caduto ‘nterra (è cascato in terra), ‘o voglio vedé ‘nterra (lo voglio vedere a terra) (fig.) sottomettere, rovinare;
etimologicamente‘nterra = in fondo, giú, all’estremo limite è forgiato da un in→’n illativo + terra dal latino terra(m).

‘ntridice/’ntririce avv. di luogo ma anche modale
Letteralmente: in tredici id est: giusto nel mezzo, al centro, in vista; usato sempre con valore o accezione negativa come nell’espressione che segue:
Stà sempe 'ntridice/’ntririce.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, al centro, in vista, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo.
Ora poiché nella smorfia napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che se ne è ricavato l’avverbio a margine e viene fuori l'espressione in esame con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti. etimologicamente‘ntridice/’ntririce = nel mezzo, al centro, in vista è forgiato da un in→’n illativo + tridice/tririce = tredici numerale dal lat. tredecim, comp. di trís 'tre' e decem 'dieci'; nella morfologia tririce da tridice è riscontrabile la rotacizzazione osco-mediterranea della d→r.

sotto/ avv. e preposiz. impropria
come avv.
1 in luogo o posizione inferiore: sta cca ssotto, lla ssotto(è qui sotto, lí sotto); miettela sotto, cchiú ssotto(mettilo sotto, piú sotto); ‘nu scatolo ‘a coppa ‘e rasone, ‘a sotto ‘e velluto(una scatola sopra di raso e sotto di velluto), con la parte inferiore di velluto | preceduto dalla prep. a/di pleonastica: scennere ‘a sotto(scendere di sotto), al piano inferiore; chi steva‘a coppa faceva ‘e dispiette a cchille ca stevano‘a sotto (chi stava sopra faceva i dispetti a quelli che stavano di sotto) | può essere preceduto da prep. diversa da a/di: passaje pe ssott; è asciuto ‘a sotto(passò per sotto; è uscito da sotto);| raddoppiato à valore di 'al di sotto di tutto il resto': ll’acqua scavaje sotto sotto(l'acqua scavò sotto sotto); sotto sotto, (fig.) dentro di sé, di nascosto, copertamente: sotto sotto avesse vuluto essere ‘mmitato a restà(sotto sotto, avrebbe voluto essere invitato a restare) | mettere sotto, investire: fuje miso sotto ‘a ‘nu camionne(è stato messo sotto da un camion); metterse sotto(mettersi sotto), (fig.) impegnarsi con tutte le energie in un lavoro |ce sta sotto coccosa (c’è qualcosa sotto), di situazione non chiara, che appare losca;
2 in seguito, con riferimento a cosa che sarà détta o scritta poco oltre: comme dimustrato cca ssotto(come dimostrato qui sotto)
come prep.
[si unisce ai nomi direttamente o mediante la prep. a, ai pronomi personali quasi sempre mediante la prep. a oppure‘e(di); si può elidere davanti a vocale, spec. in espressioni del tipo:sott’acqua, sott’acito (sott'acqua, sott'aceto); sotto a mme, sotto’e te (sotto di me, sotto di te)]
1 in posizione inferiore rispetto ad altro (con riferimento a cose che sono a contatto): mettette ‘na zeppa sott’ â zampa d’ ‘a tavula(mise un cuneo sotto la gamba del tavolo);’o libbro ca cirche sta sott’ô manesiglio niro( il libro che cerchi è sotto il quaderno nero; annasconnere coccosa sott’ô lietto(nascondere qualcosa sotto il letto); purtà ‘e libbre sott’ô vraccio( portare i libri sotto il braccio)
2 con riferimento a cose l'una delle quali avvolge l'altra: purtà ‘nu vestito liggiero sott’ô cappotto( portare un abito leggero sotto il cappotto); ‘nfilarse sott’ê cuperte(infilarsi sotto le coperte); ‘o piatto steva sotto a ‘nu parmo ‘e póvera(il piatto era sotto uno strato di polvere.)
3 con riferimento a cose non in contatto fra loro: ‘o scannetiello sta sott’ô tavulino(lo sgabello è sotto il tavolino); passà pe sott’ô ponte (passare sotto il ponte); sta ‘e casa proprio sotto a mme( abita proprio sotto di me); stevano tutte e dduje sott’ô ‘mbrello erano ambedue sotto l'ombrello; s’arreparaje sott’ô barcone( si riparò sotto il balcone); sott’ê stelle( sotto le stelle), all'aperto di notte; sott’ô sole (sotto il sole), in questo mondo |tené coccosa sotto a ll’uocchie, sott’ô naso avere qualcosa sotto gli occhi, sotto il naso, vicinissimo
4 con riferimento a cose l'una delle quali travolge o grava sull'altra:è ffernuto sotto a ‘na machina( è finito sotto un'automobile); metterse sott’ê piere(mettersi sotto i piedi), calpestare; (fig.) umiliare, assoggettare; jí sott’acqua(andare sott'acqua), sprofondare nell'acqua; anche, immergersi sotto il pelo dell'acqua | con riferimento a situazioni di assoggettamento, subordinazione, dipendenza: ‘a rivoluzzione ‘e Masaniello scuppiaje sott’ô guverno d’ ‘o vicerre(la rivoluzione di Masaniello scoppiò sotto il governo vicereale; tengo assaje ‘mpiecate sotto a mme (ò molti impiegati sotto di me; ‘mpararse sotto a ‘nu bbuonu masto(imparare sotto un buon maestro);
5 con riferimento a cosa che subisce l'azione di un'altra che scende dall'alto: stà sotto a ll’acqua(stare sotto la pioggia); leggere sott’â luce d’ ‘o lumetto (leggere sotto la luce della lampada da comodino); murí sott’ê bumbardamente(perire sotto i bombardamenti); arrivà sott’ô patapato ‘e ll’acqua(arrivare sotto un gran temporale) | in usi fig., con sfumatura modale: viaggià sotto scorta(viaggiare sotto scorta); campà sotto a ‘na minaccia continua(vivere sotto una continua minaccia);fa ‘o testemmonio sotto ggiuramento ( far da testimonio sotto giuramento); guardà ‘nu prubblema sotto a ‘nu certu punto ‘e vista(considerare un problema sotto un certo punto di vista);
6 per indicare immediata vicinanza, spec. in posizione inferiore: se cumbatteva sott’ê mmura(si battagliava sotto le mura); alluccavano sott’ê feneste soje( urlavano sotto le sue finestre); | farse sotto ô nemicofarsi sotto (all'avversario), avvicinarsi per colpirlo
7 non oltre, meno di (per indicare un limite): piccerille sott’ê tre anne( bambini sotto i tre anni);essere poco sott’ ô cantàro(essere di poco sotto il quintale) | nell’espressione ellittica farsela sotto(farsela sotto)mingersi o defecarsi indosso;
8 in prossimità, nell'imminenza (con valore temporale): ll’aggiu ‘ncuntrato sotto Natale(l'ò incontrato in prossimità del Natale); stammo oramaje sotto a ll’esame(siamo ormai sotto gli esami);
9 l’avv. sotto lo si ritrova anche nella locuzione prep. avverbiale ‘a sotto = da/di sotto che è formata da ‘a= da dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; o dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc. e da sotto avv. e preposiz. impropria = sotto dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto';a margine di tale locuzione rammento una nota esclamazione del linguaggio partenopeo che suona:
‘a sotto p’’e chiancarelle!
Ad litteram: Di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli!
Locuzione esclamativa (in origine grido di avvertimento) con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere nella valenza di Accidenti!, Perbacco!; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli.
chiancarelle = panconcelli, travicelli strette, ma abbastanza lunghe (un metro) doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano (nelle costruzioni di una volta) l’impiantito dei solai. la voce è il plurale di chiancarella che etimologicamente è un derivato (diminutivo : vedi suff. ella+ l’infisso ar) del basso latino planca(m)=tavola lignea; dalla medesima planca(m)=tavola lignea il napoletano trasse la voce chianca = macelleria, rivendita di carni macellate; e ciò in quanto originariamente l’ esposizione e la sezionatura per la vendita al minuto delle carni avveniva tenendole poggiate su di un tavolo ligneo; tipico e normale il passaggio del gruppo latino pl come pure cl seguíto da vocale al napoletano chi (vedi plus→cchiú=piú, platea→chiazza=piazza, plumbeum→chiummo=piombo, clausum→chiuso, etc.).
abbascio/ ‘a vascio avv.e prep. impr. di luogo
abbasso, in giú,in fondo, di sotto, in basso: scinne abbascio(scendi giú), saglie ‘a vascio e viene ‘ncoppa(sali di sotto e monta su),abbascioâ via nova(in fondo alla strada maestra), derivazione dal tardo latino bassu(m) morfologicamente si è pervenuti ad abbascio partendo da bassu(m) attraverso la locuzione a basso→a bascio→abbascio, sul modello del fr. à bas; nella locuzione la voce basso à prodotto dapprima bascio e poi il raddoppiamento dell’esplosiva labiale b intervocalica invece del passaggio di b a v; rammento ancóra che in napoletano sempre dalla voce bassu(m) abbiamo il verbo denominale avascià/avasciare= abbassare, calare, portare, mettere qualcosa piú in basso, ridurre l'altezza, il valore o l'intensità di qualcosa; verbo nel quale è riconoscibile la prostesi di una a eufonica che qui però (misteri della parlata napoletana!) non à prodotto il raddoppiamento della b come ci si sarebbe atteso alla luce di quanto detto precedentemente, e non à influito in alcun modo sul passaggio della b a v; si è avuto dunque bassu(m)→vascio→a + vasci(o)+are=avasciare/avascià;

addó = avverbio di luogo e cong. usato in primis in proposizioni interrogative, ma anche in relative etc.,
1 in quale luogo (in prop. interrogative dirette e indirette, e talora in prop. esclamative): addó vaje?(dove vai?); addó s’è ‘mpurtusato?(dove si è cacciato?); chi sa’ addó sta a chest’ora!(chissà dove sarà a quest'ora!); dimme addó staje ‘e casa(dimmi dove abiti);sta ‘e casa nun saccio addó( abita non so dove) | di, da dove, di, da quale luogo: ‘e addó sî?(di dove sei?);
2 nel luogo in cui (in prop. relative): stongo ‘e casa addó tu stive ‘e casa ‘na vota(abito dove tu abitavi un tempo); rieste addó staje!(resta dove sei!); jate addó ve pare e ppiace(andate dove vi pare ed aggrada);
3 il luogo in cui (in prop. relative): ‘o vvi’ cca addó ce simmo ‘ncuntrate(ecco dove ci siamo incontrati); cca è addó è succieso ‘o ‘mpiccio(qui è dove è accaduto l'incidente) |
4 preceduto da un sostantivo equivale a in cui, nel quale, nella quale ecc.: ‘a pultrona addó t’assiette solitamente(la poltrona dove siedi di solito); ‘a casa addó sta ‘e casa(la casa dove abita); ‘o paese addó stammo jenno(il paese dove siamo diretti); ripigliammo dô punto addó ero rummaso(riprendiamo dal punto dove ero rimasto);
5 (lett.) seguito da ca equivale a dovunque, in qualunque luogo: addó ca vaje vaje(dove che tu vada vada); addó ca fosse(dove che fosse);
come cong. (lett.)
1 nel caso che, qualora, ove (con valore ipotetico-condizionale): Addó po ca nun fosse overo chello ca avimmo ditto, cagnammo pruggetto(Nel caso che poi non fosse vero ciò che abbiamo détto, cambieremo il progetto)addó nun te piacesse ‘e vení cca, vengo i’ addu te!(qualora non ti picesse di venire qui, verrò io da te!);
2 mentre, laddove (con valore avversativo): ‘E guagliune tenevano ‘na speranza ‘e jí a mmare, addó ca ‘o pate aveva deciso n’ata cosa…(I ragazzi avevano una speranza di andare al mare, mentre il padre aveva deciso diversamente.)
comes.vo m.le (raro) luogo: nun saccio né addó, né ‘o cquanno (non so né il dove né il quando);
etimologicamente addó→addove è da un latino de ubi→du(bi) con successivo rafforzamento espressivo attraverso un ad del de d’avvio secondo il percorso de ubi→du(bi)→du→ad du→addu→addó; le tre locuzioni prepositive locative che seguono (indicanti rispettivamente provenienza, moto da luogo, moto per luogo): ; esse non sono costruite con addó, ma son costruite con l’avv.dove→ do’/ro’ e le preposizioni semplici ‘e←de (di), ‘a←da (da), pe (per), e sono:
‘e do’/’e ro’, ’a ro’, pe ddo’ di, da dove, per dove di, da quale luogo: ‘e ro’ site?(di dove siete?); ‘a ro’ me staje telefonanno?(da dove mi telefoni?); ‘a ro’ è trasuto(da (o di) dove sarà entrato?) ' per dove, per quale luogo: pe ddo’sî ppassato?( per dove sei passato?) | per dove, per il luogo per il quale: sî ppassato pe ddo’ so’ passato i’? (sei passato per dove sono passato io?);


In coda ed a completamento di queste paginette con le quali spero d’aver contento l’amico N.C. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori riporto ciò che ebbi a scrivere alibi circa le le preposizioni articolate nel napoletano e ricordo che nel napoletano, cosí come nell’italiano, le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano). Tanto premesso annoto altresí che mentre in italiano la gran parte delle preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli sg. e pl. con le preposizioni semplici, ànno una forma agglutinata, nel napoletano ciò non avviene che per una o due preposizioni semplici, tutte le altre si rendono con la forma scissa mantenendo cioè separati gli articoli dalle preposizioni.
Passiamo ad elencare dunque le preposizioni articolate cosí come rese in italiano e poi in napoletano:
con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a, unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le);
con la preposizione di in italiano si ànno del = di+il, dello/a= di+lo/la delle = di+ le, degli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione de (=di), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata: de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e; con la preposizione da in italiano si ànno dal = da+il, dallo/a= da+lo/la dalle = da+ le, dagli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione da talora anche ‘a (=da), produce una preposizione articolata di forma normalmente scissa e spessa apostrofata: da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e ma come ognuno vede la forma apostrofata (quantunque usatissima) presta il fianco alla confusione con le preposizioni articolate formate con la preposizione de (=di), e d’acchito è impossibile distinguere tra de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e e da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e e bisogna far ricorso al contesto per chiarirsi le idee; ò dunque proposto d’usare una forma affatto diversa per le preposizione napoletane da + ‘o→dô = dal, da+ ‘a→dâ = dalla, da+ ‘e→dê = dagli/dalle, forma che eliminando l’apostrofo e facendo ricorso alla medesima contrazione usata per le preposizioni articolate formate con la preposizione a consente di evitare la deprecabile confusione cui accennavo precedentemente. Rammento che nel napoletano è usata spessissimo una locuzione articolata che con riferimento il moto a luogo rende i dal/dallo – dalla – dalle – dagli dell’italiano ; essa è (la trascrivo cosí come s’usa generalmente fare,ma a mio avviso erroneamente in quanto non ricostruibile nei suoi elementi costitutivi) essa è add’’o/add’’a/add’ ‘e es.: è gghiuto add’ ‘o zio(è andato dallo zio) è gghiuta add’ ‘a nonna, add’ ‘e pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; francamente non si capisce da cosa sia generato quel add’ né si comprenderebbe il motivo dell’agglutinazione della preposizione a con la successiva da→dd’; a mio avviso è piú corretta e qui la propugno: a ddô/ a ddâ/ a ddê per cui sempre ad es. avremo: è gghiuto a ddô zio(è andato dallo zio) è gghiuta a dd’ â nonna, a dd’ê pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; rammento tuttavia di non confondere a ddô con l’omofono addó←addo(ve) = dove, laddove che è un avverbio e cong. subord. che introduce proposizioni avversative, relative, interrogative dirette ed indirette.
Proseguiamo.
Con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in dal lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro'); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle.
Con la preposizione con in italiano si ànno col = con+il, collo/a= con+lo/la colle = con+ le, cogli = con+ gli, ma a mio avviso son tutte bruttissime, a parte che prestano il fianco alla confusione con taluni sostantivi e non le uso mai preferendo sempre e non da ora la forma disagglutinata ; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione cu (=con), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata, forma che però sconsiglio: cu ‘o→c’’o, cu ‘a→c’’a, cu ‘e che non ammette apostrofo, quantunque qualcuno si ostini a scrivere un bruttissimo ch’’e .
Con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e.
Per tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano sono rese rispettivamente con sotto, ‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente altresí che occorre sempre rammentare che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero; ora sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta della preposizione articolata alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) vicino al/allo (vicino a ‘o→vicino ô) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... vicino/lontano al...e non vicino/lontano il etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati vocabolarî (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la.
E qui penso d’avere proprio esaurito l’argomento e poter porre un punto fermo. Satis est.
Raffaele Bracale