mercoledì 31 dicembre 2008

PICCATINE AI SETTE SAPORI

PICCATINE AI SETTE SAPORI

Nota:
Con la voce piccatina/e per solito si indica una fettina di vitello o manzo cucinata in teglia con burro o olio, succo di limone e prezzemolo trito, ma si indica pure genericamente una fettina di vitello o manzo cucinata in modo gustoso e piccante, giusta l’etimo che è un deverbale del verbo piccare a sua volta denominale del franc. pique; il verbo piccare detto del cibo vale esser piccante.

ingredienti e dosi per 6 persone
1,5 kg. di polpa di spalla di manzo in fettine sottili di cm. 10 x 5 x 1,
½ kg di pomidoro Roma o Sanmarzano lavati, sbollentati pelati e spezzettati in modo grossolano; in alternativa una scatola di pelati da 500 gr. privati del liquido di conserva;
1 ciuffo di basilico lavato, asciugato e spezzettato a mano,
½ kg. di melanzane lunghe violette napoletane, lavate, spuntate e tagliate (senza sbucciare) in cubetti da cm. 1,5 di spigolo;
2 grossi peperoni quadrilobati, lavati asciugati, capitozzati del picciolo e dei semi e costoline interni, poi ridotti in falde della grandezza d’un indice;
2 grosse cipolle dorate mondate del primo velo ed affettate in grossi anelli;
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p.s. a f. ;
2 spicchi d’aglio di cui uno mondato e schiacciato e l’altro mondato e tritato finemente;
½ kg di zucchine piccole, sode e verdi, lavate asciugate, spuntate, divise in due longitudinalmente e poi a julienne da cm. 5 x 1;
olio di semi per friggere q. s.;
farina q.s.;
due cucchiai di pinoli tostati;
due cucchiai di uvetta ammollata in acqua bollente;
1 etto di pecorino (possibilmente laticauda) grattugiato;
sale fino e pepe nero q.s.

procedimento
Innanzi tutto lavate, asciugate e private del calice le melanzane e tagliatele a cubetti di 1,5 cm. di spigolo senza sbucciarle; ponete in uno scolapasta i cubetti di melanzane, spolverizzateli con uno o due cucchiai di sale fino, copriteli con un piattino in cui poggerete un peso di ca 2 kg. e lasciateli sotto pressione per circa mezz’ora a perdere l’amaro liquido di vegetazione; frattanto addizionate la farina con il pecorino e ponete al fuoco un’ampia padella con olio di semi, portatelo a temperatura e friggetevi la julienne di zucchine abbondantemente infarinata e prelevatela con una schiumarola ponendola in una zuppiera dove la regolerete di sale; a seguire ugualmente infarinate e friggete gli anelli di cipolla; al termine prelevateli con la schiumarola, poneteli nella medesima zuppiera della julienne di zucchine e regolate ancora, ma senza eccedere, di sale. Eliminate l’olio di semi, rabboccate con l’olio d’oliva e.v. assieme allo spicchio d’aglio mondato e schiacciato; alzate i fuochi e portate l’olio a temperatura ed eliminate l’aglio quando sia colorito, indi friggetevi dapprima le falde di peperone ed a seguire i cubetti di melanzane opportunamente sciacquati sotto uno scroscio d’acqua corrente e ben strizzati; al termine prelevate peperoni e melanzane fritte con la solita schiumarola e poneteli in un piatto dove con estrema parsimonia li regolerete di sale (attenzione al sale: con le varie successive salature degli ingredienti si corre il rischio di eccedere!). A questo punto alzare i fuochi e porre nell’olio l’aglio tritato; quando sarà imbiondito versare i pezzi di pomidori freschi pelati o il contenuto della scatola ben sgrondato, schiacciando i pomidoro con una forchetta, regolare con pochissimo sale ed aggiungere il basilico spezzettato rigorosamente a mano ed in circa 15’ preparare un sugo abbastanza spesso; al termine dei 15’ aggiungere al sugo i pinoli precedentemente tostati in un cucchiaio d’olio, l’uva sultanina ammollata in acqua bollente e poi le melanzane ed i peperoni; tenere al caldo il sugo, frattanto infarinate le fettine di carne ed adagiatele nella padella con il sugo lasciandole cuocere a mezza fiamma per circa 20 minuti;alla fine regolate di sale ed abbondante pepe nero macinato a fresco; impiattate le piccatine ben calde di fornello ed irrorate del fondo di cottura; servite in accompagnamento di ogni porzione parte della julienne di zucchine e di anelli di cipolla fritti.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
Raffaele Bracale

RAGú ALLA GENOVESE

RAGú ALLA GENOVESE
Vi propongo una bella ricetta tipicamente napoletana per un primo piatto gustosissimo!!!! E, stranamente!, questo sugo è chiamato “alla genovese”,
benché questa preparazione sia sconosciuta nella città ligure; à però questo nome perché pare che la salsa sia stata preparata per la prima volta alla fine del 1400 da certi cuochi genovesi che aprivono taverna a Napoli alla Loggia di Genova, zona a ridosso del porto, dove la colonia genovese si autoamministrava.

DOSI E PROCEDIMENTO



2 Kg cipolle dorate (non bianche!),

1 Kg di Spezzatino di manzo adulto (preferibilmente ricavato dalla pancia o dalla corazza o anche dalla spalla ) oppure a preferenza 1 kg. di locena di manzo in fette da cui ricavare 6 grosse brasciole (ben legate ed imbottite con cubetti di pecorino(1 etto) sale, pepe nero, uva passita e pinoli),

una piccola carota grattata e tagliata a pezzetti,

una costa di sedano grattata e tagliata a pezzetti,

due bicchieri vino bianco secco,

un bicchiere di olio extravergine di oliva,

Un pomodoro pelato (facoltativo),

sale fino e pepe nero q.s.

600 gr. di rigatoni o penne (maltagliati) rigate,
1 etto di pecorino grattugiato,
sale doppio un pugno.

Procedimento
Affettate a velo le cipolle, (piangerete per un po’, ma pazienza; dopo ne sarete contenti! ), mettetele in una pentola con la carne, l’olio, la carota e il sedano tagliati a cubetti, eventualmente il pomodoro spezzettato; coprite, e fate cuocere per circa un’ora a fuoco vivace: le cipolle dovranno diventare trasparenti e dovrà evaporare tutto il liquido, solo quando la cipolle saranno abbastanza asciutte versate il primo bicchiere di vino bianco, questa volta a fuoco bassissimo, e fate cuocere per circa altri 40 minuti.

Versare l’altro bicchiere di vino, il sale e il pepe, e ripetere l’operazione precedente facendo ben attenzione a non far attaccare il sugo alla pentola!

Con questo sugo condite i rigatoni lessati al dente e spolverizzateli di pecorino e di pepe nero.
La carne la servirete come pietanza accompagnata da un’insalata verde
Si tratta di una preparazione che sostanzia un peccato di gola, ma pazienza!
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.

Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

BRASCIULETTE ALL’USO ANTICO

BRASCIULETTE ALL’USO ANTICO
dosi per 4 persone
200 g di carne di polpa (gamboncello) di manzo macinata
200 g di polpa (spalla) di maiale macinata
2 uova intere,
1/2 spicchio d'aglio
3 cucchiai di pecorino grattugiato
prezzemolo trito un ciuffo
sugna 1 cucchiaio
100 g di pane casareccio napoletano raffermo
300 g di pane casareccio napoletano in fettine da 3 – 4 cm. di lato
sale fino e pepe nero q. s.

procedimento
Fate spugnare nell'acqua il pane raffermo, strizzatelo bene e unitelo alle carni, al prezzemolo, alle uova, all'aglio tritato ed al pecorino. Condite con sale, pepe e una noce di sugna e ripassate il tutto in un tritacarne, macinando tutto insieme piú volte in modo che alla fine risulti un impasto omogeneo e di grana molto sottile. Attenzione: sarebbe piú opportuno che le carni fossero acquistate in tocchetti e poi macinate in casa, ma la ricetta può prepararsi anche con carni già acquistate macinate e poi ripassate nel tritacarne domestico per renderle piú sottili.) Formatene delle polpette di forma cilindrica che infilerete per il lungo negli spiedini di legno, alternate a fettine di pane napoletano casareccio di 3-4 centimetri di lato. Sistemate gli spiedini in una teglia, cospargeteli di fiocchetti di sugna e metteteli in forno caldo a calore medio (160°), finché la carne non sia cotta e dorata.
È una maniera gustosissima di cucinare la carne. Il grasso di condimento può essere anche l'olio di oliva, ma la sugna conferisce un altro sapore alla preparazione!
Il nome di brasciuletta (bracioletta), che indica una fettina di carne avvolta intorno a un ripieno, fu dato dal famosissimo Cavalcanti il quale suggeriva di schiacciare l'impasto su un piano formando delle pettolelle da avvolgere intorno ad un pezzetto di lardo prima di infilarle negli spiedini.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

BRASCIOLE NAPOLETANE AL SUGO

BRASCIOLE NAPOLETANE AL SUGO
Ingredienti e dosi per 6 persone
6 fette di locena di manzo per complessivi 1,2 kg.,
6 pezzi di cotenna di prosciutto di maiale di cm. 12 x 12,
2 etti di formaggio pecorino in cubetti da ½ cm. di spigolo,
2 spicchi d’aglio mondati e tritati finemente,
1 grosso ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
1 etto di uvetta ammollata in acqua bollente,
1 etto di pinoli tostati in un filo d’olio,
sale fino e pepe nero q.s.
2 cucchiai di sugna,
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.

per il sugo
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
2 grosse cipolle dorate mondate e tritate grossolanamente,
1 litro di passata di pomodoro in bottiglia,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e tritato finemente,
sale fino e pepe nero q.s.

procedimento
Sciacquare sotto un getto d’acqua fredda le fette di locena ed adagiarle su di un tagliere; eleminare, strappandole, le setole piú dure delle cotenne e passare poi queste ultime al fuoco per eliminare ogni residuo di setole, indi sciacquare sotto un getto d’acqua fredda le cotenne ed adagiarle sul tagliere accanto alle fette di locena, tenendo la faccia grassa rivolta verso l’alto;salare e pepare ad libitum la faccia esposta e distribuire in maniera equa cubetti di formaggio, prezzemolo, aglio, uvetta e pinoli sia sulle fette di locena che sui rettangoli di cotenna; avvolgere su loro stessi separatamente le fette di locena ed i rettangoli di cotenna e legarli con spago da cucina; porre al fuoco un capace tegame con mezzo bicchiere d’olio e la sugna, mandare a temperatura a fuoco vivo ed adagiare nel tegame le brasciole una accanto all’altra e sempre a fuoco vivo farle marcare rivoltandole di tanto in tanto per circa 10 minuti; in un altra capace pentola approntate il sugo a fuoco moderato: mettete tutto l’olio d’oliva e.v.p.s. a f. , le cipolle tritate, e fate appassire la cipolla, versate il contenuto della bottiglia di passata di pomodoro, riempite con acqua la bottiglia vuota e versatela nella pentola, salate e pepate ad libitum , incoperchiate e lasciate cuocere a fuoco moderato per circa 50 minuti.A questo punto abbassate il fuoco, adagiate nel sugo i due tipi di brasciole con il loro fondo di marcatura, incoperchiate e lasciate cuocere per non meno di 2 ore. Alla fine unite il trito di prezzemolo
Servite in tavola calde di fornello, liberate dello spago, eventualmente scaloppate ed irrorate con il loro sugo.
Gustosissima pietanza da servire accompagnata da patate fritte o lesse o da vedure bollite condite all’agro con olio, aglio tritato, sale pepe e limone o aceto.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute! e diciteme: Grazie!
NOTA
LOCENA
la locena, pur essendo un taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, (ricavato dal quarto anteriore che è il meno pregiato o costoso della bestia bovina o suina) , è da ritenersi di mediocre qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è connotato in Italia, quello che più si attaglia a simili minime qualità, è proprio il napoletano lòcena. Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed il successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus mediante una forma aucius che stette ed in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena
raffaele bracale

BOLLITO DI MANZO

BOLLITO DI MANZO
Eccovi alcuni ottimi modi di preparare e servire del bollito o lesso di manzo.
Cominciamo con il ricordare che il miglior lesso si ottiene ponendo a cuocere per circa 2 ore ed a fuoco sostenuto la carne di manzo (pancettone e gamboncello corrispondenti a geretto posteriore (muscolo) e scalfo) in acqua già bollente, addizionata di una cipolla, una carota, una costa di sedano, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani, mentre se con i medesimi ingredienti si vuole ottenere un buon brodo, bisogna che il tutto sia messo in acqua fredda e prolungare la cottura per circa 3 ore a fuoco dolcissimo per modo che la carne ceda tutti i suoi succhi al brodo, rendendolo gustoso.
Nella fattispecie a noi interessa il lesso, non il brodo e dunque acqua bollente! Eccovi la prima ricetta:
1 - BOLLITO DI MANZO e VITELLA IN INSALATA
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
2 cipolle bianche di cui una intera l’altra affettata ad anelli,
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p. s. a f.
1 tazzina d’aceto bianco,
il succo d’un limone non trattato,
1 cucchiaino di senape forte,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
2 etti di olive nere di Gaeta denocciolate,
1 etto di olive bianche di Spagna denocciolate,
1 cucchiaio di capperi di Pantelleria, dissalati e lavati.
Nota propedeutica:
Il modo di preparare il lesso di manzo o manzo e vitello è identico per tutte le preparazioni che qui di sèguito indicherò.

procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamenti e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare a temperatura ambiente (tempo occorrente circa 1 ora); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in una capace zuppiera, lasciate che la carne intiepidisca al massimo e frattanto in una ciotola, versate l’olio, l’aceto, il succo di limone, il cucchiaino di senape un pizzico di sale e due di pepe e sbattete il tutto velocemente con una forchetta fino ad ottenere una salsetta fredda con la quale irrorerete la carne sulla quale avrete distribuito gli anelli di cipolla, i capperi ed i due tipi di olive; rimestate accuratamente e servite o come pietanza o come ottimo antipasto.
E eccovi la seconda ricetta:
2 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO.
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
4 uova,
½ etto di pecorino grattugiato,
1 ciuffo di prezzemolo tritato,
farina q.s.,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
olio di semi q.s.

procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; frattanto aprite in una ciotola le uova, aggiungete un pizzico di sale e due di pepe, il pecorino ed il prezzemolo tritato e sbattete lungamente a spuma; infarinate accuratamente i pezzi di carne e tuffateli nell’uovo sbattuto, sgrondateli ed in una padella di ferro nero friggeteli fino a che siano croccanti, in olio di semi profondo e bollente; prelevate i pezzi fritti con una schiumarola, adagiateli su carta paglia a perdere l’eccesso d’unto, regolate eventualmente di sale e servite caldo con antipasto o secondo piatto.
Per ambedue le ricette precedenti, come per le seguenti: corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
3 - BOLLITO DI MANZO E VITELLA RIPASSATO IN PADELLA
dosi per 6-8 persone:
1,5 kg. di pancettone (scalfo) di manzo
6 etti di gamboncello (geretto posteriore/muscolo) di vitella,
3 cipolle dorate di cui una intera le altre affettate ad anelli
1 carota,
1 gambo di sedano,
1 foglia d’alloro,
1 ciuffo di prezzemolo,
alcuni chiodi di garofano,
sale grosso e pepe nero in grani q.s.
1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.
1 ciuffo di prezzemolo tritato,
sale fino e pepe nero macinato q.s.
1 tazzina di cognac o brandy.

procedimento
Approntate dapprima il lesso di manzo e vitello ponendo, come ò ricordato all’inizio, la carne in un’alta pentola con circa 3 litri di acqua precedentemente portata a bollore addizionata di una cipolla troncata a metà, una carota lavata,grattata e troncata longitudinalmente in quattro parti, una costa di sedano lavata,liberata dei filamente e divisa in piú pezzi, chiodi di garofano, una foglia d’alloro,un ciuffo di prezzemolo, sale grosso e pepe nero in grani; fate lessare la carne in quest’acqua aromatizzata per circa 2 ore a fuoco sostenuto; ultimata la cottura, spegnete i fuochi e prelevate la carne che adagerete in un piatto e farete raffreddare per non piú di mezz’ora a temperatura ambiente (la carne deve rimanere tiepida ed umida…); indi tagliate le carni (senza tirar via eventuali nervetti, cartilagini gelatinose etc.!), con taglio francese (movimento diagonale del coltello con la lama posta a 45°) in pezzi della grandezza di un pollice e sistemateli in piatto; versate in un’ampia padella di ferro nero l’olio e mandatelo a temperatura, unite gli anelli di cipolla ed a temperatura sostenuta fateli dorare se non arsicciare; regolate di sale e pepe, unite i pezzetti carne bollita e ripassateli accuratamente per circa 10 minuti, infine versate il cognac o brandy, alzate il fuoco, fate evaporare, rimestate e cospargete con il trito di prezzemolo; impiattate e servite questo gustosissimo bollito, caldo di fornello, o come antipasto o come pietanza.
A questo punto vi suggerisco altri due modi: quarto e quinto modo di preparare e servire un ottimo lesso;
4 – BOLLITO IN SALSA VERDE
Per preparare il lesso si procede come ò indicato nelle due prime ricette; indi (per il terzo modo) si serve il bollito che sia ancòra tiepido diviso in grossi pezzi di cm. 5x4x3 accompagnati dalla seguente, gustosa

salsa verde
ingredienti:
Prezzemolo gr.100,
1 spicchio d'aglio mondato,
6 filetti di acciughe sott’olio,
la mollica di una fetta di pane casareccio bagnata in aceto di vino bianco e poi strizzata,
50 gr di piccoli capperi di Pantelleria,
2 cucchiai di cetriolini sott'aceto,
1 piccola carota lavata, grattata e lessata al dente,
1 bicchiere d’olio extravergine d'oliva,
1 uovo sodo sgusciato.
sale grosso alle erbe q.s.
procedimento:
Lavare accuratamente ed asciugiugare il prezzemolo; lessare la carotina; rassodare l’uovo in acqua bollente (sette minuti) e sgusciarlo sotto un getto d’acqua fredda.
Porre nel frullatore con lame da umido il prezzemolo trinciato grossolanamente,i filetti di acciughe, la carota troncata in piú pezzi, i cetriolini, l’aglio mondato, i capperi, l’uovo sodo diviso in quattro parti ed un pizzico di sale grosso alle erbette e tritare con cura tutti gli ingredienti a velocità bassa aggiungendo a mano a mano tutto l’olio.
5 – BOLLITO CON SOTTACETI
Per l’ultimo modo (il quarto) di servire il bollito preparato come indicato nelle prime due ricette, lo si divide ancòra tiepido in grossi pezzi di cm. 5x4x3 e lo si accompagna con verdurine ed ortaggi (carote,sedano, sedano-rapa) sott’aceto tagliati a julienne, sgrondati del liquido di conservazione (aceto) leggermente salati, pepati ed irrorati con un filo d’olio e.v.
In qualsiasi modo lo si gusti il bollito è sempre comunque buonissimo, se buonissima è la carne con cui lo si prepara !

Ovviamente vini rossi corposi serviti a temperatura ambiente.
raffaele bracale

BOCCONCINI DI VITELLA GUARNITI

BOCCONCINI DI VITELLA GUARNITI
Preparazione lunga, ma gustosissimo risultato garantito !
Ingredienti e dosi per 6 persone
• 1,500 kg di polpa di vitella (noce o spalla) magra tagliata a piccoli pezzi ( 5 cm. x 3 cm.)
• 1 fetta di prosciutto cotto di ca 200 g (tagliata a cubetti)
• alcuni cucchiai di farina.

• 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.,
• Sale doppio q.s.
• Pepe nero q.s.
• 2 Cipolle dorate grandi
• Abbondante Olio di semi per friggere
• Sale fino e Pepe Bianco/decorticato q.s.
• Per La Pastella: -
• 4 Cucchiai Farina - 4 Cucchiai Olio D'oliva - 2 Uova - 1 Pizzico Sale fino - 1 Pizzico Pepe – ¼ di birra
Preparazione
Cominciamo con la pastella;
Preparate la pastella: mettete la farina in una grossa terrina, formate un pozzetto in cui romperete le uova, unite l'olio, un pizzico di sale e pepe ed il quarto di birra. Mescolate energicamente: la pastella deve riuscire liscia, senza grumi e di giusta densità. Lasciatela riposare un'ora. Sbucciate le cipolle e tagliatele ad anelli non troppo sottili. Lasciateli a bagno in acqua fredda per circa mezz'ora. Sgocciolateli, asciugateli bene e dopo averli passati rapidamente nella pastella friggeteli in abbondante olio caldo. Ritirateli con la paletta forata, asciugateli su carta assorbente da cucina, spolverizzate di sale doppio e pepe decorticato e teneteli pronti per servirli.
In una casseruola precedentemente portata a temperatura con il bicchiere d’olio e.v. , inserite i pezzi di vitello abbondantemente infarinati e fateli rosolare da ogni lato; aggiungete il prosciutto cotto tagliato a cubetti, sale e pepe quanto basta.
Cuocete a casseruola coperta per 15 minuti poi a pentola scoperta per altri 20 minuti, aggiungendo se necessario un mestolo di acqua bollente. A cottura ultimata, regolate di sale e pepe ed adagiate i bocconcini su di un piatto di portata irrorati con il fondo di cottura; guarnite con gli anelli di cipolla fritta in pastella e servite.

Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

BOCCONCINI D’AGNELLO CON ORTAGGI IMPASTELLATI

BOCCONCINI D’AGNELLO CON ORTAGGI IMPASTELLATI
gustosissima preparazione da usarsi senza ulteriori contorni come seconda portata oppure per un veloce rompidigiuno.
ingredienti e dosi per 6 persone
per i bocconcini:
1 kg. e mezzo di sella d’agnello in fettine spesse un cm. da cui ricavare dei bocconcini della grandezza d’un pollice,
farina bianca quantum sufficit,
3 uova intere e 3 rossi ,
½ etto di pecorino laticauda grattugiato,
sale fino e pepe nero q.s.
abbondante olio di semi per friggere .
per la pastella degli ortaggi:
Farina 300g,
Sale fino un pizzico,
2 uova e 3 albumi,
3 cucchiai d'olio di semi,
Birra 1/4 di litro, oppure un panetto di lievito di birra,
per la frittura etc.
1 kg di zucchine napoletane piccole verdi e sode,
1kg di melanzane lunghe violette napoletane,
2 cipolle bianche o dorate tagliate ad anelli,
sale fino q.s.
abbondante olio di semi per friggere .
preparazione:

Cominciamo con l’approntare la pastella per gli ortaggi, unendo in una terrina la farina con il sale, le 2 uova intere e l'olio.
Mescolare con una frusta le uova e l'olio con un po' di farina; poi unire la birra o il panetto di lievito sciolto in un bicchiere d’acqua tiepida, ed amalgamare tutta la farina.
Far riposare per circa ½ ora indi montare gli albumi con un pizzico di sale ed incorporarli delicatamente al composto.
Far riposare ancóra per un’altra mezz’ora.
Nel frattempo mondare della tunica esterna le cipolle, lavarle, asciugarle e tagliarle ad anelli spessi ½ cm.; lavare, asciugare e spuntare le zucchine tagliandole poi longitudinalmente in bastoncini della grandezza d’un mignolo; ugualmente privare del calice e lavare le melanzane e senza sbucciarle tagliarle longitudinalmente in bastoncini della grandezza d’un indice eleminando se del caso un eccesso di polpa, e sistemando questi bastoncini in uno scolapasta in piú strati su ognuno dei quali spargere del sale fino (complessivamente un cucchiaio abbondante) e pressarli con un piattino sormontato da un peso di 2 kg tenendoli in pressione per circa ½ ora a decantare l’amaro liquido di vegetazione. Alla fine prelevare i bastoncini di melanzane e sciacquarli sotto un getto d’acqua fredda, strizzandoli decisamente; approntare una padella di ferro nero a bordi alti versandovi abbondante olio di semi e porla a prender temperatura su un fuoco alto; nel mentre tuffare nella pastella in sequenza gli anelli di cipolla, poi i bastoncini di zucchine ed infine quelli di melanzane, friggendoli via via nell’olio profondo e prelevandoli quando siano ben dorati con una schiumarola e deponendoli su carta assorbente da cucina a perdere l’eccesso d’unto; trasferire gli ortaggi fritti nel piatto di portata e solo allora salare ad libitum rimestando a mani nude(senza posate!). Terminata la frittura degli ortaggi, sciacquare velocemente in acqua fredda i bocconcini di agnello ed infarinarli abbondantemente, sbattere a spuma 3 uova intere e i tre rossi avanzati, aggiungere sale, pepe e d il pecorino grattugiato; intingere nelle uova i bocconcini d’agnello infarinati e friggerli fino a doratura in olio di semi bollente e profondo ;unire nel piatto di portata gli ortaggi impastellati con i bocconcini di agnello dorati e fritti, aggiustare di sale e pepe e mandare in tavola. È preparazione ottima da calda, ma resta buona e gustosa anche da tiepida.
Vini: ovviamente Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
nota:
alcuni fanno la pastella per gli ortaggi eliminando le uova (intere e chiare) e in luogo del ¼ di birra, usano solo un piccolo panetto di lievito di birra sciolto in un bicchiere d’acqua tiepido ed amalgamato alla farina ed agli altri ingredienti; se ne ottiene ugualmente una buona pastella , ma certamente meno ricca e perciò meno gustosa; del resto in cucina, come nella vita, le mezze misure non pagano o pagano poco: essere o non essere; tertium non datur!
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.

Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

BISTECCHINE GRATINATE

BISTECCHINE GRATINATE
ingredienti e dosi per 6 persone:
1,5 kg. di bistecchine (cm. 10 x 5 x 1,5) di manzo (pettola di spalla a Napoli, altrove spalla),
1 grossa cipolla dorata tritata,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p. s. a f. ,
1 etto di pecorino grattugiato,
1 etto e mezzo di ricotta di pecora da,
1 tazzina di cognac o brandy,
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro,
farina q.s.
sale fino e pepe bianco q.s.
procedimento
In un tegame antiaderente versare la metà dell’olio ed a fiamma vivace farvi rosolare il trito di cipolla, salare, pepare ed aggiungere un etto di ricotta e far sobbollire per circa 10 minuti; in un altro piú ampio tegame antiaderente mandare a temperatura quasi tutto (riservarne un cucchiaio) il restante olio e sciogliervi il cucchiaio di concentrato; scottare nel sugo (tre minuti per lato) tutte le bistecchine ben infarinate, bagnandole alla fine con il cognac o brandy; regolare di sale e pepe e tenerle in caldo; frattanto amalgamare in un piatto il pecorino grattugiato con un cucchiaio d’olio, uno di ricotta ed un pizzico di pepe. Approntare un tegame da forno, ungerlo con la salsina di cipolla e sistemarvi le bistecchine una accanto all’altra; spalmare su ogni bistecchina un poco di formaggio amalgamato, irrorare il tutto con la salsina residua di cipolla e con quella di pomodoro.Porre il tegame a forno preriscaldato (180°) per circa 15’ fino a che le bistecchine risultino ben gratinate. Servire calde di forno con un contorno di patate fritte o lesse o stufate oppure con un contorno di verdura lessa condita all’agro o stufata.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

SPALLETTONE

SPALLETTONE

Esiste o meglio, esistette fino agli anni ’60 dello scorso secolo, a Napoli un vocabolo che,nel parlare comune, conglobava in sè tutto un vasto ventaglio di significati. È il vocabolo in epigrafe che si dura fatica a spiegare tante essendo le sfumature che esso ingloba.
In primis dirò che con esso vocabolo si indica il saccente, il supponente, il sopracciò,il millantatore, colui che anticamente era definito mastrisso
ovvero colui che si ergeva a dotto e maestro, ma non ne aveva né la cultura, nè il carisma necessarii
Piú chiaramente dirò, per considerare le sfumature che delineano il termine in epigrafe, che vien definito spallettone chi fa le viste d’essere onnisciente, capace di avere le soluzioni di tutti i problemi, specialmente di quelli degli altri , problemi che lo spallettone dice di essere attrezzato per portarli a soluzione , ma (naturalmente!) senza farsi mai coinvolgere in prima persona, ma solo dispensando consigli , che però non poggiano su nessuna conclamata scienza o esperienza, ma son solo frutto della propria saccenteria in virtú della quale non v’è campo dello scibile o del quotidiano vivere in cui lo spallettone non sia versato;l’economia nazionale? E lo spallettone sa come farla girare al meglio. L’educazione dei figli altrui,mai dei propri!,? Lo spallettone, a chiacchiere, sa come farne degli esseri commendevoli e cosí via non v’è cosa che abbia segreti per lo spallettone che,
specialmente quando non sia interpellato,si offre e tenta di imporre la propria presenza dispensando ad iosa consigli non richiesti che – il piú delle volte- comportano in chi li riceve un aggravio delle incombenze, del lavoro e dell’impegno,(senza peraltro assicurare o garantire risultati certi e positivi…) aggravio che va da sé finisce per essere motivo di risentimento e rabbia per il povero individuo fatto segno delle stupide e vacue chiacchiere dello spallettone.
E passiamo a quella che a mio avviso è una accettabile ipotesi etimologica del termine in epigrafe.
Premesso che tutti i compilatori di dizionarî della lingua napoletana, anche i piú moderni,con la sola eccezione forse dell’ avv.to Renato de Falco e del suo Alfabeto napoletano,non fanno riferimento alla lingua parlata, ma esclusivamente a quella scritta nei classici partenopei, va da sé che il termine spallettone non è registrato da nessun calepino, essendo termine troppo moderno ed in uso nel parlato, per esser già presente nei classici.
Orbene io penso che essendo il sostrato dello spallettone, la vuota chiacchiera, è al parlare che bisogna riferirsi nel tentare di indicare una etimologia del termine che, a mio avviso si è formato sul verbo parlettià (ciarlare)con la classica prostesi della S intensiva partenopea, l’assimilazione della R alla L successiva e l’aggiunta del suffisso accrescitivo ONE.
Per concludere potremo definire cosí lo spallettone:ridicolo millantatore, becero, vuoto, malevolo dispensatore di chiacchiere, da non confondere però con il pettegolo (aduso a propalare in giro i fatti del prossimo, fatti appresi talvolta nell’esercio di funzioni pubbliche, funzioni che imporrebbero la segretezza delle notizie conosciute, segretezza che invece dal pettegolo viene bellamente disattesa!...) che è altra cosa e che in napoletano è reso con un termine diverso da spallettone e cioè con il termine: parlettiere.
È possibile tuttavia, anzi càpita spesso, che nella stessa persona si sommino le pessime qualità che sono del parlettiere e dello spallettone, ed in tal caso, a mio avviso, sarebbero o sono perdonabili talune pulsioni omicide avverso il parlettiere-spallettone!
Va da sè che il termine esaminato è esclusivamente maschile;
esiste però un corrispondente termine femminile con i medesimi significati del maschile ed è: ciaccessa piú correttamente scritto con la geminazione iniziale della C : cciaccessa; l’etimo è sconosciuto, ma reputo, stante anche per essa parola il sostrato di un vuoto parlare, che la parola possa essersi formata su di un iniziale ciarlare (voce forse dallo spagnolo chirlare oppure di tipo onomatopeico) secondo il seguente percorso morfologico: ciarlare→ciacciare→ciaccessa.
Raffaele Bracale.

.RIZELARE/ RIZZELARE/ RIZELARSI/RIZZELARSI

RIZELARE/ RIZZELARE/ RIZELARSI/RIZZELARSI
Come accadde per le parole: guaglione e derivati, camorra, guappo e consimili, termini originariamente appartenenti al glossario napoletano, approdati poi nella lingua nazionale, fino ad esser recepite in tutti i dizionarî, penso che – prima o poi la medesima cosa accadrà per i vocaboli in epigrafe: rizelare e rizelarsi; le due parole, ma specialmente la seconda (forma riflessiva della prima) quantunque usate solo nella forma con la zeta scempia, sono sempre piú spesso usate da scrittori e/o giornalisti nel significato di risentirsi o adontarsi il medesimo significato in uso qui nel Reame.
E che esse parole fossero originariamente napoletane può forse dimostrarlo il fatto che , temporibus illis, studente liceale, mi occorse inopinatamente di usarle non virgolettate in un tema ed il mio dotto professore d’italiano me le sottolineò in blu ed annotò in calce al tema che la votazione del medesimo era stata abbassata di un paio di cifre per l’uso disinvolto di voci dialettali in un contesto italiano.
Non so come si comporterebbe oggi (se fosse ancora vivo) quel mio professore davanti all’invasione del verbo rizelarsi usato ormai dal colto e dall’inclita con tranquillità assoluta e non solo da parte di pennaruli partenopei, ma romani, milanesi e piemontesi al segno che qualche lettore pignolo e purista si è preso il fastidio di interpellare l’Accademia della Crusca che però (cfr. il sito relativo) se ne è lavata pilatescamente le mani.
Io non voglio farlo e penso che i verbi in epigrafe siano o possano essere un denominale di zelo agganciati all’infinito zelare che è dal tardo latino:zelare o zelari, ma non nel senso di zelare di nuovo (come potrebbe fare intendere l’iterativo ri d’attacco), quanto in quello di muovere allo zelo, come chi risentitosi per qualcosa o per qualcuno si muovesse con zelo per contrastar quel qualcosa o quel qualcuno.
Raffaele Bracale

AVUTÀ ‘A VALANZA Â VIA ‘O GGRUOSSO

AVUTÀ ‘A VALANZA Â VIA ‘O GGRUOSSO
Ad litteram: Girare la bilancia verso la parte grossa; id est: Ricorrere alle maniere forti dirimendo eventuali questioni in maniera decisa, se non violenta.
Tecnicamente la bilancia in epigrafe è la stadera e cioè un tipo di bilancia, da usarsi a mano libera, con un solo piatto (unito ad un gancio sostenitore per il tramite di quattro catenelle poste a piramide di cui il gancio rappresenta il vertice) ed un lungo braccio graduato sul quale scorre un peso(detto: romano) equilibratore costante; tale stadera era ed è ancóra usata dai venditori ambulanti di erbaggi; il braccio graduato incernierato orizzantalmente sotto il gancio può essere ruotato in una seconda posizione per consentire una pesa eccedente quella consentita dalla prima posizione originaria; tale ruotazione indica correttamente l’ avvenuto spostamento/ giro della bilancia verso la parte grossa e cioè l’averla predisposta alle pesate maggiori,ma per traslato indica che ci si è approntati ad usare le maniere forti; ma spesso, nel procedere alla predetta ruotazione (girare verso il grosso), càpita cheimpropriamente il romano corra verso il piatto in posizione tale che, impugnata per il braccio, con il piatto ed il romano pericolosamente oscillanti o ruotanti ecco che la stadera può veramente assumere la funzione di una pericolosa arma impropria con la quale affrontare e risolvere in maniera decisa eventuali questioni; ed in tal caso pur non essendosi posta la stadera nella esatta posizione, meglio di quest’ultima, tale improprio posizionamento piú icasticamente illustra il significato di essersi attrezzati per usare le maniere forti.
avutà = girare, rotare voce verbale infinito avutà = voltare, girare, volgere (lett.), ma anche mutar parere e/o idea con etimo da un lat. volg. *ad + volvitare→voltare frequentativo di volvere; in voltare si è ottenuto ol+cons.→ou→u;
valànza = bilancia ma qui esattamente stadera ( dal lat. statíra(m), dal gr. statêra, acc. di statér -êros 'statere', denominazione di un peso e di una moneta);
valànza etimologicamente è derivato da un basso latino *bilancia(m), per il class. bilancem, propriamente 'con due (bi=bis) piatti (lances)'con cambio popolare della atona di avvio ed alternanza partenopea b/v;
â via ‘o ggruosso letteralmente alla via del grosso id est: verso la parte (adatta alla pesata) grossa; di per sé via=via, strada, direzione (dall’accus. lat. via(m) ma â via = alla via id est: verso; ggruosso sost. neutro = ciò che è grosso,cose grosse; sostantivo ricavato dall’agg. gruosso = grosso dal lat. grossum; da notare, come visto altrove, che il neutro preceduto dall’articolo ‘o comporta la geminazione della consonante d’avvio del sostantivo ( ‘o ggruosso = ciò che è grosso, le cose grosse; ma l’agg.vo maschile gruosso= il grosso quantunque preceduto dall’art. ‘o va scritto in maniera scempia ‘o gruosso).
romano il peso della stadera (dall'ar. rumman, propr. 'melagrana', per la forma del peso simile a quella della melagrana.
Raffaele Bracale

METTERE o MENÀ ‘O VELLÍCULO Ô FFUOCO

METTERE o MENÀ ‘O VELLÍCULO Ô FFUOCO
Letteralmente: Mettere o buttare l’ombelico ( piú esattamente il cordone ombelicale) al fuoco. Antica espressione partenopea risalente addirittura al ‘600 (attestata nel Cortese, Basile, Trinchera ed altri, con la quale si era e si è soliti riferirsi all’atteggiamento da profittatore di chi, non invitato, faceva o fa in modo di appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti in occasione di una qualche ricorrenza o festività per partecipare ad una approntata festa, comportante distribuzione, spesso abbondante , di cibi e bevande; oppure appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita, invito in uso tra i napoletani che non lesinano a nessuno un pasto o una libagione.Di chi, non espressamente invitato, si comportasse in modo di trovarsi presente all’ora dei desinari, scroccando l’invito a tavola si diceva e si dice che aveva miso o aveva menato ‘o velliculo ô ffuoco! L’espressione nacque allorché, in tempi andati, le donne partorivano in casa assistite da una o piú levatrici dette mammàne oppure meno opportunamente (e qui di sèguito chiarisco)vammane Costoro una volta che la puerpera aveva partorito erano use tagliare il cordone ombelicale del bambino o bambina nato/a e buttare, con intento augurale, nel fuoco del braciere o del focolare il pezzo di cordone tagliato. A questa funzione seguiva un immediato festeggiamento con ampia distribuzione di cibo e bevande, festeggiamento cui partecipavano oltre i genitori ed i parenti prossimi del neonato o neonata, la/le mammana/e e tutti coloro che, invitati o no, fossero intervenuti al rito della ustione del cordone ombelicale. Dalla imitazione di questa situazione nacque il modo di dire di cui all’epigrafe riferita a tutti coloro che profittassero di una ricorrenza o festività per partecipare senza invito ad una approntata festa, comportante distribuzione, spesso grande, di cibi e bevande; oppure riferita a tutti coloro che avessero l’abitudine di presentarsi, senza preventivamente annunciarsi, in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita. Tutto quanto qui detto è da riferirsi espressamente al cittadino privato che approfitti di una situazione festevole per parteciparvi e satollarsi di cibo o bevande. Per indicare il medesimo atteggiamento da profittatore tenuto inizialmente non da comuni cittadini. ma da militari a Napoli fu in uso un tempo l’espressione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda id est: scroccare, profittare a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che viene tuttora usata quando si voglia commentare il violento atteggiamento di chi vuole scroccare qualcosa o, piú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis, al tempo del viceregno spagnolo (1503 e ss.) i soldati iberici, di stanza in quelli che poi sarebbero stati chiamati quartieri (spagnoli) a monte della strada di Toledo, erano usi aggirarsi all’ora dei pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate, lí poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti. Da questa abitudine prese vita la locuzione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda che valse dapprima : scroccare, profittare a spese altrui di un pasto e poi estensivamente profittare di una qualsivoglia situazione opportuna per conseguirne risultati favorevoli Si tratta dunque di espressione dal significato un po’ piú esteso di quella in epigrafe che è invece usata piú limitatamente per commentare l’atteggiamento di chi ottenga, contendandosene,beneficî molto circoscritti (quali cibi e bevande elargiti durante un festeggiamento).

note linguistiche
mettere = disporre, collocare, porre (anche fig.) indossare, vestire etc. dal lat. mittere 'mandare' e poi 'porre, mettere';
menà = buttare, sospingere dentro o fuori ed anche, ma meno comunemente, trascorrere, passare, vivere ed estensivamente assestare, dare con forza, picchiare; l’etimo è dal tardo lat. minare, propr. 'spingere innanzi gli animali con grida e percosse', deriv. di minae 'minacce';
velliculo = letteralmente ombelico, ma nella fattispecie solo una parte di esso e cioè il cordone ombelicale quello che una volta che sia reciso lascia un mozzicone che opportunamente legato e ripiegato verso l’interno forma il vero e proprioombelico;l’etimo di velliculo è il medesimo di ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós 'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi della prima sillaba um, il passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.) ed il raddoppiamento espressivo della liquida nella sillaba li→lli;
vammana/ mammana = levatrice, donna esperta che assiste le partorienti; per il vero nel parlato comune popolare la voce usata per indicare la levatrice e cioè colei che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto è mammàna con derivazione da un lat. volgare *mammàna(m); la voce vammana ( pur derivata dalla medesima voce del lat. volgare *mammàna(m)) ma con forma dissimilata nella cons. d’avvio che da mammàna passa a vammana è usata, nel parlato comune popolare, non per indicare una vera e propria levatrice che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto, ma per significare, in senso dispregiativo, quelle praticone, prive di adeguata preparazione, ma non di esperienza, aduse a praticare pratiche abortive(spesso con mezzi di fortuna, inidonei e pericolosi).
appujià = appoggiare, poggiare, avvicinare una cosa a un'altra che la sorregga, (fig.) aiutare, favorire; sostenere; l’etimo della voce napoletana, cosí come della corrispondente dell’italiano è dal lat. volg. *appodiare, deriv. del lat. podium 'piedistallo' ma nel verbo napoletano è avvenuta la chiusura della tonica ō →u, è caduta la dentale d e s’è adottato il suono di transizione j
Raffaele Bracale

martedì 30 dicembre 2008

IL VERBO NAPOLETANO: ‘NTALLIARSE

IL VERBO NAPOLETANO: ‘NTALLIARSE

Ilverbo in epigrafe, usato già dagli autori del 1700 e mai abbandonato anche da quelli contemporanei offre un variegato ventaglio di significati tutti però riconducibili alla cosiddetta perdita di tempo.
Il primo significato è quello di indugiare, attardarsi e viene usato soprattutto nei riguardi di quegli adulti lenti all’agire, che prima di far qualcosa si attardano pretestuosamente;
un secondo significato (riferito quasi esclusivamente ai ragazzi/e) è quello di perdere il tempo gingillandosi e bamboleggiando.
Detto ciò etimologicamente mi pare che il verbo – nel suo primo significato sia ipotizzabile derivare dal latino in + talos (star sui talloni) atteso che l’indugiare comporta quasi lo star fermo se non immobile sui talloni;
nel secondo significato reputo che il verbo potrebbe o possa invece, etimologicamente, far pensare al greco en-thallein (germogliare) cosa che è tipica dei ragazzi che germogliano alla vita e non ànno ancòra compiuto la loro evoluzione e gradiscono gingillarsi piuttosto che affrettarsi
Raffaele Bracale

‘NCIGNÀ E ‘NGIGNÀ.

‘NCIGNÀ E ‘NGIGNÀ.
Ò dovuto registrare con mio sommo rammarico che i due vocaboli in epigrafe dalla maggior parte dei lessicografi partenopei sono registrati come sinonimi e piú precisamente siano riportati ambedue con il significato di inaugurare, principiare et consimilia.Orbene tale significato – a mio avviso – si attaglia perfettamente al termine ‘ncignà disceso dal tardo latino encaeniare modellato su di un greco kainòs (nuovo); ma il significato di ‘ngignà è invece molto diverso e sta per darsi da fare, arrabattarsi pur di raggiungere uno scopo, cosa molto diversa dal principiare che è propria dello ‘ncignà; è vero che spesso in napoletano capita che una C di partenza si evolva in G magari perdendo l’originario suono palatale per assumerne uno gutturale, ma non penso che questo sia il caso dei due vocaboli in epigrafe, troppo diversi di significato per poter discendere dallo stesso verbo tardo latino.
In conclusione mentre reputo lo ‘ncignà parola atta a significare il principiare, nego ciò per lo ‘ngignà che presumo discenda invece da un tardo latino ingeniari (e) dal classico ingenium e significhi: impegnarsi a raggiungere uno scopo per cui non posso ritenere i due verbi sinonimi.
Raffaele Bracale

METTERE o MENÀ ‘O VELLÍCULO Ô FFUOCO

METTERE o MENÀ ‘O VELLÍCULO Ô FFUOCO

Letteralmente: Mettere o buttare l’ombelico ( piú esattamente il cordone ombelicale) al fuoco. Antica espressione partenopea risalente addirittura al ‘600 (attestata nel Cortese, Basile, Trinchera ed altri, con la quale si era e si è soliti riferirsi all’atteggiamento da profittatore di chi, non invitato, faceva o fa in modo di appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti in occasione di una qualche ricorrenza o festività per partecipare ad una approntata festa, comportante distribuzione, spesso abbondante , di cibi e bevande; oppure appalesarsi in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita, invito in uso tra i napoletani che non lesinano a nessuno un pasto o una libagione.Di chi, non espressamente invitato, si comportasse in modo di trovarsi presente all’ora dei desinari, scroccando l’invito a tavola si diceva e si dice che aveva miso o aveva menato ‘o velliculo ô ffuoco! L’espressione nacque allorché, in tempi andati, le donne partorivano in casa assistite da una o piú levatrici dette mammàne oppure meno opportunamente (e qui di sèguito chiarisco)vammane Costoro una volta che la puerpera aveva partorito erano use tagliare il cordone ombelicale del bambino o bambina nato/a e buttare, con intento augurale, nel fuoco del braciere o del focolare il pezzo di cordone tagliato. A questa funzione seguiva un immediato festeggiamento con ampia distribuzione di cibo e bevande, festeggiamento cui partecipavano oltre i genitori ed i parenti prossimi del neonato o neonata, la/le mammana/e e tutti coloro che, invitati o no, fossero intervenuti al rito della ustione del cordone ombelicale. Dalla imitazione di questa situazione nacque il modo di dire di cui all’epigrafe riferita a tutti coloro che profittassero di una ricorrenza o festività per partecipare senza invito ad una approntata festa, comportante distribuzione, spesso grande, di cibi e bevande; oppure riferita a tutti coloro che avessero l’abitudine di presentarsi, senza preventivamente annunciarsi, in casa di amici e/o semplici conoscenti all’orario del desinare nell’intento di scroccare un invito alla tavola imbandita. Tutto quanto qui detto è da riferirsi espressamente al cittadino privato che approfitti di una situazione festevole per parteciparvi e satollarsi di cibo o bevande. Per indicare il medesimo atteggiamento da profittatore tenuto inizialmente non da comuni cittadini. ma da militari a Napoli fu in uso un tempo l’espressione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda id est: scroccare, profittare a spese altrui. Locuzione antichissima risalente al periodo viceregnale, ma che viene tuttora usata quando si voglia commentare il violento atteggiamento di chi vuole scroccare qualcosa o, piú genericamente, intende profittare di una situazione per conseguire risultati favorevoli, ma non espressamente previsti per lui. Temporibus illis, al tempo del viceregno spagnolo (1503 e ss.) i soldati iberici, di stanza in quelli che poi sarebbero stati chiamati quartieri (spagnoli) a monte della strada di Toledo, erano usi aggirarsi all’ora dei pasti per le strade della città di Napoli e fermandosi presso gli usci là dove annusavano odore di cibarie approntate, lí poggiavano la propria alabarda volendo significare con detto gesto di aver conquistato la posizione; entravano allora nelle case e si accomodavano a tavola per consumare a scrocco i pasti. Da questa abitudine prese vita la locuzione appujià ‘a libbarda (poggiare l’alabarda) Ad litteram: appoggiare l’alabarda che valse dapprima : scroccare, profittare a spese altrui di un pasto e poi estensivamente profittare di una qualsivoglia situazione opportuna per conseguirne risultati favorevoli Si tratta dunque di espressione dal significato un po’ piú esteso di quella in epigrafe che è invece usata piú limitatamente per commentare l’atteggiamento di chi ottenga, contendandosene,beneficî molto circoscritti (quali cibi e bevande elargiti durante un festeggiamento).

note linguistiche
mettere = disporre, collocare, porre (anche fig.) indossare, vestire etc. dal lat. mittere 'mandare' e poi 'porre, mettere';
menà = buttare, sospingere dentro o fuori ed anche, ma meno comunemente, trascorrere, passare, vivere ed estensivamente assestare, dare con forza, picchiare; l’etimo è dal tardo lat. minare, propr. 'spingere innanzi gli animali con grida e percosse', deriv. di minae 'minacce';
velliculo = letteralmente ombelico, ma nella fattispecie solo una parte di esso e cioè il cordone ombelicale quello che una volta che sia reciso lascia un mozzicone che opportunamente legato e ripiegato verso l’interno forma il vero e proprioombelico;l’etimo di velliculo è il medesimo di ombelico e cioè il lat. umbilicu(m), affine al gr. omphalós 'bottone, ombelico' con la differenza che per il napoletano si è avuta l’aferesi della prima sillaba um, il passaggio di b a v (come altrove: bucca(m)→vocca barca→varca etc.) ed il raddoppiamento espressivo della liquida nella sillaba li→lli;
vammana/ mammana = levatrice, donna esperta che assiste le partorienti; per il vero nel parlato comune popolare la voce usata per indicare la levatrice e cioè colei che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto è mammàna con derivazione da un lat. volgare *mammàna(m); la voce vammana ( pur derivata dalla medesima voce del lat. volgare *mammàna(m)) ma con forma dissimilata nella cons. d’avvio che da mammàna passa a vammana è usata, nel parlato comune popolare, non per indicare una vera e propria levatrice che assiste la puerpera e ne raccoglie il parto, ma per significare, in senso dispregiativo, quelle praticone, prive di adeguata preparazione, ma non di esperienza, aduse a praticare pratiche abortive(spesso con mezzi di fortuna, inidonei e pericolosi).
appujià = appoggiare, poggiare, avvicinare una cosa a un'altra che la sorregga, (fig.) aiutare, favorire; sostenere; l’etimo della voce napoletana, cosí come della corrispondente dell’italiano è dal lat. volg. *appodiare, deriv. del lat. podium 'piedistallo' ma nel verbo napoletano è avvenuta la chiusura della tonica ō →u, è caduta la dentale d e s’è adottato il suono di transizione j
Raffaele Bracale

MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.

MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA.

Letteralmente: mannaggia il topolino e straccio bagnato.
Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale.
Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione
Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia.
1 – (avv. Renato de Falco) L’illustre amico e scrittore di cose napoletane reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico De Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato De Falco, non posso addivenire alla sua idea.
2 –(prof. Francesco D’Ascoli) Il defunto professore (parce sepulto!) nel suo per altro informato LA FILOSOFIA POPOLARE NAPOLETANA, sbrigò la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione.
3 – (dr. Sergio Zazzera)L’ottimo dr. Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via uno stoppaccio non si comprende perché umido.
A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di detta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare.Volendo dire: È entrato il topino?Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare:lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura e procediamo alla cattura!
Ma poiché fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente.
Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. A. Messina che vede nel suricillo – per il tramite di un xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula – il membro maschile...
Peraltro l’amico prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano – oltre quelle che significavano il danaro - quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna.
Ecco dunque che , messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna si possa addivenire
a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre che non era… il tempo adatto, giacché sebbene ‘o suricillo fosse inastato, ‘a pezza ...era ‘nfosa e dunque l’accesso sconsigliato o vietato!
Raffaele Bracale.

: FIGLIO ‘E ‘NTROCCHIA

: FIGLIO ‘E ‘NTROCCHIA –
significato ed etimologia.

Con l’espressione figlio ‘e ‘ntrocchia nella lingua napoletana si suole indicare il giovanetto sveglio, furbo, pronto di mente e d’azione, capace di destare e l’ammirazione per la prontezza della sua mente, e – per contro - la preoccupazione per l’immediatezza delle sue azioni capaci di procurar danno. Ad ogni buon conto l’espressione, pur offensiva, à una sua valenza positiva anche se è usato eufemisticamente a significare figlio di zoccola,o di puttana
partendo dall’assunto che un figlio generato da donna di malaffare, e perciò cresciuto in un ambiente malfamato , che costringe però ad esser furbi, desti e pronti di mano e di mente, debba necessariamente esser tutto ciò.Ė comunque offensivo dar del figlio ‘e ‘ntrocchia a qualcuno stante il significato della parola ‘ntrocchia.
E veniamo all’etimologia della parola ‘ntrocchia, perché per figlio, nulla quaestio.
Ò sentito dire e addirittura letto,con raccapriccio che l’espressione deriverebbe da un latino : intra oculos(?)nella pretesa che ‘o figlio ‘e ‘ntrocchia è quello capace di farti qualcosa negli occhi, senza che tu te ne possa accogere. Orbene, anche ammettendo che ‘o figlio ‘e ‘ntrocchia possa agire in tal guisa, ciò che non regge è il mettere in rapporto la parola ‘ntrocchia con l’espressione intra oculos e per un chiaro motivo logico: è il figlio della ‘ntrocchia che – seconfdo la pretesa etimologia - dovrebbe agire con repentina destrezza, non la ‘ntrocchia e a noi interessa invece sapere da dove derivi la parola ‘ntrocchia, per cui penso che debba scartarsi tale ipotesi , parecchio fantasiosa, e non supportata da alcun puntello piú o meno scientifico.Ugualmente penso sia da scartare quanto proposto dall’ amico avv.to Renato de Falco che congettura per figlio ‘e ‘ntrocchia un figlio concepito ‘int’ â rocchia; il problema è sempre il medesimo:a noi non interessa cosa faccia o come e da chi sia stato generato il figlio ‘e ‘ntrocchia, bensí chi sia la ‘ntrocchia.
Posto dunque che ‘ntrocchia sta per zoccola o puttana, occorre verificare se vi siano seri aggangi ad altri lemmi che abbiano simile significato e perché l’uno sia ricondicibile all’altro.
Reputo che la strada piú plausibile per giungere a ‘ntrocchia nel significato di puttana sia quella che prende l’avvio da un antico latino:antorca(m) (fiaccola) ed il suo dimunitivo antorcula(m) plasmato a sua volta su di un in torculum (in giro) ed in effetti la meretrice svolgeva e svolge il suo mestiere in giro, magari illuminando il suo posto di lavoro, temporibus illis con fiaccole, oggi con falò; da antorcula per metatesi interna e sincope si ottiene antrocla; normale poi il passaggio di cl in cchi – come macula(m) divenuto macchia etc. da antorcchia per aferesi e metatesi interna si va a ‘ntrocchia .Ed il gioco è fatto.
Raffaele Bracale

FANNULLONE,BIGHELLONE etc.

FANNULLONE,BIGHELLONE etc.
Fcciamo, questa volta un breve, veloce excursus dei termini napoletani che rendono quelli toscani dell’epigrafe: fannullone( che è propriamente la persona oziosa che non vuole e vorrebbe fare nulla, etimologicamente comp. di fa ( 3° p. sing.ind. pres. del verbo fare) e nulla (dal lat. nulla, neutro pl. di nullus 'nessuno';), col suff. accrescitivo –one), bighellone (che è chi perde il suo tempo, andando in giro senza addivenire a nulla, etimologicamente accrescitivo (per il tramite del suffisso one di un antico bigollo o pigollo = trottola)
sfaticato (chi si sottrae volontariamente e per scelta di vita al lavoro, alla fatica, , etimologicamente da fatica lat. volg. fatiga(m), deriv. di fatigare 'prostrare, stancare' con un prefisso s di tipo distrattivo) ed altri consimili.
In napoletano abbiamo:
- funa fraceta id est: fune fradicia dunque inservibile e quindi inoperosa; l’aggettivo fraceta è per metatesi dal latino: fradicius dal verbo fracere=infradicire,
- francalasso che è propriamente il bighellone, colui che ozia andandosene in giro senza meta e/o scopo; etimologicamente formato, come il suo omologo michelasso, dall’addizione di un nome proprio (qui franco, lí michele) e dell’aggettivo lasso che è dal lat. lassu(m); cfr. lassare 'stancare'da intendersi in senso ironico ed antifrastico, atteso che chi non lavora, non può stancarsi; il perché di quei due nomi e non altri è ignoto,ma forse non gli è estraneo il fatto che in napoletano franco sta per libero, senza costrizioni e dunque senza impegni, mentre michele è usato nel senso duro, ma affettuoso di sciocco, inetto, una persona cui non si affiderebbe un lavoro o impegno, nel timore che lo mancasse,
- pierdetiempo che è esattamente il perdigiorno toscano; etimologicamente formato unendo la seconda persona dell’ind. presente del verbo perdere che è dal lat. perdere, comp. di per 'al di là, oltre' e dare 'dare' e al sostantivo tiempo= tempo, tiempo è, come il toscano tempo, dal latino tĕmpu(s) ma con tipica dittongazione ie nella sillaba breve (o intesa tale) d’avvio te.
- sfatecato e sfacennato che sono l’esatto adattamento dialettale dei toscani sfaticato e sfaccendato; al primo abbiamo già accennato; il secondo: sfacennato è marcato su sfaccendato con sincope di una c, assimilazione progressiva d→n = nn da un latino facienda particio futuro passivo di facere (cose da farsi ) con il prefisso distrattivo s: senza cose da fare, id est: chi non à niente da fare;

veniamo ora a ad altri termini partenopei che pur essi designano il fannullone, il bighellone e simili, ma non trovano somiglianza nel toscano; e sono
- scemiatore di per sé il finto tonto, il falso sciocco colui che per non ottemperare ad un quid richiestogli, fa l’indiano o come piú correttamente detto in napoletano fa ‘o francese dando ad intendere di non aver compreso, esimendosi perciò dal prestare la propria opera; ricorderò che fa ‘o francese ad litteram è fare il francese; id est: far vista di non intendere ciò che venga detto, fingere di non comprendere soprattutto quando il comprendere , comporterebbe il dover eseguire per es. un ordine ricevuto o comporterebbe il doversi applicare in azioni o operazioni faticose e perciò sgradite. La locuzione in epigrafe corrisponde all’incirca come ricordato, al fare l’indiano della lingua italiana; ma l’espressione napoletana è, per i napoletani, molto piú storicamente corretta di quella italiana , non risultando che i partenopei abbiano avuto grandi rapporti con gli indiani sia delle Indie che delle Americhe, mentre ebbero molto a che spartire con gli invasori francesi coi quali si crearono grandi problemi di comprensione reciproca.
- scemiatore è un deverbale (attraverso il noto suffisso di scopo o fine: tore) di scemià che è il comportarsi come or ora cennato, ed etimologicamente è da un basso latino ex-simare,
- Stracquachiazze propriamente il bighellone aduso ad un cosí lungo, continuo, ma inconferente girovagare tale da addirittura consumare, stancar le piazze; di per sé il verbo stracquà che con il sostantivo chiazze plurale di chiazza (=piazza dal latino platea) indicherebbe lo spiovere, il venir meno della pioggia, ma qui estensivamente sta per il venir meno… delle forze o della consistenza strutturale delle ipotetiche piazze calpestate, senza tregua dal perdigiorno di turno,
- Strafalario esattamente lo scansafatiche inveterato, il fannullone patentato: parola che riproduce quasi in pieno lo spagnolo estrafàlario di medesimo significato.
Questo strafalario è parola che al mio orecchio suona molto bene e non nascondo che mi occorse di usarla talvolta in qualche compito, al tempo del liceo, in un contesto di lingua nazionale, accapigliandomene poi con il professore di lettere.
 Raffaele Bracale

RICUTTARO.

RICUTTARO.

Da sempre il lenocinio è stato praticato da piccoli furfantelli e/o camorristi; temporibus illis (fine ‘800) i piccoli furfanti e/o camorristi erano arrestati e spesso finivano sotto processo con minaccia di pena certa; durante tali processi furfanti e camorristi erano difesi da avvocati che (se non appartenenti alla camorra) esigevano congrue parcelle. All’uopo provvedevano i compagni (piccoli furfanti e/o camorristi) dei detenuti che procedevano ad una questua piú o meno vessatoria tra i piccoli commercianti e bottegai che aprivano i loro esercizî o nel rione in cui operavano i furfanti/camorristi finiti sotto processo o anche nelle strade adiacenti il tribunale o le carceri. Tale questua finalizzata fu detta ‘a recoveta (la raccolta); da recoveta a recotta il passo è breve ed ancora di piú lo è da recotta a recuttaro/ricuttaro di modo che con l’espressione fa ‘a recotta (fare la ricotta) non si significò produrre il tipico gustoso latticinoricavato dal latte vaccino o piú opportunamente di pecora, ma si indicò l’azione di coloro che facessero quella vessatoria raccolta rammentata , e giacché poi quei medesimi raccoglitori spesso si dedicavano al lenocinio e sfruttamento della prostituzione, furono indicati con la voce ricuttaro/recuttaro voci che estensivamente furono ed ancora sono in uso nel napoletano per indicare chiunque sfrutti qualcuno in qualsiasi campo.
raffaele bracale

lunedì 29 dicembre 2008

ARROSTO DI ANNECCHIA* AL FORNO

ARROSTO DI ANNECCHIA* AL FORNO
Per la preparazione di questa succulenta ricetta, se si vuole ottener il miglior risultato occorre fornirsi in macelleria di un pezzo abbastanza grosso di carne non di manzo, ma rigorosamente di vitello/a anzi di *annecchia che con derivazione dal lat. annicula→anniclja→annecchia indica il vitello o la vitella molto giovane quella bestia cioè sia stata macellata quando non abbia superato l’anno d’età ed abbia gustose carni sode, morbide e non grasse (occorrerà infatti steccarle).

Ingredienti per 6 persone:
• da 1,5 kg. a 2 kg. di pezza a cannella,(altrove) noce di vitello/a giovanissimi,
1 cucchiaio di sugna,
• un rametto di rosmarino,
• 2 spicchi di aglio mondati e spaccati in due parti,
• 1 bicchiere e mezzo di vino bianco secco,
• 1 bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f. ,
2 etti di pancetta tesa o lardo di groppa tagliati a bastoncini di cm. 5x2x1,
• sale fino e pepe nero q.s.


procedimento
Incidete il grosso pezzo di carne in 3 o 4 punti con un coltello a lama appuntita ed affilatissima e infilatevi i pezzi di aglio, i rametti di rosmarino e i bastoncini di pancetta o lardo, salatela e pepatela; legatela con uno spago da cucina per mantenerla in forma durante la cottura e mettetela in una casseruola con lo strutto, irroratela con tutto l’ olio e ponete il recipiente sul fuoco.
Fate rosolare la carne a fuoco vivace per qualche minuto, rigirandola spesso.
Quando si presenterà ben colorita, bagnatela con il vino bianco e lasciatelo evaporare.
Passate il recipiente in forno preriscaldato a 180° e lasciate cuocere la carne per un'ora e mezzo circa.
Durante la cottura, aprite il forno di tanto in tanto e cospargete la carne con il sughetto che raccoglierete con un cucchiaio.
Se necessario, aggiungete acqua bollente. A fine cottura sgocciolate la carne dal sugo, affettatela in fette spesse 1 cm., disponete le fette su un piatto caldo ed irrorate con il sughetto.
Servite in tavola accompagnando l’arrosto con un contorno di patate fritte o in umido o con verdure bollite e condite all’agro con olio,aglio, sale e limone.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

AGNELLONE Â CACCIATORA

AGNELLONE Â CACCIATORA
Ingredienti per 6 persone:

2 kg. di spezzato di groppa d’ agnellone in pezzi di ca cm. 4 x 6 x 5
1 cucchiaio di strutto
½ bicchiere d’olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
1/2 bicchiere di aceto
4 acciughe dissalate lavate e spinate o equivalenti filetti d’acciuga sott’olio
farina q.s.
1 spicchio d’Aglio mondato ed affettato
½ cipolla dorata tritata grossolanamente
400 gr. di polpa di pomodoro
Rosmarino q.s.
Salvia q.s.
Sale fino e pepe bianco q.s.
Procedimento
Lavare ed asciugare i pezzi d’agnellone, infarinarli accuratamente e farli rosolare a fuoco vivo con lo strutto e l’olio assieme alla cipolla tritata; appena rosolati unire la polpa di pomodoro ed infine aggiungere sale, pepe e spolverizzare il tutto con un battuto di aglio, rosmarino e salvia. Bagnare l'agnellone con l'aceto e 1/2 bicchiere d'acqua.
Cuocere la carne per circa un’ora a fuoco moderato mescolandola con cura per non farla attaccare.
Nel frattempo mettere in un tegamino tutte le acciughe schiacciate con un filo d’olio, stemperarle e mescolare fino
ad ottenere una salsina che verrà aggiunta alla carne a cottura ultimata.

Nota
allo spezzato d’agnellone si può sostituire vantaggiosamente un coscio di capretto disossato, e tagliato in grossi pezzi.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente.

Mangia Napoli, bbona salute! E faciteve ‘a scarpetta!

raffaele bracale

AGNELLO AL PECORINO

AGNELLO AL PECORINO

Ingredienti (per 6 persone):
2 kg di spezzatino di groppa d'agnello,(pezzi di cm. 5x5x3)
1 bicchiere di aceto,
il succo di due limoni non trattati,
2 spicchi d'aglio in camicia schiacciati,
500 gr. di pomidoro da sugo ben maturi,
3 peperoni quadrilobati (due gialli ed uno rosso) ,
100 gr. di olive nere di Itri/Gaeta denocciolate, 1 cucchiaio di capperini di Pantelleria dissalati e sciacquati,
1 rametto di rosmarino, 3 foglie di alloro fresco,
200 gr. di formaggio pecorino laticauda in cubetti di un cm. di spigolo,
1 bicchiere d’olio d'oliva e.v.p.s. a f.,
sale fino e pepe nero q.s.

Preparazione: In una terrina mettete la carne d'agnello
tagliata a spezzatino, bagnatela dapprima con l'aceto e poi con il succo di limone, salate e pepate ad libitum.
Unite qualche foglia di alloro e lasciate marinare per un paio d'ore. Togliete dalla marinata la carne e in una casseruola rosolatela con l'olio, aggiungete gli spicchi d'aglio e i peperoni tagliati in falde della grandezza d’un pollice. Mescolate qualche minuto e poi unite la polpa dei pomidoro scottati, spellati e tagliati in cubetti; aggiungete il rametto di rosmarino e cuocete, a pentola coperta, per circa un'ora a fuoco moderato e mescolando di tanto in tanto; salate ancóra se occorre e se il sugo si restringesse troppo diluitelo con una tazza da tè di acqua calda.
Unite le olive snocciolate, i capperi dissalati ed il formaggio pecorino tagliato a cubettini.Mescolate e mantenete su fuoco vivo ancóra per 5 minuti. Servite súbito caldo di fornello questo gustosissimo agnello.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
E facíteve ‘a scarpetta!

raffaele bracale

AVIMMO PERDUTO 'APARATURA E 'E CENTRELLE.

AVIMMO PERDUTO 'APARATURA E 'E CENTRELLE.
Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature o apparature (etimologicamente deverbale d’un basso latino ad+ parare =addobbare; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliassero, fino a distruggerli gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini o bullette(in napoletano centrelle dal greco kéntron= chiodo) usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché.
brak

ACCUSSÍ À DDA JÍ

ACCUSSÍ À DDA JÍ
Ad litteram : cosí deve andare; fatalistica espressione con la quale a Napoli si suole accettare tutte quelle situazioni che non possono essere eluse o evitate e alle quali perciò bisogna - sia pure obtorto collo - soggiacere.Talvolta per completamento della frase in epigrafe ed a significare un totale abbondono in un Ente supremo che, si pensa, muova tutti gli accadimenti umani, si aggiunge un religioso e rassegnato e accussí sia ( e cosí sia).
brak

ACCURTÀ ‘E PASSE A QUACCHEDUNO

ACCURTÀ ‘E PASSE A QUACCHEDUNO
Ad litteram:accorciare (ridurre) i passi a qualcuno; id est: ridimensionare i movimenti di qualcuno al fine di impedirgli di procedere oltre; detto soprattutto di chi - mostratosi troppo supponente - si stia comportando conseguentemente con boria e vacua baldanza; ebbene è buona norma che costui venga ridimensionato, con parole ed atti, perché comprenda quali sono i limiti nei quali deve muoversi e non li ecceda.
brak

BARDASCIA & DINTORNI

BARDASCIA & DINTORNI


Con la voce bardascia (che si ritrova anche nel siciliano con varie significazioni spesso di comodo, ma semanticamente inesatte (basti pensare alla terminazione in a della parola che è di genere femminile e viene riferita al maschile...) quali: monello, giovane omosessuale etc. ) in napoletano si indica null’altro che una ragazza e spesso questa parola (ora quasi del tutto desueta) la si poteva incontrare nel napoletano d’antan con un simpatico diminutivo – vezzeggiativo: bardascella = ragazzina. L’ etimologia di bardascia è originariamente dal persiano bardal attraverso l’ arabo: bardağ dove è propriamente la prigioniera, la schiava giovane ed estensivamente la ragazza cosí come nella lingua napoletana. La voce napoletana bardascia à tuttavia una tenue assonanza con la voce italiana(con la quale ovviamente non deve confondersi!) bagascia che è la meretrice; la voce bardascia non va confusa altresí con il termine partenopeo vajassa che indica la serva, la fantesca;e che proviene dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in toscano si generò bagascia= meretrice.Quella ricordata assonanza tra le voci bardascia, bagascia, vajassa determina spesso tra i meno esperti della lingua napoletana una innesatta confusione tra i significati dei termini provocando un conseguenziale marchiano errore nel loro campo d’applicazione.
Raffaele Bracale

VARIE 36

1 San Dunato, san Dunato: simmo tutte struppïate chillu llà cchiú bunariello tène 'a guallera e 'o scartiello.
Filastrocca autoconsolatoria che sogliono ripetersi l'un l'altro i componenti un consesso nel quale nessuno sia esente da malanni o pecche fisiche; in italiano, suona: san Donato, san Donato siamo tutti conciati male; il migliore tra di noi à l'ernia e la gobba!
guallera = ernia inguinale sost. femm. dall’arabo wadara.
scartiello = gobba posteriore sost. maschile proviene da un antico latino: cartellus (cesta/ gerla) che erano portate, proprio come una gobba posteriore, sulle spalle.
2 Jí truvanno scescé.
Letteralmente: andare in cerca di pretesti, scuse se non esimenti per non fare qualcosa o cercare un appiglio per litigare. Il termine scescé non incarna una parola precisa, ma significa tutta una situazione: quella della pretestuosa ricerca e arriva nel napoletano per il tramite del francese chercher: cercare e sta a significare il tipico reiterato andare e venire di chi cerca un quid, ma non sa bene quale esso sia e perché lo si cerchi.Con tutta probabilità durante la dominazione murattiana (1808 – 1815) un soldato francese interrogato da un popolano su cosa desiderasse rispose con una frase contenente il verbo chercher (cercare) ed il popolano che non conosceva l’idioma francese avvertí lo chercher come scescé e comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava in cerca di un non meglio identificato scescé) che da quel momento identificò scuse, pretesti e/o appigli imprecisati come imprecisato era stato lo scescé del soldato francese.
3 Essere ditto tòrtano e senza 'nzogna.
Letteralmente: esser chiamato tortano, ma esser sprovvisto di sugna.Colui che viene indicato responsabile di qualcosa di cui - comprovatamente - non sia stato autore suole ribellarsi con la locuzione in epigrafe affermando cioè che non lo si può chiamare tòrtano, dal momento che egli è privo di strutto (elemento essenziale della ciambella rustica détta tòrtano). Per intendere a pieno il significato della frase bisogna sapere che il tòrtano (dal lat. tortilis= ripiegato, attorcigliato) è una grossa ciambella rustica tipica del periodo pasquale, ricca di uova, salumi, provolone e formaggi, ma soprattutto di strutto che se manca non permette alla preparazione culinaria di esser détta: tòrtano; alla stessa stregua, non si potrebbe dare del ladro ad uno se non si avesse la prova provata del suo ladrocinio.
la voce ‘nzogna= indica la sugna, lo strutto ricavato dal grasso di maiale e circa l’origine della parola sgombriamo súbito il campo dall’idea (maldestramente messa in giro da qualcuno che nzogna, (non ‘nzogna) possa essere un adattamento dell’ antico italiano sogna(sugna) con protesi di una n eufonica e dunque non esigente il segno d’aferesi (‘) e successivo passaggio di ns→nz, dal latino (a)xungia(m), comp. di axis 'asse' e ungere 'ungere'; propr. 'grasso con cui si spalma l'assale del carro'; occorre ricordare infatti che nel tardo latino con la voce axungia si finí per indicare un asse di carro e non certamente il condimento derivato dal grasso di maiale liquefatto ad alta temperatura, filtrato, chiarificato, raffreddato e conservato in consistenza di pomata per uso alimentare, mentre gli assi dei carri venivano unti direttamente con la cotenna di porco ancóra ricca di grasso.
Ugualmente mi appare fantasiosa l’idea (D’Ascoli) che la napoletana nzogna possa derivare da una non precisata voce umbra assogna per la quale non ò trovato occorrenze di sorta! Messe da parte tali fantasiose proposte, penso che all’attualità, l’idea semanticamente e morfologicamente piú perseguibile circa l’etimologia di ‘nzogna sia quella proposta dall’amico prof. Carlo Iandolo che prospetta un in (da cui ‘n) illativo + un *suinia (neutro plurale, poi inteso femminile)= cose di porco alla cui base c’è un sus- suis= maiale con doppio suffisso di pertinenza: inus ed ius; da insuinia→’nsoinia→’nzogna.
Ordunque la sugna ( che era essenzialmente di due specie: 1)‘nzogna ‘mpane(quella proveniente dal grasso sottocutaneo della groppa del maiale ed era un pannicolo interamente di grasso alto fino a tre dita); 2) lardiciello (quella proveniente dal grasso sottocutaneo della pancia del maiale ed era un pannicolo non interamente di grasso, striato di contenuti strati di carne ed alto non piú di un paio dita) era acquistata nel mese di dicembre, al tempo della macellazione dei maiali, in larghe falde in macelleria, tagliata in congrui cubi, messi poi a liquefare su di una fiamma dolce in un’ampia tiana, con poco sale fino, in compagnia di un paio di foglie di alloro, da noi detto giustamente lauro (forse da un latino: laurus / lau(da)re se non da un daurus che imiterebbe un greco drýs =quercia, pianta; lau(da)re si fa preferire rammentando che un tempo le foglie di lauro, piú che in cucina fossero usate per incoronare capitani, sacerdoti o atleti vittoriosi. Una volta ridotta allo stato liquido la sugna veniva fatta intiepidire un poco prima di esser versata in uno o più vasetti ed a temperatura ambiente la si lasciava raffreddare fino a che non acquistasse una consistenza cremosa; si recuperavano le foglie di lauro e le si poneva alla sommità del vasetto pieno, coprendo il tutto con dei fogli di carta oleata trattenuti da elastici; i residui della liquefazione dei cubi di sugna, venivano raccolti con una schiumarola forata ed adeguatamente pressati con una schiacciapatate per ricavarne dei piccoli panetti circolari detti ‘e cicule (= avanzi appunto dei pezzetti del grasso di majale, dopo cavatone lo strutto o sugna; dal latino:insciciolu(m) Va da sé che i ciculi piú gustosi fossero quelli residui del lardiciello e non della ‘nzogna ‘mpane )Rammento qui che con la medesima voce: cicoli o ciccioli in salumeria o, ma meno spesso, in macelleria si vendono dei gustosissimi prodotti industriali che provengono non dai residui della liquefazione di cubi di sugna, ma dalla cottura a vapore di carni, grasso e cotenna provenienti in massima parte dal collo del maiale, opportunamente salati e pepati. Al termine della cottura a vapore il tutto viene opportunamente pressato in forme metalliche fino ad ottenere dei grossi pani cilindrici piú larghi ( circa50 cm.) che alti(circa 15 cm) , che raffreddati vengono venduti a taglio ed a peso nelle salumerie al banco dei salumi cui sono, sia pure impropriamente apparentati; la sugna che comunque si ricava da questa spremitura di carni, grasso e cotenne viene venduta ugualmente come condimento sia pure di seconda scelta.
4 Ll'acqua 'nfraceta 'e bastimiente a mmare.
Letteralmente: l'acqua rende fradice le navi in mare. Cosí gli accaniti bevitori di vino sogliono respingere un bicchiere d'acqua che venga loro offerto, volendo significare che mutare le abitudini buone può essere pernicioso, se non deleterio.
5 Aizàmmo 'stu cummò!
Letteralmente: solleviamo questo canterano! Id est: sobbarchiamoci questa fatica. A Napoli questa esclamazione viene pronunciata a mo' di incitamento quando ci si trovi a principiare un'operazione materiale o meno, che si presuma faticosa e perciò scarsamente accetta quale quella di sollevare un pesante canterano in noce massello reso piú ponderoso da un ripiano superiore in marmo cipollino. Figuratamente poi a Napoli quando qualcuno impalma una donna tutt'altro che avvenente e, magari, molto anziana, ed a maggior disdoro sprovvista d’adeguata dote, si suole commentare con un sarcastico: s'è aizato 'stu cummò (à alzato questo mobile pesante!) cummò = canterano, grosso mobile a cassetti; sost. masch. dal francese commode.
aizàmmo = alziamo, solleviamo (voce verbale 1° pers. plur. cong. esortativo dell’infinito aizà/aizare che è dal lat.volgare *altiàre→ →auzare→aizare→aizà.
6 È gghiuto 'o ccaso 'ncopp' ê maccarune.
Letteralmente: È finito il formaggio sui maccheroni. Id est: la faccenda à avuto la sua logica e sperata conclusione, allo stesso modo come una spolverata di formaggio conclude nel miglior dei modi la presentazione di un fumante piatto di maccheroni. È da rammentarsi che un tempo, a Napoli, quando i maccheroni venivano ammanniti per istrada a frettolosi avventori da appositi rivenditori detti "maccheronari" un piatto di maccheroni in bianco servito solo con l'aggiunta di formaggio e un po' di pepe si vendeva per due soldi ed era appunto detto 'o doje allattante cioè il due al latte, mentre i maccheroni al sugo di pomodoro costavano tre soldi ed erano detti 'o tre garibbalde con riferimento al rosso della camicia del masnadiero nizzardo.
7 Va truvanno chi ll'accide.
Letteralmente: va in cerca di chi lo ammazzi. Lo si dice di chi, sciocco e masochista provochi il prossimo, lo stizzisca al punto da provocarne gli istinti omicidi nei propri confronti.
8 Essere brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà.
Locuzione praticamente intraducibile che racchiude nei suoi quattro termini la quintessenza della bruttezza per modo che colui contro cui viene usata sarà indicato come l'essere piú brutto in circolazione. Tentare di individuare il significato dei quattro non-sense della locuzione è cosa impossibile ed esercizio inutile: un napoletano sa benissimo cosa vuole significare quando afferma di qualcuno che è brutto cu 'o tè cu 'o nè, 'o piripisso e 'o naianà.

9 Buono p'aparà 'o mastrillo.
Letteralmente: buono per armare la trappolina.Il mastrillo (dal lat. mustriculu(m) è la piccola trappola per topi nella quale a mo' di esca si pone un irrisorio pezzetto di formaggio; cosí che quando di si dice di una razione alimentare che è bbona p’aparà ‘o mastrillo (che è buona per armare la trappola), si vuol significare che la razione è veramente parva res, esigua e non adatta a soddisfare neppure un normale appetito.
10 Jí ascianno guaje cu 'o lanternino.
Letteralmente: andare alla ricerca di guai con la lanterna. Id est: cacciarsi nei guai quasi con voluttà al punto di andarne alla ricerca con una metaforica lanterna che illumini i luoghi dove i guai stanno nascosti. Il termine asciare significa cercare qualcosa con insistenza quasi fiutandola e viene dal latino adflare→adsciare→asciare: annusare con consueta trasformazione di fl in sci come per flos che in napoletano diventa sciore, flumen che diventa sciummo.
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CAPRETTO BELLA NAPOLI

CAPRETTO BELLA NAPOLI

Dosi per 6 persone
2, 5 kg di capretto con l’osso tagliato in pezzi di ca cm 5 x 5 x 3,
8 etti di piselli (freschi o surgelati) lessati,
4 uova,
una grossa cipolla dorata ,
100 g di pecorino grattugiato,
2 bicchieri di olio e.v.p. s. a f. ,
sale fino e pepe bianco q.s.
1 limone.
Volendo:
6 etti di rigatoni o mezze maniche,
1 pugno di sale doppio
½ etto di pecorino,
altro pepe bianco.


Procedimento
In un capace tegame fate appassire (senza che bruci o arsicci) la cipolla affettata in grossi pezzi, con tutto l'olio e unite il capretto a pezzi, lavato e ben sgocciolato (meglio se asciugato). Rosolate delicatamente, abbassate la fiamma ed aggiungete un mestolo o due di acqua calda e sale.
A metà cottura unite i piselli già lessati e fateli insaporire.
In una terrina battete le uova con il formaggio (2 cucchiai), sale ed un pizzico di pepe, versate il tutto nel tegame e mescolate rapidamente perché l'uovo si rapprenda in modo uniforme. Aggiustate di sale. Spruzzate di limone e servite.
Volendo con il sugo residuo, si posson condire 6 etti di rigatoni o mezze maniche lessati al dente in molta (8 litri) acqua salata (pugno di sale doppio) e saltati nella padella con il sugo residuo, a fuoco vivo, spolverizzati con abbondante pecorino e pepe bianco.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
E, si ve piace, dicíteme: Grazie!
raffaele bracale

CARPACCIO AI PORCINI

CARPACCIO AI PORCINI
Eccovi un ottimo piatto freddo estivo/autunnale , nutriente e saporito!

INGREDIENTI PER 4 - 6 PERSONE:
- 600 gr di filetto di manzo o vitello affettato a macchina sottilissimo
- 3 grossi funghi porcini (vanno bene anche quelli surgelati se di ottima qualità)
- 2 spicchi d'aglio mondati e tritati finemente,
- il succo di 1 limone,
- 2 cucchiai di prezzemolo fresco tritato,
- 2 cucchiaini di paprika dolce
- 10 cucchiai d'olio di oliva e.v.(meglio se prima spremitura a freddo )
- sale fino alle erbe q.s.
- pepe bianco q.s.
Adagiate le fettine di carne, l’una accanto all’altra, su un piatto da portata. Pulite i funghi (i surgelati lasciateli scongelare lentamente a temperatura ambiente,asciugateli delicatamente e poi puliteli con un affilatissimo coltellino), affettateli sottilmente avendo cura di inferire il taglio in modo diagonale ( cioè alla francese,con lama posta a 45° e poi spinta o tirata verso l’esterno e non perpendicolarmente!) e distribuiteli sul piatto con la carne.
2. Spolverizzate con tutta la paprika, abbondante sale e pepe. Tritate il prezzemolo con l'aglio e cospargetelo. Irrorate con tutto il succo di limone e tutto l’olio e sistemate in frigorifero per almeno 10 ore prima di servire.
Vini: secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute! e diciteme: Grazie!
raffaele bracale

IMPANATE AI PEPERONI

IMPANATE AI PEPERONI

Ingredienti e dosi per 6 persone
6 – 8 fette di polpa di spalla di vitello spesse 1 cm. (8 etti circa), oppure 8 etti di petti di pollo.
Pomidoro da sugo: 8 etti,
Olive verdi denocciolate e tritate: 2 etti,
Peperoni quadrilobati: 4 (due rossi e due gialli),
1 Cipolla dorata tritata,
1 ciuffo di prezzemolo lavato, asciugato e ben tritato,
2 bicchieri di Olio d’oliva e.v.p.s. a f.,
1 etto di pangrattato,o (meglio ancóra) pari peso di un trito ottenuto con un mixer con lame da aridi, di mollica di pane casareccio bruscata a forno caldissimo (220°),
1 etto di pecorino grattugiato,
sale fino e pepe nero q.s.
Preparazione
Scottare i pomidoro, pelarli e privarli dei semi e tagliarli a dadini.
Unire il pangrattato o(meglio ancóra) il trito di mollica, ottenuto passando ad un mixer con lame da aridi un etto di mollica di pane casareccio bruscata a forno caldissimo (220°), al pecorino grattugiato ed intridervi le fette di carne ben lavata; versare la metà dell’olio in un ampio tegame da forno, portare l’olio a temperatura su fiamma vivace e rosolare le impanate nell’olio bollente tre minuti per faccia, indi salarle.
In una casseruola a parte mettere l’ olio residuo, la cipolla tritata, la polpa dei pomidoro a pezzetti, i peperoni lavati, asciugati, scapitozzati del picciolo, privati di semi e costoline bianche interne e tagliati a falde della grandezza d’un pollice , le olive snocciolate e tritate.
Salare, pepare e cuocere per 20 minuti a fuoco basso, mescolando spesso.
Irrorare con questo sugo le impanate e passare la teglia con le fettine al forno preriscaldato(180°) ed ultimare in circa 20’ la cottura; al termine cospargere con il trito di prezzemolo.
Impiattare le impanate caldissime di forno, bagnate con il loro fondo di cottura con contorno di verdure (scarole o broccoli ) lessate e condite all’agro (olio,aglio, sale e limone o aceto).
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.
Mangia Napoli, bbona salute!
raffaele bracale

SPALLA DI MAIALE CON PUREA DI CASTAGNE

SPALLA DI MAIALE CON PUREA DI CASTAGNE
Dosi per 6 persone:
1500 g. di spalla di maiale in pezzi di cm. 5 x 4 x 3,
2 etti di pancetta coppata affettata sottilmente,
600 g di marroni prima sbucciati, poi lessati in acqua bollente salata con 2 foglie d’alloro ed un cucchiaio di semi di finocchio,indi spellati a caldo e passati a setaccio,
cognac o brandy 1 tazzina,
rosmarino fresco 1 rametto,
panna da cucina 1 bicchiere,
latte intero 1 bicchiere,
strutto un cucchiaio,
olio d’oliva e.v.p.s. a f. 1 bicchiere,
sale fino e pepe nero macinato a fresco q.s.

Preparazione
Avvolgete nelle fettine di pancetta i singoli pezzi di spalla, poneteli in un tegame con olio, strutto e cipolla tritata e fateli rosolare per circa 15 minuti a fuoco vivo. Quando avranno preso un bel colore , salate, pepate, bagnateli con la tazzina di cognac o brandy, incendiatelo e non appena la fiamma è spenta aggiungete un mestolo di acqua bollente. Proseguite la cottura a tegame coperto e fiamma bassa per circa un'ora, aggiungendo un altro po' di acqua se il fondo dovesse asciugare troppo. Nel frattempo avrete passato i marroni, rammentando che l'operazione riesce meglio quando i marroni sono ancora caldi, mettete il passato in una casseruola con un cucchiaio di strutto, allungate con il mezzo bicchiere di latte, salate e pepate; tenete la fiamma bassa e mentre la purea è sul fuoco sbattetela con una frusta perché risulti soffice il piú possibile. Sul piatto da portata formate una corona circolare con la purea di castagne, al centro ponete i pezzi di spalla che nel frattempo avrete rigirato nel fondo di cottura legato alla fine, a fuoco vivo, con la panna.
Vini: Corposi vini rossi campani (Solopaca, Aglianico, Piedirosso, Taurasi), stappati un’ora prima di usarli e possibilmente scaraffati e serviti a temperatura ambiente
Mangia Napoli, bbona salute! e diciteme: Grazie!

raffaele bracale

STRELLAZZÈRA

STRELLAZZÈRA

Numerose son le aggettivazioni che la lingua toscana usa per indicare il tipo di donna che susciti ripugnanza o anche solo fastidio per i suoi atteggiamenti o comportamenti non consoni; tale donna volta a volta è aggettivata: becera, ciana,triviale, cafona, laida, zotica, urlona etc.
Esamino qui di seguito le singole espressioni:
Becera: persona, ma soprattutto donna dai modi volgari e/o triviali, chiassosa, maleducata ed insolente brutta e sciatta; voce probabilmente alterata di pècoro (dal lat. pecus), ma forse piú esattamente forgiata sul lat. vocilare atteso il comportamento chiassoso della becera.
Ciana: donna del popolo pettegola e sguaiata, donna vile e malcreata dell’infima plebe fiorentina; alcuni ritengon la voce forma alterata di cionna(appunto donna vile e plebea) che a sua volta è corruzione di cionca p.p. del verbo cioncare nel senso di bere smodatamente ubriacandosi con conseguenti atteggiamenti non consoni; altri la riallacciano, ma non so con quanta esattezza, allo spagnolo chanela (pianella); reputo che molto piú verosimilmente la voce sia solo l’abbreviazione del nome Luciana da legare al nome della protagonista, plebea pettegola e ciarliera, del melodramma Madama Ciana
( appunto abbreviazione di Luciana) di un tal A. Valle (1738);
salto il termine cafona che già illustrai altrove e passo a
Laida: donna atta a suscitar ribrezzo e fastidio e piú estensivamente: oscena, sporca, turpe e ripugnante; voce etimologicamente derivata dal provenz. ant. laid 'sgradevole', di orig. francona;
Zotica: donna rozza e villana dai modi esuberantemente arruffoni; voce forse dal greco zo- tikòs: pieno di vita, ma piú probabilmente dal lat.:ex-oticus: forestiero e quindi ignaro dei giusti usi e costumi di un luogo.
Tutte queste voci, in napoletano vengon rese con un unico termine(un aggettivo, usato però quasi sempre in maniera sostantivata) che racchiude in sé tutte quante le varie accezioni esaminate; esso termine è Strellazzèra che è appunto la donna becera, ciana, zotica e villana quando non laida che fa dell’urlare e del proporsi chiassosamente la sua costante divisa; pacifica la sua etimologia in quanto deverbale forgiato sul b. latino:stridulare (dal classico stridulus) con aggiunta d’un suffisso peggiorativo: era.
Talvolta la voce strellazzèra, in luogo d’essere usata quale aggettivo sostantivato, riprende la sua originaria funzione d’aggettivo in accompagnamento – per designare un po’ tutte le evenienze summenzionate – con il sostantivo vajassa che sta in origine ad indicare la fantesca, la serva ed estensivamente la donna di bassa condizione sociale e quindi vile e plebea, se non rozza, villana, dai modi ineducati; ed a maggior ragione quando la vajassa sia anche strellazzèra.
Etimologicamente il termine vajassa è dalla voce araba baassa pervenutoci attraverso il francese bajasse: fantesca, donna rozza e un po’ sporca, ed estensivamente donna del popolo villana e gridanciana.
Per incidens rammenterò che dalle medesime voci arabo-francesi, il toscano à tratto il termine bagascia nel significato di meretrice, significato presente anche nel napoletano nell’espressione altrove già rammentata : Essere ‘na vajassa d’’o rre ‘e Francia e cioè: esser fantesca del re di Francia, id est: meretrice contaminata dalla sifilide o tabe, rammentando che tale affezione venerea fu detta dai napoletani mal francese (ritenendosi malattia trasmessa ai napoletani, attraverso le meretrici locali, dai soldati francesi di Carlo VIII (1470 - 1498), mentre per converso, in Francia fu malattia detta mal di Napoli). Raffaele Bracale

CAMERIERA, SERVA E DINTORNI.

CAMERIERA, SERVA E DINTORNI.


In lingua italiana prendeva (ora non piú sostituita com’è stata con una sciocca espressione come: collaboratrice familiare quasi che fossero cambiate le sue precipue occupazioni di lavoratrice dipendente) il nome di cameriera (con etimo dal provenz. camarier, che è dal lat. tardo cameraru(m) che diede dapprima il maschile cameriere poi femminilizzato in cameriera) chi è addetta alla pulizia delle camere o serve a tavola nelle case private;piú genericamente si parla di persona di servizio, o anche domestica,ugualmente prende il nome di cameriera chi è addetta agli stessi servizi in alberghi o ristoranti: cameriera di sala,: chi serve a tavola; cameriera al piano: chi riordina e pulisce le camere di un piano; sempre in lingua italiana vi fu poi un tempo il termine servo/a oggi ampiamente in disuso, che indicò chi svolgesse servizi generici, specialmente domestici,svolti in casa o all’esterno di essa alle dipendenze di privati; la voce femm. serva venne usata proprio riferita alla lavoratrice domestica, ma finí per assumere una valenza dispregiativa rispetto alla voci domestica o cameriera atteso che queste ultime furono riferite a quelle donne che prestassero la loro opera alle dipendenze di alberghi e/o ristoranti o famiglie della medio-alta borghesia, mentre con la voce serva e quasi nell’accezione etimologica del lat. serva(m)= schiava ci si riferí ( e spesso proprio da parte di domestiche e/o cameriere) alla prestatrice d’opera domestica in famiglie della piccola borghesia; nella antica lingua italiana (tardo XVII sec.) vi fu infine la voce fantesca (derivato di fante (s.f.= serva, domestica)) che indicò la generica donna di servizio o addetta ai lavori in casa in ispecie nella cucina o al servizio ai tavoli delle locande o bettole.
E passiamo alla lingua napoletana; le voci in epigrafe vengon rese in napoletano con le seguenti parole: cammarèra,criata, serva, vajassa, zambracca. Esaminiamole:
cammarèra e serva: per queste due parole non ci si discosta molto (sia per l’etimologia che per la semantica) dalle corrispondenti della lingua italiana cameriera e serva: la cammarèra(dal provenz. camarier con raddoppiamento espressivo della labiale m) svolge la propria opera in case della media alta borghesia se non della nobiltà, mentre con la parola serva ci si riferisce alla prestatrice d’opera domestica in famiglie della piccola borghesia o alla generica donna di servizio, addetta ai lavori in casa in ispecie nella cucina o al servizio ai tavoli delle locande o bettole: insomma quella che fu la fantesca del tardo XVII sec; talvolta in luogo di serva si usa un giro di parole pletorico: ‘a femmena ‘e servizio;
criata anche con questo termine, per altro abbondantemente desueto ci si riferisce alla prestatrice d’opera domestica in famiglie della piccola borghesia o alla generica donna di servizio, addetta ai lavori in casa in ispecie nella cucina o al servizio ai tavoli delle locande o bettole: insomma quella che fu la fantesca del tardo XVII sec.; quanto all’etimo la voce a margine è la femminilizzazione del maschile criato che è dall’iberico criado= servitore, famiglio, valletto; annoterò al proposito che anche nell’italiano antico con il medesimo etimo dallo spagnolo vi fu la voce creato=servo,valletto, famiglio ma non esistette la corrispondente creata: misteri della lingua italiana!
vajassa= serva di bassissimo conio, fantesca addetta alla pulizia in case malfamate; l’etimo è dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in italiano: bagascia= meretrice.
Scendendo ancòra d’un gradino incontriamo
zambracca= serva di infimo conio, fantesca addetta alla pulizia dei cessi. La voce a margine origina dall’addizione del suffisso dispregiativo acca (accia) con la parola zambra (che è dal francese chambre) in francese la voce chambre indicò dapprima una generica camera, poi uno stanzino ed infine il gabinetto di decenza.
Rammenterò infine che le ultime due voci vajassa e zambracca nell’inteso comune del parlato napoletano accanto ai significati indicati stanno anche per donna sudicia e disordinata, dal comportamento volgare, quando non addirittura donnaccia, baldracca cfr. l’espressione Sî ‘na vajassa d’ ‘o rre de Franza che letteralmente sta per : Sei una serva del re di Francia. L a frase è un’offesa gravissima che si può rivolgere ad una donna e con essa frase non solo si intende dare della puttana alla donna, ma accusarla anche di essere affetta dalla sifilide o lue .
Tale malattia è stata nei corso dei secoli chiamata dai napoletani mal francese, morbo gallico o celtico; i napoletani sostenevano che detto morbo era stato importato in Napoli dai soldati al seguito di Carlo VIII. Per converso il morbo era detto dai francesi mal napoletano poiché affermavano che il morbo era stato diffuso tra i soldati francesi di Carlo VIII dalle prostitute partenopee.
Raffaele Bracale