martedì 31 dicembre 2013

LA PREPOSIZIONE DA E LE SUE VOCI OMOFONE NEL NAPOLETANO

LA PREPOSIZIONE DA E LE SUE VOCI OMOFONE NEL NAPOLETANO Questa volta sono state alcune care amiche/lettrici di cui i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome: B.G., C.A.,L.T. e D.R. a chiedermi di suggerir loro quale sia – a mio parere – il modo piú esatto di render graficamente nel napoletano la preposizione da e le sue voci omofone. Premesso che tra gli addetti ai lavori e tra gli appassionati non vi sono identità di vedute cercherò di difendere il mio modo di veder la faccenda, illustrando il piú compiutamente possibile le voci che ci occupano e che sono: da/’a (preposizione semplice), dâ(preposizione articolata dalla), dà(voce verbale 3ª pers. sg. dell’ind. pr. dell’infinito dare) dá (voce verbale infinito apocopato di dare), da’ (voce verbale 2ª pers. sg. imperativo dell’infinito dare). Esaminiamo le singole voci: DA/’A prep. semplice [si unisce agli art. determ. ‘o =il,lo,’a =la, ‘e =i, gli, le formando le prep. articolate dal, dallo, dalla, dai, dagli, dalle per le quali propongo e caldeggio la grafia agglutinata dô, dâ,dê piuttosto che le usuali d’ ‘o,d’’a, d’ ‘e che possono confondersi con le omofone d’ ‘o = del,d’’a= della d’ ‘e =delle ;in molti casi si usa nella forma aferizzata ‘a che in ogni caso non à soppiantato del tutto la morfologia originaria da] 1 introduce un moto da luogo (anche in senso fig.): ‘o treno è ppartuto ‘a Roma, s’è trasferuto da ll’America a ll’Airopa; è asciuta dô magazzino; è stato prumossa dâ siconna â terza classe; cuntà da uno a ddiece [il treno è partito da Roma; trasferirsi dall'America all’ Europa; è uscita dal negozio; è stata promossa dalla seconda alla terza classe; contare da uno a dieci;] 2 esprime allontanamento: staccà ‘o lietto dâ porta;ô prossimo viculo ascimmo dô corso [staccare il letto dalla porta; al prossimo vicolo usciremo dal Corso] | separazione, distacco: ‘e muntagne ce spartono dô mare; campavano luntane ll’uno ‘a ll’ato [le montagne ci dividono dal mare; vivevano lontani uno dall'altro]; | origine o provenienza: santa Caterina da Siena; pruvene’a ‘na famiglia nobbele [discende da una famiglia illustre]; sapettemo ‘a nutizzia da ‘e ggiurnale [apprendemmo la notizia dai giornali] | distanza: da lla a Milano so’ sule vinte chilometre [da lí a Milano sono solo 20 km]; | in dipendenza da taluni verbi, in correlazione con a, indica quantità approssimativa: pesa dê quaranta ê cinquanta chile; tène da ‘e trenta a trentacinch’anne [peserà dai quaranta ai cinquanta chili; avrà da trenta a trentacinque anni] ' dopo verbi che indicano 'difesa, protezione': guardarse da ‘e nemice; arreparase dô friddo [guardarsi dai nemici; proteggersi dal freddo] 3 con il verbo al passivo introduce l'agente o la causa efficiente:chello ca facette fuje disprezzato ‘a tutte quante; ‘a porta fuje sbattuta dô viento [ciò che fece fu disprezzato da tutti; la porta fu sbattuta dal vento | con valore di semplice causa:tremmà dô friddo [tremare dal freddo]; 4 con significato temporale, indica il momento o l'epoca, l'età in cui à avuto inizio un'azione o una situazione si è determinata: campammo cca da paricchi anne; è dda Natale ca nun aggio cchiú nutizzie soje; ll’aspetto ‘a n’ora; da quanno è ppartuto è ppassato assaje tiempo. [viviamo qui da diversi anni; è da Natale che non ò piú sue notizie; l'aspetto da un'ora; è passato molto tempo da quando è partito] 5 nella morfologia a dd’ ‘o/a dd’ ‘a/ a dd’ ‘e unita a nomi propri di persona, a pronomi che si riferiscono a persona, a nomi che indicano mestiere, professione, condizione, grado, relazione di parentela, di amicizia, di lavoro e sim., introduce uno stato in luogo, per lo piú con il valore di 'presso': fermarse a ddurmí a dd’ ‘o zio; ‘ncuntrarse a dd’ ‘o nutaro[fermarsi a dormire dallo zio; incontrarsi dal notaio; | in nomi di ristoranti, bar o altri esercizi commerciali: Tratturia a dd’ ‘a Berzagliera [Trattoria dalla Bersagliera]; 6 seguita dagli stessi elementi lessicali indicati al punto precedente e in dipendenza da verbi di movimento, esprime moto a luogo: vaco a dd’ ‘o miereco; arrive a dd’ ‘a figlia ‘nserata; saglio n’attimo a dd’ ‘o nonno [vado dal medico; arriverà dalla figlia in serata; salirò un attimo dal nonno] 7 in dipendenza da verbi che esprimono transito, passaggio, stabilisce un moto per luogo, talvolta sottintendendo un attraversamento con sosta: passà dâ fenesta, dô curtiglio; ô ritorno passajemo a dd’ ‘a zia[passare dalla finestra, dal cortile; al ritorno passammo dalla zia]; 8 con valore variamente modale: aggí ‘a disgrazziato; vivere ‘a rre;cumpurtarse da amico;[agire da lestofante; vivere da re; comportarsi da amico]; apparentemente modale, in realtà in funzione rafforzativa:faccio da sulo; pigliatello ‘a ppe tte; [faccio da solo; prenditelo da te]; | con sfumatura di limitazione: cecato ‘a n’uocchio, zuoppo ‘a ‘nu pede[cieco da un occhio; zoppo da un piede] 9 esprime una qualità, una caratteristica:’na guagliona dâ faccia allera; n’ommo dâ capa fresca [una ragazza dal volto ilare; un uomo dall’indole spensierata] | una stima, un prezzo, una misura: ‘na pazziella da pochi llire; ‘na lampadina da ciento cannele [un giocattolo da pochi soldi; una lampadina da cento candele] 10 con valore di mezzo: fuje ricunusciuto dê passe; dô culore se capisce ca è perduto.[fu riconosciuto dai passi; dal colore si capisce che è marcio] 11 in talune locuzioni à funzione attributiva(anche se piú spesso le si preferisce la preposizione de/’e): carta da bbollo [carta da bollo]; festa ‘e ballo;stanza ‘e pranzo [ festa da ballo; stanza da pranzo] 12 in funzione predicativa: ll’âmmu trattato da amice [li abbiamo trattati da amici] | appositiva: Ciccio da ggiuvinotto campava a Milano [Francesco da giovane viveva a Milano] 13 seguita da un verbo all'infinito à valore consecutivo o finale: era accussí stracquo da nun capí cchiú nniente;damme ‘nu libbro ‘a leggere;ce sta niente ‘a vevere?[era tanto stanco da non capire più nulla; dammi un libro da leggere; c'è nulla da bere?] | a malgrado sia oggi accettato, aborro e sconsiglio l'uso di da seguito da infinito in locuzioni nelle quali in realtà il termine da cui la preposizione dipende non è l'oggetto dell'azione espressa dal verbo: machina ‘a scrivere, ‘a cósere[macchina da scrivere, da cucire], in luogo del corretto ed esatto pe scrivere, pe cósere [per scrivere, per cucire] | seguita da infinito presente, con valore di 'dovere, necessità': ‘na cosa ‘a farse a fforza[una cosa da fare necessariamente];| in frasi negative o indefinite, con funzione non dissimile dal caso precedente: nun ce sta niente ‘a dicere, niente ‘a fà[non c'è nulla da dire, nulla da fare] 14 concorre alla formazione di varie loc. avverbiali: da luntano, da vicino, da parte a pparte [da lontano; da vicino, da parte a parte]; | loc. prepositive: da cca, da lla; [di qua, di là]. [ Etimologicamente è voce dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc.] A questo punto è necessario ch’io precisi che ciò che ò scritto circa la presenza nel napoletano della preposizione da/’a è dovuto ad un ripensamento (dovuto ad ulteriori ricerche fatte) rispetto a ciò che un tempo scrissi alibi e cioè che “è pur vero che in napoletano non esiste graficamente la preposizione da (che in napoletano è sempre ‘a= da) per cui non essendovi possibilità di confusione fra voci omofone la voce verbale 3ª p.s. indicativo pres. potrebbe anche scriversi tranquillamente da evitando un pleonastico accento sulla a (dà)”; mi pento di ciò che precipitosamente scrissi e ne chiedo venia ai miei ventiquattro lettori, ma solo gli sciocchi o i fessi non si ravvedono o cambiano idea! Tanto precisato andiamo oltre. DÂ = preposizione articolata corrispondente alla preposizione dalla dell’italiano in tutte le sue funzioni ed accezioni; morfologicamente è formata dall’agglutinazione di da +l’articolo ‘a analogamente alla prep. art. â formata dall’agglutinazione di a +l’articolo ‘a ed è la forma che preferisco atteso che l’usata d’ ‘a potrebbe ingenerar confusione con l’omografa d’ ‘a = della. DÀ = dà(voce verbale 3ª pers. sg. dell’ind. pr. dell’infinito dare) etimologicamente dal lat. da-t; il segno diacritico dell’accento non è etimologico, ma necessario per distinguere la voce a margine dall’omofona da preposizione (cfr. antea) DÁ = dare(voce verbale infinito apocopato di dare) graficamente molti, piú che accentare la voce, preferiscono apocoparla in da(re)→da’ ; il sottoscritto pur sapendo e rammentando che allorché viene apocopata della sillaba finale una parola che lascia come residuo un monosillabo détto monosillabo potrebbe benissimo segnarsi con un apostrofo finale, atteso che (trattandosi di monosillabo) l’accento tonico non può che cadere che su quell’unica sillaba (cfr. in napoletano fa’ infinito di fa(re) – ji’ infinito di ghi(re)/i(re) ) tuttavia poi che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di voci verbali dell’infinito preferisco e suggerisco di accentare anche i monosillabi per mantenere una omogeneità di scrittura con gli infiniti degli altri verbi e dunque per l’infinito di andare meglio scrivere jí piuttosto che ji’ e per quello di dare o fare:meglio scrivere dá oppure fà piuttosto che da’ oppure fa’ i quali ultimi oltretutto potrebbero esser confusi con la seconda persona dell’imperativo: fa’ per fa(je) - da’ per da(je). Come si sarà notato ò optato per una á con un improprio [ma di necessità virtú] accento acuto in luogo della normale à con l’accento grave che ò riservato al dà(voce verbale 3ª pers. sg. dell’ind. pr. dell’infinito dare) cosí come nella norma. DA’ = dai (voce verbale apocopata di da(je)→da’ [2ª per. sg. imperativo dell’infinito dare). Da tutto quel che ò scritto si evince che ci sono due voci omofone, necessariamente anche quasi omografe:dà(voce verbale 3ª pers. sg. dell’ind. pr. dell’infinito dare) ed il dá = dare(voce verbale infinito apocopato di dare) in quanto nella linguistica nostrana non esistano che due segni diacritici (l’accento grave o acuto e l’apostrofo) ed allorché le voci da distinguere son piú di due, è giocoforza che qualcuna sia omografa d’ un altra. Nella fattispecie son del parere di accentare l’infinito apocopato da(re)→dá(contrassegnandolo per comodità – sia pure impropriamente – con un accento acuto [che di per sé è di pertinenza delle vocali chiuse e la A è la piú aperta delle vocali]) piuttosto che farlo omografo dell’imperativo da’ e ciò per renderlo omogeneo con tutti gli altri infiniti che vanno accentati [per salvaguardarne la tonicità] e non apocopati; il contesto e l’accento acuto chiariranno se si tratta di un dá infinito o di un dà, voce verbale 3ª pers. sg. dell’ind. pr. dell’infinito dare. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatte le amiche B.G., C.A.,L.T. e D.R. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est. R.Bracale Brak

L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO

L’EQUIVOCO DEL CONDIZIONALE NEL NAPOLETANO Questa volta affronto un argomento sul quale, son certo incontrerò piú di una resistenza non solo tra ça va sans dire i miei detrattori, ma pure tra i miei affezionati ventiquattro lettori...; ma tant’è: chi va pe cchisti mare, chisti pisce piglia! Pazienza, correrò il rischio ma penso che sia giunto il momento di fare un po’ di chiarezza e dire come stanno realmente le cose, delucidare cioé che (per tirarsi súbito il dente) il napoletano del popolo (che è poi quello che fa l’autentico idioma partenopeo...) rifugge dall’impiego del condizionale, (tollerato , rara avis, e non raccomandato in poesia, ma sconsigliato tassativamente in prosa...) usando in sua vece l’imperfetto congiuntivo! Prima di procedere faccio però un paio di premesse da cui non bisogna prescindere: a)il napoletano è una parlata autoctona costruita nobilmente, come del resto il toscano/fiorentino e tutti gli altri linguaggi locali dell’Italia, verosimilmente sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica (e non direttamente dal latino illustre, che fu la lingua usata dai letterati dell'epoca); b) l’idioma napoletano scritto ed orale è un linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle della lingua nazionale, come ci vorrebbe far credere qualche autore della domenica [e faccio ad exemplum un solo nome: Aurelio Fierro e la sua(?) scalcinata, inconcludente grammatica napoletana che in realtà è una pessima grammatica italiana adattata al napoletano...]. Argomentiamo; so bene che in molte grammatiche del napoletano sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) è codificata e contemplata l’esistenza del condizionale sia presente che passato (ess. sarría= sarei / sarría stato= sarei stato – avarría=avrei/ avarría avuto= avrei avuto etc.), ma come è facile arguire gli addetti ai lavori sono in genere dei letterati e/o professori, degli studiosi tutti con un abbondante retroterra culturale di studi universitari, persone che son ferratissime nell’uso della lingua nazionale e da essa condizionati e spesso son restie a tuffarsi nell’idioma popolare per imbibirsene e riportarlo cosí com’è nell’uso comune, nei loro scritti evitando di passarlo allo staccio della lingua italiana, staccio che quando poi finisce nelle mani di poeti e/o parolieri di canzonette, illetterati a digiuno sia dell’italiano che dell’esatto napoletano, ch’essi vergano scimmiottando l’italiano, dà come risultato gli inesatti vorria/vurria o addirittura un raccapricciante vularria in luogo dell’esatto vulesse usato nel parlato popolare. Del resto, per tornare all’esistenza in talune grammatiche del condizionale, e prima di chiarire perché il popolo usi il congiuntivo imperfetto, dirò che i medesimi autori succitati per illustrare la nascita del condizionale nel napoletano fanno ricorso ad un farraginoso percorso morfologico che può esser forse al piú seguíto da un letterato, ma certamente non da un incolto popolano! Ad es. il condizionale sarría deriverebbe dall’incontro di *essere +habeba(m)→*(es)ser(e) (h)a(b)e(b)a(m)→seraéa→seréa→sarría ed ugualmente il condizionale avarría seguirebbe il medesimo percorso etimologico dall’incontro di*habere +habeba(m) etc. E quando, quando un incolto popolano si sarebbe avventurato o avventurerebbe in tali gineprai linguistiti? Piú probabile che l’anonimo illetterato autore dei versi di Vorria ca fósse ciaola, piú probabile che Leonardo Vinci l’ illetterato autore dei versi di Vurria addeventare soricillo, come l’illetterato Vincenzo Russo autore dei versi di I’ te vurria vasà, come ancóra il giornalista Antonio Pugliese autore dei versi di Vurria per non esser tacciati di provincialismo si siano lasciati condizionare dall’ italiano vorrei ritenuto piú elegante del napoletano vulesse; ancóra di piú si lasciò condizionare Adolfo Genise dottore in lettere ed impiegato delle Ferrovie, autore dei versi di Suonno ‘e fantasia che ritenendo poco elegante il napoletano vulesse ed eludendolo creò un mostruoso vularría . A questo punto non mi resta che chiarire perché il napoletano del popolo rifugge dal condizionale ed usa l’imperfetto congiuntivo; la cosa affonda le sue radici nel fatto che – come ò détto nelle due premesse - il napoletano è forgiato sul latino volgare (usato dal popolo, volgo) parlato in età classica ed è noto che i latini non usavano il condizionale, ma in sua funzione il perfetto ed il piuccheperfetto congiuntivo e da quest’ultimo derivò l’imperfetto congiuntivo napoletano; per cui possiamo addirittura esagerare dicendo che sia piú esatto rispetto all’origine latina l’uso napoletano dell’imperfetto congiuntivo (vulesse) piuttosto che il condizionale dell’italiano (vorrei). Annoto in chiusura, non ricordando se lo abbia già détto, nel qual caso mi ripeto che l’uso improprio, nel napoletano, del condizionale può esser consentito eccezionalmente in poesia,per ragioni metriche o di rima, ma mai nella prosa. E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento e sperando d’avere interessato e forse scandalizzato i miei consueti ventiquattro lettori. Satis est. R.Bracale Brak

L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO

L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO Faccio sèguito a quanto ebbi a dire circa il condizionale nel napoletano, per rammentare che anche il futuro, come il condizionale, è un tempo che benché presente, ad incongrua imitazione dell’italiano, in talune grammatiche napoletane sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) dove è codificata e contemplata addirittura la farraginosa morfologia etimologica (ad es. il futuro del verbo avere che à come prima persona sg. avarraggio presuppone un binomio *habere + aggio→(*h)aberaggio→avarraggio, mentre la 2ª persona sg avarraje presupporrebe un binomio *habere + aje→(*h)aberaje→avarraje); orbene annoto che il futuro benché sia un tempo esistente o considerato tale da professori e glottologi, ma non dal popolo che fa l’idioma, in realtà è usato in poesia (per questioni di metrica o di rima), ma pochissimo usato nel parlato popolare che preferisce usare altre formule per indicare un’azione di là da venire; per cui ad es. la frase dell’italiano: domani andrò dal barbiere è resa in napoletano con dimane aggi’’a jí a d’’o barbiere piuttosto che con dimane jarraggio a dd’’o barbiere e talvolta, altrove, con il presente in funzione di futuro dimane vaco a dd’’o barbiere. Infatti nel napoletano del popolo si usa spesso la locuzione aggi’ ‘a che seguíta da un verbo all’infinito raffigura l’espressione italiana devo da o anche semplicemente devo; ad es. l’espressione T' aggi’ ‘a vedé va tradotta Ò da vederti ossia Devo da vederti oppure piú semplicemente Devo vederti; altrove ed è il caso che ci occupa con l’espressione aggi’ ‘a (=ò da) si rende in napoletano l’idea di un’ azione futura; ad es.: Dimane aggi’ ‘a jí a pavà ‘e ttasse (Domani andrò a pagare le tasse) e ciò perché nel napoletano il verbo manca ed è supplito dalla costruzione con il verbo avere seguito dalla preposizione ‘a (da) e dall’infinito connotante l’azione dovuta: ad es. aggio ‘a purtà ‘sta lettera (devo portare questa lettera), hê ‘a cammenà cchiú chiano! (devi camminare piú lentamente!); la medesima costruzione è usata pure, come ò anticipato e chiarito in funzione di futuro. Va da sé che non mette conto considerare come testimonianza di riferimento l’uso che del futuro, come del condizionale, che ad imitazione dell’italiano, ne fanno letterati, poeti e/o parolieri spesso condizionati da problemi di metrica e/o espressivi risolti con soluzioni imitative che non fan testo in quanto non autenticamente napoletane ( cioè del popolo napoletano che – ripeto - è quello che fa l’ autentico idioma!). Per ogni altra considerazione sul perché della coniugazione del futuro marcata su di una simile dell’italiano, rimando a quanto détto alibi circa il condizionale. Annoto in chiusura, non ricordando se lo abbia già détto,nel qual caso mi ripeto che l’uso improprio, nel napoletano, del futuro cosí come del condizionale può esser consentito eccezionalmente in poesia, ma mai nella prosa. E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento e sperando d’avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori e forse scandalizzato qualcuno! Satis est. R.Bracale Brak

LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE E GLI AVVERBI DI LUOGO DEL NAPOLETANO & altro

LE PREPOSIZIONI IMPROPRIE E GLI AVVERBI DI LUOGO DEL NAPOLETANO & altro La richiesta delle pagine che seguono mi è stata fatta da un caro amico, facente parte della Ass.ne Ex Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di Napoli, amico di cui, per questioni di riservatezza, mi limiterò ad indicare le sole iniziali di nome e cognome: N.C. Lo accontento volentieri e mi soffermo quindi parlare di quanto in epigrafe. Le preposizioni improprie e gli avverbi di luogo in uso nell’idioma partenopeo sono numerosi; molti di essi sono espressi da un’unica parola, molti altri necessitano di una preposizione d’accompagnamento in posizione protetica e spesso agglutinata con la parola cui si accompagnano. Vediamoli, cominciando dai piú semplici: cca( e non ca)avv = qui, in. questo luogo; vale l’italiano qua; etimologicamente dal lat. (e)cc(um) (h)a(c); da notare che nell’idioma napoletano (cosí come in italiano il qua corrispettivo) l’avverbio a margine va scritto senza alcun segno diacritico trattandosi di monosillabo che non ingenera confusione con altri; nel napoletano esistono , per vero, una congiunzione ed un pronome ca = (che), pronome e congiunzione dal medesimo etimo (lat. quia→q(ui)a→qa→ca) che però, per eccezione si rendono sempre con la c iniziale scempia,anche se preceduto da voci duplicanti (es. e,è, etc. ), laddove l’avverbio a margine è scritto sempre con la c iniziale geminata ( cca) e basta ciò ad evitar confusione tra i due monosillabi e non necessita accentare l’avverbio, cosa che – invece – purtroppo capita di vedere negli scritti di taluni sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura usa scrivere l’avverbio a margine cca’(con un inutile segno d’apocope…, inutile giacché non è caduta alcuna sillaba!) e talora addirittura ccà’ addizionando errore ad errore, aggiungendo (nel caso di ccà’) cioè al già inutile accento un pleonastico segno (‘) d’apocope atteso che, ripeto, non v’è alcuna sillaba finale che sia caduta e che vada segnata con il segno diacritico! In coda a quanto fin qui détto, mi occorre però aggiungere un’ultima osservazione: è vero che gli antichi vocabolaristi (P.P. Volpi, R. Andreoli) registrarono l’avverbio a margine come cà per distinguerlo dagliomofoni ca (che) pronome e congiunzione. Si trattava d’una grafia erronea, giustificata forse dal fatto che temporibus illis lo studio della linguistica era ancóra gli albori e quei vocabolaristi, meritevoli d’encomio peraltro per il corposo tentativo operato nel registrare puntigliosamente i lemmi della parlata napoletana, non erano né informati, né precisi. Ancóra tra gli antichi vocabolaristi devo segnalare il caso del peraltro preziosissimo Raffaele D’Ambra che, diligentemente riprendendo l’autentica parlata popolare registrò sí l’avverbio a margine con la c iniziale geminata (cca) ma lo forní d’un inutile accento (ccà) forse lasciandosi fuorviare dal cà registrato dai suoi omologhi. Dal tempo però dei varî P.P. Volpi, R. Andreoli e Raffaele D’Ambra la linguistica e lo studio delle etimologie à fatto enormi passi per cui se mi sento di perdonare a Raffaele D’Ambra,P.P. Volpi, R. Andreoli e ad altri talune imprecisioni o strafalcioni, non mi sento di perdonarli a taluni spocchiosi sedicenti e/o acclamati scrittori/autori partenopei, dei quali qualcuno addirittura cattedratico d’ateneo , colpevolmente a digiuno di regole linguistiche, (per la serie: quando non sai una cosa, insegnala!) che si abbandonano a fantasiose, erronee soluzioni grafiche! lla( e non llà) avverbio di luogo corrispondente all’italiano là 1) in quel luogo (indica un luogo genericamente lontano da chi parla e da chi ascolta): puosalo lla; sta certamente lla (sta senz'altro là) ; venimmo nuje lla ; nun sta cchiú lla, va’ lla (veniamo noi di là; non sta piú là, va’là) | talvolta si unisce a gli agg.vi o pron. chillo/u – chellu - chella o ad un sostantivo preceduto dai medesimi aggettivi , per determinare meglio la posizione di una persona o di una cosa: chillu guaglione lla; chillu libro lla; damme chellu ppane lla; piglia chella cosa lla;( quel ragazzo ; quel libro lí; dammi quel ppane lí; piglia quella cosa là) 2) con valore rafforzativo o enfatico: siente lla che casino! | chi è lla?, chi va lla?, fermo lla, usati da chi è di guardia o in ispezione ' arri lla (in questo caso però piú spesso il lla si semplifica in a per cui si à arri,a! !, per incitare bestie da soma o da tiro; 3) unito a un avverbio o a una determinazione di luogo: lla dinto; lla fora; lla attuorno; lla ssotto; lla’ncoppa; lla ‘ncopp’ a chella seggia; lla dint’ â casa; lla addó m’hê ditto | ‘a lla, da quel luogo: è partuto‘a lla ajeressera; curre‘a lla a cca ; pe gghí ‘a lla nfino â cimma nc'è vo’ n'ora bbona ‘e scarpinetto; | essere ‘a lla essere cchiú ‘a lla ca a cca, essere vicino a morire; ‘o spitale è assaje cchiú a lla; essere 4) in correlazione con qua e qui, per indicare luogo indeterminato: andare ‘nu pco cca, ‘nu poco lla'; correre ‘a cca e’a lla;qui e là cca e lla; guardà cca e lla. L’ etimo di questo avverbio di luogo, cosí come per il là dell’italiano è dal lat. (i)lla(c); in italiano si è stati costretti ad accentare l’avverbio per evitarne la confusione con il la art. determ. femm. sg; in napoletano invece non vi è alcun altro monosillabo la con cui l’avverbio a margine ingeneri confusione, per cui in napoletano non v’à ragione per accentare questo la avverbio come invece purtroppo fanno tutti gli autori partenopei buoni o meno buoni che siano che si lasciano frastornare e fuorviare dal là accentato della lingua italiana e dimenticano che i segni diacritici vanno usati per marcare differenze di voci omofone, ma appartenenti al medesimo àmbito linguistico! Per cui l’avverbio di luogo la in napoletano va reso senza alcun accento, ma con la geminazione della consonante (che ripete la doppia L etimologica e soddisfa l’attento udito partenopeo che avverte l’avverbio a margine con il suono forte d’avvio; e dunque lla e non llà con un inutile, pletorico accento che fa corona sulla a e tantomeno lla’ come qualche sedicente autore partenopeo à avuto il pessimo gusto di fare), non esistendo alcuna sillaba apocopata nell’ illac di partenza ed al solito la caduta di una o piú consonanti non può comportare segno diacritico! lloco avverbio di luogo = in questo/in quel luogo usato indifferentemente per indicare un posto/punto vicino a chi parla o a chi ascolta; un tempo per rafforzare l’indicazione d’ un punto vicino a chi ascoltasse s’usava addizionare l’avverbio a margine con l’espressione ‘mmocca (in bocca); e ‘mmocca lloco valeva esattamentenel punto dove (vi trovate) cioè proprio nel punto preciso dove si trovasse l’ascoltatore; etimologicamente l’avv. in esame deriva dall’espressione latina (i)llo(lo)co→lloco con aferesi ed aplologia(caduta di una sillaba all'interno di una parola che dovrebbe presentare, in base alla sua etimologia, due sillabe consecutive identiche o simili (p. e. mineralogia per mineralologia)); annanze/annante/’nnante/’nnanze prep. impr. ed avv. 1 dinanzi, di fronte, nella parte anteriore:stà, passà annante (stare, passar davanti); ‘o vestito è macchiato annanze(l'abito è macchiato davanti) 2 (ant.) prima, in precedenzaannante ca tu venisse(prima che venissi) || Nella loc. prep. annanze/annante/’nnanze a= davanti a, dinanzi, innanzi a; di fronte, dirimpetto a: guardà ‘nnanze a tte (guardare davanti a te) | in presenza di: dicette chesto annante ô pate(disse questo davanti al padre); tremmà annanze ô periculo(tremare davanti al pericolo) etimologicamente l’avv. in esame deriva dal lat. tardo abante 'avanti' con assimilazione regressiva della b in n e raddoppiamento espressivo della nasale: abante→anante→annante/annanze quest’ultimo anche nella forma aferizzata ‘nnanze; arrèto/arèto/adderèto/dderèto prep. impr. ed avv. nella parte posteriore, opposta al davanti: nun guardà arreto (non guardare dietro); preferisco stà addereto(preferisco star dietro) | preceduto da altro avv. di luogo: steva annascuso lla ddereto(era nascosto lí dietro); à dda stà cca ddereto(deve essere qua dietro); come prep. impr. è sempre seguita dalla prep. sempl. a aspiettame arreto a chella culonna (attendimi dietro quella colonna; s’è annascusa arreto â porta (s’è nascosta dietro la porta); | non può essere preceduto (come invece nell’italiano) dalla prep. di pleonastica:tu va’ annanze ca i’ sto’ arreto( tu vai davanti, io sto di dietro || nella loc. corrispondente all’italiano di dietro (o in grafia unita didietro) è usata nella forma ‘e reto ed à anche un valore di agg. e di s. m. : ‘e zzampe ‘e reto(le zampe posteriori);’a parte ‘e reto ‘e ll’armuà(il pannello di dietro dell’ armadio) etimologicamente è dal tardo lat. *ad de retro→adderet(r)o→ addereto →arre(re)to e quest’ultimo anche a(r)reto; luntano agg.vo avv. e s.vo; come agg.vo vale l’italiano lontano 1 che si trova a grande distanza, che è separato da un lungo spazio: città, paise luntane(città, paesi lontani); penzà sempe ê figlie luntane(pensare ai figli lontani); ‘a nave è lluntana dô puorto(la nave è lontana dal porto); ‘a casa mia è lluntana ‘a cca(la mia casa è lontana da qui) | che si trova a una distanza determinata: ‘a posta è luntana ‘nu centanaro ‘e metre (l'ufficio postale è lontano un centinaio di metri) 2 remoto, distante nel tempo (passato o futuro):ebbreche luntane ( epoche lontane); tiempe luntane(tempi lontani);’nu juorno cchiú o meno luntano( in un giorno piú o meno lontano; ‘a staggiona nun è lluntana(l'estate non è lontana), è prossima 3 distante in senso ideale: essere luntano dâ verità(essere lontano dal vero);mantenerse luntano ‘a quaccosa( tenersi lontano da qualcosa); essere assaje luntano dô ffà, dô ddicere dô ppenzà coccosa, ( essere ben lontano dal fare, dire, pensare qualcosa) fare, dire, pensare cose molto diverse; luntano parente (lontano parente), non stretto | vago, incerto, indeterminato: ‘na sumiglianza luntana(una lontana somiglianza); nun tène ‘a cchiú luntana idea(non à la piú lontana idea | diverso, divergente: avé luntani idee(avere opinioni lontane); un modo di pensare ben lontano da un altro |â luntana ( alla lontana), alla larga, a distanza; in modo vago: ‘o saccio sulo â luntana (lo conosco solo alla lontana);me nn’à parlato, ma â luntana (me ne à parlato, ma alla lontana); parente â luntana (parente alla lontana), non stretto; pigliarla â luntana (pigliarla alla lontana), incominciare un discorso senza affrontare subito l'argomento principale 4 (anticamente ) molto esteso nello spazio o nel tempo: è turnato ‘a ll’America pe ‘nu mare luntano (è tornato dall’America attraversando un mare lontano)…attraversando l’oceano come avv. in un luogo distante: stà, truvarse luntano(stare, trovarsi lontano); jí luntano luntano (andare lontano lontano), molto lontano | luntano ‘nu miglio(lontano un miglio), (fig.) a grande distanza | mirà luntano(mirare lontano), (fig.) avere grandi ambizioni | vedé luntano(vedere lontano), (fig.) saper prevedere l'evolversi delle cose | jí luntano (andare lontano) (fig.) avere successo, far carriera || Nelle loc. avv. ‘a luntano (da lontano, di lontano): chiammà, salutà ‘a luntano(chiamare, salutare da lontano); vedé, mustrà ‘a luntano(vedere, mostrare di lontano) || Nella loc. prepositiva luntano ‘a(lontano da: luntano ‘a cca, ‘a lla(lontano da qui, da lí); campà luntano dâ casa(vivere lontano da casa); stammo ‘e casa luntano ‘a vuje(abitiamo lontano da voi) | prov. :luntano ‘a ll’uocchie, luntano dô core (lontano dagli occhi, lontano dal cuore), l'affetto si affievolisce con la lontananza come s. neutro. (anticamente) ‘o lluntano d’ ‘o quatro ( ciò che in un quadro si vede in lontananza); sfondo la voce è derivata dal lat. volg. *longitanu(m), deriv. dell'avv. longiter 'lontano, lungi'; questo il percorso: longitanu(m)→ lon(gi)tanu(m)→luntano, vicino/bbicino agg.vo s.vo, prep. impr. ed avv.; come aggettivo 1 che non è lontano o è poco lontano nello spazio o nel tempo: ‘o municipio è bbicino â casa mia(il municipio è vicino a casa mia); ddoje chiezze bbicine(due piazze vicine (tra loro)); simmo oramaje vicine ô sciummo(siamo ormai prossimi al fiume); ‘a fine d’ ‘a fatica è bbicina(la fine del lavoro è vicina); ‘a notte è vvicina (la notte è vicina); n’ommo cchiú vvicino ê cinquanta ca ê quaranta(un uomo piú vicino ai cinquanta che ai quaranta); essere vicino a ffà coccosa(essere vicino a fare qualcosa), stare per farla | paise vicine(paesi vicini), confinanti | ll’Uriente vicino(il vicino oriente), quello costituito dalle nazioni che si affacciano o sono prossime al Mediterraneo 2 (fig.) che à rapporti di parentela o di amicizia: ‘nu parente vicino(un parente vicino), stretto | che partecipa ai sentimenti di qualcuno: me sento vicino a tte a ‘stu mumento (mi sento vicino a te in questa circostanza) 3 (fig.) simile, affine: è ‘na tenta cchú bbicina ô bblu ca ô vverde (è una tinta piú vicina al blu che al verde; come s.vo m. [f. -a] è raro ed è piú spesso sostituito da altre espressioni 1 chi è o abita vicino: ‘o vicino ‘e casa( il vicino di casa);ad es. ‘o vicino/’a vicina ‘e casa son resi con ‘o signore/’a signora a pporta come avv. a poca distanza, non lontano: stevano ‘e casa vicino; succedette cca bbicino;fatte cchiú bbicino(abitavano vicino;abitavano nei pressi; accadde qui vicino accadde poco lontano; fatti piú vicino), avvicinati maggiormente; nun c’è riuscito, ma c’è gghiuto vicino(non c'è riuscito, ma c'è andato vicino), (fig.) c'è mancato poco | ‘a vicino(da vicino o davvicino), da breve distanza (anche fig.): sparaje ô berzaglio assaje ‘a vicino(sparò al bersaglio molto da vicino); fatte vedé ‘a vicino(fatti vedere da vicino); guardanno ‘o fatto cchiú ‘a vicino(esaminando la questione piú da vicino, piú addentro, piú minutamente; conoscere quaccuno ‘a vicino(conoscere qualcuno da vicino), personalmente, bene come loc. prepositiva 1 vicino a, a poca distanza da, accanto a, presso: sta ‘e casa vicino a piazza Dante(abita vicinopiazza Dante); nun starte accussívicino â televisione(non stare cosí vicino al televisore) è voce derivata dal lat. vicinu(m), deriv. di vicus 'villaggio'; propr. 'che appartiene allo stesso villaggio'; tipiche nel napoletano le alternanze b→v, v→b (cfr. bocca→vocca – barca→varca – avvincere→abbencere etc.); ‘mmiero/’mpiero preposizione impr.cong. ed avverbio antico e desueto Come prep. impr. 1 in direzione di, verso, alla volta di (introduce un compl. di moto a luogo): jettero ‘mmiero ê muntagne, ‘mpiero Milano (andarono verso i monti, verso Milano); avutaje ‘a faccia ‘mpier’ô cielo(volse il viso verso il cielo); ‘mpiero addó site dirette?( verso dove siete diretti?) | si unisce ai pron. pers. per lo piú mediante la prep. de→’e: guardate ‘mpiero ‘e me(guardate verso di me); jettero ‘mpiero d’isso(andarono verso di lui) 2 dalle parti di, nei pressi di (introduce un compl. di stato in luogo): sta ‘e casa ‘mpiero ô corzo Garibbalde (abita) abita dalle parti del corso Garibaldi; | (rar.) anche preceduto da prep.: è de ‘mpiero Casoria(è di verso Casoria) 3 poco prima o poco dopo; circa a, intorno a (introduce un compl. di tempo determinato): te telefono ‘mmiero ê ssette(ti telefonerò verso le sette); se trasferisce ‘mmiero â fine ‘e ll’anno(si trasferirà verso la fine dell'anno) | in prossimità di, intorno a (introduce un compl. di età): mpiero ê trent’anne decidette ‘e se ‘nzurà( verso i trent'anni decise di sposarsi); 4 nei riguardi di, nei confronti di: ammore ‘mpiero tutte quanteamore verso tutti; pietà ‘mmiero chi soffre (pietà verso chi soffre); s’è cumpurtato malamente ‘mmiero ‘e te; (si è comportato male nei tuoi confronti); 5 (commerciale e giurid. ) contro, dietro: ‘o certificato se rilascia ‘mpiero pagamento(l'attestato si rilascia contro pagamento). Come avv. Quasi,circa, pressappoco, pressoché Costa ‘mpiero mille lire; so’ ‘mmiero ‘e sseje; so’ venute ‘mpiero tutte; me parono ‘mmiero euale; nun ‘o ‘ncontro ‘mpiero majenon lo incontro quasi mai; «Hê fernuto?» «’Mpiero»;(costa quasi mille lire; sono quasi le sei; sono venuti quasi tutti; mi sembrano quasi uguali; non lo incontro quasi mai; «Ài finito?» «Quasi»); come cong. = come se (sempre seguito dal verbo al congiunt.): era assaje preoccupato, ‘mpiero sapesse chello ca steva pe succedere( era molto preoccupato, quasi sapesse quello che stava per accadere). La voce è un derivato del greco perí (intorno) con prostesi di un in→’n illativo: in + pĕrí→inpĕrí→’npierí→’mpiero ed anche ‘mmiero per assimilazione progressiva; miezo/’mmiezo agg.vo, avv.prep. imp. e s.vo Come aggettivo 1 che è metà dell'intero: miezu chilo(mezzo chilo); meza purzione(mezza porzione), meza jurnata(mezza giornata); ce ò magnammo miezo peduno(lo mangeremo mezzo per uno); ‘nu bbuonu miezu litro(un buon mezzo litro), mezzo litro abbondante meza festa (mezza festa), giornata lavorativa nella quale, per una ricorrenza o altro, si lavora solo per metà tempo miezu lutto (mezzo lutto), lutto non stretto | meza età(mezza età), non piú giovanile e non ancora senile; età matura 'mizu ‘uanto (mezzo guanto),quello che lascia scoperte le dita ‘na fatica a mmiezo(un lavoro a mezzo (tempo)), a tempo parziale, con orario ridotto di circa metà rispetto a quello normale ma distribuito per lo piú nel normale numero di giorni | 2 (fam.) poco meno di, quasi: è succieso ‘nu miezu casino (s’è scatenato un mezzo putiferio); m’à fatto ‘na meza prumessa(mi à fatto una mezza promessa); ‘na meza idea(una mezza idea), un'idea molto vaga | era miezu muorto(era mezzo morto, molto mal ridotto |nun aggiu ditto meza parola (non ò detto mezza parola), assolutamente nulla . come avv. per metà; parzialmente, quasi: ‘nu muro miezo ggiallo e mmiezo bblu(una parete mezzo gialla e mezzo blu); dduje paise miezo distrutte(due paesi mezzo distrutti); (in tali casi all'avv. si sostituisce spesso l'agg.: ‘nu muro miezu ggiallo e mmiezu bblu (una parete mezza gialla e mezza blu); dduje paise mieze distrutte(due paesi mezzi distrutti); come s.vo m.le 1 la metà di un tutto: | si usa spec. dopo un numerale, sottintendendo il sostantivo precedentemente espresso: dduje chile e mmieze(due chili e mezzo(chilo);tengo quinnece anne e mmieze (ò quindici anni e mezzo); songo ‘e ccinche e mmezo(sono le cinque e mezzo (frequente, intendendosi mezzo come agg., la concordanza al femminile: ll’una e mmeza (l'una e mezza); 2 il punto, il tratto di spazio o l'arco di tempo che divide idealmente in due parti uguali uno spazio o un periodo di tempo: ‘mmiezo ô salotto(nel mezzo del salone); ‘mmiezo â strata( in mezzo alla strada); ‘mmiezo ô mmeglio d’ ‘a festa (nel bel mezzo della festa) | ‘na via ‘e miezo(via di mezzo), (fig.) si dice di ciò che à caratteristiche miste, che rappresenta una soluzione intermedia: ‘na via ‘e miezo’nfra ‘na machina e ‘nu furgone( una via di mezzo tra una vettura ed un furgone); scegliere ‘na via ‘e miezo(scegliere una via di mezzo) | jí pe mmiezo (andar di mezzo), essere coinvolto, soffrire le conseguenze levà ‘a miezo coccosa( levar di mezzo qualcosa), toglierla da un luogo dove è d'ingombro, gettarla via, liberarsene levà ‘a miezo a coccheduno (levar di mezzo qualcuno), allontanarlo, o anche ucciderlo levarse ‘a miezo (levarsi, togliersi di mezzo), liberare dalla propria presenza, andarsene; non occuparsi piú di qualcosa | mettere ‘mmiezo a coccheduno (mettere in mezzo qualcuno), ingannarlo, comprometterlo, coinvolgerlo come loc. prep. introduce il nome della persona o della cosa di cui ci si serve o che funge da tramite: mannà ‘na nutizzia pe mmiezo ‘e n’amico (mandare la notizia per mezzo di un amico); spedí ‘nu pacco pe mmiezo d’ ‘o curriere(spedire un pacco per mezzo di (o del) corriere); comunicare per mezzo della stampa; spedí a mmiezo d’ ‘o curriere, raccumannata etc. (spedire a mezzo corriere, a mezzo raccomandata etc.); come prep. impropria introduce il compl. di moto per luogo e vale fra, tra, per ed è sempre costruita seguita dalla prep. a è voce dal lat. mediu(m) cammenà pe ‘mmiezo â via (camminare per istrada)ll’aggiu ‘ncuntrato pe ‘mmiezo ê scale (l’ò incontrato per le scale) è voce dal lat. mediu(m) e nella morfologia ‘mmiezo si riconosce in + miezo→inmiezo→immiezo→’mmiezo. ‘mpizzo avverbio di luogo sulla punta, proprio al margine: ‘mpizzo â lengua (sulla punta della lingua,) ‘mpizzo â seggia (al margine della sedia talora, ma reiterato: ‘mpizzo ‘mpizzo anche avverbio di tempo nel significato di a tempo a tempo, giusto in tempo: è arrivato ‘mpizzo ‘mpizzo pe s’assettà a ttavula a mangià (è arrivato giusto in tempo per sedere a mangiare), ‘o piccerillo è trasuto ‘mpizzo ‘mpizzo pe sèntere chello ca stévamo dicenno (il bimbo è entrato a tempo a tempo per udire ciò che dicevamo); la voce è da in→’n + pizzo→’npizzo→’mpizzo; pizzo =punta,merletto,posto ed anche becco d’uccellino è voce d’origine espressiva da un tema onomatopeico piz-.; ’mponta avverbio di luogo, ma non di tempo che ripete le accezioni del precedente, con esclusione di quelle relative al luogo ); la voce è da in→’n + puncta(m)→’npuncta→’mponta; ponta =punta è dal lat. tardo puncta(m) 'colpo inferto con una punta', deriv. di pungere 'pungere'; ‘ncoppa/ ‘a coppa prep. impr. ed avv. di luogo come avv. sopra,su, in luogo o posizione piú elevata è sagliuto ‘ncoppa(è salito su, sopra)ll’aggiu aspettato ‘ncoppa (l’ò atteso su); mettimmoce ‘na preta ‘a coppa(mettiamoci una pietra sopra, dimenticare ciò che è stato; bevimmoce ‘a coppa (beviamoci sopra), per dimenticare qualcosa; durmirce ‘a coppa(dormirci sopra), lasciar passare tempo per riflettere; anche, trascurare, rallentare qualcosa come prep. 1 in posizione piú elevata rispetto ad altro, su (con riferimento a cose che sono a contatto): ‘o telefono sta ‘ncopp’ â scrivania(il telefono è sopra (al)la scrivania); posa ‘o libbro ‘ncopp’ô tavulo mio(posa il libro sopra il (o al) mio tavolo); purtà ‘a cesta‘ncopp’ â capa(portare la cesta sopra la testa); saglí‘ncopp’ âseggia( salire sopra la(o alla) sedia); | in usi fig.: sperà ‘ncoppa a quaccuno(sperare su qualcuno): far assegnamento sopra qualcuno; jucà ncoppa a ‘nu nummero( giocare sopra un numero); t’ ‘o ggiuro ncoppa a ll’anema ‘e papà (te lo giuro sull’anima di mio padre) giurare sopra qualcuno, qualcosa, in nome di qualcuno, per qualcosa; 2 con riferimento a cose l'una delle quali ricopre o avvolge l'altra: stennere ‘o mesale ‘ncopp’â tavula(stendere la tovaglia sopra la tavola); tené ‘nu maglione ‘ncopp’ê spalle(avere un golf sopra le spalle); metterse ‘o cappotto ‘a copp’ô tajerre(mettere il cappotto sopra il tailleur) 3 con riferimento a cose messe l'una sull'altra: mettere ‘e piatte uno ‘ncoppa a ll’ato(mettere i piatti uno sopra l'altro) | in talune particolari accezioni con riferimento a cose o avvenimenti che si succedono rapidamente nel tempo o in gran numero: fa diebbete ‘ncopp’ a ddiebbete(fare debiti sopra debiti); riportare vittoria sopra vittoria; dire spropositi sopra spropositi; gli accadde una disgrazia sopra l'altra 4 con riferimento a cose che non sono a contatto fra loro: il ritratto era appeso sopra il caminetto; si costruirà un nuovo ponte sopra la ferrovia; il colonnello abita sopra di loro; le nuvole si addensavano sopra di noi | in usi fig.: una minaccia pendeva sopra il suo capo; piangere sopra qualcuno, qualcosa, dolersi per qualcuno, qualcosa; passar sopra a qualcosa, non tenerne conto; tornar sopra a qualcosa, riesaminarla; averne fin sopra i capelli, essere nauseato di qualcosa, aver raggiunto il limite della sopportazione; sopra pensiero, soprappensiero 5 (fig.) con riferimento a situazioni di superiorità, dominio, controllo: allargare il proprio dominio sopra tutto il paese; regnare sopra diversi popoli; non avere nessuno sopra di sé; avere un vantaggio sopra qualcuno; vegliare sopra i figli 6 con riferimento a cosa che scende dall'alto (anche fig.): le bombe caddero sopra la casa; la nebbia calò sopra la valle; la responsabilità ricade sopra di noi; scaricare la colpa sopra qualcuno | (estens.) contro: gettarsi, scagliarsi sopra qualcuno; ordinarono ungrandissimo esercito per andare sopra 'nemici (BOCCACCIO Dec. II, 8) 7 nelle immediate vicinanze ma in posizione piú elevata: la casa è sopra la ferrovia; c'è una pineta sopra il mare 8 oltre, piú (di un limite): bambini sopra i cinque anni; la temperatura è sopra lo zero; Roma è a pochi metri sopra il livello del mare | nelle determinazioni geografiche, piú a nord: Bolzano è un po' sopra Trento; il mar Rosso è sopra il 10° parallelo | piú di (per indicare una preferenza): amare la famiglia sopra ogni cosa; questo mi interessa sopra tutto 9 intorno a, riguardo a (per indicare materia, argomento): parlare sopra un tema difficile; mi piacerebbe conoscere il tuo parere sopra quella questione 10 (ant.) oltre a, in aggiunta a: gran parte delle loro possessioni ricomperarono, e molte dell'altre comperar sopra quelle (BOCCACCIO Dec. II, 3) 11 (ant.) prima di, avanti (in senso temporale): la notte sopra la domenica, quella che la precede | sopra parto, soprapparto 12 nella loc. al di sopra di, che à gli stessi sign. di sopra: numeri al di sopra di cento; essere al di sopra delle parti; un cittadino al di sopra di ogni sospetto ¶ agg. invar. superiore (anche preceduto da di): la riga di sopra; il piano di sopra ¶ s. m. invar. la parte superiore, ciò che sta sopra (anche preceduto da di): il (di) sopra è di plastica. etimologicamente‘ncoppa = sopra è forgiato da un in→’n illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra; ugualmente ‘a coppa = da/di sopra deriva dalla medesima cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, introdotta dalla ‘a aferesi della preposizione da→’a Mette conto parlare anche di ‘ncopp’â = sulla, sopra la - ncopp’ô sul sullo, sopra il/lo e di ‘ncopp’ê su gli/sulle, sopra i,gli/le; queste tre locuzioni prepositive napoletane sono forgiate da un in→’n illativo e da coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore superiore del capo che è dunque quella posta sopra, addizionate volta a volta da â (crasi di a ‘a=alla), da ô(crasi di a ‘o=al/allo),da ê(crasi di a ‘e= ai,a gli, alle). ‘ncuollo avv. di luogo vale 1 addosso, sulla persona, sulle spalle: che puorte ‘ncuollo?(che cosa porti addosso?); tené ‘ncuollo(avere addosso), avere con sé, su di sé; indossare | tené ‘a jella ‘ncuollo(avere la sfortuna addosso), (fig.) essere sempre sfortunato | chiammarse ‘e guaje ‘ncuollo(chiamarsi addosso i guai), (fig.) procurarseli | se ll’è ffatta ‘ncuollo p’ ‘a paura(per la paura se l’è fatta addosso, fare i bisogni corporali nei vestiti; (fig.) farsi prendere dalla paura, dal panico |parlarse ‘ncuollo (parlarsi addosso), (fig.) in continuazione e con autocompiacimento 2 dentro la persona; nell'animo, nel corpo: tené ‘ncuollo’na paura futtuta, ‘na freva ‘e cavallo(avere addosso una paura terribile, una febbre da cavallo) | tené ‘o diavulo ‘ncuollo(avere il diavolo addosso), (fig.) essere indemoniato o, nell'uso com., di pessimo umore | tené ll’argiento vivo ‘ncuollo(avere l'argento vivo addosso), (fig.) essere vivace, non stare mai fermo || In unione con a forma la loc. prep. ‘ncuollo a= addosso a nelle forme ‘ncuollo â = addosso alla – ‘ncuoll’ô= addosso allo – ‘ncuoll’ê=addosso a gli, addosso alle 1 assai vicino, molto accosto: ‘e ccase songo una ‘ncuollo a n’ ata(le case sono una addosso all'altra) 2 su, sopra: cadé ‘ncuollo a quaccheduno(piombare addosso a qualcuno) | mettere ‘e mmano ‘ncuollo a quaccheduno(mettere le mani addosso a qualcuno), colpirlo, picchiarlo; toccarlo con desiderio sessuale | mettere ll’uocchie ‘ncuollo a quaccheduno, quaccosa(mettere gli occhi addosso a qualcuno, a qualcosa), (fig.) farne oggetto di desiderio | sta sempe ‘ncuollo ô figlio(sta sempre addosso al figlio, (fig.) sollecitarlo, controllarlo, opprimerlo 3 contro: dà, menarse ‘ncuollo a quaccheduno(dare addosso,gettarsi addosso a qualcuno, assalirlo; (fig.) perseguitarlo come inter.anche ellittica indica incitamento ad assalire qualcuno:’o ví lloco ‘o mariulo, dalle‘ncuollo!( ecco il ladro,dagli addosso!) ‘Ncuollo!(Addosso!). etimologicamente‘ncuollo = addosso è formato da un in→’n illativo e cuollo dal latino cŏllu(m) nell'uomo ed in altri vertebrati, la parte del corpo di forma generalmente cilindrica, che unisce la testa al torace la parte che si può ritenere quella posta addosso al busto; ‘nfunno prep. impr. ed avv. di luogo 1 nella parte inferiore di qualcosa, spec. di un recipiente o di una cavità: ‘nfunno â tiana (in fondo alla pentola), | ‘nfunno ô mare, ô sciummo (al fondo del mare, del fiume)| jí ‘nfunno(andare a fondo), affondare; (fig.) rovinarsi | mannà ‘nfunno a quaccheduno(mandare al fondo qualcuno) affondarlo; (fig.) rovinarlo 2 in fondo, nella parte piú interna di un luogo o piú lontana rispetto all'osservatore o situata alla fine di qualcosa; (fig.) la parte piú riposta e intima: ‘nfunn’â cascia(nel fondo del baúle); ‘nfunn’â strata (in fondo alla strada) ‘a cammera ‘nfunn’ô curreturo (la camera in fondo al corridoio); ‘nfunn’ô core (nel fondo del cuore); ‘nfunno a ll’anema( in fondo all'anima) ' |’a cimma ‘nfunno (da cima a fondo), completamente | jí’nzino ‘nfunno(andare fino in fondo), (fig.) non abbandonare un'impresa prima di averla conclusa | è gghiuto‘nfunn’ô fatto ( è andato in fondo alla faccenda), à cercato di vederci chiaro | tutto sommato:’nfunno ‘nfunno è mmeglio accussí! (in fondo, in fondo è meglio cosí!). etimologicamente‘nfunno = in fondo è forgiato da un in→’n illativo + funno dal latino fundu(m)→funno con assimilazione progressiva nd→nn. ‘nterra prep. impr. ed avv. di luogo nella parte inferiore, piú bassa o estrema di qualcosa,giú’nterra â Mmaculatella (giú, all’estremo limite dell’ imbarco del molo dell’ Immacolata) ’nterra â Cajola (sulla spiaggia della Gaiola), è caduto ‘nterra (è cascato in terra), ‘o voglio vedé ‘nterra (lo voglio vedere a terra) (fig.) sottomettere, rovinare; etimologicamente‘nterra = in fondo, giú, all’estremo limite è forgiato da un in→’n illativo + terra dal latino terra(m). ‘ntridice/’ntririce avv. di luogo ma anche modale Letteralmente: in tredici id est: giusto nel mezzo, al centro, in vista; usato sempre con valore o accezione negativa come nell’espressione che segue: Stà sempe 'ntridice/’ntririce. Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, al centro, in vista, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candelabro perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo. Ora poiché nella smorfia napoletana il candelabro, come le candele, fa 13 ecco che se ne è ricavato l’avverbio a margine e viene fuori l'espressione in esame con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti. etimologicamente‘ntridice/’ntririce = nel mezzo, al centro, in vista è forgiato da un in→’n illativo + tridice/tririce = tredici numerale dal lat. tredecim, comp. di trís 'tre' e decem 'dieci'; nella morfologia tririce da tridice è riscontrabile la rotacizzazione osco-mediterranea della d→r. sotto/ avv. e preposiz. impropria come avv. 1 in luogo o posizione inferiore: sta cca ssotto, lla ssotto(è qui sotto, lí sotto); miettela sotto, cchiú ssotto(mettilo sotto, piú sotto); ‘nu scatolo ‘a coppa ‘e rasone, ‘a sotto ‘e velluto(una scatola sopra di raso e sotto di velluto), con la parte inferiore di velluto | preceduto dalla prep. a/di pleonastica: scennere ‘a sotto(scendere di sotto), al piano inferiore; chi steva‘a coppa faceva ‘e dispiette a cchille ca stevano‘a sotto (chi stava sopra faceva i dispetti a quelli che stavano di sotto) | può essere preceduto da prep. diversa da a/di: passaje pe ssott; è asciuto ‘a sotto(passò per sotto; è uscito da sotto);| raddoppiato à valore di 'al di sotto di tutto il resto': ll’acqua scavaje sotto sotto(l'acqua scavò sotto sotto); sotto sotto, (fig.) dentro di sé, di nascosto, copertamente: sotto sotto avesse vuluto essere ‘mmitato a restà(sotto sotto, avrebbe voluto essere invitato a restare) | mettere sotto, investire: fuje miso sotto ‘a ‘nu camionne(è stato messo sotto da un camion); metterse sotto(mettersi sotto), (fig.) impegnarsi con tutte le energie in un lavoro |ce sta sotto coccosa (c’è qualcosa sotto), di situazione non chiara, che appare losca; 2 in seguito, con riferimento a cosa che sarà détta o scritta poco oltre: comme dimustrato cca ssotto(come dimostrato qui sotto) come prep. [si unisce ai nomi direttamente o mediante la prep. a, ai pronomi personali quasi sempre mediante la prep. a oppure‘e(di); si può elidere davanti a vocale, spec. in espressioni del tipo:sott’acqua, sott’acito (sott'acqua, sott'aceto); sotto a mme, sotto’e te (sotto di me, sotto di te)] 1 in posizione inferiore rispetto ad altro (con riferimento a cose che sono a contatto): mettette ‘na zeppa sott’ â zampa d’ ‘a tavula(mise un cuneo sotto la gamba del tavolo);’o libbro ca cirche sta sott’ô manesiglio niro( il libro che cerchi è sotto il quaderno nero; annasconnere coccosa sott’ô lietto(nascondere qualcosa sotto il letto); purtà ‘e libbre sott’ô vraccio( portare i libri sotto il braccio) 2 con riferimento a cose l'una delle quali avvolge l'altra: purtà ‘nu vestito liggiero sott’ô cappotto( portare un abito leggero sotto il cappotto); ‘nfilarse sott’ê cuperte(infilarsi sotto le coperte); ‘o piatto steva sotto a ‘nu parmo ‘e póvera(il piatto era sotto uno strato di polvere.) 3 con riferimento a cose non in contatto fra loro: ‘o scannetiello sta sott’ô tavulino(lo sgabello è sotto il tavolino); passà pe sott’ô ponte (passare sotto il ponte); sta ‘e casa proprio sotto a mme( abita proprio sotto di me); stevano tutte e dduje sott’ô ‘mbrello erano ambedue sotto l'ombrello; s’arreparaje sott’ô barcone( si riparò sotto il balcone); sott’ê stelle( sotto le stelle), all'aperto di notte; sott’ô sole (sotto il sole), in questo mondo |tené coccosa sotto a ll’uocchie, sott’ô naso avere qualcosa sotto gli occhi, sotto il naso, vicinissimo 4 con riferimento a cose l'una delle quali travolge o grava sull'altra:è ffernuto sotto a ‘na machina( è finito sotto un'automobile); metterse sott’ê piere(mettersi sotto i piedi), calpestare; (fig.) umiliare, assoggettare; jí sott’acqua(andare sott'acqua), sprofondare nell'acqua; anche, immergersi sotto il pelo dell'acqua | con riferimento a situazioni di assoggettamento, subordinazione, dipendenza: ‘a rivoluzzione ‘e Masaniello scuppiaje sott’ô guverno d’ ‘o vicerre(la rivoluzione di Masaniello scoppiò sotto il governo vicereale; tengo assaje ‘mpiecate sotto a mme (ò molti impiegati sotto di me; ‘mpararse sotto a ‘nu bbuonu masto(imparare sotto un buon maestro); 5 con riferimento a cosa che subisce l'azione di un'altra che scende dall'alto: stà sotto a ll’acqua(stare sotto la pioggia); leggere sott’â luce d’ ‘o lumetto (leggere sotto la luce della lampada da comodino); murí sott’ê bumbardamente(perire sotto i bombardamenti); arrivà sott’ô patapato ‘e ll’acqua(arrivare sotto un gran temporale) | in usi fig., con sfumatura modale: viaggià sotto scorta(viaggiare sotto scorta); campà sotto a ‘na minaccia continua(vivere sotto una continua minaccia);fa ‘o testemmonio sotto ggiuramento ( far da testimonio sotto giuramento); guardà ‘nu prubblema sotto a ‘nu certu punto ‘e vista(considerare un problema sotto un certo punto di vista); 6 per indicare immediata vicinanza, spec. in posizione inferiore: se cumbatteva sott’ê mmura(si battagliava sotto le mura); alluccavano sott’ê feneste soje( urlavano sotto le sue finestre); | farse sotto ô nemicofarsi sotto (all'avversario), avvicinarsi per colpirlo 7 non oltre, meno di (per indicare un limite): piccerille sott’ê tre anne( bambini sotto i tre anni);essere poco sott’ ô cantàro(essere di poco sotto il quintale) | nell’espressione ellittica farsela sotto(farsela sotto)mingersi o defecarsi indosso; 8 in prossimità, nell'imminenza (con valore temporale): ll’aggiu ‘ncuntrato sotto Natale(l'ò incontrato in prossimità del Natale); stammo oramaje sotto a ll’esame(siamo ormai sotto gli esami); 9 l’avv. sotto lo si ritrova anche nella locuzione prep. avverbiale ‘a sotto = da/di sotto che è formata da ‘a= da dal lat. de ab nei valori di moto da luogo, origine, agente ecc.; o dal lat. de ad nei valori di moto a luogo, stato in luogo, destinazione, modo, fine ecc. e da sotto avv. e preposiz. impropria = sotto dal lat. subtus, avv. deriv. di sub 'sotto';a margine di tale locuzione rammento una nota esclamazione del linguaggio partenopeo che suona: ‘a sotto p’’e chiancarelle! Ad litteram: Di sotto a causa dei panconcelli ma a senso: Attenti alla caduta dei panconcelli! Locuzione esclamativa (in origine grido di avvertimento) con la quale si suole commentare tutti gli avvenimenti risultati o gravosi o pericolosi nel loro evolvere nella valenza di Accidenti!, Perbacco!; essa prende l’avvio dal grido di avvertimento che erano soliti lanciare gli operai addetti alla demolizione di vecchi fabbricati affinché chi si trovasse a passare ponesse attenzione all’eventuale caduta dall’alto dei dissestati panconcelli. chiancarelle = panconcelli, travicelli, strette, ma abbastanza lunghe (un metro) doghe di stagionato castagno, doghe che poste trasversalmente sulle travi portanti sorreggevano (nelle costruzioni di una volta) l’impiantito dei solai. la voce è il plurale di chiancarella che etimologicamente è un derivato (diminutivo : vedi suff. ella+ l’infisso ar) del basso latino planca(m)=tavola lignea; dalla medesima planca(m)=tavola lignea il napoletano trasse la voce chianca = macelleria, rivendita di carni macellate; e ciò in quanto originariamente l’ esposizione e la sezionatura per la vendita al minuto delle carni avveniva tenendole poggiate su di un tavolo ligneo; tipico e normale l’esito nel napoletano chi del digramma latino pl e del digramma cl seguíto da vocale (vedi plus→cchiú=piú, platea→chiazza=piazza, plumbeum→chiummo=piombo, clausum→chiuso, etc.). abbascio/ ‘a vascio avv.e prep. impr. di luogo abbasso, in giú,in fondo, di sotto, in basso: scinne abbascio(scendi giú), saglie ‘a vascio e viene ‘ncoppa(sali di sotto e monta su),abbascioâ via nova(in fondo alla strada maestra), derivazione dal tardo latino bassu(m) morfologicamente si è pervenuti ad abbascio partendo da bassu(m) attraverso la locuzione a basso→a bascio→abbascio, sul modello del fr. à bas; nella locuzione la voce basso à prodotto dapprima bascio e poi il raddoppiamento dell’esplosiva labiale b intervocalica invece del passaggio di b a v; rammento ancóra che in napoletano sempre dalla voce bassu(m) abbiamo il verbo denominale avascià/avasciare= abbassare, calare, portare, mettere qualcosa piú in basso, ridurre l'altezza, il valore o l'intensità di qualcosa; verbo nel quale è riconoscibile la prostesi di una a eufonica che qui però (misteri della parlata napoletana!) non à prodotto il raddoppiamento della b come ci si sarebbe atteso alla luce di quanto detto precedentemente, e non à influito in alcun modo sul passaggio della b a v; si è avuto dunque bassu(m)→vascio→a + vasci(o)+are=avasciare/avascià; addó = avverbio di luogo e cong. usato in primis in proposizioni interrogative, ma anche in relative etc., 1 in quale luogo (in prop. interrogative dirette e indirette, e talora in prop. esclamative): addó vaje?(dove vai?); addó s’è ‘mpurtusato?(dove si è cacciato?); chi sa’ addó sta a chest’ora!(chissà dove sarà a quest'ora!); dimme addó staje ‘e casa(dimmi dove abiti);sta ‘e casa nun saccio addó( abita non so dove) | di, da dove, di, da quale luogo: ‘e addó sî?(di dove sei?); 2 nel luogo in cui (in prop. relative): stongo ‘e casa addó tu stive ‘e casa ‘na vota(abito dove tu abitavi un tempo); rieste addó staje!(resta dove sei!); jate addó ve pare e ppiace(andate dove vi pare ed aggrada); 3 il luogo in cui (in prop. relative): ‘o vvi’ cca addó ce simmo ‘ncuntrate(ecco dove ci siamo incontrati); cca è addó è succieso ‘o ‘mpiccio(qui è dove è accaduto l'incidente) | 4 preceduto da un sostantivo equivale a in cui, nel quale, nella quale ecc.: ‘a pultrona addó t’assiette solitamente(la poltrona dove siedi di solito); ‘a casa addó sta ‘e casa(la casa dove abita); ‘o paese addó stammo jenno(il paese dove siamo diretti); ripigliammo dô punto addó ero rummaso(riprendiamo dal punto dove ero rimasto); 5 nell’espressione esclamativa addó va! usata come risposta, spesso corale, a commento di frasi augurali in un brindisi vale lí(dove sta andando), per chi (sta bevendo)a pro di chi (sta assumendo il vino oggetto del brindisi). 6 (lett.) seguito da ca equivale a dovunque, in qualunque luogo: addó ca vaje vaje(dove che tu vada vada); addó ca fosse(dove che fosse); come cong. (lett.) 1 nel caso che, qualora, ove (con valore ipotetico-condizionale): Addó po ca nun fosse overo chello ca avimmo ditto, cagnammo pruggetto(Nel caso che poi non fosse vero ciò che abbiamo détto, cambieremo il progetto)addó nun te piacesse ‘e vení cca, vengo i’ addu te!(qualora non ti picesse di venire qui, verrò io da te!); 2 mentre, laddove (con valore avversativo): ‘E guagliune tenevano ‘na speranza ‘e jí a mmare, addó ca ‘o pate aveva deciso n’ata cosa…(I ragazzi avevano una speranza di andare al mare, mentre il padre aveva deciso diversamente.) comes.vo m.le (raro) luogo: nun saccio né addó, né ‘o cquanno (non so né il dove né il quando); etimologicamente addó→addove è da un latino de ubi→du(bi) con successivo rafforzamento espressivo attraverso un ad del de d’avvio secondo il percorso de ubi→du(bi)→du→ad du→addu→addó; le tre locuzioni prepositive locative che seguono (indicanti rispettivamente provenienza, moto da luogo, moto per luogo): ; esse non sono costruite con addó, ma son costruite con l’avv.dove→ do’/ro’ e le preposizioni semplici ‘e←de (di), ‘a←da (da), pe (per), e sono: ‘e do’/’e ro’, ’a ro’, pe ddo’ di, da dove, per dove di, da quale luogo: ‘e ro’ site?(di dove siete?); ‘a ro’ me staje telefonanno?(da dove mi telefoni?); ‘a ro’ è trasuto(da (o di) dove sarà entrato?) ' per dove, per quale luogo: pe ddo’sî ppassato?( per dove sei passato?) | per dove, per il luogo per il quale: sî ppassato pe ddo’ so’ passato i’? (sei passato per dove sono passato io?); In coda ed a completamento di queste paginette con le quali spero d’aver contento l’amico N.C. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori riporto ciò che ebbi a scrivere alibi circa le le preposizioni articolate nel napoletano e ricordo che nel napoletano, cosí come nell’italiano, le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano). Tanto premesso annoto altresí che mentre in italiano la gran parte delle preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli sg. e pl. con le preposizioni semplici, ànno una forma agglutinata, nel napoletano ciò non avviene che per una o due preposizioni semplici, tutte le altre si rendono con la forma scissa mantenendo cioè separati gli articoli dalle preposizioni. Passiamo ad elencare dunque le preposizioni articolate cosí come rese in italiano e poi in napoletano: con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a, unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le); con la preposizione di in italiano si ànno del = di+il, dello/a= di+lo/la delle = di+ le, degli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione de (=di), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata: de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e; con la preposizione da in italiano si ànno dal = da+il, dallo/a= da+lo/la dalle = da+ le, dagli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione da talora anche ‘a (=da), produce una preposizione articolata di forma normalmente scissa e spessa apostrofata: da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e ma come ognuno vede la forma apostrofata (quantunque usatissima) presta il fianco alla confusione con le preposizioni articolate formate con la preposizione de (=di), e d’acchito è impossibile distinguere tra de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e e da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e e bisogna far ricorso al contesto per chiarirsi le idee; ò dunque proposto d’usare una forma affatto diversa per le preposizione napoletane da + ‘o→dô = dal, da+ ‘a→dâ = dalla, da+ ‘e→dê = dagli/dalle, forma che eliminando l’apostrofo e facendo ricorso alla medesima contrazione usata per le preposizioni articolate formate con la preposizione a consente di evitare la deprecabile confusione cui accennavo precedentemente. Rammento che nel napoletano è usata spessissimo una locuzione articolata che con riferimento il moto a luogo rende i dal/dallo – dalla – dalle – dagli dell’italiano ; essa è (la trascrivo cosí come s’usa generalmente fare,ma a mio avviso erroneamente in quanto non ricostruibile nei suoi elementi costitutivi) essa è add’’o/add’’a/add’ ‘e es.: è gghiuto add’ ‘o zio(è andato dallo zio) è gghiuta add’ ‘a nonna, add’ ‘e pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; francamente non si capisce da cosa sia generato quel add’ né si comprenderebbe il motivo dell’agglutinazione della preposizione a con la successiva da→dd’; a mio avviso è piú corretta e qui la propugno: a ddô/ a ddâ/ a ddê per cui sempre ad es. avremo: è gghiuto a ddô zio(è andato dallo zio) è gghiuta a dd’ â nonna, a dd’ê pariente (è andata dalla nonna, dai parenti); si tenga qui presente che la preposizione proclitica da seguita dai pronomi (me, te, isso,essa) o da nomi propri o agg.vi dimostrativi va resa con addu (dal lat. ad+de→adde→addu) es: vengo i’ addu te o viene tu addu me (vengo io da te o vieni tu da me)vaco i’ addu isso, addu ‘stu scemo, jenno addu Pascale (vado io da lui, da questo scemo, andando da Pasquale) ; rammento infine tuttavia di non confondere a ddô con l’omofono addó←addo(ve) = dove, laddove che è un avverbio e cong. subord. che introduce proposizioni avversative, relative, interrogative dirette ed indirette. Proseguiamo. Con la preposizione in in italiano si ànno nel = in+il, nello/a= in+lo/la nelle = in+ le, negli = in+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria dinto (dentro – in dal lat. dí intro→dint(r)o→dinto 'da dentro'); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno nel napoletano tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre indefettibilmente aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: dentro la stanza, ma nel napoletano si esige dentro alla stanza e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da dinto a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente dint’ô dint’â, dint’ê che rendono rispettivamente nel/néllo,nélla,negli/nelle. Con la preposizione con in italiano si ànno col = con+il, collo/a= con+lo/la colle = con+ le, cogli = con+ gli, ma a mio avviso son tutte bruttissime, a parte che prestano il fianco alla confusione con taluni sostantivi e non le uso mai preferendo sempre e non da ora la forma disagglutinata ; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione cu (=con), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata, forma che però sconsiglio: cu ‘o→c’’o, cu ‘a→c’’a, cu ‘e che non ammette apostrofo, quantunque qualcuno si ostini a scrivere un bruttissimo ch’’e . Con la preposizione su in italiano si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in napoletano per formare analoghe preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su, dal lat. in + cuppa(m)); come ò già détto e qui ripeto: le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sulla tavola o sopra la tavola , ma nel napoletano si esige sulla o sopra alla tavola e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano) per cui le locuzioni articolate formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma rigorosamente scissa o ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra non è consentito) scissa o tutt’ al piú apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o - ntra/’nfra ‘a - ntra/’nfra ‘e. Per tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti articoli con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti, insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano sono rese rispettivamente con sotto, ‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente altresí che occorre sempre rammentare che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero; ora sia che si parli, sia che si scriva, un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta[crasi] della preposizione articolata alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) vicino al/allo (vicino a ‘o→vicino ô) e cosí via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... vicino/lontano al...e non vicino/lontano il etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati lessici (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la. E qui penso d’avere proprio esaurito l’argomento e poter porre un punto fermo. Satis est. Raffaele Bracale

IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA

IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA Premesso che a mio avviso la questione del raddoppiamento détto pure geminazione iniziale o interno delle consonanti, quantunque rappresenti, soprattutto per i non addetti ai lavori o per chi sia alle prime armi,ma pure (purtroppo) per taluni spocchiosi studiosi o sedicenti tali che ne negano l’utilità e/o l’obbligatorietà (e faccio, uno per tutti, il nome di A.Altamura il cui calepino del napoletano brulica di strafalcioni morfologici..., quantunque la questione rappresenti, una delle maggiori difficoltà nel rendere per iscritto i dialetti centro meridionali e segnatamente la parlata napoletana,ma che comunque non presenti difficoltà insormontabili, rammenterò che già intorno al 1780 in ordine a tale questione ed altre similari s’erano scontrati letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando Galiani. ( Luigi Serio letterato e patriota (Massa Equana, Napoli, 1744 † Napoli 1799); fu allievo di A. Genovesi, prof. di eloquenza all'univ. di Napoli, dopo il 1790 fu repubblicano, e morí combattendo i sanfedisti. Fu improvvisatore e autore di melodrammi; egli propugnò (in un'arguta risposta polemica in dialetto (Lo Vernacchio) all'abate Galiani), propugnò e giustamente una scrittura dialettale quanto piú prossima possibile alla lingua parlata, servendosi perciò senza lesinare di geminazioni,accenti ed segni diacritici, nonché di apocopi aferesi etc. )Di parere diametralmente opposto fu il cosiddetto abate Galiani ( Ferdinando Galiani: economista e letterato (Chieti 1728 † Napoli 1787). A 16 anni scriveva dissertazioni di argomento politico, economico, archeologico etc. pubblicò poi un trattatello sul Dialetto napoletano (1779) ed un vocabolario del medesimo dialetto (post., 1789)). Rammentato lo scontro tra letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando Galiani, preciso súbito ch’io mi schiero con Lugi Serio e son dalla sua parte e non per simpatie politiche! Tutt’altro! Sono un convinto filoborbonico e sanfedista… e tuttavia in campo letterario mi schiero con lui e non son dalla parte del cafoncello F. Galiani che aveva la pretesa di dissertar di napoletano,a malgrado che in realtà fosse solo un chietino! Dirò altresí che comunque sulla questione del raddoppiamento o geminazione iniziale o interno delle consonanti, occorre essere cauti, ma fermi, dando poche, ma sufficienti e nitide dritte e/o indicazioni. Inizio perciò con il chiarire che diversa è la questione del A)raddoppiamento consonantico iniziale da quella del B) raddoppiamento consonantico interno A)raddoppiamento consonantico iniziale Per quanto riguarda il raddoppiamento consonantico iniziale, occorre fare una prima, basilare considerazione: anche in italiano ci sono tante consonanti iniziali che, precedute da vocale, si pronunciano forti e raddoppiate, ma la loro scrittura (per una scelta dei padri fondatori della lingua nazionale, scelta che non condivido) è sempre scempia; ad esempio: in italiano “a poco a poco”, di fatto vien pronunciato a ppoco a ppoco, “a me” lo pronunciamo di fatto a mme, “vado a casa” lo pronunciamo di fatto vado a ccasa. Ma, ripeto, la loro scrittura (cosí vollero, ahi loro, i padri della lingua nazionale…) è sempre scempia e non si capisce proprio in base a quale criterio si evitò di scrivere quelle parole le cui consonanti iniziali son pronunciate in maniera forte e raddoppiata, con la consonante iniziale geminata. Ebbene, prendendo a modello l’italiano, qualcuno (A. Altamura, per non far nomi, ma solo cognomi!..., si chiede (ma erroneamente), perché mai in napoletano si dovrebbero avere o si ànno per iscritto tanti raddoppiamenti di consonanti iniziali. Sarebbe piú giusto chiedersi il contrario: perché mai l’italiano eviti la scrittura delle consonanti geminate e non si capisce proprio in base a quale criterio si debbano scrivere scempie le consonanti iniziali pronunciate doppie! D’altro canto se anche esistesse un criterio o una regola dell’italiano chiara e codificata e non dovuta all’uso, che affermasse l’inutilità dell’indicazione per iscritto della consonante iniziale geminata, non vedo perché la cosa dovrebbe valere per l’idioma napoletano scritto che è linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle della lingua nazionale. Ma quel qualcuno ed altri suoi pari: L.I., N.D.B.( e qui pago il mio tributo alla solita carità cristiana che m’impone di limitarmi alle iniziali di nome e cognome, per tacere che si tratta: il primo d’un notissimo medico/letterato uso ai teleschermi regionali ed il secondo d’un altrettanto noto cattedratico del principale ateneo partenopeo) intignano ed insistono con il sostenere che a loro avviso, il lettore (sia esso partenopeo che di diversa origine) non à bisogno di essere guidato graficamente alla pronuncia doppia, dal momento che è già abituato (se è italiano) a pronunciare raddoppiate tante consonanti iniziali che si appoggiano ad una vocale precedente.Ebbene vorrei chiedere a quei dessi come si comporterebbe, a parer loro uno straniero che dovesse leggere un testo napoletano scritto alla maniera del Galiani o di costoro suoi epigoni che osservano inoltre che il non napoletano non saprà mai ben pronunciare il dialetto partenopeo neppure se fosse guidato dai piú accurati e puntigliosi segni diacritici e fonetici.Ognuno vede che si tratta d’una sciocca petizione di principio priva di conclamata prova. Né mette conto dar risposta a colui che scioccamente si chiedesse perché utilizzare per (o abbondare in ) il napoletano scritto combinazioni grafiche del tutto estranee alle regole ed alla tradizione della lingua madre nazionale? Non mette conto dar risposta a costui che dimostrerebbe chiaramente d’ignorare che l’idioma napoletano scritto o orale è un linguaggio autonomo, che risponde a regole proprie e non è tributario di regole d’altro linguaggio, men che meno della lingua nazionale. Da ciò il sedicente professore A. A.( è lui quel desso che piú di tutti ignora talune regole linguiste e scioccamente intigna) ne trasse il convincimento che è superfluo raddoppiare graficamente le consonanti iniziali se non in quei pochi casi che possano ingenerare confusioni o incertezze: giunse a fare l’esempio di ccà (qui) rispetto a ca (che, perché).Ed aggiunse che peraltro anche in tale esempio sarebbe agevole osservare che la doppia “c” è superflua in quanto come discrimine diacritico sarebbe sufficiente la sola accentazione della vocale “a” per la voce avverbiale; quanta supponente sciocca asinaggine!Gli rintuzzo infatti che è erroneo e sciocco accentare l’avverbio napoletano di luogo cca corrispondente dell’italiano qua; infatti l’avverbio cca (qua) etimologicamente deriva dal latino (e)cc(um h)a(c) ed un professore universitario dovrebbe sapere (e se non lo sa è un asino calzato e vestito…e conferma la regola che quando non si conosce qualcosa, bisogna insegnarla!...) che la caduta finale d’una consonante e non d’una sillaba non lascia alcun residuo in segni diacritici: accenti o apostrofi come càpita nel napoletano con mo←mo(x), pe←pe(r), cu←cu(m),e nell’italiano con re←re(x) esiti tutti che non richiedono accento o apostrofe, e chi li ponesse sbaglierebbe! La cosa grave è che il sedicente prof. A.A. à fatto proseliti(purtroppo è nella natura umana seguire chi erra piuttosto che chi stia nel giusto…) e nel suo medesimo senso si è espresso anche L. I.(altro letterato napoletano sodale del cattedratico Nicola De Blasi) suggerendo di raddoppiare graficamente la consonante iniziale “soltanto quando ciò rivesta un’utilità grammaticale”, ricordando un po’ troppo semplicisticamente che vanno pronunziate doppie - anche se si scrivono semplici - le consonanti iniziali delle parole che sono precedute da: a (moto a luogo), e/’e,, cchiú, tre, cu, nu’ (non), sî (tu sei), è, à, so’ (io/essi sono), sto’ (io sto), accussí, ògne, quarche; nonché quelle che sono precedute dai pronomi dimostrativi plurali maschili e femminili. Già Pirro Bichelli (altro addetto ai lavori, ma di nessuna affidabilità stante la cervelloticità di certe sue proposte o soluzioni grammaticali) , nel 1974, aveva affermato che il “raddoppiamento grafico… non si verifica generalmente per le consonanti in posizione iniziale, in base al principio della uniformità della parola, dato che esse, nella détta posizione, per alcuni casi si pronunziano col suono forte, per altri col suono normale: a ssecuzzune=a schiaffoni, ma ‘e secuzzune.Il Pirro semplicisticamente pretese di considerare regola una particolarità o un’ eccezione! Tanto premesso e chiedo scusa d’essermi dilungato (ma era necessario), torniamo al nostro assunto e parliamo del A)Raddoppiamento Consonantico Iniziale 1 - In generale si usano nello scritto e nell’orale doppie le consonanti iniziali di monosillabi che abbiano un monosillabo analogo scritto con consonante scempia ma di significato diverso (ad es. l’avverbio cca (= qua )e non ccà come asinescamente scritto da qualche sedicente letterato o professore, cca da non confondere con la congiunzione ed il pronome ca (=che); l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano là) pur non confondendosi nel napoletano con nessun altro monosillabo la (articolo che in napoletano è dal ‘600 in poi sempre ‘a, tranne nell’unico caso di quel disinformato Salvatore Di Giacomo che scrisse La luna nova…) dicevo l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano là) si scrive con la doppia per rispettare l’etimologia (i)lla(c) ed in napoletano non è necessario accentarlo (llà) giacché in napoletano la o lla non si confonde con nulla. 2- si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.) oppure dall’ articolo neutro ‘o (il) (es. ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o ppecché, ‘o cchiummo etc.), ma se l’art. ‘o (il) è maschile (es. ‘o pesce, ‘o cinema etc.) la consonante iniziale torna ad essere scempia perché si pronunzia debole; 3 - come pure si leggono e si scrivono ugualmente doppie le consonanti iniziali di parole precedute dall’ articolo femm. ‘e (le) (es. ‘e ffiglie (=le figlie), ma ‘e figlie(=i figli). Vado oltre e preciso altresí che il raddoppiamento iniziale delle consonanti nel napoletano 1)può dipendere da un aferesi che lascia una doppia (ad es.: ‘a cchiesa/cchiesia←(e)cclesia(m) – ll’/llu/lle(art.)←(i)ll(e)/ (i)ll(a) – lloro ←(i)lloru(m); di lla (là)←(i)lla(c) ò già détto; 2) le consonanti iniziali b, p e g (palatale) sono sempre geminate (ad es.:bbuccaccio, bbuttone, bbutteglia,bbuvero, gGiorgio,ggente, ggioverí etc.; non si opera il raddoppiamento se la consonante g, di voci maschili ma non le altre comprese le esplosiva (p,b) è seguita dai dittonghi uo, ua (es.: ‘e guante etc.,ma ‘e gguallere, ma ‘o bbuono, ma a cquanno); il raddoppiamento invece avviene se la consonante g di voci maschili e le altre comprese le esplosiva (p,b) è seguita dai dittonghi ie, ia, iu (es.: a ppiede, a Ggiesú, ‘o ggiaccone, ‘a ggiuventú, ‘o ggiuvinotto etc.) 3) la geminazione della consonante iniziale può dipendere ancóra da assimilazione regressiva in + parole comincianti per m→mm (ad es.: in mezzo→ ‘mmiezo etc.), da assimilazione regressiva con parole introdotte da termini che conservano una sorta di consonante finale etimologica funzionale: cfr. a←ad, tre←tres,cchiú←plus che producono raddoppiamenti del tipo vaco a mmare – tre ccose – cchiú ccurto etc. o pure la geminazione della consonante iniziale può dipendere da assimilazione progressiva m+b/m+v→mm (cfr. ‘mmocca←in+bucca→’nbucca→’mbucca→mmocca; ‘mmidia←invidia(m)→’nvidia(m)→’mvidia(m)→mmidia;’mmitare/’mmità ←invitare)→’nvitare→’mvitare→’mmitare/’mmità); 4) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale di parole che seguono gli aggettivi femminili ati(altre), bbelli(belle),bbrutti (brutte) chelli (quelle) chesti/’sti(questi) cierti(talune) quanti (quante) tanti(tante) (cfr. ad es.: ati ccose, bbelli ffemmene, bbrutti scarpe, chelli/chesti/’sti ccarte, cierti vvote, quanti/tanti ggunnelle ma quanti/tanti cavalle etc.) 5) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di parole che sono o sono intese neutre mentre la consonante iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di parole di altro genere resta scempia; 6) si verifica infine la geminazione della consonante iniziale dei lemmi usati in funzione di esclamazione: Ggiesú, Ggiesú! Uh Mmaronna! 7)ecco infine un elenco di lemmi con raddoppiamenti iniziali derivanti da aferesi non segnalata graficamente e da successiva assimilazioni regressive cchiú ← *(i)nplu(s) →nchiú→cchiú dDio ←*(oh) Dio→oddio→(o)ddio→dDio – ggenio ← *(i)ngeniu(m) – lloco non da *illoloco→illoco→lloco, ma piú verosimilmente da un *hoc (oppure in) loco donde *oc-loco→olloco→(o)lloco oppure *in-loco→illoco→(i)lloco; mmaje (forma alternativa della scempia maje; mmaje è spiegabile sempre come assimilazione regressiva con una partenza da un *(ia)m magis→*(ia)mma(gi)s→*(ia)mmaj(s)→ (ia)mmaje; di per sé maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino magi(s)= piú con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale e al posto della i ; mme e tte ( = mi e ti) forme collaterali di me e te; il raddoppiamento consonantico riporta ad una base (a)d me, (a)d te nel valore sintattico di compl. oggetto o di termine. E veniamo al B) Raddoppiamento Consonantico Interno Premesso che tutte le consonanti interne esplosive che formano sillaba con una vocale tonica si pronunziano e si scrivono doppie (cfr. ad es. tabacco in italiano ma in napoletano tabbacco, abete in italiano, ma in napoletano abbete etc.); e premesso che ugualmente si leggono e scrivono doppie, oltre le esplosive b e p, anche il gruppo br→bbr e quello bl→bbl, la zeta , e la g palatale soprattutto nelle parole che in italiano terminano in zione o gione ed in napoletano vanno rese, se precedute da vocale in zzione e ggione mentre conservano la zeta o la gi scempia nel caso zione o gione siano precedute da consonante; tanto premesso entriamo in altri dettagli. 1) son sempre doppie le consonanti interne in parole derivanti da assimilazioni regressive (cfr. abbasta← ad+basta); 2)una serie di geminazioni è dovuta (sulla scia di esito osco ) all’assimilazione progressiva dei foni –mb-, -nd – che evolvono nelle doppie delle rispettive nasali: mb→mm, nd→nn (cfr. cchiummo←plumbeu(m), palummo←palumbu(m), fronna←fronda, unnece←undeci(m); 3) si à sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole derivate da lemmi in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia (cfr. cammurista←camorra – cannottiera ←canotto etc.); 4) si à ugualmente sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia, raddoppiamento dovuto all’intensità dell’accento tonico e dai suoi riflessi su sillabe caratterizzate da liquide o nasali (cfr. ad es.:melòne→mellone ,amóre→ammóre, innamorato→nnammurato, varechína→varrichina/varricchina etc.) 5) altri casi di raddoppiamento interno soprattutto nella seconda sillaba risalgono ad un originario prefisso ad- che à subíto una normale assimilazione regressiva con la consonante iniziale successiva producendo esiti del tipo:ad+b→abb, ad+c→acc, ad+d→add,etc. 6) consueti casi di raddoppiamento interno riguardano le consonanti b,br,g (palatale) che se intervocaliche vanno sempre soggette alla geminazione scritta ed orale (cfr. debiti→diebbete, libro→libbro, aprile→abbrile, cugino→cuggino etc.). Come penso di aver sufficientemente espresso, si tratta di poche e chiare norme alle quali occorre attenersi, norme che non m’appaiono né difficili , né complesse il tutto con buona pace dei paludati studiosi e/o sedicenti professori A.A., L.I.,N.D.B. che pretenderebbero, cassando n’atu rigo ‘a sott’ ô sunetto di banalizzare ciò che di per sé è già semplice e facilmente comprensibile. In coda a tutto quanto già détto,sulla scia di quanto mi suggerí l’amico prof. Carlo Iandolo, preciso quali sono le voci che comportano il raddoppiamento consonantico iniziale della parola che le segue; si tratta innanzi tutto di una piccola schiera di diciassette monosillabi speciali costituiti dalla sola vocale oppure da una consonante + vocale, a cui vanno aggiunti i due aggettivi bisillabi ògne e quacche, nonché l’avverbio trisillabo accussí: esse voci, poste avanti ad una parola con avvio consonantico, ne causano il raddoppiamento in modo del tutto particolare. Tale fenomeno à una sua giustificazione nel fatto che il napoletano come altri idiomi/dialetti specchio del “latino volgare possono avérconservato –specie ed almeno nei monosillabi– le caratteristiche forme originarie conservando sia pure nascosta nel loro sottofondo una loro antica consonante finale( cfr. a ← “a-d”, è ← “e-st”, e ← “e-t”, né ← “ne-c”, so’ ← “su-m oppure su-nt”, tre ← “tres”…), che risulta ancóra talmente vitale e funzionale da procurare un’assimilazione regressiva, fenomeno fonetico per cui essa diventa eguale alla successiva consonante iniziale.Seguiamo l’iter di quell’antica consonante che in un primo momento diventò uguale a quella iniziale della parola successiva pur rimanendo nelle rispettive sedi; ma in seguito avvenne che la consonante finale del monosillabo si staccò andandosi ad agganciare all’inizio della parola successiva, procurando appunto il raddoppiamento anche scritto:ess.: tu e-t nuje → tu en nuje →tu e nnuje; tre-s vote → trev vote →tre vvote;e-st guaglione → eg- guaglione → è gguaglione…;etc. Ora non ci rimane, a mo’ di riepilogo che l’elencazione dei A) diciassette “monosillabi speciali”del napoletano: a (← a-d), che (qui-d), cchiú (← plu-s), cu (← cu-m), è (← e-st), e (← e-t), formula à dda + infinito (← *hat da), né (← ne-c), nu’ (= nu-n), l’articolo neutro (il-l)u(-d) →’o(-d), l’articolo plur. femminile (*l)e(-s)→’e, il pronome (*l)e(-s)→’e + verbo, pe (← pe-r), po’ + infinito (← *po-test), tu sî (← si-s), so’ (← su-m opp. su-nt), sto’ (← *stom: come “su-m” ), tre (← tre-s). Una seconda conferma della consonante nascosta ma attiva,è rappresentata anche nel “qui-d” latino = “che” napoletano voce che asddirittura conserva ancóra l’originaria “-d” nell’espressione interrogativa ched’è / cher’è?(cosa è?). B) Ancóra poi anche dodici aggettivi terminanti in i, pur senz’avere la consonante finale nascosta ed operante, procurano egualmente il raddoppiamento de quo, ma soltanto se la parola successiva è di genere femminile: ati, bbelli, bboni, bbrutti, chelli, chesti, cierti, (antico articolo) li, quali, quanti, ’sti, tanti, troppi (che per giunta –in quanto proclitici, cioè intimamente legati alla parola successiva– ànno pronunzia piena, anche se la loro “-i” finale risulta atona). Ess: ati ffemmene, cierti ssartulelle, chesti ssignore, quanti vvote, ’sti mmane, li ccerase rosse, tanti ffessarie, troppi ccose… C) Diverse le ragioni del raddoppiamento iniziale di voci quali ‘o rre (il re) ‘o rraú (il ragú) ‘a rrobba (la roba); vediamole analiticamente: nel caso d el sg. ‘o rre (il re) con ogni probabilità il raddoppiamento è dovuto ad una sorta di analogia con la voce pl. li rre (i re) nella quale temporibus illis si procedette alla geminazione della consonante iniziale ad imitazione di quella dovuta all’ art. f.le li di cui antea; la geminazione della voce plurale fu poi mantenuta nell’uso comune anche per il sg. ‘o rre; nel caso della voce rraú il raddoppiamento è da riferirsi all’ art.icolo neutro (ill)u-d →’o onde l’assimilazione regressiva di cui già dissi; nel caso di rrobba (roba) come per altri lemmi quali rraggia (rabbia), rricietto (sistemazione, riposo) bisogna rammentare che nei lessici ottocenteschi i lemmi sono registrati come arrobba, arraggia, arricietto per cui non fa meraviglia se nel corso del tempo la A iniziale fu intesa come articolo e disglutinata lasciò lemmi con la geminazione della consonante iniziale. In coda ed in aggiunta a tutto quanto qui détto rammento e preciso che in napoletano la “B” nonché la “G” palatale (soprattutto + “i”) di termini preceduti da articolo (cosí da propiziare una posizione intervocalica) propendono al raddoppiamento consonantico iniziale per un fenomeno popolare naturale.Con ogni probabilità si tratta d’un influsso toscano sul napoletano (reiterato nei secoli), cosí come congetturò il grande grammatico Alfredo Schiaffini, che individuò condizioni d’origine di tale raddoppiamento nell’area senese, poi piattaforma di diffusione : ad es.: il giovane [pronunciato il ggiovane], il bicchiere [pronunciato il bbicchiere]; nel napoletano aduso, come ò piú volte rammentato, a ripetere graficamente i raddoppiamenti fonetici avremo quindi ’ o bbicchiere, ’o bbabbà, ‘o ppanecuotto e via via ‘o ggiovane, ‘a ggiuventú, ‘o ggiurnale ‘o ggiuvinotto etc. Del resto anche il Rohlfs (Fonetica della lingua italiana e dei suoi dialetti) a pag. 211 (paragrafo 156) precisa che nell’Italia meridionale “questa g palatale viene pronunciata con un appoggio piuttosto forte della voce, per cui è quasi una gg; alle volte si forma una vocale d’appoggio, per es. in romanesco ggente, brindisino ‘a ggènda, napoletano ‘a ggente, calabrese ‘a ggenti = “la gente” (dove per vocale d’appoggio l’illustre studioso intendeva l’articolo ’a…) ecc. Ciò a riprova della precisazione ben valida dello Schiaffini, che delineò l’origine locativa del fenomeno. E giunto a questo punto, per evitare che mi scappino i cavalli e smarroni nei confronti di qualche cattedratico, faccio punto augurandomi di non dover far ricorso ad un errata corrige. Satis est. Raffaele Bracale

lunedì 30 dicembre 2013

VARIE 2771

1.MARE A CHI À DDA AVÉ E VIATO A CHI À DDA DÀ Letteralmente: Meschino chi deve avere e beato chi deve dare. A prima vista parrebbe il contrario, ma l'attenta osservazione della realtà fa concludere che è esatto ciò che afferma il proverbio; in effetti il creditore che si trovi in una posizione di attesa è in una situazione peggiore del debitore che, avendo già ottenuto ciò che ha determinato la sua posizione debitoria, può - magari - rimandare sine die la soluzione del suo debito risultando cosí privilegiato rispetto al suo creditore che à già conferito un quid 2.'MBARCARSE SENZA VISCUOTTE. Letteralmente:Imbarcarsi senza biscotti. Id est: agire da sprovveduti, accingersi ad un'operazione, senza disporre dei mezzi necessari o talvolta, senza le occorrenti capacità mentali e/o pratiche. Anticamenti i pescatori che si mettevano in mare per un periodo che poteva durare anche più giorni si cibavano di carni salate, pesci sotto sale e gallette o biscotti, preferiti al pane perché non ammuffivano, ed anche secchi erano sempre edibili ammollati nell'acqua naturalmente marina non ancora inquinata. 3.SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMME. Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. I d est. sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’ Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali 4.SÎ ‘NA VAJASSA D’ ‘O RRE DE FRANZA Letteralmente: Sei una serva del re di Francia. L a frase è un’offesa gravissima che si può rivolgere ad una donna e con essa frase non solo si intende dare della puttana alla donna, ma accusarla anche di essere affetta dalla sifilide o lue . Tale malattia è stata nei corso dei secoli chiamata dai napoletani mal francese, morbo gallico o celtico; i napoletani sostenevano che detto morbo era stato importato in Napoli dai soldati al seguito di Carlo VIII. Per converso il morbo era detto dai francesi mal napoletano poiché affermavano che il morbo era stato diffuso tra i soldati francesi di Carlo VIII dalle prostitute partenopee. vajassa= serva, fantesca; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse da cui in italiano: bagascia= meretrice. 5.TRÒVATE NCHIUSO E PIÉRDETE CHIST' ACCUNTO... Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione violentemente ironica che si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si sta per compiere o che si compierebbe, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente, o anche quando si voglia sottolineare la incresciosa situazione di un negoziante che veda entrare in bottega una persona, che invece di acquistare, guarda, indaga, chiede e non si decide mai a comprare. Va da sé che la locuzione a margine si adatta per ampliamento semantico nei confronti di chiunque in qualsiasi tipo di contrattazione pretenda solo vantaggi a danno dell' altro contraente o pretestuosamente faccia perder tempo e non addivenga al dunque! Nchiuso/chiuso voce verbale part. pass. m.le aggettivata = chiuso, serrato, stretto, sbarrato; inaccessibile; è voce del verbo chiudere (che è dal lat. tardo cludere→chiudere, per il class. claudere ) da notare che spesso in napoletano il verbo chiudere/chiurere viene addizionato in posizione protetica di una N eufonica che non necessita di alcun segno d’aferesi e si ottiene nchiudere/nchiurere utilizzato al posto di chiudere/chiurere. ò détto e ribadisco che essendo la N usata come protesi una consonante eufonica, non esige segni diacritici poi che non è il residuo dell’aferesi di in che darebbe ‘n come càpita di trovare scritto in qualche sprovveduto sedicente esperto del napoletano, come addirittura un compilatore di dizionario dove in luogo del corretto nchiudere/nchiurere m’è occorso inopinatamente di trovare ‘nchiudere/’nchiurere Accunto = cliente acquirente, avventore, compratore abituale; voce dal latino ad + cognitu(m)→accognitu(m)→acco(g)n(i)tu(m)→accunto id est: piú chenoto, molto conosciuto, atteso che un cliente abituale è persona che frequenta quasi quotidianamente una bottega e quindi è ben conosciuto dal bottegaio di cui è cliente. Brak

VARIE 2770

1.JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LLAVATURE. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche( pl. di astaco,dal greco òstrakon→àst(r)akon→astaco=lastrico solare solaio,terrazzo) ed in basso (‘e lavature(pl. di lavaturo,dal lat. lavatorium→lavaturo=lavatoio; i lavatoi erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre ll'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. 2.PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, (giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle). La frase viene usata a salace, sarcastico commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto inetto al punto da non poter portare al termine nulla di ciò che intraprende. 3.'O CUCCHIERE 'E PIAZZATE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO. Letteralmente: il vetturino da nolo ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. 4.JÍ CASCIA E TTURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TTURNÀ BACCALÀ. Letteralmente: andar cassa e tornare baùle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baùle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. 5.TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLANO! Tu senti il richiamo d'invito, ma non quello d'allontanamento! Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta (lla)è una corruzione del greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 6.'E DENARE SO' COMM'Ê CHIATTILLE: S'ATTACCANO Ê CUGLIUNE. Letteralmente: i soldi son come le piattole: si attaccano ai testicoli. Nel crudo, ma espressivo adagio partenopeo il termine cugliune viene usato per intendere propriamente i testicoli, e per traslato, gli sciocchi e sprovveduti cioé quelli che annettono cosí tanta importanza al danaro da legarvisi saldamente. 7.HÊ 'A MURÍ RUSECATO DÊ ZZOCCOLE E 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MÀMMETA! Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare 8.Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso così le facoltà raziocinanti del... fiutatore. Brak