venerdì 30 settembre 2016

VARIE 16/865

1. LEVARSE ‘E PÀCCARE ‘A FACCIA. Ad litteram: togliersi gli schiaffi da faccia; poiché è impossibile fare materialmente ciò che è affermato nella locuzione,è chiaro ch’essa deve intendersi nel senso figurato di riscattarsi da un’onta subíta, lavarsene, in una parola: vendicarsi , fieramente ricambiando il male ricevuto. 2. LEVARSE ‘O SFIZZIO Ad litteram: togliersi il gusto, nel senso di raggiungere, conquistandeselo, l’appagamento di una intensa voglia di un desiderio a lungo covato e finalmente raggiunto. il termine sfizzio (correttamente scritto in napoletano con due zeta) deriva con qualche probabilità dal latino satis -facio e ne conserva il sostrato di soddisfazione per raggiunger la quale occorre fare abbastanza. Non manca però coloro (ed io mi ci accodo) che propendono non a torto per un’etimologia greca da un fuxis(evasione) con tipica prostesi della S intensiva partenopea, atteso che lo sfizio è qualcosa che eccedendo il normale si connota come un’evasione dalla quotidianità. 3. LEVÀ ‘O FFRACETO ‘A MIEZO. Ad litteram: togliere il fradicio di mezzo. Id est:mondare, far pulizia, dare un taglio netto per eliminare ciò che è corrotto e dunque corre il rischio di infettare il restante; per traslato la locuzione è usata quando in una situazione che corre l’alea di corrompersi, si prende il coraggio a due mani e si elimina ciò che possa compromettere il buon esito della situazione e l’eliminazione, magari, è fatta a proprio danno. 4. LEVÀ ‘A SOTTO Ad litteram: togliere di sotto; id est: terminare di lavorare, cessare un’attività, smettere di operare, smobilitare, con riferimento ad ogni tipo di attività, ma soprattutto a quelle manuali; piú esattamente la locuzione in epigrafe si riferisce a ciò che facevano i carrettieri d’un tempo, i quali al termine della giornata di lavoro, liberavano i cavalli dai finimenti e toglievano le bestie di sotto le stanghe dei carri, e le conducevano per rigovernarli nelle stalle. 5. LINDO E PINTO Ad litteram: pulito e dipinto; modo di dire di diretta provenienza iberica con il quale si suole commentare il mostrarsi e ancor di piú l’incedere oltremodo elegante di chi, agghindato e ben messo, vada in giro pavoneggiandosi; la locuzione à però anche un non nascosto sapore di canzonatura del soggetto che incedendo lindo e pinto, si mostra artificioso ed affettato, quando non addirittura ridicolo. 6. METTERE LL’ASSISE Ê CETRÓLE nell’espressione VA METTENNO LL’ASSISE Ê CETRÓLE Ad litteram: mettere il calmiere ai cetrioli nell’espressione va ponendo il calmiere sui cetrioli icastica espressione con la quale si stigmatizza il comportamento sciocco di chi dedica il proprio tempo ad attività inutili, pretestuose ed inconferenti quale quella di calmierare il prezzo dei cetrioli, ortaggio che sebbene sia di largo consumo, per solito è a buon mercato; per traslato, ogni attività che si riveli inutile viene ritenuta pari a quella indicata in epigrafe. 7. MIÉTTENCE NOMME: PENNA! Ad litteram: chiamalo: piuma! id est: consideralo perduto, volato via. Cosí suole, a mo’ di sfottò, consigliare chi vede qualcuno prestare un oggetto a persona che si ritiene non restituirà mai il prestito, volendo significare: ài prestato l’oggetto a quella tale persona? Ebbene, rassegnati a perderlo; non rivedrai mai piú il tuo oggetto che, come una piuma d’uccello è volato via! 8. MAL’ARIA A BBAJA o piú scorrettamente, ma piú in uso MAL’ARIA E BBA’. Mal’aria a Baja o piú scorrettamente Mal’aria e vai. Ambedue le espressioni, quantunque la seconda sia solo una frettolosa corruzione della prima, sono indicative di situazioni foriere di pessima evoluzione e sono usate proprio per indicare che ci si appressa a situazioni complicate e non gradevoli; nella fattispecie delle locuzioni in epigrafe tra la gente di mare era noto che se su la città di Baja il cielo fosse tempestoso, di lí a poco anche su Napoli si sarebbe scatenato il temporale; la seconda espressione in epigrafe, come ò détto è solo una corruzione della prima, ma d’uso piú comune nel parlato della città bassa. 9. MAGNÀ CULO ‘E GALLINA Ad litteram: mangiare culo di gallina id est: essere logorroici, continuamente e fastidiosamente ciarlieri. Il culo della gallina, mosso spasmodicamente dall’animale, è preso a modello della bocca di chi parla eccessivamente al punto che alla vista di una persona che parli troppo e che muova perciò in continuazione la bocca, non ci si può esimere dal chiedersi: à magnato culo ‘e gallina? (à mangiato culo di gallina?) 10. MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA Ad litteram: accidenti al topino e (alla) pezza bagnata;Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale specialmente davanti a situazioni negative sí, ma poco importanti. Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia. 1 - L’illustre amico e scrittore di cose napoletane(avv. Renato De Falco) reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico De Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione, ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato De Falco, non posso addivenire alla sua idea. 2 -(prof. Francesco D’Ascoli) Il vecchio professore (parce sepulto!) , sbrigò la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il De Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione. 3 - (dr. Sergio Zazzera) L’ottimo dr. Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via un non meglio identificato stoppaccio che non si comprende perché sia umido. A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di detta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare. Volendo dire: È entrato il topino? Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare: lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura e procediamo alla cattura! Ma poiché fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente. Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. A. Messina che vede nel suricillo - per il tramite di un xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula - il membro maschile... Peraltro il prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano - oltre quelle che significavano il danaro - quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna, quando ancora non esistevano mediatici assorbenti con le ali o senza. Ecco dunque che, messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna, penso si possa addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre, sia pure dolendosene che non era il tempo adatto in quanto ‘a pezza ...era ‘nfosa. 11. MIETTE ‘NU SPRUOCCOLO DINTO A ‘NU PERTUSO Ad litteram: poni un legnetto in un buco! Frase che si usa pronunciare a commento di un avvenimento cosí poco usuale (quale - a mo’ d’esempio - una liberalità da parte di qualcuno notoriamente avaro) da doverselo rammentare con l’introduzione di un ipotetico stecco in un altrettanto ipotetico buco. Probabilmente la locuzione rammenta la consuetudine in uso nel periodo della res publica romana, allorché il praetor maximus conficcava ogni anno - a fini eponimi - un chiodo nel tempio di Giove . 12. MAGNÀ ‘E GRASSO Ad litteram: mangiare di grasso id est: possedere tante di quelle disponibilità economiche da esser sempre fornito di adeguato cibo abbondandemente condito; la locuzione però si usa anche in senso antifrastico ad ironico commento di pasti eccessivamente parchi. 13. MAGNÀ NEMMICCULE CU ‘A SPINGULA Ad litteram: mangiare lenticchie con lo spillo. Detto di coloro che, eccessivamente parchi, forse perché avari, si limitano ad un pasto cosí frugale da ridursi a sole lenticchie, consumate lentamente, addirittura infilzandole una per volta con l’ausilio di uno spillo.In senso traslato l’espressione è usata per commentare sarcasticamente l’agire eccessivamente lento e misurato di chi ami perdere tempo. 14. MAGNARSE ‘E MMANE Ad litteram: mangiarsi le mani Cosí, per modo di dire, si comporta chi à veduto svanire, per propria insipienza,o accidia o mancanza d’intuito una situazione favorevole e si sia lasciato sfuggire l’occasione proprizia; davanti all’insuccesso non gli resta che autopunirsi mordendosi, figuratamente, le mani. 15. MAGNARSE ‘O LIMONE Ad litteram: mangiarsi il limone; id est: accusare il colpo, subire un non preventivato , amaro risultato e rassegnarsi ad accettarlo con tutto il suo acre sapore, quasi che fosse un metaforico aspro limone . 16. MAGNARSE ‘O TUPPO Ad litteram: mangiarsi la crocchia; id est : ridursi in miseria, privarsi di tutte le proprie sostanze Detto innanzitutto di donne, ma anche - per estensione - di uomini che non solo per riprevevole liberalità, ma innanzitutto per imperizia, negligenza, sciatteria e trascuraggine dilapidano tutte le loro sostanze riducendosi in miseria tale da dover vendere persino la crocchia o il ciuffo dei propri capelli. brak

VARIE 16/864

1 ‘A RAGGIONA S''A PIGLIANO 'E FESSE. Letteralmente: la ragione se la prendono gli sciocchi. La locuzione con aria risentita viene profferita da chi si vede tacitato con vuote chiacchiere, in luogo delle attese concrete opere. 2 SE SO' STUTATE 'E LLAMPIUNCELLE. Letteralmente: si sono spente le luminarie. Id est: siamo alla fine, non c'è piú rimedio, non c'è piú tempo per porre rimedio ad alcunché, la festa è finita.Da notare che la parola lampiuncelle è il plurale della voce femminile lampiuncella derivata dal fr. lampe, che è dal lat. lampada; e come tale se preceduta dall’articolo ‘e (le) va correttamente scritta con la geminazione della elle iniziale ‘e llampiuncelle esiste poi una voce simile maschile lampiunciello che al plurale fa lampiuncielle ma che preceduto dall’art. ‘e (i) non comporta geminazione della elle iniziale; pertanto in napoletano ‘e llampiuncelle (voce femminile) sono quelle luminarie,oggi elettriche ed anticamente a gas e/o petrolio, (piú grandi dei lampiuncielle(voce maschile) mentre ‘e lampiuncielle (voce maschile) sono i lampioncini di carta colorata. Da notare che in napoletanoun oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie ‘e llampiuncelle (voce femminile) sono piú grandi d’ ‘e lampiuncelle (voce maschile). 3 TRUÓVATE CHIUSO E PIÉRDETE CHISTO ACCUNTO. Letteralmente: Tròvati chiuso e pèrditi questo cliente.La divertita locuzione viene usata in senso ironico a commento della situazione antipatica e fastidiosa in cui qualcuno abbia a che fare con persona pronta ad infastidire o a richiedere i maggior vantaggi da un quid senza voler conferire il giusto corrispettivo, come nel caso ad es. di un cliente che entri in negozio solo per curiosare e senza decidersi ad un acquisto o pretenda di accaparrarsi la miglior merce, ma sia restío a pagare il giusto prezzo dovuto.La voce accunto deriva dal latino: adcognitus →accognitus= ben conosciuto atteso che chi frequenti con continuità una bottega diventandone fisso cliente è ovviamente ben conosciuto. 4 FÀ TRE FICHE NOVE ROTELE. Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti sarcasticamente bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi borioso saccente esageri con le parole e si ammanti di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammento che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, appartenne al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordiamo che il rotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancora in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico rotolo napoletano. 5 'A DISGRAZZIA D''O 'MBRELLO È QUANNO CHIOVE FINO FINO. Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sé che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; cosí l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di piú nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante danno. 6 AVIMMO FATTO: CUPINTE, CUPINTE: 'E CAVÉRE 'A FORA E 'E FRIDDE 'A DINTO. Inutile come che non significante la traduzione letterale; in senso ampio la locuzione è usata per indicare l’incongruente azione di chi premi qualcuno oltre i propri meriti e al contrario lesini il plauso o il premio a chi invece spetterebbero; in senso piú strettamente letterale la locuzione si attaglia a quelle occasioni allorché spinti dalla cupidigia si siano concessi i favori di una donna a coloro che (freddi) non mostravano i necessarii requisiti fisici, e si siano erroneamente negati ai piú meritevoli caldi tenuti ingiustamente fuori sebbene mostrassero di essere adeguatamente... armati. Letteralmente, di solito, in napoletano la parola cupínto sta per Cupído, miticologico nume dell’amore; ma penso che riferirsi a lui per la locuzione in epigrafe sarebbe errato, non esistendo un nesso tra il benevolo nume suddetto e l’errato, inesatto comportamento ricordato nella seconda parte della locuzione; ò reputato piú giusto pensare, nella fattispecie della locuzione, che il termine cupinte, oltre a fornire una adeguata rima con il termine dinto, sia stato usato come corruzione del termine cúpido: bramoso, agognante, desideroso, quella brama o desiderio che può spingere all’errore. 7 'A PECORA S'À DDA TUSÀ, NUN S'À DDA SCURTECÀ Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi. 8 - SI' PRE' 'O CAPPIELLO VA STUORTO... – ACCUSSÍ À DDA JÍ! - Signor prete, il cappello va storto - Cosí deve andare. Simpatico duettare tra un gruppetto di monelli che - pensando di porre in ridicolo un prete - gli significavano che egli aveva indossato il suo cappello di sgimbescio, e si sentirono rispondere che quella era l'esatta maniera di portare il suddetto copricapo. La locuzione viene usata quando si voglia fare intendere che non si accettano consigli non richiesti soprattutto quando chi dovrebbe riceverli ha - per sua autorità - sufficiente autonomia di giudizio. Faccio notare che nell’espressione, cosí come ci è giunta ed è riportata, è impropriamente usato il termine zi’ (apocope di zio che è dal basso lat. thíus modellato sul greco theîos); in realtà in origine l’espressione suonò Si' pre' 'o cappiello va stuorto... - Accussí à dda jí! ed in essa il si’ fu l’esatta apocope di si(gnore) derivato dal francese seigneur a sua volta marcato sul lat. seniore(m) comparativo di senex. Solo in prosieguo di tempo per corruzione popolare l’originaria Si' pre' 'o cappiello va stuorto... fu letta Zi' pre' 'o cappiello va stuorto...e cosí è giunta sino a noi, ma l’esatta lettura e significato devono intendersi Si' pre' 'o cappiello va stuorto... 9 DICETTE NUNZIATA: CE PONNO CCHIÚ LL'UOCCHIE CA 'E SCUPPETTATE! Letteralmente: Disse Nunziata: Ànno piú potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno (iettatura), che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può anche guarire,non è possibile sottrarsi ai nefasti influssi della iettatura. 10 'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIÉNTE, TENIÉNTE. Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo. la voce teniénte non è il sostantivo tenente (grado militare) ma è una voce verbale aggettivata e cioè il part. presente del verbo tené/tènere= mantenere, reggere (in questo caso la cottura...) verbo che deriva dritto per dritto dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere'. brak

VARIE 16/863

1 Chi tène cummedità e nun se ne serve, nun trova 'o prevete ca ll'assolve. Letteralmente: Chi à comodità e non se ne serve, non trova un prete che l'assolva. Id est: chi à avuto, per sorte o meriti, delle comodità deve servirsene, in caso contrario commetterebbe non solo una sciocchezza autolesiva, ma addirittura un peccato cosí grave per la cui assoluzione non sarebbe bastevole un semplice prete, ma bisognerebbe far ricorso al penitenziere maggiore. la parola prevete = sacerdote, prete è un sost. masch.le derivato dal lat. presbiter→prebite→prevete. 2 Quanno nun site scarpare, pecché rumpite 'o cacchio ê semmenzelle? Letteralmente: giacché non siete ciabattino,calzolaio perché infastidite le semenze? La locuzione barocca, anzi rococò viene usata quando si voglia distogliere qualcuno dall'interessarsi di faccende che non gli competono non essendo supportate, né dal suo mestiere, né dalle sue capacità intellettive o morali. Le semenze sono i piccolissimi chiodini con cui i ciabattini sogliono sistemare la tomaia sulla forma di legno per procedere alla fattura di una scarpa. 3 'A riggina avette bisogno d''a vicina. Letteralmente: la regina dovette ricorrere alla vicina. Iperbolica locuzione con la quale si sottolinea che nessuno è bastevole a se stesso: persino la regina ebbe bisogno della propria vicina, figurarsi tutti gli altri esseri umani: siamo una società dove nessun uomo è un'isola. 4 Senza ‘e fesse nun campano 'e deritte. Letteralmente: senza gli sciocchi non vivono i furbi; id est: in tanto prosperano i furbi in quanto vi sono gli sciocchi che consentano loro di prosperare. 5 'O purpo s'à dda cocere cu ll'acqua soja. Letteralmente: il polpo si deve cuocere con l'acqua propria.Id est: bisogna che si convinca da se medesimo, senza interventi esterni. La locuzione fa riferimento a tutte quelle persone che recedono da certe posizioni solo se si autoconvincono; con costoro è inutile ogni opera di convincimento, bisogna armarsi di pazienza ed attendere che si autoconvincano, cosí come un polpo che per cuocersi non necessita di aggiunta d'acqua, ma sfrutta quella di cui è composto. 6 Dà 'ncopp' ê recchie. Letteralmente: dare sulle orecchie. La locuzione consiglia il modo di comportarsi nei confronti dei boriosi, dei supponenti, dei saccenti adusi ad andare in giro tronfi e pettoruti a testa elevata quasi fossero i signori del mondo. Nei loro confronti bisogna usare una sana violenza colpendoli, sia pure metaforicamente, sulle orecchie per fargliele abbassare. 7 N' aggio scaurato strunze, ma tu me jesce cu 'e piede 'a fora... Letteralmente: ne ò bolliti di stronzi, ma tu (sei cosí grosso)che non entri per intero nella pentola destinata all'uso. Id est: Ò avuto a che fare con tantissimi pessimi soggetti (stronzi), ma tu sei il peggiore di tutti, al segno che se ti dovessi bollire, eccederesti la misura d’ogni pentola destinata all’uso… Iperbolica e barocca locuzione-offesa usata nei confronti di chi si dimostri cosí esagerato pezzo di merda che se mai necessitasse di cottura, eccederebbe i limiti della pentola destinata alla bisogna rendendo cosí difficile, se non impossibile l’ipotetica l’operazione! 8 Tante galle a cantà nun schiara maje juorno. Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori, spesso in contrasto di idee solutive, pur nell’àmbito del medesimo partito o gruppo parlamentare…, non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti... 9 Sí, sí quanno curre e 'mpizze... Letteralmente: sí quando corri ed infili! Sarcastica locuzione che significa che qualcuno improvvidamente sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare; la locuzione – come detto - è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà: ti mancano i mezzi e le capacità per farlo accadere! La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze di quasi tutti paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero però di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi e pochi contendenti vi riuscivano... 10 Madonna mia, mantiene ll'acqua! Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o piú dei contendenti. brak

VARIE 16/862

1 -TURNÀ 'A STIMA A CQUACCUNO Ad litteram: render la stima a qualcuno; id est: riconfermare la fiducia o anche il rispetto a qualcuno cui, per errore o transeunti, futili motivi erano stati tolti. 2 -UNA NE FA E CCIENTO NE PENZA Ad litteram: una ne fa e cento ne progetta Locuzione che fotografa il comportamento iperattivo di chi si dedichi , ma non si sa con quanto successo, a troppe iniziative di varia portata; la locuzione è usata altresí per stigmatizzare,anche se bonariamente, la ipercinecità di un ragazzo attivamente impegnato a fare innumerevoli marachelle. 3 - UOCCHIE CHINE E MMANE VACANTE Ad litteram: occhi pieni e mani vuote; cosí si suole dire di chi, o per suo demerito o per sopravvenute contrarietà insormontabili, non riesce a raggiungere il risultato sperato e resti a bocca asciutta o mani vuote e si debba contentare di veder prossimo il risultato sperato, senza però avere la capacità o possibilità di toccarlo con le mani ossia realizzarlo; in chiave piú becera, ma simpatica la locuzione fu usata per stigmatizzare la situazione di chi, attratto da procaci, provocatorie rotondità femminili si doveva contentare di guardare, senza poter toccar con mano e quindi senza potersi regolare nel modo ricordato altrove. 4 -UOCCHIE 'NFRONTE NUN NE TIENE? Ad litteram: occhi sulla fonte non ne ài? Icastica ed ironica domanda retorica che si suole rivolgere, per redarguirlo, a chi colpevolmente distratto o disattento sia incorso in errori che si ritenga siano stati provocati dal fatto che egli non abbia esattamente guardato o badato a ciò che faceva, quasi non fosse munito di occhi. 5 -UH, ANEMA D''E PIERE 'E PUORCHE! Locuzione esclamativa intraducibile ad litteram atteso che è impossibile che le zampe di un maiale abbiano quell'anima che iperbolicamente, ma erroneamente, nella locuzione viene chiamata in causa; il senso celato della locuzione è: che esagerazione!, cosa mi vai raccontando?, è incredibile ciò che mi dici!, come incredibile sarebbe un maiale provvisto nelle zampe o altrove di anima. 6 -UOCCHIE SICCHE Ad litteram:occhi seccati, o - meglio - seccanti,cioè: occhi capaci di seccar, prosciugare coloro contro cui vengon rivolti(ossia arrecar danno a qualcuno sino a prosciugarne i succhi vitali). Cosí, come in epigrafe, vengono chiamati i menagramo, gli jettatori, tutti coloro che con i loro sguardi sono ritenuti capaci di grandemente danneggiare qualcuno, non con azioni proditorie, ma semplicemente guardandolo. 7 -USO NUN METTERE E USO NUN LEVÀ Ad litteram: non creare (nuove) abitudini e non toglierne; id est: lascia stare il mondo cosí com'è; non impegnarti a tentare di cambiarlo introducendo nuove abitudini che specialmente se si concretano in liberalità, omaggi e donativi nei confronti di terzi, diventano con il trascorrere del tempo eccessivamente onerosi e difficili se non impossibile toglier via; la cosa vale anche quando si trattasse di togliere inveterate abitudini; il tentativo di estirparle potrebbe ingenerare malumori nei terzi che vedendo eliminati o lesi alcuni pregressi privilegi potrebbero ribellarsi anche violentemente. 8 -UH, SSEVERE 'E PAZZE ! Esclamazione impossibile da tradurre ad litteram che viene pronunciata nell'osservare situazioni o accadimenti ritenuti cosí strani ed improbabili da destare gran meraviglia, stupore e/o rabbia, nell'intento di sottolineare che quelle situazioni o accadimenti son cose da matti, quasi incredibili. Strana locuzione quella in epigrafe dove con ogni probabilità il termine ssevere è corruzione dell'espressione francese: c'est vrai ( de foux) (è veramente da folli); la stranezza della espressione napoletana consiste nel fatto che ci si è limitati nella sua formulazione, alla sola corruzione della prima parte di quella francese: c'est vrai, completandola con il termine toscano: pazzi esatta traduzione del francese foux. 9 - VA' A FFÀ 'E PPEZZE! Ad litteram: va’ a raccattare cenci! Eufemistica espressione usata in luogo di altra piú corposa anche se becera, che qui di seguito illustrerò, per invitare un importuno, fastidioso individuo a liberarci della sua sgradita presenza, ed andare a raccattare cenci. 10 -VA' A FFÀ 'NCULO! ma meglio VALLO A PIGLIÀ 'NCULO! Superfluo tradurre questi conosciutissimi modi di rendere l'italiano: va' a quel paese!La variante è sí piú becera, ma quanto piú corposa, esplicita e dura, atteso che colui cui è rivolta la locuzione è invitato a tenere nell'ipotetico rapporto sodomitico la posizione soccombente, non quella attiva prevista dalla prima locuzione; ambedue però, come quella del num. precedente, si rivolgono ad un importuno, fastidioso soggetto, invitato qui a dedicare il suo tempo ad altre attività che non quella di infastidirci. Rammento che nel fiorito linguaggio espressivo popolare talora la prima espressione in esame, (nello sciocco intento di evitar di pronunciare la parola culo ingiustamente intesa volgare o becera) viene imbarocchita in va’ a ffà dinto a ‘na chieja ‘e mazzo che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di sedere dove con il termine piega di sedere si intende il solco anatomico di separazione delle natiche solco che icasticamente rappresenta una piegatura di quelle. Nel pronunciare tuttavia quest’ultima espressione accade che in luogo di pronunciare il termine culo becero e volgare se ne pronuncia uno analogo: mazzo di talché per ovviare a tutto ciò qualcuno trasforma eufemisticamente l’espressione in un’altra di analogo significato, ma che suona va’ a ffà dinto a ‘na chieja ‘e vesta! che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di veste e con essa espressione si dà luogo ad una precisazione utilissima , con cui si chiarisce che la piega di sedere da prendere in considerazione è esattamente una piega femminile, cosa che si evince dal fatto che la veste è un indumento femminile! chieja sv.vo f.le =piega, piegatura, ma anche incavo, solco; voce dal lat. plica-m con consueta risoluzione del digramma latino pl seguito da vocale nel napoletano chi (cfr. chiummo←plumbeu(m) - chiazza←platea – pluere→chiovere etc.). mazzo sv.vo m.le di per sé in primis è l’ano e poi per sineddoche il culo, il sedere,il deretano, il complesso delle natiche e dell’ ano complesso che è tipico degli esseri umani e degli animali quadrupedi di grossa taglia; gli uccelli come il gallo (cfr. ultra) non son forniti di natiche, ma del solo ano; cionnonpertanto nella locuzione ‘a gallina fa ll’uovo e ô vallo ll’abbruscia ‘o mazzo si preferisce mantenere la voce mazzo riferito al gallo, voce piú rapida e forse meno volgare de ‘o buco d’’o culo con cui in napoletano, accanto ad altre voci come fetillo,feticchio, taficchio, màfaro etc. si indica l’ano;etimologicamente la voce mazzo nell’accezione indicata è dall’acc. lat. matia(m)=intestino e la voce femminile matiam è stata poi maschilizzata ed in luogo di dare mazza à dato mazzo;la maschilizzazione si rese necessaria per scongiurare la confusione tra un’eventuale mazza (ano) e la mazza (bastone) e si addivenne al maschile mazzo anche tenendo presente che nel napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella fattispecie l’ano, per vasto che possa essere, è certamente piú piccolo d’ un bastone e dunque mazzo l’ano/il sedere e mazza il bastone. A margine di questa voce rammento che nel napoletano esiste un omofono ed omografo mazzo che vale però fascio (di fiori, ortaggi o carte da giuoco) ed à un diverso etimo derivando non dall’acc. lat. matia(m)=intestino , ma da un nom. lat. med. macĭus. 11 -VA' TE COCCA! Ad litteram: va' a coricarti Altro modo di invitare qualcuno a togliersi di torno, ad andar via, a sparire per non importunarci o tediarci. Qui con modi piú contenuti e gentili rispetto a quelli dei numeri precedenti, lo si vuol convincere di liberarci della sua presenza, andandosene a dormire. Talvolta però, atteso che per coricarsi occorre stendersi su di un letto, con la locuzione in epigrafe si adombra il pessimo desiderio che il soggetto contro cui è rivolta debba giacere definitivamente disteso! 12 -VATTE A FFÀ FOTTERE! Ad litteram: va' a farti possedere Ma è il medesimo perentorio invito a farsi sodomizzare - sia pure metaforicamente - contenuto nella variante di cui precedentemente. 13 -VEDÉ 'A MORTE CU LL'UOCCHIE Ad litteram: vedere la morte con gli occhi ; e sarebbe sciocco ed inopportuno chiedere: e con che altro si può vedere?, atteso che il napoletano è ricchissimo di simili tautologie, come appunto:'a vista 'e ll'uocchie, puorto 'e mare, palazzo 'e case, etc. tutte però necessarie a quel tipico barocchismo dell'eloquio partenopeo.La locuzione si usa per riferire di essersi trovati in situazioni di vita di relazione o di salute cosí gravi e/o pericolose da vedere la morte in viso e di esserne fortunatamente venuti fuori tanto da raccontarne. 14 -VEDÉ COMME SE METTONO 'E CCOSE Ad litteram: vedere come evolvono le cose; id est: mettersi in prudente attesa, vagliare e soppesare le situazioni e decidersi all'azione solo quando ci si sia resi ben conto di quali pieghe posson prendere o stanno prendendo le faccende che ci occupano 15 -VEDERSENE BBENE Locuzione, impossibile da tradurre alla lettera, dalla doppia valenza: in primis: profittare di ciò che ci venga messo a nostra disposizione, godendone ampiamente, senza remore o misura; con altra valenza la locuzione è usata per indicare il franco, disinibito comportamento di chi apertamente affronti qualcuno e gli dica a muso duro tutto il fatto suo, senza scrupoli e/o timori reverenziali. 16 -VEDERSE PIGLIATO DA 'E TURCHE Ad litteram: vedersi preso dai Turchi Id est: Essere assalito da grande timore e disperazione , trovandosi in situazioni pericolose o cosí ingarbugliate e contorte da non poterne venire fuori, come temporibus illis dovevano trovarsi i rivieraschi assaliti continuamente da quei pirati saraceni, tutti ritenuti e detti Turchi adusi alle piú efferate violenze. 17 -VENÍ FRISCO FRISCO Ad litteram: giungere fresco fresco; detto di chi con tranquilla faccia tosta si presenti ed entri nel merito di un accadimento già da gran tempo avviato ed in corso e senza dimostrare di essersi impegnato per parteciparvi o di avere conclamate capacità organizzative o risolutive, voglia imporre il proprio punto di vista a dispetto di quanti stiano da gran tempo e con grande impegno lavorando al progetto de quo. 18 -VENÍ FRISCO E D''A GROTTA. Ad litteram: giunger fresco e dalla grotta; locuzione simile alla precedente con l'aggravante qui che il soggetto cui si riferisce avrebbe dovuto concorrere all'accadimento in questione ed invece se ne è a lungo disinteressato, per presentarsi a reclamare il proprio utile a giuochi fatti, quando le asperità sono state affrontate e livellate da altri. L'immagine della locuzione ripete quella del cocomero che arriva in tavola solo a fine pasto dopo essere stato tenuto al fresco artificiale del ghiaccio o a quello naturale d'una cantina. 19 -VENCERE 'O PUNTO Ad litteram: vincere il punto; id est: riuscire, in un contrasto, a far prevalere il proprio punto di vista, affermandolo e mantenendolo quasi che esso fosse un premio da conseguire. 20 -VENÍ O SCENNERE DÂ MUNTAGNA Ad litteram: venire o scendere dalla montagna; Detto di chi sia ritenuto sciocco, stupido e credulone, nella erronea convinzione che coloro che vivono in luoghi impervii ed appartati siano, nel confronto con i cittadini cosí corrivi, sempliciotti e creduloni da poterli facilmente circuire ed imbrogliare. brak

VARIE 16/861

1 Dà zizza 'e vacca pe tarantiello. Letteralmente: dar mammella di mucca per tarantello. La locuzione à una doppia valenza a seconda del significato che si dà al termine tarantello. In una prima accezione tarantIello è un pezzo di carne dato come aggiunta vicino a della carne piú pregiata, al fine di sistemarne il giusto peso. Usandola con tale accezione, figuratamente, la locuzione significa che colui contro cui è rivolta, non si è impegnato molto nel dare il giusto dovuto, ma à rabberciato la prestazione portandola a compimento con l'uso di materiali di scarto. Nel caso che con la voce tarantello si voglia indicare la pregiata pancetta di tonno, figuratamente vuol significare che colui contro cui la locuzione è diretta, si è comportato da gran mistificatore ed imbroglione come chi abbia conferito vilissima mammella di mucca in luogo della dovuta, costosa pancetta di tonno. 2 Mantenímmoce pulite, ca ce stanno 'e ccarte janche! Letteralmente: manteniamoci netti perché son presenti le carte bianche! Id est: Non affrontiamo argomenti scabrosi; teniamo a mente che ci son presenti dei bambini che ci ascoltano ed in loro presenza è sconveniente toccare argomenti che potrebbero provocare domande a cui sarebbe difficile rispondere. 3 Facimmo ammuina! Letteralmente: facciamo confusione. È l'invito a creare il disordine nel quale si possa mestare al fine di conseguire dei vantaggi. La locuzione in epigrafe, sia pure nella forma Facite ammuina dai soliti disinformati e bugiardi storici postunitari si ritiene essere addirittura il titolo di un articolo di un preteso regolamento della marina borbonica del 1841, articolo nel quale si sarebbero indicati i vari modi di fare ammuina; si tratta chiaramente di una voluta sciocchezza tesa a denigrare l'organizzazione e la valentía della marineria di Francesco II Borbone... Per amor di completezza ricorderò che il predetto fantasioso articolo recitava: All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora: chilli che stann' a destra vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a destra: tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tiene nient' a ffà, s' aremeni a ccà e a llà. Ò trascritto l’articolo così come l’ò travato in rete,(con tutti gli orrori di ortografia etc.) stampato su di un evidentemente falso proclama reale recante lo stemma borbonico. Non voglio soffermarmi piú di tanto sull’evidente falsità dell’articolo; mi limiterò ad osservare che essa si ricava già dal modo raffazzonato in cui è scritto; è evidente che il capo scarico che lo à vergato, mancava delle piú elementari cognizioni della lingua napoletana: basti osservare in che modo errato sono scritti tutti i verbi, terminanti tutti con un assurdo segno d’apocope (‘) o di una ancora piú assurda elisione, in luogo della corretta vocale finale semimuta. A ciò si deve aggiungere l’incongruo, fantasioso congiuntivo esortativo che conclude l’articolo: s’aremeni, congiuntivo che è chiaramente preso a modello dal toscano, ma non appartiene alla lingua napoletana che usa ed avrebbe usato anche per il congiuntivo la voce s’aremena cosí come l’indicativo; infine non è ipotizzabile un monarca che, volendo codificare un regolamento in lingua napoletana, affinché fosse facilmente comprensibile alle proprie truppe incolte, si rivolgesse o fosse rivolto per farlo vergare a persona incapace o ignorante della lingua napoletana; ciò per dire che tutto l’evidentemente falso articolo fu pensato e vergato dal suo fantasioso autore, con ogni probabilità filosavoiardo in lingua italiana e poi, per cosí dire, tradotto seppure in modo sciatto ed approssimativo in lingua napoletana, cosa che si evince oltre che da tutto ciò che fin qui ò annotato dal fatto che nell’articolo (presunto napoletano) si parla di destra e sinistra, laddove è risaputo che i napoletani, anche i colti, usavano dire dritta e mancina. Sistemata cosí la faccenda del Facite ammuina , torniamo alla parola ammuina e soffermiamoci sulla sua etimologia; a prima vista si potrebbe ipotizzare, ma erroneamente che la parola ammoina sia stata forgiata sul toscano moina con tipico raddoppiamento consonantico iniziale ed agglutinazione dell’articolo la (‘a); ma a ciò osta il fatto che mentre il termine ammoina/ammuina sta, come detto, per chiasso, confusione, vociante baccano, la parola moina (dal basso latino movina(m)) sta ad indicare gesto, atto affettuoso, vezzo infantile; comportamento lezioso, sdolcinato, tutte cose evidentemente lontane dal chiasso e/o confusione che son propri dell’ ammoina/ammuina e lontane dal fastidio che da quel chiasso ne deriva all’adulto che, al contrario, è appagato e gratificato dalle moine infantili o talvolta da quelle femminili; sgombrato così il campo dirò che per approdare ad una accettabile etimologia di ammoina/ammuina occorre risalire proprio al fastidio, all’annoiare che il chiasso, la confusione, il vociante baccano procurano; tutte cose puntualmente rappresentate dal verbo spagnolo amohinar(infastidire, annoiare, addirittura rattristare) e convincersi che l’ ammoina/ammuina altro non sono che deverbali del verbo spagnolo. 4 Tené 'a neve dint' â sacca. Letteralmente: tenere la neve in tasca. Id est: avere o mostrar d'avere grandissima fretta quale quella che dovrebbe portare chi trasportasse della neve tenendola in tasca e volesse evitare di perderla; cosa - peraltro - impossibile giacché basta il calore del corpo per portare alla liquefazione della neve trasportata tenendola in una tasca dei vestiti. 5 A lietto astritto, cúccate 'mmiezo. Letteralmente: in un letto stretto, coricati in mezzo. Il consiglio della locuzione non è quello di sapersi adattare alle situazioni, quanto quello di ricercare in ogni occasione la soluzione migliore; in un letto stretto, perché piccolo o perché già occupato da altri, è consigliabile coricarsi al centro, il posto più sicuro, che può preservare da rovinose cadute laterali. 6 'O scarparo e 'o bancariello: nun se sape chi à fatto 'o pireto Letteralmente: il calzolaio e il deschetto: non si sa chi ha fatto il peto. Icastica espressione che viene usata allorché in una situazione che non presti il fianco a difficili interpretazioni, ci si trovi davanti a qualcuno che non voglia riconoscere la propria responsabilità e mesti nel torbido per scaricare su altri la medesima, anche su chi - per legge di natura - è chiaramente impossibilitato a compiere ciò di cui si intende accusarlo come nel caso dell'espressione in epigrafe un deschetto che manca dello strumento necessario a produrre peti, per cui sarebbe sciocco addebitarli a lui in luogo del calzolaio. 7 'Aruta ogni mmale stuta. Letteralmente: la ruta spegne ogni male. E' pur vero che l'erba ruta fu, temporibus illis usata come panacea per un gran numero di mali dalla epistassi alla verminosi etc. etc., ma posto che con il termine aruta in napoletano si intende anche il danaro, è piú probabile che la locuzione voglia significare che con il danaro si posson sanare tutti i mali, sia fisici che morali 8 'E ditte antiche nun fallisceno maje. Narcisistica espressione con la quale si vuole intendere che la saggezza popolare espressa per il tramite dei proverbi antichi trova sempre il suo riscontro nella realtà dalla osservazione della quale i proverbi(id est: pro-bata verba =parole provate)prendono il via. 9 Chi vo’ bbene ô maríto, veve 'ncopp'a ll'acíto. Letteralmente: chi vuol bene al marito beve anche in presenza di una crisi di acidità gastrica.Id est: il bene coniugale fa superare ogni avversità, anche a costo di sacrificio quale è quello di bere in presenza di una crisi di stomaco con versamento acido.L'acíto di per sé sarebbe l'aceto di vino, ma nella locuzione sta ad indicare quel succo scre che produce lo stomaco spesso a seguito di cattiva digestione(e dunque piú correttamente dovrebbe leggersi àcito= acido e non acíto= aceto, ma leggendo àcito e non acíto verrebbe meno la rima con maríto, per cui il proverbio è stato tramandato nella forma in epigrafe operando una piccola forzatura di significato della voce acíto. 10 'E cunte a lluonghe addeventano sierpe. Letteralmente: i conti che si protaggono diventano serpenti. Id est: i debiti a lunga scadenza diventano velenosi come i serpenti. La locuzione stigmatizza in modo conciso la piaga dell'usura 11 Ddio nce libbera da 'e signalate. Letteralmente: Dio ci liberi dai segnati. Id est: Il Cielo ci liberi dalle persone segnate da un difetto fisico ché son coloro che, magari per acrimonia o per un senso di rivalsa verso il mondo, son pronti a commettere, in danno del prossimo, azioni riprovevoli. La locuzione partenopea ripiglia ad un dipresso l'antico motto latino: Cave a signatis!(attenti ai segnati). brak

giovedì 29 settembre 2016

MACCARONE

MACCARONE Pur avendo già trattato dell’argomento in epigrafe alibi sotto il titolo:”MAGNARSE ‘E MACCARUNE”, su precisa richiesta del caro amico A. M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)vi torno su, per chiarire quali siano i motivi della mia scelta etimologica. Accontento l’amico e chi leggesse dicendo in primis che la voce maccarone che al plurale metafonetico diventa mmaccarune indica in primis una generica pasta alimentare, piú nota con varie specifiche denominazioni giusta il formato di détta pasta: lunga o corta, bucata e non; per traslato vale sciocco, stupido, melenso ed addirittura babbeo [nel caso di maccarone senza pertuso]il tutto in riferimento alla semplicità, alla pochezza di significato o di consistenza del semplice impasto di cui è fatto il maccherone, che, nell’inteso comune, è migliore se è doppio e forato come nella locuzione: Meglio unu maccarone ca ciento vermicielle! (meglio un solo maccherone, che cento vermicelli!); quanto all’etimologia il termine maccarone deriverebbe,secondo alcuni, dal greco makaría= piatto di fave e fiocchi di avena,che però d’acchito, come ognuno può arguire, non ànno nulla da spartire con i maccheroni vuoi di farina, vuoi di semola, cosa che mi fa respingere l’ipotesi etimologica; ugualmente è da respingere l’altra ipotesi che chiama in causa il greco makariòs= beati o pasto funebre, atteso che – per quanto ben cucinati o conditi – i maccheroni mai possono attagliarsi al significato di beatitudine, che –lessico alla mano - è:” lo stato di piena, perfetta e costante felicità, specialmente quella delle anime elette in paradiso, conseguente al possesso del Sommo Bene” cosa che – con ogni buona volontà –non si può riferire ad o pretendere da un piatto di pasta; a mio avviso perciò è molto piú convincente l’etimologia che chiama in causa il latino maccare = impastare e comprimere tenendo presente infatti che originariamente i maccarune della latinità furono essenzialmente della pasta casalinga ( sorta di gnocchi) ricavata dall’impasto di farina, sale ed acqua; tale impasto veniva schiacciato (maccatus) e tagliato in pezzetti poi compressi come accadeva anche (vedi alibi) per i greco -napoletani strangulaprievete . E qui penso di poter far punto convinto d’avere chiarito la mia posizione, esaurendo l’argomento, soddisfacendo l’amico A.M. ed interessandoo qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est. Raffaele Bracale

PIOGGIA E DINTORNI

PIOGGIA E DINTORNI Anche questa volta faccio sèguito ad un quesito rivoltomi dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi della voce italiana in epigrafe, d ei suoi eventuali sinonimi, voci collegate e delle corrispondenti voci del napoletano. Gli rispondo súbito dicendo che in italiano con il termine pioggia s.vo f.le [ dal lat. pop. ✻plŏia, per il classico plŭvia]ci si riferisce alla caduta dalla volta celeste di gocce di acqua che si verifica quando, all'interno di una nube, esse siano abbastanza grosse e pesanti da non evaporare completamente durante la caduta;del sostantivo esaminato, in italiano esistono pochissimi sinonimi che sono essenzialmente: rovescio e precipitazione; tra le voci collegate viene in mente solo acquazzone; vediamoli da vicino: rovescio agg.vo e s.vo m.le [ dal lat. reversus] à numerosi significati: 1)quale aggettivo vale voltato dalla parte opposta a quella diritta, e, piú genericamente, voltato in modo contrario a quello abituale; 2) sempre quale aggettivo In aeronautica,accompagna il sostativo volo per indicare quello nel quale un velivolo permane in traiettoria rettilinea o curvilinea ruotato attorno all’asse longitudinale di 180° rispetto al volo ordinario; 3) ancóra quale aggettivo in architettura,indica un tipo di arco ribassato, a sesto capovolto, avente l’estradosso appoggiato sul terreno, utilizzato nella costruzione di gallerie per contrastare le spinte che il terreno esercita dall’esterno; 4) infine quale aggettivo quale sostantivo,nei lavori a maglia, si dice (come contrapposto a dritto) del punto eseguito in modo che compaia sul diritto del lavoro la parte che normalmente appare nel dietro; 5)quale sostantivo indica genericamente la parte di qualcosa opposta al diritto 6) ancóra quale sostantivo in tipografia, lettera o segno capovolto che il compositore colloca, sia per errore sia provvisoriamente, nella composizione, in sostituzione di lettere o segni mancanti, in modo che la linea abbia la dovuta giustezza: nelle bozze di stampa in corrispondenza di questi rovesci provvisorî appare un rettangolo nero. 7)figuratamente quale sostantivo indica una grave perdita economica o crollo finanziario determinatisi all’improvviso: 8) infine quale sostantivo, come nel caso che ci occupa, indica una caduta violenta di pioggia, generalmente di breve durata e a tipo temporalesco; precipitazione s.vo f.le [dal lat. praecipitatio -onis, der. di praecipitare «precipitare»].si tratta di un termine tecnico che accanto ad altri significati su cui sorvolo, nel caso che ci occupa, indica precisamente in meteorologia, la fase della circolazione acquea nell’atmosfera terrestre corrispondente al passaggio dell’acqua dall’atmosfera al suolo (le altre fasi sono l’evaporazione e la condensazione); acquazzone . s.vo m.le [ dal lat. aquatio -ōnis, der. di aqua «acqua»]. Serve ad indicare una pioggia breve, ma impetuosa, ed a carattere locale. temporale [uso sostantivato dell'agg. temporale, dal lat. temporalis, der. di tempus -pŏris «tempo»]. – 1) in primis come nel caso che ci occupa, perturbazione atmosferica a carattere violento e passeggero, nella quale si verificano fenomeni elettrici; 2) figuratamente, contrasto aspro e violento fra piú persone, lite, litigio. Esaurite le voci dell’italiano passiamo a quelle del napoletano al solito piú precise, circostanziate ed esatte di quelle della lingua nazionale. Abbiamo: acquata s.vo f.le [dall’iberico acquada]. –1)In primis come nel caso che ci occupa pioggia improvvisa, intensa e duratura; 2) per traslato vinello ottenuto versando acqua sulle vinacce fermentate; acquarella s.vo f.le [der. di acqua]. 1)In primis come nel caso che ci occupa, pioggia leggera ed intermittente che si reitera continuatamente;2) figuratamente, vino largamente annacquato; 3) dispregiativamente brodo privo di carne e/o condimento, caffé assai poco concentrato. acquazzina s.vo f.le [ diminutivo di acquazza che è dal lat. acquatio], pioggerella acquerugiola; chioppeta s.vo f.le [deverbale di chiovere che è dal lat. pluere] pioggia intensa e duratura accompagnata da fenomeni elettrici (lampi e tuoni); chiarfo/chiarco s.vo m.le doppia morfologia d’un unico termine [da una rad. greco/ araba har/ kar – car/cal] violenta e continua pioggia accompagnata da grandine; lepetiata s.vo f.le [deverbale del lat. repetere] sinonimo del precedente con riferimento alla continuità della precipitazione; trupea/trubbea/trubbeja s.vo f.le tripla morfologia d’un unico termine [ dal s.vo greco tropaía=tempesta; la voce trupéa à conservato del greco la sorda p mentre nelle forme popolari (se non addirittura gergali) trubbéa e trubbéja si è avuto il passaggio della sorda p alla sonora b esplosiva labiale rafforzata con la geminazione;] improvviso ed inatteso, ventoso acquazzone estivo che scuote e scompiglia violentemente le chiome degli alberi e fa sbatacchiare i vetri di finestre e balconi; patapato/parapato/patabbato ‘e ll’acqua locuzione nominale usata per indicare una violento, intenso e durevole nubifragio con effetti spesso devastanti; Quanto all’etimologia,premesso che, contrariamente da quanto affermato da taluno, il termine patabbate non richiama nessuna gerarchia ecclesiastica, essendo solo la corruzione del termine cardine parapato,ricorderò che quest'ultimo deriva dal greco parapatto donde in primis il parapato poi patapato richiamato che significa spargere, distribuire copiosamente in giro, proprio nel senso che si attaglia alla locuzione in esame. Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est. Raffaele Bracale

VARIE 16/860

1 - DÂ MATINA SE CUNOSCE ‘O MALO I ‘O BBUONO JUORNO Dalla mattina è dato conoscere la cattiva o la buona giornata Id est: Da come principia una giornata, un affare, una faccenda qualsiasi se ne può facilmente prevedere il cattivo o il suo buon esito finale. 2 - DA CCA A DDIMANE NASCENO CIENTO PAPE Di qui a domani nascono cento papi Id est: Nell’arco di un sol giorno possono accadere tanti di quegli avvenimenti che non è dato prospettare, ma che possono far mutare tutte le nostre vicende. 3 - DÊ CEVETTOLE NUN NASCENO AQUELE, NÉ DÊ CCIAVOLE, PALUMME. Dalle civette non nascono aquile, né dalle gazze, colombi Id est: Da cattivi genitori vengon figli cattivi , né se ne possono sperare di buoni. 4 -DA CHI È CCUNIGLIO NUN CE JÍ PE CCUNZIGLIO! Non prender consiglio da chi è vigliacco (coniglio) Egli non può suggerirti il giusto comportamento da tenere soprattutto quando si tratti di affrontar rischi e/o pericoli. 5 - DÔ MALO PAVATORE, SCIPPA CHELLO CA PUÓ Da un cattivo pagatore, prendi ciò che puoi Anche se si tratta di poca cosa, sarà sempre guadagnata, sarà sempre meglio di niente. 6 - DE LU MALO RECUÓVETO NISCIUNO SE NNE VEDE BBENE. Nessuno riesce a godere di ciò che abbia guadagnato con l’inganno e la malversazione O, almeno, hoc est in votis! 7 - D’’E DENARE D’’O CARUCCHIARO SE NNE VEDE BBENE ‘O SCIAMPAGNONE Dei soldi dell’avaro ne gode (l’erede) scialacquatore 8 -DENARE ‘E JUOCO COMME VENONO SE NE VANNO Il danaro guadagnato con il giuoco va via alla medesima maniera. 9 -DENARO ‘E STOLA SCIOSCIA CA VOLA Il danaro portato in famiglia da un prete (stola) si disperde facilmente Un tempo si riteneva che i preti non svolgessero, con il loro ministero, alcun lavoro, per cui i soldi da essi guadagnati, essendo frutto di un non lavoro, si pensava fossero destinati ad ingloriosa fine. 10 -DICETTE ‘A MORTE: SI TU ‘NCATANIA VAJE, I’ ‘NCATANIA VENGO Disse la Morte: Se tu ti trasferisci a Catania, io vengo a Catania Id est: È impossibile sfuggire al proprio destino, soprattutto a quello finale. 11- LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A ‘NANTE A CCARNEVALE Icastica espressione da tradursi ad litteram: Togliamo la taverna da dinnanzi a Carnevale ; nell'inteso comune Carnevale, [pupazzo apotropaico, usato nelle omonime feste popolari antecedenti il tempo quaresimale quale rappresentante delle medesime] è raffigurato nelle sembianze di un crapulone che ama mangiare e bere ed è portato ad esagerare per cui è opportuno privarlo di ogni fonte di tentazione.Va da sé che la locuzione si attagli a tutte le situazioni delle quali sia protagonista un soggetto poco temperante anzi affatto morigerato che sia portato a gli eccessi comportamentali; a costui è necessario sottrarre qualunque incentivo che lo spinga ad eccedere, nella fattispecie rappresentato dalla taverna. Carnevale s.vo m.le 1 periodo dell'anno che va dall'epifania all'inizio della quaresima; in partic., l'ultima settimana di questo periodo, dedicata tradizionalmente ai divertimenti e alle feste mascherate 2(fig.) il fantoccio/maschera che lo rappresenta; 3 (estens.) l'insieme delle feste, delle manifestazioni organizzate durante il carnevale; 4 (fig.) tempo di spasso e di allegria; chiasso, confusione; voce che etimologicamente si fa fa derivare da carne levare, perché dopo tale periodo cominciava l'astinenza quaresimale, ma che morfologicamente può accostarsi all’espressione latina carne(m)vale!= addio carne, per analoghi motivi. Taverna s.vo f.le 1 (ant.) bottega, 2 osteria, béttola di infimo ordine, 3 trattoria popolare. Quanto all’etimo si tratta di voce derivata dal lat. taberna(m) 'osteria, magazzino'; A proposito della voce a margine rammento i seguenti versi di un’ iscrizione posta sulla porta della taverna del Cerriglio(sec.XVII-XVIII): : Magnammo, amice mieje, e ppo vevimmo nfino ca nce sta ll'uoglio a la lucerna: Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo! Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna! (Mangiamo, amici miei e beviamo finchè c’è olio nella lampada (id est: finchè siamo in vita) chissà se all’altro mondo ci vedremo, chissà se all’altro mondo esisterà una bettola (dove sbevazzare…). La taverna del Cerriglio fu la piú famosa osteria, béttola di infimo ordine napoletana ubicata in zona porto nei secc. XVII – XVIII e s’ebbe il nome di Cerriglio perché nella zona dove si trovava la suddetta taverna esisteva un folto gruppo di querce (in napoletano la quercia è détta: cerriglio dal lat. cerrum→cerrillu(m)→cerriglio ) e con tale spiegazione (cfr. I.Doria) ci si libera per sempre anche delle fantasiose postulazioni del Basile (cerriglio= apportatrice di gioia (???n.d.r.)), del Celano (cerriglio= soprannome(???n.d.r.) dell’oste gestore della taverna , del D’Ambra (cerriglio= ciuffo dei bravi(???n.d.r.) idea derivata dalla pretesa che détta taverna fosse frequentata da gente di malaffare e non da onesti lavoratori portuali ), e del Croce che si inventò gratuitamente un corrillerus→cerriglio = furfanti che frequentavano la taverna. Brak

BRELLOCCO

. BRELLOCCO Mi è stato chiesto, via e-mail, dal caro amico A. A. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome), , di spendere qualche parola che sia chiarificatrice per illustrarne gli esatti significati e portata del termine in epigrafe stante la gran confusione che regna intorno al medesimo.Riscontro qui di sèguito, illico et immediate la richiesta. Con il sostantivo maschile brellocco (che è dal francese breloque con raddoppiamento espressivo della consonante laterale alveolare [L]) nell’idioma napoletano si intende 1 in primis ed originariamente un ciondolo, un ninnolo, un pendaglio, un pendente,un vezzo prezioso da portare al collo appeso ad una catenina, catenella, collier, collare e simili, 2 per estensione qualsiasi spilla, anello, gioiello,monile munito di luccicante pietra preziosa e segnatamente smeraldo, topazio o soprattutto sfavillante brillante solitario montati su castoni di metalli nobili quali oro o platino; infine 3 per traslato con il termine in esame si fa riferimento, nel linguaggio popolare e familiare a qualsisi soggetto,[e segnatamente si vuole intere un/una figlio/figlia] che nella ambiente,nel giro,nella cerchia domestico/a sia considerato al confronto di suoi omologhi , amato/a, amatissimo/a, caro/a, carissimo/a, beneamato/a, favorito/a, prediletto/a, preferito/a da un o ambedue i genitori con riferimento soprattutto alla mamma donde la locuzione: essere ‘o brellocco ‘e mammà [essere il ciondolo prezioso di mamma ]ed il riferimento semantico di questa terza accezione sta nel fatto il/la prediletto/a sarebbe portato/a al collo a guisa di un pendaglio prezioso. A margine e completamento di quest’ultimo significato in esame ricordo qui la differenza che intercorre tra le espressioni tené a uno appiso 'ncanna e purtà a uno appiso 'ncanna che ad litteram valgono rispettivamente : tenere uno appeso alla gola e portare uno appeso alla gola; la prima locuzione à una valenza negativa mentre la seconda ne à una positiva e si usa per significare di avere una spiccata preferenza per una persona, quasi portandola al collo a mo' di preziosa pietra o medaglia benedetta; nella valenza negativa la locuzione è usata per indicare una situazione completamente opposta a quella testé illustrata, quella cioé in cui una persona generi moti di repulsione e di fastidio a mo' di taluni pesanti, tronfi monili che messi al collo, finiscono per infastidire chi li porti.Chiarisco qui che per meglio determinare la valenza della locuzione, quella positiva è segnalata dall'uso del verbo purtà[ dal lat. pŏrtare = portare] comportante una scelta volontaria, mentre quella negativa è connotata dall'uso del verbo tené[ dal lat. tĕnēre =tenére, mantenere, reggere, sostenere ]che include una sorta di sopportazione dovuta ad una imposizione. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico A. A. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est. Raffaele Bracale

NAPOLI – BENFICA (C.L. 28/09/16) 4 A 2 ‘A VEDETTE ACCUSSÍ

NAPOLI – BENFICA (C.L. 28/09/16) 4 A 2 ‘A VEDETTE ACCUSSÍ Peggio pe cchi nun crere, guagliú! I’ ve dico ca ajeressera ô sanPaolo, quarantacinchemilia perzune avetteno ‘a furtuna ‘e vedé ‘na granna mubbara (partita) d’ ‘o Napule contro a ‘na granna scuatra e cchesto allimmeno nsi’ a vvinte minute dô prazzo (fine) quanno ‘e cuane (azzurri) stanno ggià ‘ncopp’ô quatto a zzero allentajeno ‘nu poco e, cu ddoje fessarie [‘a primma ‘e Giorgigno ô 71’ cu ‘nu scellerato pasiglio a gghí arreto,piglianno ‘ncontropiere ‘a trasera (difesa) nosta ca saglieva i ‘a siconna ‘e Ghoulamme ca a ll’ 86’ se perdette a sSalvio ], permetteno ô Benfica ‘e smezzà ‘o risultato finale ca s’attestaje ‘ncopp’ô quatto a ddoje. Peccato! Me fósse piaciuto ‘e vencere cchiú llargo e soprattutto mantenenno ‘a porta acrata (inviolata)… però nun succedette; ma nun fa niente guagliú, chello ca conta è ca ‘o taricco (percorso)’e ll’umme (dei sogni)accumminciato cu ‘a Dinamo ô tridice passato cuntinuaje ajeressera ô San Paolo addó ‘int’â matrichèra (tana) nosta, da cchiú ‘e n’anno armuccallo (fortino) sia ‘ncampiunato ca ‘nnAiuropa, nun ce ne fove manco p’’o Benfica i ‘o Napule se dimustraje cchiú fforte nun sulo d’’e purtuchise, ma pure ‘e chilli duje cestarielle ’e ll’almullacche (commentatori) Mediasetta e soprattutto d’’a scalogna ca ce privaje doppo appena diece minute d’Albiòllo ca lle s’allungaje nun saccio qua’ muscolo i ‘o mettette fora sibba (causa),custringenno Sarri a ffà debuttare a nNikola Maksimoviccio; poco male! ‘O Napule vattette ô Benfica rummanenno a nnatiggio (punteggio) chino’int’ô cruppo B a cchiú cquatto ‘ncopp’â siconna, ‘o Besiktas(se).’E fatte jetteno accussí: p’’e primme sittanta minute, doppo ‘nu bidaiatanno (avvio) quanno Reina êtt’’a salvà ‘o prozo a ttutte quante, fove tutto n’irdo (show) ‘e Ciruzzo Mertenso e ssocie; Marekiaro levaje ‘a ll’irra (imbarazzo) ‘e cuane mettenno a ffrutto, cu ‘na bbella cabbesera (colpo di testa) a ffilo ‘e primmo palo,’nu sistimato tiro ‘e squina (corner) ‘e Ghoulamme;ll’arillo bbergo marcaje ‘o cartellino ddoje vote [ô 51’ cu ‘na bbella timmurria(punizione) i ô 58’, sotto mesura recuglienno ‘nu bbassurero (suggerimento) ‘e Arcadio], Milikco ô 54’ firmaje ‘o stuco suĵo mettenno dinto cu freddezza ‘o ricore ca s’era prucurato Peppe ‘a ‘nguenta, arrunzato ‘a Culio Cesare ca ll’era asciuto ‘ncopp’ê piere; cosicché, comme v’aggiu ditto a vvinte minute dô prazzo (fine) ‘o Napule steva ‘ncopp’ô quatto a zzero; po – comme v’aggiu ditto - ‘o Benfica riuscette a smezzà ‘o risultato finale ca s’attestaje ‘ncopp’ô quatto a ddoje prucurannoce quacche anzía (patema) ma piccerella. Peccato! Passammo ê ppaggelle: REINA 6,5 Soprattutto pecché, comme ggià aggiu ditto, salvaje ‘o prozo a ttutte quante durante ê primme minute cu cquacche sistimata marfudda (respinta) ‘e punio e ccu ‘nu granne taccullo (intervento) ‘ncuollo a mMitroglou. Po nun avette quase cchiú spurcà ‘e guante, nè foveno itimme(responsabilità) soje ll’adaffe (reti) pigliate. HYSAJ 6,5 Accumpagnaje a pPeppe ‘a ‘nguenta cchiú ppoco d’’o solito pure pecché ‘o Napule scigliette d’attaccà cchiú assaje a mmancina; sinamparco (comunque) addereto facette ‘o ssuĵo cuntrullanno ‘e prucrissione (avanzate) ‘e Grimaldo, contrastanno a mmestiere a isso i a cchi capitaje. ALBIOL s.v. Sfurtunato! Lle s’allungaje nun saccio qua’ muscolo i ‘o perdettemo quase súbbeto (da ll'11' MAKSIMOVIC 6 S’’a cavaje bbuono ‘a fora ‘e ‘na vota quanno fove pigliato ‘ncotropiede ‘a ‘nu pasiglio ad capocchiam ‘e Giorgigno; trasuto a ffriddo marratannaje (debuttò) cu ‘a maglia arzacca (azzurra) e nun tremmaje.) KOULIBALY 7 – Perdette súbbeto ‘o cumpare ‘e sezzione (reparto), ma isso nun facette ‘na chieja e ll’atalossa (prestazione) soja nun n’ affetaddaje (risentí) e ffove ‘a solita muraglia ca nun facette passà niente e nnisciuno! GHOULAM 6,5 - Miezu zifo (voto) mancante pecché ‘nnoccasione d’’a siconna addaffa purtuchesa se perdette a sSalvio; p’’o riesto fove ‘o padrone d’’a curzia mancina annate i arreto pe tutt’’e nuvanta e cchiú mminute e mmettette ‘mmiezo ‘nu granne tiro ‘e squina [chillo miso a ffrutto da Marekiaro]. ALLAN 6,5 Assicuraje ‘na presenzia zubba (solida) ‘mmiez’ô campo pure ‘int’ê mumente cchiú triste p’’e cuane ricuperanno pallune e ppurtannole fora dê ccamme (zone) periculose. JORGINHO 5,5 Ajeressera me piacette poco o niente e ffove ‘a zimeiosa stunata(nota stonata) d’’o Napoli; sulo durante ô primmo ajone facette quacche ccusarella lassanno però sempe troppu spazzio tra isso i ‘a tràsera (difesa).’O nquacchio overo ‘o facette a ll’arrancua [71’] quanno cu ‘nu scellerato pasiglio a gghí arreto a uocchie nchiuse ,pigliaje ‘ncontropiere ‘a trasera (difesa) nosta ca saglieva e rijalaje palla a gGuedesse ca signaje! HAMSIK 7,5 Ajeressera ‘o capitano ‘o vvuleva fà e sse vedette risultanno pulitelico (prezioso) nun sulo pecché fattiaje (sbloccò),cu n’andivinata cabbesera (colpo di testa), ‘na sibbacca (gara) ch’êsse pututo addivintà cumplicata, ma pure pecché a ccentrocampo se dimustraje sempe nicessario pe ccomme se ‘nsertaje (inserí) e ppe comme dètte ‘na mana ê cumpagne. José Maria CALLEJON 7 Niente ‘e nuovo: senzazziunale: mette a ddisposizzione d’’a scuatra corza, cuntinue calaffe (sgroppate),iabbre (cross) e sse jette pure a pprucurà ‘o ricore. Ascette manucco (stremato) e sse chiammaje ll’applavuso meritato. (dô 70' INSIGNE 6 Pochi ccose, ma fatte bbuono; trasette a gghiuoche ggià fatte e quase mettette annante ô purtiere a mMilikco ca però sprecaje.) MILIK 6,5 Miezu zifo (voto) mancante pecché pure si fove sempe ‘nsibbacca (in partita),e durante ô primmo ajone (tempo) battagliaje cu ‘a pistofulaca (retroguardia) purtochese nun riuscette a procurarese accasione cuncrete; a ll’arrancua signaje ‘nu bbellu ricore cu freddezza e ppricisione; po però pe precipitazziona se magnaje ‘a pussibbile pareglia (raddoppio) perzunale e ffove ‘nu peccato! MERTENS 8 Ajeressera, si pe ccaso ce ne fósse stato nicessità, dimustraje pecché s’è ppigliato ‘o posto d’aizzo (titolare) levannolo a Insigne; fove n’arillo ca nun se fermaje maje crianno cuntinuamente pericule p’’a trasera (difesa) purtuchesa e firmanno ‘na bbella, ‘mpurtante pareglia (doppietta). (da l’82' GIACCHERINI s.v.) All. SARRI 6,5 Ancòra ‘na vota avette ‘e risposte ca s’aspettava ‘a tutte quante, pure ‘a Maksimoviccio, trasuto a ffriddo.À dda però fà capí ê suoje ca ‘e mmubbare accummenciano subbéto cu ‘o primmo sisco ‘e ll’arbitro e nun fenesceno ô sittantesimo, ma quanno tutte stanno sott’â doccia doppo d’’o nuvantesimo. I ajere nun ‘o facette. arbitro: BRYCH (Germania) 6 Se tenette dint’â sacca ‘nu paro ‘e cartelline jalizze (gialli) sparagnannole ê purtuchise, ma p’’o riesto facette quase tutto chello ca êsse avuto ‘a fà! Fermammoce cca. E si dDi’ vo’ ce sentimmo llunnerí ca vene doppo d’’a nàcchela (trasferta) a bBergamo dummeneca contro ll’Atalanta, scuatra assineja (satellite) d’’a vecchia zoccola e spero ca ve pozzo cuntà ca ‘o Napule ll’à casticata! Staveti bbe’. R.Bracale Brak

mercoledì 28 settembre 2016

VARIE 16/859

1 -TENÉ 'A PAROLA SUPERCHIA Ad litteram: tenere la parola superflua. Detto di chi parli piú del dovuto o sia eccessivamente logorroico, ma anche di chi, saccente e suppunente, aggiunga sempre un' ultima inutile parola e nell'àmbito di un colloquio cerchi sempre di esprimere l'ultimo concetto, perdendo -come si dice - l'occasione di tacere - atteso che le sue parole non sono né conferenti, né utili o importanti, ma solo superflue. 2 -TENÉ 'A PÓVERA 'NCOPP' Ê RECCHIE Ad litteram: tenere la polvere sulle orecchie Icastica locuzione usata a Napoli per indicare chi sia o - solo - sembri, per la voce e/o le movenze, un diverso accreditato di avere le orecchie cosparse di una presunta polvere , richiamante quella piú preziosa, in quanto aurea ,che usavano gli antichi effeminati dignitarii messicani e/o peruviani cosí apparsi ai conquistatori ispanici. La locuzione in epigrafe, a Napoli viene riferita ad ogni tipo di diverso, sia al ricchione (sodomita attivo), che al femmeniello (sodomita passivo). 3 - TENÉ 'A PUZZA SOTT' A 'O NASO Ad litteram: tenere ilpuzzosotto il naso Detto di chi, borioso, tronfio e schizzinoso assuma un atteggiamento di ripulsa, quello di chi avendo un puzzo sotto il naso, non lo tollerasse. 4 TENÉ A UNO APPISO 'NCANNA o anche PURTÀ A UNO APPISO 'NCANNA Ad litteram: tenere uno appeso alla gola o anche portare uno appeso alla gola Locuzione dalla doppia valenza: positiva e negativa; in quella positiva si usa per significare di avere una spiccata preferenza per una persona, quasi portandola al collo a mo' di preziosa medaglia benedetta; nella valenza negativa la locuzione è usata per indicare una situazione completamente opposta a quella testé segnalata, quella cioé in cui una persona generi moti di repulsione e di fastidio a mo' di taluni pesanti, tronfi monili che messi al collo, finiscono per infastidire chi li porti.Chiarisco qui che per meglio determinare la valenza della locuzione, quella positiva è segnalata dall'uso del verbo purtà (portare), quella negativa dall'uso del verbo tené (tenere). 5 -TENÉ A QUACCUNO APPISO ALL'URDEMO BUTTONE D''A VRACHETTA Ad litteram:tenere qualcuno appeso all'ultimo bottone della apertura anteriore dei calzoni. Id est: Avere e mostrare aperta repulsione nei confronti di qualcuno al segno di considerarlo fastidioso elemento da poter - figuratamente - sospendere, per vilipendio, all'estremo bottone della brachetta anteriore dei calzoni. 6 -TENÉ A QUACCUNO 'NCOPP' Ê PPALLE Ad litteram:tenere qualcuno sui testicoli Id est: Cosí si esprime chi voglia fare intendere di nutrire profonda antipatia ed insofferenza nei confronti di qualcuno al segno di ritenerlo, sia pure figuratamente, assiso fastidiosamente sui propri testicoli. 7 -TENÉ 'A SARÀCA DINT' Â SACCA o anche TENÉ 'A QUAGLIA SOTTO Ad litteram:tenere la salacca in tasca o anche avere la quaglia sotto Icastiche locuzioni, usate alternativamente per indicare la medesima cosa e cioè quella di trovarsi in una incresciosa situazione tentando inutilmente di nasconder qualcosa ; nel primo caso infatti è impossibile celare di avere in tasca una maleodorante salacca ; il suo puzzo l'appaleserebbe subito; nella variante è ugualmente improbo, se non impossibile nascondere di essere affetto da una corposa, voluminosa ernia (quaglia) inguinale . 8 -TENÉ 'A SCIORTA 'E CAZZETTA: JETTE A PISCIÀ E SE NE CADETTE Ad litteram:tenere il destino di Cazzetta: si dispose a mingere ed il pene cadde in terra. Divertente locuzione usata però a bocca amara da chi voglia significare di essere estremamente sfortunato e perseguitato da una sorte malevola al segno di non potersi iperbolicamente permettere neppure le piú normali funzioni fisiologiche, senza incorrere in gravi, irreparabili disavventure quali ad es. la perdita del pene. 9 -TENÉ 'A SCIORTA D''O PIECORO CA NASCETTE CURNUTO E MMURETTE SCANNATO Ad litteram:tenere il destino del montone che nacque becco e morí squartato. Locuzione che, come la precedente viene usata da chi si dolga del proprio infame destino, qui rapportato a quello del montone che nato cornuto (per traslato: tradito) finisce i suoi giorni ucciso. 10 -TENÉ 'A SALUTE D''A CARRAFA D''A ZECCA Ad litteram:tenere la salute (consistenza) della caraffa della Zecca. Id est: essere molto cagionevoli di salute al segno di poter essere figuratamente rapportati alla estrema fragilità della ampolla di sottilissimo vetro, (la cui capacità era di litri 0,727= ampolla che marcata, tarata e conservata presso la Regia Zecca Napoletana era la unica atta ad indicare la precisa quantità dei liquidi contenutied alla sua capacità dovevano uniformarsi le ampolle poste in commercio. 11 -TENÉ 'A VOCCA SPORCA Ad litteram:tenere la bocca sporca Détto di chi, per abitudine parli facendo uso continuato ed immotivato di volgarità e/o parole sconce ed oscene al segno da restarne figuratamente con la bocca sporcata. 12 - TENÉ 'E CHIRCHIE ALLASCATE Ad litteram:tenere i cerchi allentati Detto di chi, vacillandogli la mente, sragioni o abbia vuoti di memoria, alla stregua di una botte che per essersi allentati i cerchi contentivi delle doghe, vacilla e perde il liquido contenuto. 13 -TENÉ 'E GGHIORDE Ad litteram:tenere la giarda Cosí ironicamente si usa dire di chi, pigro, infingardo e scansafatiche mostri di muoversi con studiata lentezza, tardo e dolente all'opera, quasi come i cavalli che affetti dalla giarda ne abbiano le giunture e il collo delle estremità ingrossati al punto da esserne impediti nei movimenti. 14 -TENÉ 'E LAPPESE A QUADRIGLIÈ P''A CAPA Letteralmente: Avere le matite a quadretti per la testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadrellatum a sua volta corruzione parlata del classico lapis quadratum (o anche opus reticulatum); il lapis quadratum o lapis quadrellatum (donde lappese a quadriglié) fu un’antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno,ed il vertice verso l'interno, di piccole piramidi di tufo o altra pietra , per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione, applicazione ed attenzione con conseguente sforzo mentale tale da procurare fastidio e ... mal di testa per la tensione ed il nervosismo, quelli che figuratamente sono indicati con la locuzione a margine.Ricorderò che erroneamente qualche scrittore di cose napoletane chiama in causa le matite o lapis propriamente detti, ed in particolare una pubblicità d'inizio del 20° secolo che mostrava una testa su cui erano conficcate a mo' di raggiera delle matite laccate a quadrettini neri e bianchi; ma atteso che la locuzione in epigrafe è molto antecedente all'epoca di quando furono commercializzate le matite( ca. 1790), ne discende che l'ipotesi è da scartare. 15 - TENÉ 'E PPALLE QUADRATE Ad litteram:tenere i testicoli quadrati. Icastico ed iperbolico modo di dire usato ad encomio di chi appaia nel proprio agire solerte, pronto ed attento, dotato di efficaci capacità mentali e/o operative attribuite all'inusuale quadratura dei suoi testicoli che risultano sia pure figuratamente non banalmente sferici, ma addirittura cubici richiamanti quella quadratura indice di facoltà mentali e/o operative superiori alla media. 16 -TENÉ 'E PECUNE Ad litteram:tenere i pichi Espressione che con valenza positiva viene riferita a coloro che sebbene giovani di età, si mostrino moralmente cresciuti, intelligenti e capaci di operare al di là del presagibile, quasi che non siano gli imberbi adolescenti che l'anagrafe dice, ma a mo' degli uccelli prossimi a metter le piume, mostrino di avere, figuratamente, sparsi per il corpo quei pichi propedeutici negli uccelli allo spuntar delle piume 17 -TENÉ 'E PAPPICE 'NCAPA Ad litteram:tenere i tonchi in testa Id est: sragionare, non connettere. Locuzione usata nei confronti di coloro che con parole o atti adducano nei rapporti interpersonali, ragionamenti non consoni, assurdi, sciocchi e pretestuosi, quasi fossero generati da teste i cui cervelli fossero assaliti e lesi nelle capacità raziocinanti dai tonchi quei minuscoli insetti che talora infestano i cereali in genere e la pasta in particolare. 18 - TENÉ 'E PPIGNE 'NCAPO Ad litteram:avere le pigne in testa. Locuzione di identica valenza della precedente, usata però quando si voglia intendere che la mancanza di raziocinio è ritenuta esser dovuta ad una ipotetica violenza subíta, come potrebbe esser quella di sentirsi cadere in testa i duri stròbili del pino. 19- TENÉ 'E RRECCHIE PE FFINIMENTE 'E CAPA Ad litteram:tenere le orecchie per guarnimento della testa. Divertente locuzione di portata esattamente contraria alla precedente, che viene usata nei confronti di chi sia cosí duro d'orecchio da fare ritenere i loro padiglioni auricolari buoni solo per agghindare la testa. 20 -TENÉ FATTO A CQUACCUNO Locuzione impossibile da tradurre ad litteram, usata da chi voglia fare intendere di avere completamente in pugno qualcuno, di tenerlo nella propria disponibilità, avendolo quasi plagiato. 21-TENÉ ARTETECA Ad litteram:stare in agitazione continua Detto soprattutto di ragazzi irrequieti, instabili e vivaci in perenne movimento, incapaci di star fermi in un luogo e adusi a stender le mani su tutto ciò che capiti nei loro pressi.La parola arteteca, etimologicamente viene da un tardo latino: arthritica con il significato nella restante parte dello stivale di artrite. mentre nell'Italia meridionale vale irrequietezza quella che ad un dipresso si può cogliere in chi (affetto da artrite) si agita in continuazione nel tentativo di trovare una posizione antalgica per lenire i fastidiosi dolori muscolari che l’artrite comporta. 22 - TENÉ 'MMANO Ad litteram: tenere in mano id est: attendere, rimandare, procrastinare, quasi trattenendo nelle mani ciò che vorrebbe esser fatto súbito. 23 -TENÉ 'MPONT' Ê DDETE Ad litteram: tenere(qualcosa) sulla punta delle dita; id est: essere pienamente padrone d'un'arte o mestiere, conoscendone a menadito la strada ed i tempi da seguire per ottenere degni risultati o anche essere tanto esperto di una materia , conoscerla cosí bene da averla quasi come propria impronta digitale quella che si ricava appunto dalle punte delle dita. 24 -TENÉ 'NA PIONECA 'NCUOLLO Ad litteram: tenere una miseria addosso; id est: essere o ritenersi di essere perseguitati dalla malasorte , quasi vessati dalla sfortuna che si è quasi attaccata addosso a mo' di seconda pelle. 25 -TENÉ N' APPIETTO 'E CORE Ad litteram: avvertire una compressione toracica id est: trovarsi in uno stato di angoscia, essere ansiosi al punto di avvertire il cuore pulsare tachicardicamente nel petto, quasi comprimendosi contro la gabbia toracica. 26 -TENÉ 'NU CHIUVO 'NCAPA Ad litteram: tenere un chiodo in testa id est:avere un'idea fissa che preoccupa ed affanna tenuta per iperbole a mo' di chiodo confitto in testa. 27 -TENÉ 'NFRISCO A CQUACCUNO Ad litteram: tenere in fresco qualcuno id est: fare attendere qualcuno prima di provvedere ai suoi bisogni o desideri , oppure anche solo prima di prestargli ascolto, lasciarlo in sospeso, senza curarsene, come di un cibo che d'estate, prima d'esser consumato venga messo a refrigerare. 28- TENÉ 'NU PÍSEMO 'NCOPP'Ô STOMMECO/VERNECALE Ad litteram: tenere un peso sullo stomaco id est: avere la sgradevole sensazione di portare un peso sullo stomaco, peso rappresentato - per solito - da una grave contrarietà ricevuta e risultata metaforicamente indigesta, sí da avvertirne il relativo peso sullo stomaco. 29 -TENÉ 'O BBALLO 'E SAN VITO Ad litteram: essere affetto da còrea ed estensivamente essere o mostrarsi irrequieto ed instabile . 30 - TENÉ 'O CULO A BBUTTIGLIONE, A MMAPPATA, A PPURTERA, A MMANDULINO Ad litteram: avere il culo a forma di bottiglione, di pacco, di portiera, di mandolino. Cosí, in vario modo si suole alludere alle diverse configurazioni del fondoschiena femminile; la forma piú - diciamo - pregiata è ritenuta l'ultima: quella che arieggia la struttura del mandolino; le altre tre forme si riferiscono alla medesima sgraziata forma d’un fondoschiena eccessivamente vasto tale da potersi volta a volta raffigurare come un bottiglione (grossa bottiglia di grande capacità), o come una mappata ( ampio inviluppo di panni)(ed in tale accezione si fa riferimento non solo al fondoschiena femminile di donne adulte, ma anche a quello degli infanti spesso avviluppati nei pannolini) o infine come una purtera (custode di casa, che per star sempre seduta in guardiola à il fondoschiena largo e schiacciato ). 31 -TENÉ 'O CULO A TTRE PPACCHE Ad litteram: avere il culo a tre natiche Atteso che la cosa è anatomicamente impossibile, la locuzione è usata ironicamente, a mo' di dileggio di ogni spocchioso, borioso saccente e supponente che si ritenga titolare di eccezionali doti e talenti fisici o morali che in realtà non esistono, come è inesistente un culo con tre natiche; la locuzione è però usata altresí con una punta d’invidia nei confronti di chi sia cosí fortunato da essere appunto accreditato d’avere un fondoschiena (pensato sede della buonasorte) vastissimo ed addirittura a tre natiche! 32 -TENÉ 'O CUORIO A PESONE Ad litteram: avere le cuoia a pigione id est: essere costretti a vivere a rischio continuo, in modo precario, nelle mani della malasorte, in un clima di continua incertezza, come chi - non essendo proprietario di alloggio, sia costretto a prenderne uno in pigione al rischio di vedersi improvvisamente messo fuori dal proprietario. 33 -TENÉ 'O FFRÀCETO 'NCUORPO Ad litteram: avere il fradicio in corpo id est: portarsi dentro, tentando di non appalesarle, ingenti carenze intellettive o morali, o - piú spesso - pessime inclinazioni; va da sè che ci sia poco da fidarsi di chi abbia tali carenze o inclinazioni. 34 -TENÉ 'O PIZZO SANO E 'A SCELLA ROTTA Ad litteram: avere il becco integro e l'ala rotta Détto ironicamente di chi sia sempre pronto a prendere, ma accampi scuse per esimersi dal dare . Al di là del significato traslato, la locuzione si riferisce di per sé a chi sia sempre pronto a mangiare e restio a lavorare. 35 - TENÉ 'E PPEZZE Ad litteram: avere le pezze id est: essere ricco, disporre di molto danaro, atteso che qui il termine pezza non sta a significare: straccio, ma - appunto - moneta; rammenterò che al tempo dei Borbone, nel Reame di Napoli la pezza era una ben identificata, grossa moneta d'argento detta anche piastra del valore di ben 15 carlini; l’essere in possesso di tante piastre o pezze era indice di grande ricchezza. 36 -TENÉ 'E FRUVOLE PAZZE DINT' Ô MAZZO Ad litteram: avere le folgori pazze nel sedere Riferito soprattutto a ragazzi irrequieti e chiassosi, recalcitranti ai freni ed in quanto tali ritenuti titolari di folgori pazze (tipo di fuochi artificiali)allocate nel sedere, che con il loro scoppiettío, costringono i ragazzi a non stare fermi e ad agitarsi continuamente. 37 -TENÉ 'E SETTE VIZZIE D''A ROSAMARINA Ad litteram: avere i setti vizi del rosmarino Detto iperbolicamente di chi non sia ritenuto titolare di alcuna virtú, anzi - al contrario - di troppi vizi ; tra i quali sono considerati anche le eccessive voglie, i desideri, le richieste pressanti in ispecie quelle di taluni incontentabili ragazzi, ma anche di qualche adulto di sesso femminile. La pianta del rosmarino, arbusto aromatico che viene molto usato in cucina , ma anche sfruttato in erboristeria per la produzione di profumi, ed in farmacopea - per le sue capacità terapeutiche, è ritenuto però ricca di vizi, che se non sono sette come affermato nella locuzione in epigrafe, son comunque tanti: è pianta che brucia con difficoltà , fa molto fumo e poca fiamma e dunque non riscalda, quando brucia, contrariamente a ciò che avviene normalmente, putisce ed irrita fastidiosamente gli occhi con il suo fumo. 38 -TENÉ 'O SFUNNOLO Ad litteram: avere lo stomaco sfondato Detto iperbolicamente di chi sia cosí tanto vorace ed insaziabile da mangiare continuatamente ad immettendo tantissimo cibo nello stomaco, senza mai satollarsi, quasi che lo stomaco fosse sfondato e non fosse possibile riempirlo mai. 39 -TENÉ 'O STOMMACO 'MPIETTO E 'O VELLICULO Ô PIZZO SUJO. Ad litteram: avere lo stomaco nel petto(id est: nel torace) e l'ombellico al suo (giusto) posto. Detto ironicamente di chi lamenti continui,gravi (ma - in realtà –inesistenti) malanni. brak

VARIE 16/858

1-'O GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO. Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui. 2. - 'E FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO. Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun luogo che hanno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando ovunque le tracce del proprio passaggio. 3. -'E VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO. Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli innamorati. Analoga alla locuzione in esame è quella che recita: ‘E MMULIGNANE SO’ BBONE SOTT’A LL’UOCCHIE che letteralmente è. Le melanzane sono buone sotto a gli occhi ed in questo caso bisogna rammentare che a Napoli con la parola mulignane si intende sia il tipico gustosissimo ortaggio che la fa da padrone nella cucina partenopea, sia le occhiaie bluastre tendenti al viola, tipiche di occhi stanchi di colui/colei che non à riposato durante la notte impegnato/a com’era in tenzoni amorose; anche questa locuzione sembra ripudiare ormai l’ortaggio per apprezzare solo le occhiaie conseguenti degli incontri amorosi. Rammento che mulignana= melanzana dall’arabo badingian incrociato con il prefisso mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi petro(primo elemento di parole composte della terminologia scientifica, formate modernamente, dal gr. pétra 'pietra') o con il prefisso peto adattamento locale del precedente e s’ebbe petronciano o petonciano. la voce melanzana fu anche ritenuta, ma impropriamente, derivata da mela+ insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla pazzia. 4 -STATTE BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLL’Ô VOJO! Letteralmente: buonanotte!la vacca ha montato il bue. Id est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare. 5. -QUANNO 'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÌTO. Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe così cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti. 6. 'O DULORE È DDE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TTÈNE MENTE. Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! - affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere. 7. 'O FATTO D''E QUATTO SURDE. Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?). 8. A 'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIÀVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA. Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai. 9.CHI VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA. Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce. Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi risultati diversi o migliori. 10. AMMORE, TOSSE E ROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE. Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili. 11. 'MPÀRATE A PPARLÀ, NO A FFATICÀ. Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere che la disincantata osservazione della realtà ci costringe a stabilire che è piú opportuno fondare la propria esistenza sul fumo dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza, molto piú dell'onesto e duro lavoro (FATICA); in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo. 12. CHI TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SE LU MAGNA. Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio- che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o consuma tutto il messo da parte. 13 'A sotto p''e chiancarelle. Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo di F. Solimena,che costruito nel 1738 su commissione del marchese di Poppano Nicola Moscati un palazzo [noto poi con il nome di ‘o palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente Tommaso Atienza, détto appunto lo spagnolo , per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di Spagna] nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ). Il termine chiancarella è un diminutivo derivato del lat. planca (asse di legno)lo stesso termine che diede dritto per dritto il napoletano Chianca (macelleria/rivendita di carne) perché un tempo la carne era esposta e sezionata su di un asse di legno. 14 -'O TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO. Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò pericolosissimi. 15 -'O PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là dove occorre. 16.SPARTERSE 'A CAMMISA 'E CRISTO. Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli si dice di chi, esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota , divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore. 17. ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA. Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a Napoli si suole dire di coloro - specialmente uomini - che in piazza si mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato. 18. AVENNO, PUTENNO, PAVANNO. Letteralmente: avendo, potendo, pagando. Strana locuzione napoletana che si compendia in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti e quando (e se) potrò. 19.AMMESÚRATE 'A PALLA! Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; non fare il gradasso!: Rènditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te, derivanti dalle tue errate azioni. La locuzione originariamente - pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in azione. 20. VULÉ ‘O COCCO AMMUNNATO E BBUONO… Si tratta di una divertente espressione che fu antica nel suo significato originario casto ed ironico, ma che fu poi letta successivamente (anni postbellici) attribuendole un senso sarcastico, furbesco se non volgare. Illustro dapprima il significato originario casto ed ironico,per poi soffermarmi sul significato furbesco. In primis ed ad litteram l’espressione si traduce : volere l'uovo sgusciato e buono ( id est: pronto per esser mangiato). Detto ironicamente di chi sia cosí tanto scansafatiche, poltrone, lavativo da non volersi impegnare neppure nei piú piccoli lavori e preferisca esser servito di tutto punto; nella fattispecie il cialtrone di turno non intende sottostare neppure alla risibile fatica di sgusciare un uovo bollito... Il cocco della locuzione in effetti non è il frutto della pianta tropicale, ma semplicemente l'uovo che, con voce gergale fanciullesca, è chiamato cocco richiamandosi al noto verso della gallina: cocco(dè); l'aggettivo buono unito al precedente aggettivo ammunnato (mondato,sgusciato)è usato in questa e simili costruzioni( es.:cuotto e bbuono, pronto e bbuono) del parlar napoletano non per significare la bontà del sostantivo cui è riferito, quanto per designare l'immediata fruibilità del medesimo sostantivo di riferimento; qui nel caso dell'uovo, una volta che sia mondato del guscio, viene buono per esser súbito mangiato. E passo ad illustrare il significato furbesco che fu attribuito all’espressione negli anni postbellici (1944 e ss.), allorché, a seguito dell’intervento liberatorio degli alleati anglo-americani, la città di Napoli fu invasa da militi cui, in cambio di poche am-lire, generi di prima necessità (pane, pasta, cioccolato, grasso alimentare etc.) e/o generi di voluttà (liquori, tabacchi etc.), le giovani e meno giovani donne popolane si concedevano;orbene, atteso che (nel linguaggio gergale dei militi anglo-americani) il membro maschile è détto cock (lètto alla napoletana cocco atteso che l’idioma napoletano rifugge da termini terminanti per consonante e – nel caso lo siano – è d’uso adattarli con la paragoge d’ una vocale finale (a/e/o) di timbro evanescente) ecco che con l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… non ci si riferí piú a chi fosse cosí infingardo da non voler neppure accollarsi la fatica di sgusciare un uovo,ma ci si riferí piuttosto a quelle tali sfacciate popolane che, pur di ottenere qualche lira e generi di vettovagliamento per sé e la propria famiglia, non disdegnavano di concedersi anche in assenza di qualsiasi protezione: condom, profilattico, guanto che fósse e l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato e bbuono… venne intesa appunto volere il fallo, l’asta (anche) nudo di protezione...incurandosi del pericolo di infezioni e/o gravidanze indesiderate; in tale nuova accezione poi l’espressione venne riferita a chiunque, pur di ottenere qualcosa, non mettesse in conto pericoli o insidie, azzardi,incognite; va da sé che in tale seconda lettura il termine cocco non fu piú voce onomatopeica usata per indicare l'uovo, voce richiamante il verso della gallina, ma fu l’aperta palese corruzione/adattamento – come ò détto - dell’anglo-americano cock = membro maschile. Raffaele Bracale

VARIE 16/857

ALCUNE TIPICHE ESPRESSIONI NAPOLETANE. Cominciamo con CACCHIO, CACCHIO (nell’espressione venirsene cacchio cacchio);Cacchio, cacchio ad litteram sta per: strano, strano (nell’espressione : avvicinarsi strano, strano)Espressione usata per significare l’atteggiamento di chi, facendo finta di nulla, mogio mogio, con indifferenza ed ostentata tranquillità, si prepara invece ad agire proditoriamente in danno di terzi, quasi che si accostasse al luogo dove agirà, con studiata noncuranza. Da rammentare che l’espressione a margine era usata da Totò, il principe del sorriso, sommandola con la pleonastica espressione - TOMO TOMO espressione inutile in quanto di di uguale portata e/o significato, ma di minor presa; ò detto pleonastica perché, mi pare che non ci fosse stato il bisogno di chiarire o aumentare la portata del cacchio cacchio napoletano, espressione - al contrario - molto piú corposa e pregnante, per il vocabolo usato, dell’algido tomo tomo, espressione napoletana costruita con un vocabolo [tomo] da non confondere con l’analogo italiano presente nella locuzione: essere un bel tomo nel senso di essere un tipo strano, bizzarro di grande improntitudine . Il tomo napoletano è marcato sul greco tomo-s (cosa tagliata, nel sens di mancante di un quid).L’espressione venirsene cacchio cacchio non va confusa con quella che recita - Venirsene oppureJirsene TINCO - TINCO Espressione che ad litteram significa : accostarsi oppure allontanarsi sollecitamente (come un tincone); id est:avvicinarsi oppure sparire da un luogo rapidamente e con una buona dose di faccia tosta, quasi dando ad intendendere che l’avvenimento cui si vuol partecipare o a cui si è partecipato e da cui ci si allontani non ci riguardi o abbia riguardato, né chiami o abbia chiamato in causa.Né altresí l’espressione è da confondersi con quella che recita Venirsene RUGLIO RUGLIO (id est: venirsene mogio mogio, piano piano,ovvero accostarsi lentamente, quasi contando i passi, come chi sia pieno, zeppo, stipato di cibo e dunque sia costretto a muoversi lentamente, mogio mogio. Altra tipica espressione è quella che impone: FA’/VA’ CUONCIO CUONCIO- CUONCE CUONCE (Fai/Vai piano piano!)L’espressione napoletana cuoncio cuoncio oppure cuonce cuonce è un’espressione avverbiale che vale: piano, piano – senza fretta – accortamente – con cautela,precisione e circospezione – lentamente; l’espressione si sostanzia nell’iterazione del sostantivo cuonce (plurale di cuoncio), ma nel caso in epigrafe l’iterazione non mira a formare un superlativo come nel napoletano avviene normalmente alibi sia con sostantivi, ma soprattutto con aggettivi (cfr. sicco sicco (=magrissimo), chiatto chiatto (=grassissimo), luongo luongo (=altissimo o lunghissimo) tinco tinco (=rapidissimo come una tinca)etc. Nel caso in esame ci si ricollega al sostantivo cuonce (plurale di cuoncio) per richiamarne, con l’iterazione, la cautela lenta e circospetta usata nel portare a compimento un’opera muraria (quella che gli antichi romani dissero opus quadratum o opus reticulatum antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente. Vale la pena di ricordare che tutte le l’espressioni: ruglio ruglio, tinco tinco, tomo tomo,cuonce cuonce cacchio cacchio,nella loro reiterazione dell’aggettivo di grado positivo o del sostantivo usato in funzione aggettivale, ne sostanziano, come ò accennato, il superlativo che, al solito, in napoletano non à la forma del suffisso in issimo/errimo, ma usa reiterare l’aggettivo di grado positivo come avviene p. es. con chiatto chiatto(s.vo ed agg.vo= grasso dal lat. plattu(m)) o luongo luongo o ancora curto curto che rispettivamente stanno per grassissimo,altissimo (o lunghissimo), bassissimo e dunque ruglio ruglio sta per pienissimo, tinco tinco (tincone) vale sveltissimo, cacchio cacchio vale cacchio al massimo grado e sta per stranissimo, tomo tomo sta per bizzarrissimo; cuonce cuonce sta per pianissimo; Esaminiamo le singole voci: cacchio s.m. voce eufemistica usata quale addolcimento di cazzos.m. = pene, organo maschile della riproduzione (derivato dal greco (a)kation=albero della nave, voce gergale d’ambito marinaro) ma qui usato in funzione aggettivale nel significato di sciocco, strano; tomo s. m. [dal lat. tardo tomus, gr. tómos, propriam. "sezione, taglio, fetta"]; in primis ognuna delle parti (spec. dei volumi) in cui è divisa un'opera a stampa: un'enciclopedia divisa in dieci tomi; poi(fig., iron.) (ed è caso che ci occupa): persona singolare, bizzarra; tipo strano; non chiarissimo il percorso semantico seguíto per passare dal primo significato al significato ironico; ma forse, a mio avviso il collegamento è da cercarsi nel fatto che come una sezione, un taglio, una fetta di qualcosa non può rendere compiutamente l’idea della cosa di cui si è estratto una sezione, un taglio, una fetta, cosí la persona singolare, bizzarra, il tipo strano certamente non rende l’idea di un individuo integro e normale, ma ne rappresenta quasi una piccola parte dunque incompleta e manchevole; tinco a. m. al femm. agg.vo e sost. tenca = rapido/a, sollecito/a, svelto/a; etimologicamente l’aggettivo è stato mutuato dal sost. tinca= s. f. (dal tardo lat. tinca(m)) 1 pesce d'acqua dolce di media grandezza, dal corpo tozzo di color verde-oliva dal movimento veloce ; è comune nelle acque dolci a fondo melmoso e si alleva nelle risaie dove distrugge le larve delle zanzare (ord. Cipriniformi). 2 nel gergo teatrale, parte impegnativa, che non offre però soddisfazioni all'attore; l’aggettivo tinco/tenca conserva semanticamente e richiama il comportamento e l’andatura rapida, sollecita, svelta del pesce tinca. ruglio agg.vo m= pieno, colmo, zeppo, rimpinzato, lento, mogio; è un aggettivo molto antico che trova i suoi omologhi,assonanti in siciliano ed in calabrese (trugghiu- rugghiu) nell’identico significato di partenza di: pieno, colmo, zeppo con riferimento agli oggetti(brocche, casse etc.) pieni o colmati, ma anche alle persone rimpinzate di cibo ; se ne deduce che chi sia ruglio cioè pieno, colmo, zeppo, rimpinzato abbia un andamento lento e mogio; in Irpinia la parola è la medesima:ruglio. Etimologicamente l’aggettivo a margine è un chiaro deverbale forgiato sul verbo latino: turgulare frequentativo di turgere: inturgidire; E, a mo’ di completamento rammenterò che sia in calabrese che in napoletano d’antan esiste il verbo ‘ntrugliare = ingrossare forgiato ugualmente sui verbi latini di cui sopra. bizzarroagg.vo 1 che à qualcosa di singolare, di originale, di stravagante: una persona bizzarra; un modo bizzarro di vestire 2 focoso, che s'adombra o imbizzarrisce facilmente (detto di un cavallo) | (ant.) iracondo, bizzoso (detto di persona); etimologicamente denominale di bizza probabile forma intensiva di izza (dal longobardo hizza (bollore). Cuonce : in napoletano il sostantivo cuoncio (di cui cuonce è il plurale), con etimo quale deverbale da conciare (che è dal lat. volg. *comptiare, deriv. di comptus 'ornato, adorno', da comere 'mettere insieme'), à molti significati: concime, letame (per concimare), belletto, condimento (cfr. ‘o cuoncio acconcia= il belletto, il condimento rende migliore la persona o il cibo), ma indica pure (concio) ognuna di quelle piccole piramidi di tufo o altra pietra di cui sopra; per cui con la locuzione avverbiale cuonce cuonce si intende richiamare la lentezza, la cautela, la precisione maniacale e circospetta da usarsi (procedendo un concio per volta) nel porre in essere l’ opus quadratum o opus reticulatum; allo stesso modo con medesima studiata lentezza, cautela, e precisione deve comportarsi nel suo agire chi sia invitato ad operare cuonce cuonce. Cacchio s.vo m.le forma eufemistica ed attenuata di cazzo (che per l’etimo è voce m.le di stampo gergale, volgare e furbesco d’origine in uso tra i marinai greci derivato da (a)kation = albero della barca); nell’iterazione cacchio cacchio vale strano,bizzarro, insolente, sfacciato, sfrontato, impudente, scortese anzi stranissimo, bizzarrissimo insolentissimo, sfacciatissimo, sfrontatissimo, impudentissimo, scortesissimo. Raffaele Bracale