domenica 17 luglio 2011

L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO

L’EQUIVOCO DEL FUTURO NEL NAPOLETANO

Faccio sèguito a quanto ebbi a dire circa il condizionale nel napoletano per rammentare che anche il futuro, come il condizionale, è un tempo che benché presente, ad incongrua imitazione dell’italiano, in talune grammatiche napoletane sia antiche (P.P. Volpi) che moderne (Carlo Iandolo) dove è codificata e contemplata addirittura la farraginosa morfologia etimologica (ad es. il futuro del verbo avere che à come prima persona sg. avarraggio presuppone un binomio *habere + aggio→(*h)aberaggio→avarraggio, mentre la 2ª persona sg avarraje presupporrebe un binomio *habere + aje→(*h)aberaje→avarraje); orbene annoto che il futuro benché sia un tempo esistente o considerato tale da professori e glottologi, ma non dal popolo che fa l’idioma, in realtà è pochissimo usato nel parlato popolare, per cui ad es. la frase dell’italiano: domani andrò dal barbiere è resa in napoletano con dimane aggi’’a jí a d’’o barbiere piuttosto che con dimane jarraggio a d’’o barbiere e talvolta, altrove, con il presente in funzione di futuro dimane vaco a d’’o barbiere. Infatti nel napoletano del popolo si usa spesso la locuzione aggi’ ‘a che seguíta da un verbo all’infinito raffigura l’espressione italiana devo da o anche semplicemente devo; ad es. l’espressione T' aggi’ ‘a vedé va tradotta Ò da vederti ossia Devo da vederti oppure piú semplicemente Devo vederti; altrove ed è il caso che ci occupa con l’espressione aggi’ ‘a (=ò da) si rende in napoletano l’idea di un’ azione futura; ad es.: Dimane aggi’ ‘a jí a pavà ‘e ttasse (Domani andrò a pagare le tasse) e ciò perché nel napoletano il verbo dovere manca ed è supplito dalla costruzione con il verbo avere seguito dalla preposizione ‘a (da) e dall’infinito connotante l’azione dovuta: ad es. aggio ‘a purtà ‘sta lettera (devo portare questa lettera), hê ‘a cammenà cchiú chiano! (devi camminare piú lentamente!); la medesima costruzione è usata pure, come ò anticipato e chiarito in funzione di futuro. Va da sé che non mette conto considerare come testimonianza di riferimento l’uso che del futuro, come del condizionale, che ad imitazione dell’italiano, ne fanno letterati, poeti e/o parolieri spesso condizionati da problemi di metrica e/o espressivi risolti con soluzioni imitative che non fan testo in quanto non autenticamente napoletane ( cioè del popolo napoletano che è quello che fa l’idioma!).
Per ogni altra considerazione sul perché della coniugazione del futuro marcata su di una simile dell’italiano, rimando a quanto détto alibi circa il condizionale. E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento e sperando d’avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak

1 commento:

effemmelle ha detto...

Esordisco subito dicendo che non sono per niente d'accordo su quanto sopra da voi scritto. Tali considerazioni sono valide per le parlate volgari (appunto quelle parlate dal popolo) che coincidono con i dialetti e non con la lingua napoletana (che non è praticamente più parlata). I dialetti della lingua napoletana , oltre a essere vari (da l'Aquila passando per Napoli e Potenza, dalla Ciociaria al Sannio e all'Irpinia, da Campobasso a Bari, da Matera fino Cosenza) sono più poveri, privi di una grammatica fissa, a volte diciamo anche scorretti, cangianti da un comune all'altro. La Lingua napoletana invece una grammatica fissa ce l'ha e con Lingua Napoletana mi riferisco alla lingua usata nel teatro partenopeo del '600 e del '700, la lingua che poteva parlare un medico o un esponente della classe medio-alta napoletana di inizio ottocento. In quella lingua esisteva anche il tempo futuro di tutti i verbi (partarraggio, partarraje, partarrà, partarrimmo, partarrite, partarranno) e dubito che questa forma, questa coniugazione sia un calco dell'italiano che al tempo non era nemmeno ancora standarlizzato!
In sostanza tendo a ritenere la lingua napoletana estinta in un processo iniziato attorno al risorgimento quando la classe altoborghese abbandonò quest'ultima in favore della nascente lingua italiana; oggi ne rimangono i suoi dialetti.

PS: penso ad esempio che la frase it, "un giorno l'avrò anch'io" in lingua napoletana si potesse tranquillamente tradurre letteralmente " nu jorno l'avarraggio pur'io" o probabilmente "pur'eo"... voi come lo tradurreste nel vostro "autentico napoletano del popolo"?

2°PS: Perchè scrivete in italiano ha= à; ho=ò ?