martedì 18 ottobre 2011

Jí A FFRANCO E PPARLÀ FRANCO

Jí A FFRANCO E PPARLÀ FRANCO
Questa volta è stato il caro amico P. G. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di chiarirgli significato e portata delle due espressioni partenopee in epigrafe. L’accontento ed entro súbito in argomento dicendo che in ambodue le espressioni è usato l’aggettivo franco ma chiaramente, e lo vedremo, esso è usato in significati alquanto differenti.
Cominciamo con la prima delle due espressioni: jí a ffranco che ad litteram vale: andare in maniera franca cioè libera, esonerata, dispensata, sciolta, esente da spese o da condizionionamenti, id est: dare una sistemazione confacente ad un rapporto interpersonale; riferita però soprattutto a situazioni sentimentali l’espressione sostanzia un pressante invito a non porsi remore, freni, limiti, misure e/o ritegni, intralci di qualsiasi specie in primis morali per modo che il rapporto interpersonale si evolva tranquillamente in modo fluente, scorrevole, agile. disinvolto. Rammento che in origine l’espressione in esame faceva parte d’una piú completa che suonava: jí a ffranco cu ‘a cchiesa e che valeva, con accezione però piú circoscritta e limitata rispetto a quella sin qui riportata, affrancarsi dalla chiesa id est rendersi libero da pesi od oneri nei confronti di enti ecclesiastici, essere esentato/i dal pagamento di decime dominicali e ciò per graziosità dell’autorità vescovile o per meriti particolari acquisiti con l’elargizioni di elemosine o facendosi carico di organizzare festeggiamenti in occasione di festività religiose. Successivamente l’espressione fu ridotta a quella in esame e l’affrancamento non venne piú riferito al solo pagamento di decime dominicali, ma piú genericamente ad ogni spesa da doversi sostenenere nell’àmbito d’un rapporto oneroso. Infine l’espressione fu estesa ai significati summenzionati e cosí ancór oggi è in uso nell’icastica parlata partenopea.
Passiamo alla seconda espressione parlà franco che vale ad litteram: parlar in modo leale, schietto, sincero; l’espressione usata con il verbo cogniugato all’imperativo: parla franco! sostanzia cioé l’invito pressante a parlare in maniera semplice, diretta, immediata e facilmente fruibile evitando pretestuosi giri di parole,inutili traslati,metafore e/o tropi, andando súbito al sodo, tralasciando preamboli e divagazioni,per giungere prontamente e velocemente a parlare dell'argomento essenziale con chiarezza, franchezza, lealtà, onestà, sincerità, evitando metonimie e/o sineddochi che potrebbero indurre in errore.
Esaminiamo le parole incontrate:
Jí = andare; Il verbo italiano andare ( che etimologicamente qualcuno pensa derivi dal lat. ambulare o da un lat. volg. *ambitare, ma che molto piú esattamente sembra derivi da *aditare frequentativo di adire è verbo che à alcune forme che ànno per tema vad- derivando dal lat. vadere/vadicare 'andare') è reso,in napoletano, con derivazione dal lat. ire, con l’infinito jí/ghí e son numerose le locuzioni formate con détto infinito. Preciso che in napoletano la grafia corretta dell’infinito è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh; è pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita con la stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti o meno noti!) rendere in napoletano l’infinito di andare con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!, seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponevano i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di jí oppure, ove del caso, ghí, li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente (1ª,2ª e 3ª pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª pers. pl che è lloro vanno
parlà = parlare; il verbo parlare/parlà (che etimologicamente deriva dal latino volg. *parabolare→par(abo)lare→parlare, deriv. di parabola 'parabola', poi 'discorso, parola' ) è quel verbo intransitivo con ausiliare avere che, come nell’italiano, sta per:
1 pronunciare parole; esprimere con parole pensieri o sentimenti: parlare a, con qualcuno; parlare con voce chiara, forte; parlare a voce alta, bassa; parlare lentamente, sottovoce; parlare col, nel naso, con voce nasale; parlare a fior di labbra, piano; parlare tra i denti, in modo indistinto; parlare da solo, fare un soliloquio; parlare tra sé (e sé), pronunciare qualche parola a voce bassissima, rivolgendosi a sé stesso, quasi per riassumere i propri pensieri; parlare stentatamente, con fatica, per debolezza fisica, per mancanza di prontezza o per scarsa conoscenza della lingua ' parlare in punta di forchetta, (fig.) con parole affettate, ricercate ' parlare chiaro, dire le cose come stanno ' parlare a vanvera, a caso, senza riflettere ' bada a come parli, modo per invitare qualcuno a non offendere, a misurare le parole ' con rispetto parlando, formula di scusa che si premette o si fa seguire immediatamente a un'espressione o a una parola non troppo conveniente ' parlare bene, male di qualcuno, con benevolenza, con malevolenza ' parlare a cuore aperto, col cuore in mano, (fig.) sinceramente e disinteressatamente ' parlare con qualcuno a quattrocchi, da solo a solo, senza testimoni ' parlare al muro, al vento, (fig.) inutilmente, a chi non vuole ascoltare | chi parla?, con chi parlo?, formule che si usano al telefono quando non si sa chi sia l'interlocutore
2 sostenere una conversazione; ragionare, discutere, dialogare: parlare di letteratura, d'arte, di politica; parlare del più e del meno, conversare di argomenti vari e poco importanti ' far parlare di sé, suscitare l'interesse, la discussione, i commenti della gente ' tutti ne parlano, si dice di fatto o persona che è oggetto di chiacchiere, di pettegolezzi oppure di discussioni, di interesse' la gente parla, mormora, fa pettegolezzi | senti chi parla!, si dice a persona che è la meno adatta a pronunciarsi su qualcosa ' non se ne parla neanche, si dice di cosa che non si vuole assolutamente fare ' non parliamone più, si dice per troncare una discussione, una lite ' non me ne parlare!, si dice a chi tocca argomenti penosi o delicati
3 tenere una lezione, una conferenza, un discorso pubblico: parlare al popolo; parlare in un comizio; parlare alla radio, alla televisione | parlare dal pulpito, (fig.) assumere un tono saccente e professorale ' parlare a braccio, improvvisando
4 (estens.) esprimere un pensiero, trattare di un argomento per iscritto; anche, esprimere pensieri o sentimenti con mezzi diversi dalla parola: tutti i giornali parlano del processo; l'autore parla in questo libro di due personaggi storici; parlare a gesti, con gli occhi; i muti parlano a segni
5 manifestare un'intenzione; far progetti riguardo a qualcosa: parlano di andare in Spagna; di quella legge si parla da dieci anni | non se ne parla più, si dice di un progetto ormai accantonato
6 rivelare segreti; confessare: l'imputato non si decide a parlare
7 (fig.) essere particolarmente espressivo; suscitare, ispirare sentimenti: occhi che parlano; musica che parla al cuore | luoghi che parlano di qualcosa, che la ricordano, che ne portano i segni | i fatti parlano, sono la prova eloquente di qualcosa
8 (fig.) manifestarsi attraverso fatti o parole: in lui è l'invidia che parla, che lo spinge a dire o a fare determinate cose; lasciar, far parlare la coscienza, la ragione, ascoltarne la voce, i suggerimenti ||| v. tr.
1 usare, per esprimersi, una determinata lingua; conoscere una lingua in modo da potersi esprimere correntemente: parlare russo (o il russo); parlare bene, male l'inglese | parlare ostrogoto, turco, arabo, (fig. fam.) esprimersi poco chiaramente, non farsi intendere
2 esprimersi in un certo modo, usare un determinato linguaggio: parlare un linguaggio franco, chiaro, oscuro
3 (lett.usato transitivamente) dire: possa... parlare alquante parole alla donna vostra ||
parlarsi v. rifl. rec.
1 rivolgersi reciprocamente la parola: si parlavano da un lato all'altro della strada
2 (antiq. pop.) amoreggiare
3 avere rapporti amichevoli, essere in buoni rapporti: dopo quel litigio non si parlano più.
franco/a agg.vo m.le o f.le
1 (ant.) si diceva di persona o cosa non sottomessa politicamente:
2 (estens.) si dice di chi è libero da doveri e prestazioni | guardia franca, marenaro franco, membro dell'equipaggio che, libero dal servizio, può scendere a terra | franco tiratore, chi compie azioni di guerriglia nelle retrovie di un esercito invasore;
3(fig.) parlamentare che, nelle votazioni a scrutinio segreto, si sottrae alla disciplina di partito
4 libero dal pagamento di dazi, di spese di trasporto ecc. | mercanzia franca ‘e puorto (merce franca di porto), spedita a spese del mittente | franco frabbeca, franco dumicilio, a spese del mittente fino ai luoghi indicati | città franca, puorto franco, località in cui si introducono merci senza pagare i dazi doganali | farla franca, (fig.) compiere un'azione illecita e riprovevole senza essere sorpresi
5 (come nel caso dell’espressione sub 1)libero, esonerato, dispensato, sciolto, esente da spese o da condizionionamenti;
6(come nel caso dell’espressione sub 2)leale, schietto, sincero:
7 sicuro di sé, disinvolto; spedito: purtamento franco; prucedere cu ‘o passo franco |
8(estens.) libero da pregiudizi, sfrontato

s.vo m.le nelle costruzioni, distanza minima di sicurezza da un elemento sospeso o sporgente | in un'opera idraulica, la distanza fra il livello massimo a cui l'acqua può arrivare e quello che non deve raggiungere.
Etimologicamente è voce dal fr. ant. frank, propr. 'libero'.

E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amico P.G. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale

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