mercoledì 14 gennaio 2015

VARIE 15/43

1 – E TTE PAREVA!? Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!”,ma che va addizionata di un sottinteso che cosí non fósse per darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!” e viene usata con un senso di risentito rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai da tale pessima linea di condotta. 2 -TE SÎ FFATTO ‘E SORDE?! Scorrettamente ad litteram: Ti sei fatto i soldi?! Id est: ti sei arricchito?! Domanda retorica pronunciata ovviamente non nei confronti di un falsario,ma di chi, normalmente sodale con qualcuno, abbia fatto insospettabilmente perdere le proprie tracce e si sia fatto rivedere solo dopo lungo tempo, facendo quasi supporre di essere stato baciato dalla fortuna, ma (non volendola condividere con i vecchi amici) si sia reso irreperibile per parecchio tempo. 3 -TIÉNEME CA ME TENGO Ad litteram: Règgimi, ché mi reggerò Locuzione usata per sarcasticamente descrivere il pessimo stato di salute di qualcuno, cosí debole e male in arnese che solo se retto da un soccorritore potrà reggersi in piedi. 4 - TINCO TINCO specie nella locuzione venirsene tinco tinco Modo di dire che è impossibile tradurre ad litteram, non esistendo un vocabolo preciso in italiano che ne indichi il significato, ma che si può rendere con un: venirsene alla maniera del tincone id est in maniera sollecita, ma subdola. Rammenterò qui che il napoletano non conosce il superlativo assoluto e lo rende con l'iterazione dell'aggettivo di grado positivo; ciò premesso dirò che la locuzione è usata per descrivere il comportamento pronto e sollecito, sebbene imperturbabile di chi, senza darlo a vedere o ad intendere persegue scaltramente uno scopo che si sia prefissato . 5 - TENGO ‘E LAPPESE A QUADRIGLIE’ CA M’ABBALLANO ‘NCAPA Letteralmente: Ò le matite a quadretti che mi ballano in testa. Presa alla lettera la locuzione non significherebbe niente. In realtà lappese a quadrigliè è la corruzione dell'espressione latina lapis quadratus poi corrotto in quadrellatus,donde quadrigliè antica tecnica di costruzione muraria romana consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno,ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi di tufo o altra pietra , per modo che chi guardasse il muro, cosí costruito, aveva l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.Questa costruzione richiedeva notevole precisione ed attenzione con conseguente applicazione mentale tale da procurare nervosismo, mal di testa e malumore 6 -TIRA A CCAMPÀ! Ad litteram: continua a vivere! Invito perentorio ad andare avanti, senza mollare, procedendo per la strada intrapresa, senza lasciarsi condizionare né dalle persone, né da imprevisti accadimenti ostativi, senza dar peso a nulla e non ostante tutto, senza fermarsi. 7 -TIRARSE 'A CAUZETTA Ad litteram: tirar su la calza Id est: estraniarsi da una vicenda, star sulle proprie, disinteressandosi di ciò che avviene attorno; ma anche: lasciarsi molto pregare o attendere prima di concedere alcunché; la locuzione richiama l'abitudine che avevano le iberiche persone di medio-alto rango che negli anni del 17° secolo, erano usi indossare lunghe calze di seta, e per distinguersi da quelli di piú basso ceto, che indossavano calze corte o cadenti, usavano tirarle continuamente verso il ginocchio. Tali altolocati personaggi erano quelli che, per abitudine evitavano di interessarsi a ciò che accedeva intorno a loro sia per non lasciarsi coinvolgere sia per non esser fatti destinatari di richieste o aiuti ai quali - comunque - avrebbero provveduto solo dopo molte preghiere. 8 -TRICA E VVENE PESANTE Ad litteram: Ritarda, ma giungerà pesante; ottimistica locuzione usata per rincuorare o assicurare qualcuno impegnato in un'operazione apparentemente lunga ed inconferente, rammentandogli che, sí: l'attesa sarà lunga e sofferta, ma - quasi certamente - il risultato sarà importante e sostanzioso, per cui non bisogna perdersi d'animo ed insistere nell'operato. trica voce verbale (3ª p.sg. ind. pr. dell’infinito tricà= indugiare, tardare, perder tempo; dal lat. tèrere→tricere→tricare con l’infisso frequentativo –ic- e cambio di coniugazione). 9 -TRASÍ 'E SPICHETTO Ad litteram: entrare di straforo; id est: entrare alla chetichella, per il rotto della cuffia, obliquamente; per estensione: godere immeritatamente di un qualche beneficio; lo spichetto in realtà è un ritaglio di stoffa tagliato obliquamente in forma triangolare ed inserito nei margini di un taglio per consentire uno slargamento dell'indumento cui venga applicato;per traslato sta ad indicare lo straforo della traduzione. 10 -TRUVÀ 'A FORMA D''A SCARPA SOJA Ad litteram: trovare la forma della (propria) scarpa id est: imbattersi in qualcuno fatto come noi e perciò capace di contrastarci adeguatamente, rendendoci pan per focaccia, mettendoci un freno e magari riducendoci al silenzio atteso che costui abbia la nostra medesima conformazione, anzi iperbolicamente sia titolare di quella forma su cui è stata impiantata la nostra scarpa, ossia il nostro modo di essere. 11 -TRASÍ DINT' Â SCAZZETTA D''O PARRUCCHIANO Ad litteram:entrare nello zucchetto del prevosto; id est: ficcare il naso in faccende altrui che non dovrebbero riguardare, tentare di por bocca nelle questioni riservate degli affari non di nostra competenza, come non ci dovrebbe riguardare cosa nasconda lo zucchetto del sacerdote. 12 -TU ME CIECHE E I' TE FOCO nella locuzione facimmo tu me cieche e io te foco. Ad litteram: Tu mi accechi ed io ti strangolo nella locuzione facciamo tu mi accechi ed io ti strangolo. Espressione usata, in ispecie con la locuzione indicata, per significare che si intende rispondere per le rime ad ogni azione ricevuta, ricambiando male con male, cattiveria con cattiveria, al segno che i rapporti derivanti saranno di lotta perenne, atteso che nessuno dei contendenti à in animo di voler recedere e di sopportare un torto subíto ; la locuzione un tempo era normalmente usata a sapido commento dei rapporti turbolenti dei ragazzi di casa in perenne contrasto tra di loro. 13 -TURNÀ A CCOPPE Ad litteram: tornare a coppe id est: ribadire continuamente ed ostinatamente i medesimi concetti, ritornare impudentemente sui medesimi argomenti, già abbondandemente trattati e sceverati e farlo quindi inutilmente se non irritantemente. Modo di dire richiamante una ipotetica fase del giuoco del tressette, allorché un cattivo giocatore, contravvenendo i desideri del compagno, ritornasse erroneamente a mettere in tavola il seme di coppe, seme di cui il compagno sia sprovvisto di buone carte e dunque seme non confacente ad un proficuo continuar del gioco.Difficile, se non impossibile stabilire perché, dei quattro possibili: denari, spade, coppe e bastoni, per il modo di dire in epigrafe si sia scelto il seme di coppe; azzardo l'ipotesi, sulla quale però non son disposto a giurare, che sia avvenuto per un inconscio richiamo al manuale del giuoco del tressette scritto in latino maccheronico e napoletano arcaico da un giocatore del 1700, tale Chitarrella, il quale ebbe a scrivere: si nun tiene che ghiucà, joca coppe(se non ài di che giocare, gioca coppe) ammantando di immeritata importanza il seme ricordato; ma è solo un'ipotesi che per quanto probabile, non è avvalorata da alcun riscontro storico. 14 -TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE: TANTA GLIUOMMERE 'A DO' T''E CCACCE? Ad litteram: Tu non cuci, non fili, né tessi, tanti gomitili da dove li tiri fuori? E' questa l'ironica e chiaramente retorica domanda che si suole rivolgere a chi, notoriamente non occupato a fare oneste attività produttive, sia improvvisamente ed inspiegabilmente pervenuto ad accumulare ingenti quantità di danaro; lo gliummero della locuzione, normalmente - con derivazione dal lat. glomere(m) - significa gomitolo , ma talvolta sta per peculio, ed in particolare per una somma pari a ca. cento ducati d'argento che poteva esser messa insieme, senza lavorare , solo truffaldinamente. 15 -TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA Ad litteram: Tutto a Gesú e niente a Maria Cosí si suole stigmatizzare l'errato comportamento di chi, per mere simpatie, non supportate - per altro - da alcuna ragione, prediliga e privilegi qualcuno, a discapito di altri ugualmenti meritevoli di stima ed attenzione. Con la frase in epigrafe un anziano prevosto ebbe a redarguire il suo sacrista che, comandato ad addobbare gli altari dedicati al Cristo ed alla Vergine, riempí di fiori e ceri quello del Salvatore e lesinò gli addobbi a quello di Maria Ss. 16 -TRÒVATE CHIUSO E PIERDETE CHIST'ACCUNTO Letteralmente: Tròvati chiuso e perditi questo cliente... Locuzione sarcastica da intendersi:Mai possa accaderti di star chiuso e non potere offrire i tuoi servigi ad un tal cliente!... Tale locuzione si usa quando si voglia sottolineare e sconsigliare il cattivo mercato che si stia per compiere, avendo a che fare con un contrattante che dal negozio pretenderebbe solo vantaggi a danno dell' altro contraente. Accunto =s.vo m.le e solo m.le =cliente (dal lat. ad-cognitu(m)→accognitu→accu(g)n(i)tu→accunto (conosciuto, noto come è ogni assiduo frequentatore di un esercizio commerciale). 17 -TUTT''O STUORTO, S''O PPORTA 'A ZAPPA Ad litteram:Tutto l'irregolare viene portato via dalla zappa ; id est: il lavoro appiana le deformità, pone rimedio all'errato; per estensione: l'impegno attento,costante e - se del caso – deciso, se non violento fa superare ogni difficoltà, come i colpi assestati con il taglio della zappa che appianano le asperità del terreno. 18 -TUTTE 'E CANE PISCIANO 'NFACCI' Ô MURO Ad litteram: Tutti i cani mingono sul muro; id est: allorché un atteggiamento, anche se errato o riprovevole , sia tenuto da tutti quanti finisce per esser considerato giusto ed accettabile; locuzione che in maniera icastica rende a suo modo l'antico brocardo latino: error communis facit jus (l'errore comune diventa legge). 19 -TOMO TOMO Locuzione avverbiale che pur partendo da un aggettivo di grado positivo, nell'evidente iterazione non intende configurare, come invece nel caso di tinco tinco, un superlativo, ma solo ribadire fortemente un concetto e coè la subdola flemma di chi con apparente noncuranza e studiata seriosità mira ad un preciso scopo, senza volerlo far capire. Spesso la locuzione in epigrafe si accompagna (allo scopo di aumentarne la portata) a quella di cacchio, cacchio. 20.A PPAVÀ E A MMURÍ, QUANNO CCHIÚ TTARDE SE PO’. A pagare e morire, quando piú tardi sia possibile! È la comoda filosofia e/o strategia del rimandare sine die due operazioni molto dolorose, nella speranza che un qualche accadimento intervenuto ce le faccia eludere. 21. QUANNO ‘A GATTA NUN CE STA ‘E SURECE ABBALLANO Quando il gatto non c’è i sorci ballano Id est:quando è assente il capo o il superiore tutti i sottoposti, siano figli o studenti o impiegati o operai ne profittano, facendo il proprio comodo e contravvenendo alle previste regole comportamentali. 22. QUANNO ‘A MUGLIERA È BBONA E ‘O MARITO È CCHIACHIELLO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE Quando una moglie è procace e piacente ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corne Id est:la moglie procace e sfrontata d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà. chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca; 23. QUANNO ‘A PALLA FA TTA-TTÀ, O SÎ STRUNZO O NUN SAJE JUCÀ Quando la palla rimpalla (fa tta-ttà) o sei uno sciocco o non sai giocare. Locuzione proverbiale in uso tra i giocatori di biliardo con la quale si assicura che il giocatore che con il suo colpo induca la propria palla a rimpallare ripetutamente con un’ altra o è uno stupido o – piú probabilmente – è incapace di giocare; per estensione la locuzione è usata tutte le volte che si voglia accusare di inettitudine chi non riesce a portare a buon fine un’operazione, confondendosi anche in mancanza di conclamati intralci. strunzo = stronzo, escremento solido di forma cilindrica e figuratamente persona stupida, odiosa etimologicamente dal longobardo strunz 'sterco'; 24.'A CARNE SE JETTA E 'E CANE S'ARRAGGIANO. Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè la donna si offra apertamente e l'uomo non abbia il coraggio di cogliere l'occasione; un terzo - spettatore, magari concupiscente, commenta la situazione con le parole in epigrafe. 25.'A VECCHIA Ê TRENTA 'AUSTO, METTETTE 'O TRAPANATURO Ô FFUOCO. Letteralmente: la vecchia ai trenta d'agosto (per riscaldarsi) mise nel fuoco l'aspo. Il proverbio viene usato a mo' di avvertenza, soprattutto nei confronti dei giovani o di chi si atteggi a giovane, che si lasciano cogliere impreparati alle prime avvisaglie dei freddi autunnali che già si avvertano sul finire del mese di agosto, freddi che - come dice l'esperienza - possono essere perniciosi al punto da indurre i piú esperti (la vecchia) ad usare come combustibile persino un utile oggetto come un aspo,in napoletano trapanaturo (deverbale del greco trypân) l'arnese usato per ammatassare la lana filata. Per estensione, il proverbio si usa con lo stesso fine di ammonimento, nei confronti di chiunque si lasci cogliere impreparato non temendo un possibile inatteso rivolgimento di fortuna - quale è il freddo in un mese ritenuto caldo. Trapanaturo s.m. = aspo, strumento girevole che serve per avvolgere in matassa un filato; la voce napoletana trapanaturo deriva dal gr. trypanon, deriv. di trypân 'forare/girare', mentre la voce italiana aspo deriva dal gotico *àspa. 26. JÍ ZUMPANNO ASTECHE E LAVATORE. Letteralmente: andar saltando per terrazzi e lavatoi. Id est: darsi al buon tempo, trascorrendo la giornata senza far nulla di costruttivo, ma solo bighellonando in ogni direzione: a dritta e a manca, in alto (asteche=lastrici solai,terrazzi dal greco astrakon= coccio: l’impiantito dei solai era formato con cocci di anfore e/o lapillo vesuviano;) ed in basso (i lavatoi (da un lat. tardo lavatoriu(m), deriv. di lavare 'lavare')erano olim ubicati in basso - per favorire lo scorrere delle acque - presso sorgenti di acque o approntate fontane, mentre l'asteche, ubicati alla sommità delle case,erano i luoghi deputati ad accogliere i panni lavati per poterli acconciamente sciorinare al sole ed al vento, per farli asciugare. 27. PARE CA MO TE VECO VESTUTO 'A URZO. Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso (giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle.). La frase viene usata a sarcastico commento delle azioni iniziate da qualcuno ritenutotanto inetto al punto da non poter portare mai al termine ciò che intraprende.Sovente l’espressione è pronunciata preceduta da un esclamatorio Ahé! 28. 'O CUCCHIERE 'E PIAZZA: TE PIGLIA CU 'O 'CCELLENZA E TE LASSA CU 'O CHI T'È MMUORTO. Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie (dantoti dell’)'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia. 29. JÍ CASCIA E TURNÀ BAUGLIO OPPURE JÍ STOCCO E TURNÀ BACCALÀ. Letteralmente: andar cassa e tornare baúle oppure andare stoccafisso e tornare baccalà. Id est: non trarre profitto alcuno o dallo studio intrapreso o dall'apprendimento di un mestiere, come chi inizi l'apprendimento essendo una cassa e lo termini da baúle ossia non muti la sua intima essenza di vacuo contenitore, o - per fare altro esempio - come chi inizi uno studio essendo dello stoccafisso e lo termini diventando baccalà, diverso in forma, ma sostanzialmente restando un immutato merluzzo. Con il proverbio in epigrafe, a Napoli, si è soliti commentare le maldestre applicazioni di chi non trae profitto da ciò che tenta di fare, perchè vi si applica maldestramente o con cattiva volontà. 30. TU MUSCIO-MUSCIO SIENTE E FRUSTA LLA, NO! Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipico dei fanciulli, ma pure degli adulti afflitti dalla sindrome di Peter Pan, soggetti tutti che rifiutano l’idea che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e non si rassegnano ad ammettere il fatto che tutto debba essere accettato; il termine frusta lla discende dal greco froutà-froutà col medesimo significato di :allontanati, sparisci. 31.HÊ 'A MURÍ RUSECATO DA 'E ZZOCCOLE E 'O PRIMMO MUORZO TE LL'À DA DÀ MAMMÈTA Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (dal lat. sorcula) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare 32.MA TE FOSSE JIUTO 'O LLICCESE 'NCAPO? Letteralmente: ma ti fosse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso cosí le facoltà raziocinanti del... fiutatore. 33. 'A FATICA D''E FRACETE SE VENNE A CARO PREZZO. Letteralmente: il lavoro degli svogliati, si vende caro. Id est: chi à scarsa voglia di lavorare richiede compensi altissimi per modo da spaventare e distogliere il committente dalla sua richiesta d'opera. 34.DALLE E DDALLE 'O CUCUZZIELLO ADDEVENTA TALLO. Letteralmente: dagli e dagli la zucchina diventa tallo.Id est: ad insistere sempre sulla medesima questione si finisce male, come a cogliere zucchini continuamente non ne restano che le foglie. Il tallo (dal lat. tàllu(m), dal gr. tàllós 'germoglio', deriv. di thállein 'fiorire')è la foglia commestibile delle cucurbitacee, ma pure essendo edibile è sempre meno pregiata o gustosa della zucchina che già di suo non è molto saporita. 35. QUANN'È PE VIZZIO, NUN È PECCATO! Letteralmente: Quando dipende da un vizio, non è peccato. A prima vista parrebbe che la locuzione si ponga agli antipodi della morale cristiana che considera peccato anche i vizi, soprattutto i capitali; ma tenendo presente che il vizzio(correttamente scritto con due zete in napoletano) della locuzione è il vitium latino, ovvero il mero difetto,errore si comprenderà la reale portata della frase che scusa la cattiva azione generata non per dolo, ma per mero difetto o errore. 36. PASSASSE LL'NGELO E DICESSE: AMMENNE! Letteralmente: Possa passare un angelo e dire "Cosí sia!" La locuzione usata come in epigrafe con il congiuntivo ottativo la si adopera per augurarsi che accada qualcosa, sia nel bene che nel male; usata con l'indicativo à finalità imprecativa, mentre usata con il passato remoto serve quasi a spiegare che un determinato accadimento, soprattutto negativo è avvenuto perchè, l'angelo invocato è realmente passato ed à con il suo assenso prodotto il fatto paventato da taluno e augurato invece da un di lui nemico. 37. VA TRUVANNO: 'MBRUOGLIO, AIUTAME. Letteralmente: va alla ricerca di un imbroglio che lo soccorra. Cosí a Napoli si dice di chi in situazioni difficili e senza apparenti vie di scampo, si rifugi nell'astuzia, nell'inganno, in situazioni ingarbugliate rimestando nelle quali spera di trovare l'aiuto alla soluzione dei problemi 38. PARE PASCALE PASSAGUAJE. Letteralmente: sembra Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il nome Pasquale usato nell’espressione è mutuato da un tal Pasquale Barilotto personaggio del teatro pulcinellesco di A. Petito, personaggio comicamente perseguitato continuamente da malasorte ed affanni, spesso solo paventati ma in realtà inesistenti. 39. PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA. Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse: pastores mirati sunt. 40.MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP' Ô MUOLO. Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere quella che comporrti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco,nei pressi di porta Capuana a Napoli, in quello che era stato il convento francescano dei cosiddetti monaci di sant’Anna e sino a non molto tempo fa ospitavano gli uffici della pretura, erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato. 41. FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA. Letteralmente: far di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. 42. FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO. Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da trenta a trentuno v'è un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò, senza che ce ne fosse necessità o urgenza, un trentunesimo. 43.ESSERE CARTA CANUSCIUTA. Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne serve. 44. ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE. Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente insozzato. 45. 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LLE DETTE 'NA NOCE. Letteralmente : il regalo che fece Beerta alla nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto pratico, risultano invece essere parva res. 46. 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO. Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche. 47. AMICIZIA STRETTA, SE SPEZZA CU 'NA MAZZA. Letteralmente: un'amicizia stretta si spezza (solo) con un bastone; id est: bisogna ricorrere alla violenza per sciogliere un'amicizia di vecchia data, ben rinsaldata; occorrono gravi ed importanti ragioni per troncare un’autentica amicizia, che non viene meno per futili motivi. 48. TANNO SE CHIAMMA GRANO, QUANNO STA 'INT' Â VOTTA. Letteralmente: allora si chiama grano, quando sarà nella botte. Id est: per potersi vantare di taluni risultati, occorre prima conseguirli; non ci si deve vestire della pelle dell'orso prima d'aver ammazzato il suddetto animale. La locuzione in epigrafe ripete le parole che un tal contadino disse al figliuolo che si vantava di un gran raccolto prima della mietitura. 49.TRE CCALLE E MMESCAMMÉCE. Letteralmente: tre cavalli(cioè mezzo tornese) e mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, con pochissima spesa, ama intromettersi nelle faccende altrui, per dire la sua. Il tre ccalle era una moneta di infimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo rampante, poi simbolo della città di Napoli, da cui per contrazione ca(va)llo prese il nome di callo, ed al plurale calle La locuzione significa: con poca spesa ci si interessa delle faccende altrui. 50. CHI SE FA MASTO, CADE DINT' Ô MASTRILLO. Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per farte la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di ammaestrare. masto = maestro, mastro (dal lat. magistru(m)→ma(gi)st(r)u(m)→masto, deriv. di magis 'di piú, molto' mastrillo = trappola per topi ( dal lat. mustriculu(m). 51. TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MMARIA. Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente. 52. CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O MMAGNATO. Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili ladri! 53. PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom Pouce, pagliaccio inglese d’un circo venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato, l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e/o moralmente, laddove sono invece l'esatto opposto. 54. FÀ COMME A SANTA CHIARA CA DOPP' ARRUBBATA CE METTETERO 'E PPORTE 'E FIERRO. Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti in danno della antica chiesa partenopea. 55. 'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA. Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. E' il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera, sottile falda di cipolla. 56. NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO. Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l'espressione non à nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla. 57. MENARSE DINT' Ê VRACHE... Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la bestia. 58. CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE. Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il povero non può essere generoso 59. LASSA CA VA A FFUNNO 'O BASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRENO 'E ZZOCCOLE. Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo, improcrastinabile scopo; proverbio nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i marinai con i ratti che infestavano le navi. 60. NCE VONNO CAZZE 'E VATECARE PE FFÁ FIGLIE CARRETTIERE Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un genitore vetturale di bestie da soma... Vatecare s.m. pl. di vatecaro= vetturale, carrettiere che trasporta merci, che guida bestie da soma; quanto all’etimo è un denominale dell’agg.vo lat. viaticus=relativo al viaggio 61. SI MINE 'NA SPORTA 'E TARALLE 'NCAPO A CHILLO, NUN NE VA MANCO UNO 'NTERRA Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto tradito dalla propria donna. 62. MUNTAGNE E MMUNTAGNE NUN SS'AFFRONTANO. Letteralmente: (Solo) le montagne non si scontrano con le proprie simili. È una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la considerazione che solo i monti sono immobili... 63. FACCIA 'E TRENT'ANNE 'E FAVE. Letteralmente: faccia da trent'anni di fava. Offesa gravissima con la quale si suole bollare qualcuno che abbia un volto poco rassicurante, da galeotto, dal quale non ci si attende niente di buono, anzi si paventano ribalderie. La locuzione fu coniata tenendo presente che la fava secca era il cibo quasi quotidiano che nelle patrie galere veniva somministrato ai detenuti; i trent'anni rammentano il massimo delle detenzione comminabile prima dell'ergastolo; per cui un individuo condannato a trent'anni di reclusione si presume si sia macchiato di colpe gravissime e sia pronto a reiterare i reati, per cui occorre temerlo e prenderne le distanze. 64.SPARÀ A VRENNA. Letteralmente: sparare a crusca. Id est: minacciare per celia senza far seguire alle parole , i fatti minacciati. L'espressione la si usa quando ci si riferisca a negozi, affari che si concludono in un nulla di fatto e si ricollega ad un'abitudine dell'esercito borbonico i cui proiettili, durante le esercitazioni, erano caricati con crusca, affinchè i colpi non procurassero danno alla truppa che si esercitava. Vrenna s.f. = crusca, residuo della macinazione dei cereali costituito dagli involucri dei semi; è usato soprattutto come alimento per il bestiame | (pop.) lentiggini. La voce napoletana vrenna è da un lat. med. brinna, mentre la voce italiana crusca è dal germanico *kruska. 65. 'E SCIABBULE STANNO APPESE E 'E FODERE CUMBATTONO. Letteralmente: le sciabole stanno attaccate al chiodo e i foderi duellano. L'espressione è usata per sottolineare tutte le situazioni nelle quali chi sarebbe deputato all'azione, per ignavia o cattiva volontà si è fatto da parte lasciando l'azione alle seconde linee, con risultati chiaramente inferiori alle attese. 66. 'A TAVERNA D''O TRENTUNO. Letteralmente: la taverna (bettola, osteria dal lat. taberna(m)) del trentuno. Cosí, a Napoli sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese, le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno, nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di Pozzuoli in via san Rocco (oggi 16), all’insegna : Taverna del trenta e trentuno che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte 67. 'A VACCA, PE NUN MOVERE 'A CODA SE FACETTE MAGNÀ 'E PPACCHE DÊ MOSCHE. Letteralmente: la mucca per non voler muovere la coda, si lasciò mangiare le natiche dalle mosche. Lo si dice degli indolenti e dei pigri che son disposti a subire gravi nocumenti e non muovono un dito per evitarli alla stessa stregua di una vacca, bestia notoriamente inadatta al lavoro, escluso quello di lasciarsi mungere, bestia accidiosa che assalita dalle mosche per non sottostare alla fatica di agitare la coda, lascia che le mosche le pizzichino il fondo schiena! E che la vacca sia bestia inadatta al lavoro è confermato nel detto che segue. 68. ZAPPA 'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA. Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e sia anzi deleterio per la terra. 69. TRASÍ O PASSÀ CU 'A SCOPPOLA. Letteralmente: entrare o passare con lo scappellotto. Id est: entrare in teatro o altri luoghi pubblici come musei o pinacoteche o mostre artistiche senza pagare e senza le necessarie credenziali: biglietti o inviti. La locuzione fotografa il benevolo comportamento di taluni custodi che son soliti fare entrare i ragazzi senza pagare il dovuto, spingendoli dentro con un compiacente scappellotto. Per traslato la locuzione si attaglia a tutte quelle situazioni dove gratuitamente si ottengono benefíci per la magnanimità di coloro che invece dovrebbero controllare. brak

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